mercoledì, maggio 29, 2013

Juan José Saer

Le vecchine di Parigi

Juan José Saer

...perché a Parigi abbondano le vecchiette  nobili, borghesi, piccolo-borghesi o proletarie, zitellone amareggiate o donne libere ostinandosi a non perdere la propria orgogliosa indipendenza, vedove di notai o di medici, di commercianti o di autisti del metro, ex bottegaie o professoresse di canto o disegno in pensione, scrittrici di romanzi nel pieno della loro  attività, russe emigrate, californiane, vecchie ebree scampate alla deportazione e, persino, antiche "cocottes", obbligate a ritirarsi da un censore più severo che i buoni costumi, cioè il tempo: la luce del giorno le vede riapparire ogni mattina, impeccabili o quasi straccione, secondo la loro condizione, mentre studiano dubbiose gli scaffali multicolori dei supermercati, o, se il tempo è bello,, sulle panchine verde scuro della piazza e dei viali, sedute da sole e tese o in animata conversazione con qualche altro esemplare della propria specie, o i intente a distribuire briciole ai colombi con gesti che già sono stati immortalati dalle cartoline; alla mattina, in primavera, si possono scorgere, in déshabillé, protese verso il vuoto della finestra di un quinto o sesto piano mentre annaffiano con attenzione gerani fioriti. All'interno dei palazzi, le si vede scendere o salire le cale, lente e prudenti, con una borsa di provviste o un cagnetto nervoso, puerile e un po' ridicolo che portano in braccio e di cui parlano a volte con qualche vicino usando un gergo di analisi psicologico che nessuno psicologo oserebbe mai applicare a un essere umano. Quando sono troppo vecchie l'ospizio o la morte le diradano, senza che, tuttavia, il loro numero diminuisca, poiché nuove leve di vedove, divorziate, zitellone, dopo il lasso di tempo irreale e troppo lungo che si suole chiamare vita attiva, vengono a sostituirle, avendo ormai sepolto tutti i parenti e i conoscenti, incoscienti e rassegnate.
L'ostinazione a perdurare, ancor più misteriosa che il concorso di circostanze che mise in moto il mondo e poi anche loro - e noi con loro - le va depositando nei loro esigui appartamenti, pieni di carabattole, ricami, tovaglie ricamate prima della guerra e tappeti consumati, mobili di famiglia e bauli, cassetti pieni di medicine, di servizi di posate del secolo scorso di foto ingiallite sul marmo dei comodini. Alcune vivono ancora in famiglia, la maggioranza, però, già non ha più nessuno o preferisce vivere da sola; le statistiche - voglio che reti ben chiaro dal principio che questa narrazione è vera - hanno dimostrato che a qualunque, età, in generale le donne sopportano meglio la solitudine e sono più indipendenti degli uomini. Comunque, il fato è che sono numerose, e sebbene le statistiche hanno dimostrato che in generale i ricchi vivono più a lungo dei poveri, ve ne sono di tutte le classi sociali, e sebbene dai vestiti e dai luoghi dove vivono si possono intuire le loro origini e i mezzi di cui dispongono, tutte hanno i tratti comuni propri del loro sesso e della loro età: il passo lento, le mani rugose e piene di macchioline scure, la dignità leggermente artritica dei gesti, la malinconia evidente degli inconcepibili ultimi giorni, gli organi parsimoniosi e i riflessi indecisi e senili, per non parlare delle molteplici operazioni cesaree, estrazioni di denti e calcoli, asportazioni di seni, eliminazioni di citi e tumori, deformazioni reumatiche, disturbi neurologici, la cecità progressiva o la sordità totale, i seni che si sgonfiano e si seccano e la natiche che s disfano, infine, la leggendaria fenditura che espelle letteralmente non sol l'uomo ma il mondo, la ferita rosa che si secca, si fa spiraglio e si addormenta.
Tuttavia, se la notte le inghiotte, con lo spuntar del giorno, eccole, come dicevo, ricomparire, e quelle che non si sono lasciate corrodere dalla disperazione, dalla miseria, dalle illusioni perdute, la tristezza, fioriscono al mattino con i cappellini fuori moda, i cappottini seri, il maquillage discreto, trottando come i loro botoli o scendendo cinque o sei piani di scale per andare a comprare il mangime ai gatti o ai canarini, oppure la rivista dei programmi TV, o, perché no, talvolta al ristorante da usciranno nel primo pomeriggio per andare a visitare un conoscente all'ospedale o, molto più probabilmente, per andare al cimitero a rassettare la  tomba di qualche parente, fatte quasi, da materia che furono, simbolo, idea, metafora o principio.
Certo è che sono un elemento topico di questa città, un dettaglio di colore locale, come il Louvre, L'Arco di Trionfo o i vasi di gerani alle finestre, della cui esistenza, bisogna riconoscerlo, contribuivano più di chiunque altro con gli innaffiatoi di plastica e le piccole anfore di acqua mattutina. Come premio, forse del loro lavoro volto a preservare e persino a moltiplicare uomo e mondo nella rete delle loro viscere tanto concupite, o per pura casualità, in virtù di un ordine aleatorio di tessuti, di sangue e di cartilagini, fu concesso a molte di loro di persistere un pochino di più degli altri, ai margini del tempo, come quelle "piare" del fiume ove l'acqua pare trattenersi e allisciarsi secondando una fora invisibile che frena la corrente orizzontale, ma trascina inesorabilmente e verticalmente fin sul fondo.
Benché in apparenza siano inoffensive, a volte possono risultare irritanti, oppure come se la coscienza della loro fragilità, che paradossalmente le induce a credersi invulnerabili, conferisce una certa sicurezza alle loro opinioni e convertirle in portavoce della loro epoca di modo che, in un certo senso le loro severe osservazioni sulla porta di una panetteria, le loro analisi sociologiche all'ora del te, i  commenti meccanici fatti da sole ad alta voce, davanti ala televisione, rivelano di più sul presente che i discorsi dei cosiddetti politici, specialisti in scienze umane e giornalisti, la conversazione quotidiana di una anziana con il suo canarino, mentre pulisce la gabbietta, è, forse l'unico dibattito serio dei tempi moderni, e non quelli che hanno luogo nelle camere, nei tribunali o alla Sorbona.

Da: "La Pesquisa"

Trad. genseki

venerdì, maggio 24, 2013

Merleau-Ponty

"...impariamo a veder nuovamente il mondo attorno a noi da cui ci eravamo distolti nella convinzione che i nostri sensi non potessero insegnarci nulla di valido e che solo un sapere rigorosamente oggettivo meritasse di esser preso in considerazione...In un mondo così trasformato non siamo soli, e non siamo soltanto tra uomini. Questo mondo si offre anche agli animali, ai bambini, ai primitivi, ai pazzi, che lo abitano a modo loro e che coesistono con esso" (Maurice Merleau-Ponty)

giovedì, maggio 23, 2013

Logica e simbolica

“Oggi muore una società fondata sul primato del ‘logico’... Ecco perché è venuto il momento ... non già, come si dice spesso oggi, di ‘cambiare paradigma’, ma di introdurre un altro paradigma e di integrarvi i nostri. L’ipotesi, condivisa da molti e che faccio mia, è che l’epoca attuale ci inviti a reintrodurre il simbolico, vale a dire il primato del legame nella struttura e nella vita del reale, nel desiderio e nel sapere umani”.

                              Gh. Lafont, Che cosa possiamo sperare?, Bologna , EDB, 2011, 10-11

Essere ribelli

Esistere, significa combattere ciò che mi nega. Essere ribelli non è collezionare libri empi, sognare fantasmagorici complotti o la resistenza partigiana nelle Cevenne. Significa essere norma per se stessi. E attenervisi, a qualunque costo. Badare a non guarire mai dalla propria giovinezza. Preferire inimicarsi il mondo intero, piuttosto che strisciare. Praticare anche, come un corsaro e senza vergogna, il diritto di preda. Saccheggiare nell’epoca tutto ciò che è possibile convertire alla propria norma, senza fermarsi alle apparenze. Nella sconfitta, non porsi mai il problema dell’inutilità di un combattimento perduto. Si pensi a Padrig Pearse.

Dominique Venner

Da "eléments" via Barbadillo

mercoledì, maggio 22, 2013

Dominique Venner

“Credo che esista, sin dall’Illuminismo, una tipologia mentale di destra e che essa sia definita dal rifiuto della tabula rasa. Ogni pensiero di destra discende dalla sensazione che gli uomini esistano prima di tutto in quanto portatori di un’eredità collettiva specifica. Idea rifiutata dalla sinistra, per la quale ciascun uomo è in sé un inizio, un soggetto autonomo che non deve niente a delle radici, a un’eredità, a una cultura, a una storia. Al massimo gli si riconosce un condizionamento sociale di cui è suo compito liberarsi. Liberazione è la parola-chiave della sinistra, così come eredità (o radici) è la parola-chiave della destra”.

Da Barbadillo

martedì, maggio 21, 2013


La morte della nonna

Quella non era la nonna. Era la sua cuffia da cerimonia con i nastri di seta
bianca, e, sotto, i suoi capelli bruno-rossicci. Ma quel naso appuntito, quelle labbra rientrate, quel mento prominente, quelle mani giunte, giallastre e diafane, che si intuivano fredde e rigide, non appartenevano a lei. Quello era un ignoto fantoccio di cera, ed il disporlo e venerarlo in quel modo, aveva un che di raccapricciante. Ed egli guardava verso la «stanza dei paesaggi», come se di là dovesse comparire da un momento all’altro la nonna vera... Ma ella non arrivava. Era morta. La morte l’aveva per sempre sostituita con questa figura di cera, che teneva le palpebre e le labbra così inesorabilmente così inaccessibilmente serrate...
Ritto sulla gamba sinistra, il ginocchio destro piegato in modo che il piede
stesse in equilibrio sulla punta, con una mano egli teneva il nodo da marinaio cheaveva sul petto, mentre l’altra pendeva rilassata. La testa con i riccioli castani che ricadevano sulle tempie, era reclinata da una parte, e, sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampegi suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampeggiavano, scrutando il volto della defunta con espressione assorta e disgustata.
Respirava lentamente, con cautela, perché ad ogni respiro si aspettava
quell’odore, quell’odore strano eppure così singolarmente familiare, che le ondate di profumo dei fiori non sempre riuscivano a soffocare. E quando gli arrivava, quando lo sentiva, le sopracciglia gli si aggrottavano di più, e le labbra per un attimo cominciavano a tremare... Infine sospirò; quel sospiro era talmente simile a un singhiozzo senza lacrime che la signora Permaneder si chinò su di lui, lo baciò e lo condusse via.

Th Mann

I Buddenbrook

Vaticano: la stretta di mano fra Patti Smith e Papa Francesco - Video - Corriere TV

Vaticano: la stretta di mano fra Patti Smith e Papa Francesco - Video - Corriere TV

mercoledì, maggio 15, 2013

Agamben su Ratzinger

Le dimissioni del papa tra teologia e politica: “Il mistero del male” di Giorgio Agamben sulla scelta radicale di Ratzinger

di Antonio Gnoli

Un oscuro teologo del IV secolo fa da sfondo dottrinale alla decisione del Papa di abdicare al suo magistero. Possibile?

Ce lo racconta con il solito raffinato incastro di testi Giorgio Agamben nel nuovo libro: Il mistero del male (Laterza).
Da anni egli affronta il significato politico della fine dei tempi, sfrondandolo dagli orpelli apocalittici e cogliendone il senso in una plausibile ricerca filologica.

I testi a volte ci parlano: nella loro autorevolezza sopportano l’usura del tempo e ci indicano strade che avevamo abbandonato.
Non è questo il senso della tradizione, di quella sapienza archeologica che segna a volte il nostro agire più consapevole?
Proprio Joseph Ratzinger, appena trentenne, pubblicò un dotto articolo per spiegare la posizione dottrinaria di Ticonio in merito alla Chiesa. Costui era un donatista che avendo descritto una Chiesa al tempo stesso malvagia e giusta, seppe coglierne la struttura bipartita che comprende in sé tanto il peccato quanto la grazia. In una prospettiva escatologica questi due corpi della Chiesa sono destinati a convivere fino alla fine dei tempi. Allorché il Giudizio universale dividerà definitivamente i malvagi dai giusti, il Cristo dall’Anticristo. Fino a quel momento le due “anime” conserveranno una loro presenza nello stesso corpo della Chiesa. È in questo contesto teologico che Agamben colloca il gesto rivoluzionario di Benedetto XVI. Che non è un atto di viltà – accusa già rivolta a Celestino V – né di stanchezza, ma una meditata e sofferta scelta dottrinaria che lo ha posto all’altezza della drammatica situazione in cui la Chiesa si trova a vivere.

Può, infatti, questo istituto millenario attendere che il gran conflitto tra i malvagi e i giusti si risolva alla fine dei tempi? Ecco perché la prospettiva escatologica va ricondotta a quella storica, il tempo dell’apocalisse al nostro tempo. La Chiesa, ci rammenta Agamben, non può sopravvivere se rimanda passivamente alla fine dei tempi la soluzione del conflitto che ne dilania il “corpo bipartito”. D’altro canto, l’aver ignorato lo sguardo escatologico ha pervertito l’azione salvifica della Chiesa nel mondo. L’ha resa per così dire cieca e priva di scopo. Di qui gli scandali, la corruzione e quel corredo negativo che ne hanno stravolto l’immagine. Agamben sottrae il male al cupo dramma teologico e lo restituisce al suo vero contesto storico, nel cui spazio ognuno è chiamato a fare senza riserve la sua parte. Decidere, d’accordo. Ma su cosa? E per quali opzioni o scelte?

Benedetto XVI suggerisce una strada. La sua decisione radicale rinvigorisce l’idea di giustizia e di legittimità. Rimette in moto una macchina politica senza la quale la Chiesa sarebbe destinata a inabissarsi. Non è di un analogo destino che soffre la nostra società? Ancora una volta teologia e politica incrociano due categorie – legittimità e legalità - oggi confuse o smarrite. La profondità della crisi che la nostra società sta attraversando, dice Agamben, va ricondotta anche al tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità.

Una Chiesa dei giusti non trionferà senza una lotta ai malvagi; così come una società equa non prevarrà senza il ricorso alla giustizia che è un concetto più profondo della legalità. Chi può avere oggi la forza di trasferire nel profano ciò che Benedetto XVI – con il suo richiamo all’Auctoritas (al potere spirituale) - ha svolto nell’ambito del teologico? Le nostre vite, attraversate da crisi terribili, hanno urgenze mondane che si scontrano con l’ideologia liberista oggi dominante. Nota Agamben che il paradigma del mercato autoregolantesi si è sostituito a quello della giustizia e finge di poter governare una società sempre più ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici. Chiamiamola pure dittatura dell’algoritmo. Ma chi oggi ha un potere così immenso da potervi perfino abdicare? Non è da questa rinuncia che possa nascere una nuova occasione per la politica. Perché il potere sembra esser sfuggito dalle mani dell’uomo. Ecco il dramma storico e il “mistero” dal quale bisogna ripartire.

Da Repubblica

Canzone erronea

Canzone erronea è il titolo dell'ultimo libro di Antonio Gamoneda. È un libro sulla vecchiaia. La traduzione èe di genseki.

*

Amo il mio corpo
Con le sue vertebre ...
Da acciai viventi, le cartilagini
Strinate, il cuore leggermente umido
I miei capelli impazziti
Nelle tue mani.
                        Amo anche
Il mio sangue solcato da gemiti.

Amo la calcificazione e la malinconia
Arteriale e la passione del fegato
Che ribolle nel passato e le squame
Delle mie palpebre fredde.

Amo lo stame cellulare, le feci
Bianche alla fine, l'orifizio
Dell'infelicità. i midolli
Della tristezza, gli anelli
Della vecchiaia e l'influenza
Della tenebra intestinale.
                       
                                         Amo i circoli
Unti del dolore e le radici
Dei tumori lividi

Amo questo corpo vecchio e la sostanza
Della sua miseria clinica.
                                        L'oblio
Dissolve la materia pensante
Di fronte alla grandi vetrate
Della menzogna.
                          Tutto è ormai deciso

Non c'è causa in me. C'è solo
Stanchezza e
Un antico smarrimento:
                                      passare
Dall'inesistenza
All'inesistenza.
                        È
Un sogno.
                Un sogno vuoto.

Eppure accade.
                 Amo
Tutto quello che ho creduto
Vivente in me.
                 Amai le mani
Grandi di mia madre e
Quel l'antico metallo
Dei suoi occhi e quella
Stanchezza gonfia di luce
E di freddo.

                  Disprezzo
L'eternità.
                     Ho vissuto
E non so perché.
                          Ora
Devo amare la mia propria morte
E non so morire.
                          Che equivoco.
                     

*

lunedì, maggio 13, 2013

- LATCHO DROM (Tony Gatlif 1993) LA PELICULA..avi

Gamoneda

Vidi colombe. Vidi tremare le loro ali
Tra ceneri e cristalli.
                                Vidi
Frutti di bronzo: la loro gravità sospesa
a rami immoti.
                                Vidi
La passione vorticosa degli uccelli
Sulla macchina celeste dell'allegria.
                                                         Vidi
La geometria ardente del lampo.

Nella festa finale arse la porpora
Dell'ultimo giardino

                           Svennero
Le cifre del lampo e il bronzò si svincolò
Dai rami immoti.

Trad. genseki

mercoledì, maggio 08, 2013


Maritain sul matrimonio

La verità è questa, secondo me: anzitutto l’amore come desiderio o passione, e l’amore romantico — o quanto meno un elemento di esso — dovrebbero, per quanto possibile, essere presenti nel matrimonio come un primo incentivo, come punto d’avvio.… In secondo luogo, il matrimonio, lungi dall’avere come suo scopo precipuo quello di portare al compimento perfetto l’amore romantico, ha da compiere nei cuori umani ben altra opera: un’infinitamente più profonda e più misteriosa operazione di alchimia: voglio dire che ha da trasformare l’amore romantico, o quanto di esso esisteva all’inizio, in un vero e proprio amore umano, reale ed indistruttibile, in un amore veramente disinteressato, che non esclude il sesso, si capisce, ma che diviene sempre più indipendente dal sesso, e può persino essere, nelle sue forme più elevate, completamente libero dal desiderio e dall'interferenza sessuale, in quanto di natura essenzialmente spirituale: una completa ed irrevocabile donazione dell’uno all'altro, per amore dell’altro. Così è che il matrimonio può essere un’autentica comunità d’amore tra uomo e donna: qualcosa di costruito non sulla sabbia, ma sulla roccia, perché poggia su di un amore genuinamente umano, non animale, e genuinamente spirituale, genuinamente personale: attraverso l’ardua disciplina dell’autosacrificio ed a forza di rinunce e purificazioni.… E allora ciascuno può diventare una specie di Angelo custode dell’altro: preparato e pronto, proprio come un Angelo custode deve essere, a molto perdonare all’altro: infatti la legge evangelica del reciproco perdono bene esprime, mi pare, un’esigenza fondamentale, che è valida non soltanto nell’ordine soprannaturale, ma anche nell’ordine terreno e temporale, e per le società umane di base, quali la società domestica e la società politica. Ciascuno, in altre parole, può allora rendersi realmente dedito al bene e alla salvezza dell’altro.
 
 J. MARITAIN, Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, tr. it. Riflessioni sull’America,  Morcelliana, Brescia 1960, pp. 109-110
 
Dal blog:  http://nipotidimaritain.blogspot.it/
 

martedì, maggio 07, 2013


Libertà e legge naturale

La cultura contemporanea afferma una libertà assoluta, mediante la quale l'uomo deve realizzare sé stesso. Non esiste, quindi, una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone non solo alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni che considerano che nella nostra natura si trova iscritta una linea determinata di comportamento, il senso stesso del nostro essere. La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Al contrario se siamo solo prodotti dell'evoluzione, siamo liberi da autodefinirci. Esiste allora, come diceva Sartre, una libertà nel senso che "io non sono definito": nella mia situazione, devo inventare quello che è l'uomo. Nella visione cristiana, al contrario, l'esistenza dell'uomo - dell'uomo e della donna - è portatrice di un'idea di Creatore, un Creatore che ha un progetto per il mondo, che esprime idee incarnate nella realtà del mondo.
La relazione di fedeltà tra l'uomo e la donna rivela che sono fatti uno per l'altro, in una unità profonda di corpo e di spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L'elevazione di reazioni fisiche al livello di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana relativa alla sessualità.


Ratzinger

Intervista a Le Figaro magazine

Vita e pensiero

In realtà esiste una parentela molto grande tra vita e pensiero: nell'organismo vivente, tutta la materia vivente coopera alla vita; non si tratta soltanto delle strutture più appariscenti, più nette, che nel corpo dirigono la vita: il sangue, la linfa, i tessuti congiuntivi prendono parte alla vita; un individuo non è soltanto una collezione di organi uniti in sistemo; è fatto anche da ciò che non è organo, né struttura della materia vivente in quanto costituente un ambiente associato per gli organi; la materia vivente è lo sfondo degli organi; è quella che li collega gli uni con gli altri e fa di essi un organismo; è essa che mantiene gli equilibri fondamentali, termici, chimici, su cui gli organi provocano variazioni brusche ma limitate; gli organi partecipano al corpo. Questa materia vivente è lungi dall'essere pura indeterminazione e pura passività, Non è neppure pura aspirazione cieca: è veicolo di energia informata. ...
Senza sfondo del pensiero non ci sarebbe un essere pensante, ma una serie slegata di rappresentazioni discontinue. Questo sfondo è l'ambiente mentale associato alle forme. È il termine medio tra la vita e il pensiero cosciente, come l'ambiente associato all'oggetto tecnico è un termine medio tra il mondo naturale e le strutture fabbricate dell'oggetto tecnico. Possiamo creare esseri tecnici  perché abbiamo in noi un gioco di relazioni e un rapporto materia forma che è molto analogo a quello che istituiamo nell'oggetto tecnico.

Gilbert Simondon
"Du mde d'exixtence des objets techniques"
Trad, genseki

domenica, aprile 28, 2013

Tradizione

Concludendo e riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità.

Ratzinger

sabato, aprile 27, 2013

Arte e appaenza

L'arte, si dice, è il regno dell'immaginazione libera. Le produzioni ne sono dunque arbitrarie e fortuite, È vero che l'arte consiste nell'apparenza; tuttavia tutto ciò che è deve anche apparire. La verità e l'essenza non ci sarebbero se non apparissero; e, se l'arte è un'illusione, il mondo esterno e quello interno (le cose particolari, i nostri interessi, le nostre inclinazioni individuali; insomma la vita di tutti i giorni), lo sono ancora di più. In relazione al pensiero, non vi è dubbio che l'arte sia apparenza. È inferiore al pensiero per l'espressione; tuttavia lascia intravedere il pensiero, l'idea; e non il mondo sensibile tale quale è, immediatamente nascosto al pensiero. L'arte, del resto, non si distingue che per il modo del suo apparire.

Hegel
Estetica
Libro I
Trad. genseki


venerdì, aprile 26, 2013

Diritti e doveri




C'est le devoir qui crée le droit et non le droit qui crée le devoir.

Chateubriand

mercoledì, aprile 24, 2013


Ahmed Adnan Saygun: Piano Concerto No.2 Op.71 (1985)


Omaggio ai "diritti dell'uomo"

"Les droits de l'homme ne nous feront pas bénir le capitalisme. Et il faut beaucoup d'innocence, ou de rouerie, à une philosophie de la communication qui prétend restaurer la société des amis ou même des sages en formant une opinion universelle comme "consensus" capable de moraliser les nations, les Etats et le marché. Les droits de l'homme ne disent rien sur les modes d'existence de l'homme pourvu de droits. Et la honte d'être un homme, nous ne l'éprouvons pas seulement dans les situations extrêmes décrites par Primo Levi, mais dans des conditions insignifiantes, devant la bassesse et la vulgarité d'existence qui hantent les démocraties, devant la propagation de ces modes d'existence et de pensée-pour-le-marché, devant les valeurs, les idéaux et les opinions de notre époque. L'ignominie des possibilités de vie qui nous sont offertes apparaît du dedans. Nous ne nous sentons pas hors de notre époque, au contraire nous cessons de passer avec elle des compromis honteux. Ce sentiment de honte est un des plus puissant motif de la philosophie.Nous ne sommes pas responsables des victimes, mais devant les victimes. Et il n'y a pas d'autre moyen que de faire l'animal (grogner, fouir, ricaner, se convulser) pour échapper à l'ignoble : la pensée même est parfois plus proche d'un animal qui meurt que d'un homme vivant, même démocrate."

Gilles Deleuze et Félix Guattari
Da: "Qu'est-ce que la philosophie"
 
 I diritti dell'uomo non ci spingeranno a benedire il capitalismo. Ci vuole una buona dose di innocenza, o di cialtroneria, in una filosofia della comunicazione che pretende di rifondare una società di amici, o almeno di saggi attraverso la formazione di un'opinione universale come "consensus" capace di moralizzare le nazioni, gli stati, il mercato. I diritti dell'uomo non dicono nulla sui modi di esistenza dell'uomo dotato di diritti- La vergogna di essere uomo no la proviamo soltanto nelle situazioni estreme descritte da Primo Levi, ma nelle condizioni insignificanti, davanti alla bassezza e alla volgarità dell'esistenza che infestano le democrazie, davant alla propaganda di quei modi di esistere e di pensare secondo-il-mercato, davanti ai valori, gli ideali e le opinioni della nostra epoca; L'ignominia delle possibilità di vita che ci sono offerte appare dall'interno. Non ci sentiamo fuori dalla nostra epoca, al contrario non cessiamo di comprometterci vergognosamente con essa. Questo sentimento di vergogna è uno dei più potenti motivi per la filosofia. Non siamo responsabili delle vittime ma davanti alle vittime. E il solo modo di sfuggure all'ignobile è fare l'animale (grugnire, fiutare, ridacchiare, cadere in convulsioni): anche il pensiero, spesso è più simile a un animale che muore che a un uomo che vive, perfino un democratico
Trad. genseki

Fedeltá

La relazione di fedeltà tra l'uomo e la donna rivela che sono fatti uno per l'altro, in una unità profonda di corpo e di spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L'elevazione di reazioni fisiche al livello di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana relativa alla sessualità.


Ratzinger
Intervista a Le Figaro magazine.
Trad. genseki

Gilbert Simondon

Il desiderio di potenza consacra la macchina come mezzo di supremazia, e fa di essa il filtro, a pozione moderna. L'uomo che vuole dominare i suoi simili suscita la macchina androide. Ecco che abdica davanti ad essa e delega ad esse la sua umanità. Cerca di costruire la macchina per pensare, mentre sogna di costruire la macchina da volere, a macchina da vivere per porsi dietro ad essa senza angoscia, libero da ogni rischio, esente da ogni sentimento di debolezza  e trionfando attraverso la mediazione di ciò che ha inventato

*

Ciò che risiede nelle macchine, è realtà umana gesto umano fissato e cristalizzato in strutture  che funzionano.

*

Per restituire alla cultura il carattere veramente generale ch'essa ha perduto, bisogna reintrodurre in essa la coscienza della natura delle macchine, delle loro relazioni reciproche e delle loro relazioni con l'uomo e dei valori implicati in tali relazioni.

*

Le funzioni di direzione sono false perché non esiste più tra la realtà governata e gli esseri che la governano un codice adeguato di relazioni: la realtà governata è composta di uomini e macchine...

*

L'unità dell'oggetto tecnico, la sua individualità, la sua specificità, sono i caratteri di consisenza e di convergenza della sua genesi. La genesi dell'oggetto tecnico fa parte del suo essere.
L'oggetto tecnico è ciò che non è anteriore al suo divenire, ma presente a ogni tappa di questo divenire; l'oggetto tecnico uno è unità di divenire.

L'essere tecnico evolve per convergenza e per adattamento a sè; si unifica interiormente secondo un principio di risonanza interna.

*

L'oggetto tecnico esiste come tipo specifico ottenuto al termine di una serie cnvergente. Questa serie va dall'astratto al concreto: tende verso uno stato che faccia dell'essere tecnico un sistema interamente coerente con sè stesso, interamente unificato.

Du mode d'existence des objets techniques

Trad. genseki

martedì, aprile 23, 2013

Fabrice Hadjadj

A proposito del matrimonio omosessuale


Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria, nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per l’arte.

dalla rivista: Tempi

Gilert Simondon

Il concetto di oggetto e il concetto di soggetto, proprio in virtú della loro origine, sono i limiti che il pensiero filosofico deve oltrepassare.

Trad genseki

sabato, aprile 13, 2013

Mohyddin ibn Arabi

L'universo è un immenso libro; tutti i caratteri di questo libro sono archetipicamente scritti con lo stesso inchiostro, e trascritti dalla penna divina sulla tavola eterna. Tussi sono scritti simultaneamente e sono indivisibili; è per questo che ai fenomeni essenziali divini, nascosti nel "segreto dei segreti" fu dato il nome di "lettere trascendenti".
Queste lettere trascendenti - ovverossia, tutte le creature - dopo essere state condensate simbolicamente nell'onniscienza divina, sono, in grazia del soffio divino, discese nelle righe inferiori e hanno compiuto e formato l'Universo manifestato.

**

venerdì, aprile 12, 2013

Pasolini:

ad un certo punto l'uomo non sarà più in grado di capire sé stesso. Avrà una tale falsa idea di sé, che non sarà più in grado di capirsi.
Da quello che posso presupporre come uno che si interessa un po' di psicologia vedo davanti a me un tipo di società in cui sarà diffi­cile fare un discorso religioso, cioè autentico, perché o sarà incapace di avvertire un discorso religioso per­ché occupato soltanto dalla soteriologia terrena perché semplicemente non ci sarà più teismo ma neppure antiteismo. E' logico che la società si configuri così... Oppure può darsi che le forme religiose future, che stanno crescendo come dice Paolo VI, siano però del tipo alienante che si diceva».
 
Dal  blog: Nipoti di Maritain

Juan Ramón Jimenez

Attorno alla chioma
Dell'albero piú alto
Vanno volando i miei sogni
Sono colombe, incoronate
Di pura luce
Volano spargendo musica
Entrano, escono
Dall'abero solitario!
Mi avvolgono
Con reti d'oro.



*

Visione di costa

Il mare era il suo silenzio
Sua cecitá il cielo; profondo
Il suo lutto per non esserci nell'aurora;
L'ombra che proiettava
Era luminosa sulla sabbia dorata.

*

Trad. genseki

martedì, aprile 09, 2013

Serafini


I Serafini

La visione di Isaia

Questo fu quello che avvenne al profeta Isaia,
Nello Spirito rapito vide sedere il Signore
Su di un altissimo trono di fulgido splendore
E il bordo della sua veste riempiva tutto il coro
Accanto a lui stavano due Serafini
Vide che ciascuno di loro aveva sei ali,
Con due si coprivano il volto
Con due proteggevano i piedi
Con due volavano liberi,
L'uno di fronte all'altro esclamavano:
Santo è il Signore Sabaoth
La sua gloria colma il mondo intero.
La loro voce faceva tremare la volta e la soglia
L'aula era piena di fumo e di nebbia.

Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki

lunedì, aprile 08, 2013

Tommaseo

Nazione che non ha poesia storica, né poeticamente storiche tradizioni viventi nella moltitudine, è nazione morta.



La nonna cucina serpenti


Maria, dove hai cenato?
Maria mia unica figlia?

Dalla cara nonna ho cenato
Che male! Mamma che male!

La nonna, che ti ha preparato?
Maria, mia unica figlia!

Mi ha cucinato dei pesci,
Che male! Mamma che male!

E dove mai li ha trovati?
Maria, mia unica figlia!

Nell'orto i pesci ha acchiappato,
Che male! Mamma, che male!

E dimmi con che li ha acchiappati,
Maria, mia unica figlia!

Con un tridente li ha presi.
Che male! Mamma, che male!

Che cosa ha fatto coi resti?
Maria, mia unica figlia!

Al suo cane nero li ha dati,
Che male! Mamma, che male!

Che cosa è stato del cane?
Maria, mia unica figlia?

In mille pezzi si è infranto.
Che male! Mamma, che male!

Dove ti metto il lettuccio?
Maria, mia unica figlia!

Preparalo nel camposanto.
Che male! Mmma che male!

Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki

Nervi

Durante sei mesi trascorsi a due leghe da Genova, sul mare piú bello del mondo , il piú protetto, a Nervi, non ebbi che una piccola tempesta capricciosa che durò poco ma che in cosí poco tempo, ebbe modo di dispiegare una furia singolare. Siccome dalla mia finestra la vedevo male, uscii passando per i vicoli tortuosi e gli alti palazzi, mi azzardai a discendere, non sulla spiaggia, che non c'è, ma su una cornice di nere rocce vulcaniche che seguono la riva, uno stretto sentiero che spesso non ha nemmeno tre piedi di larghezza e che salendo, scendendo, spesso a strapiombo sul mare, lo domina di trenta piedi, persino, a volte, da quaranta e sessanta. Non si vedeva molto lontano. I turbini continui stendevano una sorta di cortina. Quello che si scorgeva era limitato e spaventoso. L'asprezza, gli angoli vivi di questa costa sassosa, le punte, i picchi, le súbite, dure rientranze, imponevano alla tempesta salti, balzi, sforzi incredibili, torture infernali. Strideva di schiuma bianca, e sorrideva esecrabilmente agl scogli di lava che la spezzavano. Erano rumori insensati, assurdi, senza mai nessuna continuitá; tuoni discordi, , fischi tanto aspri come queli delle macchine a vapore che spingevano a tapparsi le orecchie. Stordito da uno spettacolo che inebetiva i sensi, cercavo di riprendermi, appoggiandomi  saldamente a un muro che  rientrava e che non avrebbe permesso a quella furiosa di afferrarmi e allora cominciai a comprendere meglio quello strepito. Dura e corta era la lama dei flutti e la lotta più intensa era quella che si svolgeva contro la costa tagliata tanto nettamente, contro quegli angoli crudeli che perforavano la tempesta, straziavano le onde. La cornice rocciosa che sovrastava le schiacciava nelle sue profondità rimbombanti. Anche l'occhio come le orecchie era ferito dal contrasto della neve abbagliante che sferzava le rocce laviche così nere.
Senivo, insomma, che era la terra, non il mare a produrre l'orrore. Il contrario di quanto avviene sull'oceano.

Jules Michelet

mercoledì, aprile 03, 2013

Cintio Vitier


Cintio Vitier

Qualcosa manca alla sera,
I pini non sono completi
E io guardando le nubi
Provo ciò che mai provai.

Ad ogni istante domando
Di quel tesoro perduto
L'ombra del quale trascorre
Con melanconico freddo.

La brama mi sta spiando
Notturna, sola, infinita;
Silente va nostalgia
Bruciando eterni vestigi.

Il mio gesto mai non giunge
Alla terra del destino;
La vita resta incompiuta,
Restano i sogni in sospeso.

**



Perché tale è il volto del fallimento
Che lo specchio riflette ciecamente
Prima che giunga, dolce e demente,
L'ultimo scintilla dell'occaso:

Fronte dell'ossessione e del rifiuto
Occhi che solo videro l'indomito
Naso che chiude l'aria, bocca assente
Nel suo sapore amaro; strana coppa

Sul punto di mutarsi in puro osso
Perché tale è lo scopo tal la cenere
La cui dolce tempesta tutto strappa,

Volli lasciare di lettere un ramo
Che bruciasse di più dove la brezza
L'aridità prosciuga, ride e passa.

*

L'aria

Si, sono desto, ecco sto guardando
Freddamente alcune cose
Che smettono ormai d'esser segrete.
Stanno qui, come gli alberi
Nell'aria nuda. Si, sono desto.
Anche la casa della mia infanzia è degli altri:
La hanno dipinta con un colore troppo vivace,
Entrano ed escono dalle stanze della mia anma,
Parlando d'altro. La luce invade il cortile
Dei miei nulla segreti. Con desiderio contemplo
Anche questo volto che è nessuno
Che giunge come un uccello ferito
Di quelli che soffrono e sorridono.
O popolo innumerevole! Sono sveglio
Guardando la polvere bagnata di luce,
Le tenebre dissolte in aria
Quando la verità comincia a delinearsi:
L'albero, l'allegria, il sacrificio.
E so che ho ancora altri ricordi nel sangue
Oltre quelli che posso ricordare, e più oblio
Di quanto se ne possa dimenticare in questo mondo.
Ma alla fine, che importa, se la metà
Di quella vita mi lascia e cade,
Se tanto sonno, infine, si è destato,
Se non v'è luogo che non mi stia osservando
Né istante ove il caso non mi frequenti.
Voglio essere come te, O volto dei poveri!,
Misteri del dolore e del sorriso, perché l'aria,
L'aria semplice e vuota,
Ci colmerà le voci di speranza

Cintio Vitier
Trad. gensek

lunedì, marzo 11, 2013

Daena


Alla domanda dell'anima meravigliata che chiede: Tu chi sei? Alla fanciulla che viene a incontrarlo all'entrata del ponte Chinvat e la cui bellezza risplende più di qualunque bellezza mai vista in questo mondo terrestre, ella risponde: “sono la tua Daena” che vuol dire: “sono la la personificazione della fede che hai professato e che ti ispira, quella per la quale hai risposto e che ti guidava, ti confortava e ora ti giudica, perchàe sono in persona l'Immagine proposta a te stesso fin dalla nascita del tuo essere, che tu finalmente hai amato. (“Ero bella e tu mi hai fatto ancora più bella”).

Henry Corbin

venerdì, febbraio 15, 2013

Ronsard

Ecoute, bûcheron, arreste un peu le bras :
Ce ne sont pas des bois que tu jettes à bas ;
Ne vois−tu pas le sang, lequel dégoutte à force,
Des nymphes, qui vivaient dessous la dure écorce ?
Cela finit ainsi, vous le savez :
La matière demeure et la forme se perd !

giovedì, febbraio 14, 2013

José Bergamìn


Come chi ascolta la pioggia
Ti prego: ascolta i miei versi:
con l'attenione profonda
Con cui si ascolta il silenzio.
Come si ascoltano gli alberi,
Quando li scuote il vento,
E fa cadere le foglie,
le ore morte del tempo.
Como il crepitio sonoro
Delle fiamme nel camino,
E nel firmamento il tacito
Brillare degli astri morti.


Trad. genseki

lunedì, gennaio 28, 2013

Henriette d'Angleterre


Bossuet


Elle étudiait ses défauts; elle aimait qu'on lui en fit des leçons sincères : marque assurée d'une âme forte, que ses fautes ne dominent pas, et qui ne craint point de les envisager de près par une secrète confiance des ressources qu'elle sent pour les surmonter.

Orazione per Henriette d'Angleterre

venerdì, gennaio 18, 2013


Solzenitsyn

La letteratura ufficiale, le riviste, i romanzi pubblicati, io li considero semplicemente inesistenti. Certo, anche da quel terreno possono nascere talenti (ce ne sono), ma sono condannati a morire perché quel terreno non è fertile, poiché lì ci si adatta a non dire la verità capitale, quella che balza agli occhi senza bisogno della letteratura.

martedì, gennaio 15, 2013

Fantasia



La lotta per la sopravvivenza non può realmente essere separata dalla vita culturale o dalla fantasia, e la soppressione della fantasia per mezzo della censura, la degradazione o altri mezzi è una strategia per procurare la morte sociale delle persone, la fantasia non è l'opposto della realtà; è ciò che la realtà non permette che si realizzi, e, per conseguenza, è ciò che definisce il limite della realtà, costituendo così il suo esterno costitutivo. La promessa cruciale della fantasia, dove e quando esiste, è sfidare i limiti contingenti di ciò che sarà o non sarà designato come realtà. La fantasia è ciò che permette di immaginare noi stessi e gli altri in modo differente; essa stabilisce il possibile eccedendo il reale; la fantasia si dirige verso l'altrove e quando vi giunge lo converte in familiare.

Judith Butler

giovedì, gennaio 10, 2013

Comprendere

Comprendi pienamente ciò che è il comprendere e non solo tu comprenderai le linee generali di tutto quello che c’è da comprendere, ma possederai anche una base fissa, una struttura invariante, che si apre su tutti gli sviluppi ulteriori del comprendere.

Bernard Lonergan

mercoledì, gennaio 09, 2013

Lonergan

The fundamental question is: Who am I? It can be answered in many different ways, since we have a number of different, emergent identities. However, our foundational identity is that of a concrete, continget Knower, chooser, lover.

lunedì, gennaio 07, 2013

Pentimento

Il paese della pioggia è appena oltre il rio
Entro nella pioggia come fosse un'altra pelle
Come il pellegrino che implora il perdono
Le foglie umide della vite canadese
Si incollano alle braccia alle spalle
Rane e serpi sono pensieri che confortano
Il viaggio sarà lungo lunghissima ogni giornata
Il paese del pentimento la contea del rimorso
Si estende appena oltre la cortina della pioggia
I draghi della nebbia sfregano le squame
Sui fianchi del monte, sulla corteccia dei faggi
Implorerò il perdono dei vivi e dei morti
Dei nemici e degli amici
Gemendo intera tutta la mia abiezione
Nella speranza della luce immeritata
Del perdono della pace serena
Oltre la pioggia tra il verde fresco dei prati
E l'oro fragrante e radioso dell'avena
Oserò pronunciare di nuovo il nome
Della Vergine bella e del suo Figlio.

Bolls Corracha

domenica, gennaio 06, 2013

La Montagna incantata



Due giornate di viaggio allontanano l'uomo – e a maggior ragione il giovane le cui deboli radici non sono ancora penetrate profondamente nell'esistenza – dal suo universo quotidiano, da tutto ciò che egli considerava i suoi doveri, interessi, preoccupazioni e speranza; lo allontanano infinitamente di più di quanto avrebbe potuto immaginarsi nel veicolo che lo conduceva alla stazione. Lo spazio che, girando e fuggendo, si interpone tra lui e il suo punto di partenza sviluppa forze che si credono riservate al tempo.

Thomas Mann
Trad genseki

martedì, dicembre 25, 2012

Madido di silenzio

Madido di silenzio
I chiodi d'argento del gelo
Nelle palme, nei talloni
Il sudore è l'ultima tunica
Prima della luce nuda.

genseki

Non avere piú voce

Non avere piú voce
Come tace anche il cielo
Piú spento e alto
Il collo dell'avena
I brividi rosa degli ontani
Sul greto così gelido
Non avere piú voce
Come il ciottolo umile
Che levigó la pioggia
Prima che ogni cosa avesse un volto.

genseki

domenica, dicembre 23, 2012

Walking man - Giacometti


Genet

In realtá allontanandosi dal testo, gli spettatori dovrebbero restare con in bocca un intenso sapore di ceneri e il tanfo della corruzione.



Rembrandt

Fin dal principio si sentí attratto poderosamente dalla poetica della rovina, dalla poetica dell'imperfezione. Godeva tracciando i segni che lasciavano i morsi dell'esperienza mondana. i fori, le punture. gli occhi rossi, le rughe della pelle davano al volto umano una ricchezza multicolore. I segni del vaiolo, la scrofola, la pelle macchiata e le croste erano fatti che andavano ispezionati da vicino E con molta attenzione; irregolarità sulle quali far passare il suo sguardo tattile. Oltre le sacre scritture non si preoccupava di nessun libro che non fosse quello della decadenza con le sue veritá scritte nelle rughe incise sulla fronte degli uomini e delle donne anziani, nelle fenditure dei solai decrepiti, nei muri coperti di licheni degli edifici vecchi o nella pelle coperta di sarna di un leone malaticcio.

Shama
Rembrandt

sabato, dicembre 22, 2012

Il verde dei prati

Ogni canto era come un grido
Sfilacciato nel grigio degli alberi
Ma il verde dei prati era cosí intenso
Che una sola lacrima lo avrebbe infranto.

genseki

Stornello

Eppure il mondo mi si offriva
Nell'atto stesso di abbandonarlo
Sgusciavo fuori dal pantano
Tra i gattici
Tra gli ulivi
Nudo cme un assassino
Che canta a squarciagola
Uno stornello

genseki

Autunno


L'amico poeta

Non ero l'amico poeta per te
Ero quello strano, quello che agitava le mani
Troppo grandi e screpolate
Goffo come un airone,
Che s'incendiava come un faggio
In gennaio
Poi tutto quel fuoco si estese
E del dolore
Non restó che cenere.

genseki

Autunno


venerdì, dicembre 21, 2012

Sulle cime

Sulle cime piú alte giá l'autunno
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.

genseki

Piú niente

Dentro non c'era più niente
Eri vuoto, Forse qualche volo, minuzie,
Polvere di ricordi
Amori, sentieri, macchie d'umido,
Un cespuglio di nespole
Qualche giorno di un novembre
Infantile
Per un attimo apparve persino Enrico
Con la sua stampella.

A uno scoppio di vento
Che tese le sciarpe degli idoli tarlati
Lo sciame si levó in volo
Con strepito sordo
Un solo fiore spledeva sull'albero nudo
Come quel diadema di rugiada della leggenda
Le vespe scendevano ronzando
Sulla coppa di miele e il resto delle mele.

genseki

Autunno


Campane

Erano pochi passi soltanto
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.

genseki

Ti lasciavi

Ti lasciavi spalancare
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.

genseki

Un'altra dea

Era la dea dei muri a secco
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.

genseki

Karlheinz Stockhausen "Helicopter String Quartet"

Elicottero

Un elicottero sbucato d'improvviso
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.

genseki

Jabès

Dio è il punto incandescente di fronte al punto scuro della pagina scritta: infatti il libro delle notti dell'uomo corrisponde al libro accecante di Dio.

Jabès

Che cosa resta?

Che cosa resta della parola
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.

genseki

Jabès


Jabès

Il silenzio è la mandorla del rumore; per questo Dio, che è duro silenzio, non puó essere udito, solo postulato, come le ore del frutto dalle ore dell'albero.

Jabès

domenica, dicembre 09, 2012

Comunismo

La filosofia attraverso il nome comunismo pensa
«la passione ugualitaria, l’Idea della giustizia, la volontà di rompere coi compromessi relativi al servizio dei beni, la rinuncia all’egoismo, l’intolleranza dell’oppressione, il desiderio della fine dello Stato. L’assoluta preminenza della presentazione molteplice sulla rappresentazione. L’ostinazione militante, obbligata da qualche evento incalcolabile, a reggere per caso il discorso di una singolarità senza predicato, di un’infinità senza determinazione né gerarchia immanente».

Alain Badiou

lunedì, novembre 26, 2012

Hinojos


Appena

Fu appena il fioco distenedersi
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.

genseki

Mosche di stagno

Mosche di stagno
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.

genseki

lunedì, novembre 12, 2012

Dietro la cortina della pioggia

Dietro la cortina della pioggia
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.

genseki

Soledad

Bevo dalla fiasca dell'abbandono
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.

genseki

sabato, novembre 10, 2012

Alberto Giacometti

Il regrette les bordels disparus. Je crois qu'ils ont tenu-et leur souvenir tient encore-trop de place dans sa vie, pour qu'on n'en parle pas. Il me semble qu'il y entrait presque en adorateur. Il y venait pour s'y voir à genoux en face d'une divinité implacable et lointaine. Entre chaque putain nue et lui, il y avait peut-être cette distance, que ne cesse d'établir chacune de ses statues entre elles et nous. Chaque statue semble reculer-ou en venir- dans une nuit à ce point lointaine et épaisse qu'elle se fond avec la mort : ainsi chaque putain devrait-elle rejoindre une nuit mystérieuse où elle était souveraine. Et lui, abandonné sur un rivage d'où il la voit à la fois rapetisser et grandir dans un même moment.
 Je hasarde encore ceci : n'est-ce pas au bordel que la femme pourrait s'enorgueillir d'une blessure qui ne la délivrera jamais plus de la solitude, et n'est-ce pas le bordel qui la débarrassera de toute attribution utilitaire, lui faisant ainsi gagner une sorte de pureté.
  Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
 
Genet 
L'atelier d'Alberto GIacometti  

Genet


Destra e Sinistra



Se accettiamo la fraseologia politica corrente dovremo ammettere che l'arte appartiene tanto alla sinistra come alla destra, ovvero è radicata in una tradizione e si riflette in un futuro che solo con molte difficoltá avrá contribuito a instaurare.
Jean Genet

Rihm Dis-Kontur

La rugiada sulla pelle

La rugiada sugli zucchini
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.

genseki

I ceci

I ceci li avevamo condivisi
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.

genseki

mercoledì, novembre 07, 2012

Rimbalzavano le perle

Rimbalzavano le perle sul mogano
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.

Nudi miei cani

Nudi miei cani, piú nudo ancora
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;

Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.

lunedì, novembre 05, 2012

Discorso sopra lo stato ...

In queste righe di Leopardi basta soltanto sostituire "conversazioni" con "web o rete" per avere una perfetta descrizione del perché è perfettamente impossisbile commentare su blog, facebook e riviste online senza essere massacrato di insulti e "railleries".

Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.

Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
         Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.