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lunedì, febbraio 14, 2011

Unica Rovelli

Poi non seppi più nulla di Dreiser Cazzaniga e non rividi più, per lunghi anni, il comissario Fabro, cosi che finii per dimenticarmi del tutto di quell'incidente marginale e sgradevole. Fu inaspettatamente e per puro caso che rividi il commisario Fabro nella piccola latteria al lato della Cattedrale nella quale solevo cercare rifugio nei momenti di tranquilla serenità e solitudine che si facevano sempre più splendidi, frequenti e luminosi con l'avanzare della vecchiaia, amavo questo mio lungo tramonto, i miei passi che si facevano incerti, la stanchezza, l'insonnia che rendeva le notti un'avventura febbrile, gli antidolorifici e il loro tremolante sopore e le ultime latterie, specialmente quella al lato della cattedrale, con l'odore di limone e canella, i grandi contenitori di vetro con le perle di zucchero e le gocce di cioccolato, il frigorifero panciuto che era un'imitazione vecchissima di un modello ancora più vecchio di frigorifero statunitense che sarebbe stato perfettamente al suo posto in una casa marziana visitata da Bradbury. Una manona si appoggio' pesantemente con cordialità non gradita sulla mia spalla, e la voce pastosa e sfrigolante del comissario Fabro scivolo' nelle mie orecchie senza apparente sforzo: - Lermita! È dal tempo di Scoriosozzo che non la vedo, si ricorda, la manzottin? -
Come dimenticarla – dissi rabbrividendo involontariamente.
Si sieda Lermita, posso offrirle un caffe?
Non potevo fuggire perché la porta stava proprio dietro il comissario che en occupava tutta la larghezza, e non me la sentivo di tentare la fuga attraverso il retrobotega perché poi avrei avuto difficoltà a restare cliente di una latteria dalla quale ero fuggito per liberarmi della polizia. Mi sedetti e il gentile Fabro mi aggiorno' sul caso di Dreiser Cazzaniga. Risultava che Il Duca o Buca Spadaro non lo poterono reperire e quindi non fu interrogato. Attraverso vari riscontri si poté appurare che le scatole di carne manzottin erano state rubate dalla macchina di Buca o Duca Spadaro da Dunja Rabam Kosovara che ruppe il vetro posteriore con un mattone che portava nella borsa da Pristina. Dunja non aprì le scatolette perché temeva che fossero una trappola dei cristiani e che contenessero carne di maiale, così nonostante le proteste dei bambini le cambio' con due confezioni di pannolini giganti alla vecchia Gita che viveva davanti alle rovine dell'antica fabbrica Eterthanatos in cui Dunja aveva trovato rifugio con la famiglia dai rigori dell'inverno. La vecchia Gita aveva barattato le scatole di carne Simental con 15 kili di torba e 10 Kili di russule emetiche da Biotto Cèpedo, il viandante dei boschi che le aveva portate a valle da una delle sue lunghe escursioni sui fianchi poderosi del Mucrone. Biotto Cèpedo, alla fine en aveva usato il contenuto per preparare trappole per le volpi e gli sciacalli, nessuno sciacallo e nessunissima volpe si era degnata di farsi attrarre da quella pastura e Biotto Cèpedo aveva usato le scatole vuote per allontanare i passeri dal suo piccolo vigneto. Il telefono mobile di Dreiser Cazzaniga aveva registrato questo messaggio circa una settimana prima della sua morte: “Non voglio più parlare con te basta messaggi e telefonate, e lasciaci in pace”. Firmato Duca o Buca Spadaro. Il plurale. Chi era l'altro o gli altri che Dreiser Cazzaniga doveva lasciare in pace? Fu appurato che Duca o Buca Spadaro era stato visto nella valle e sui sentieri del Mucrone in compagnia di tale Unica Rovelli, ex-concubina di Bilbo il Chimico che Duca o Buca Spadaro aveva amato nell'adolescena e che per farlo ingelosire si era sposata con Bilbo il chimico e aveva visuto con lui circa trentanni geneando figli e figlie nella città alemanna di Francomorte. Unica Rovelli era facilmente riconoscibile dalla bocca, aveva una bocca larga, che si apriva da orecchia a orecchia come se la testa fosse stata tagliata in due poco sopra il mento e le due parti separate lasciate distrattamene appoggiate una sull'altra. La bocca di Unica Rovelli non era oscena. Questo no. Ma creava in quanti si imbattevano in lei una sensazione di doloroso disagio che risultava difficile da definire. Insomma, trattandosi di bocca era facile che la mente si immergesse in indecorose comparazioni, ma era più una ferita che una bocca e lo sguardo en percorreva i margini come volesse suturarla per recuperare il suo equilibrio in forza di un gesto pietoso verso tanta sventura. Unica Rovelli era per unanime testimonianza di quanti l'avevano conosciuta una creatura psicologicamente gelatinosa con l'anima di un'assassina piagnucolosa. Duca o Buca Spadaro e Unica Rovelli hanno fatto perdere le proprie tracce, alcuni miei collaboratori dubitano persino che siano esistiti, credono che siano una leggenda formatasi nei boschi del Mucrone, magari dalla fantasia avariata di Biotto Cèpedo dopo un'indigestione di muscaria e veicolata da carbonai e ortolane sulla base di qualche elemento reale. Magari Diuna aveva rubato davvero un paio di scatolette di carne manzottin dalla bicicletta di una vedova, una poveretta dalla bocca deforme aveva mangiato polenta scunsa in qualche piola della valle, e questi fatti avevano colpito la fantasia popolare. Dreiser Cazzaniga era morto e se la coppia Buca Unica era reale certo aveva avuto qualche responsabilità in questo avvenimento.
Furono di questo tenore le conclusioni del comissario Fabro e quella fu l'ultima volta che lo vidi e che sentii parlare di Dreiser Cazzaniga fino a quando conobbi genseki.
Tristano Lermita

domenica, gennaio 30, 2011

Carne Manzottin

Il Duca detto anche lo Spadaro

Si dice, nelle piole dei borghi prossimi, che a Scoriosozzo qualcuno pur visse - , sussurró il comissario Fabro appoggiandosi rumorosamente alla spalliera della vecchia sedia - un tal Buca o Duca detto Spadaro, di lui poco si sa, se non che vegetava e ingrassava accanto alla stufa inebetito dalla televisione. Si dice che en tenesse accesa piú d'una contemporaneamente, en possedeva, pare, varie decine, e scendesse alla pianura in contate occasioni con una vecchia carretta dal bagagliaio pieno di scatolette di carne manzottin. Tutti nella valle e nella pianura hanno visto qualche volta un catorcio sudicio pieno di scatolette di carne manzottin. Sembra che la carne manzottin non la abbia mai tirata fuori dal bagagliaio. Perché teneva il bagagliaio zeppo di scatole di carne manzottin? Lermita, dica sinceramente, lei ha mai aperto nella sua vita una scatola di carne manzottin, en ha mai gustato il contenuto? - Comissario che cosa vuole da me? Risposi in un tono accentuato di stizza annoiata. - Non la prenda cosí caro Lermita, soltanto voglio che condivida con me questo esperimento – e, dopo aver goffamente frugato nelle tascone della deformata giacca di fustagno giallino che un tempo era forse stata arancione, gonfiate da una intera collezione di grandi mandilli stropicciati che dovevano aver raccolto e seccato intere secchiate di sudore commissarile, en trasse una scatoletta di carne manzottin, infilando l'indice nell'apposito anello con la cautela e il rispetto con cui il giovane sposo infila l'anello nuziale al dito della snella fanciulla davanti all'altare adornato di gigli, anche se in questo caso la manovra era all'inverso giacché si trattava di infilare l'anello nel dito e non il dito dell'anello di modo che non potevo fare a meno di pensare ad un oscena parodia del sacramento, inscenata con sfacciatagine blasfema dal comissario Fabro, per inveterato liberopensantismo o per studiare quelche mia reazione per qualche sua misteriosa ragione, aprí il contenitore metallico, e con l'altra mano rovesció il suo contenuto rosa e gelatinoso in un piattino celeste che il solerte cameriere, a un suo cenno imperioso gli aveva testé recato. I frammenti di carne rosa sfumavano nel grigio torbido della gelatina che verso l'esterno del cilindro, di cui aveva assunto per compressione la forma, andavano acquistando una tonalitá giallina, filamenti sopravissuti ad una soprannaturale macelleria in una nebbia solidificata, tutto il cieco orrore della realtá mi strinse la gola in una morsa ferrea, soffocavo, l'insensatezza impenetrabile dell'essere tremava come un cuore sfiancato negli ultimi battiti rosa dei filamenti che si dibattevano nella loro gelatina; Fabro trasse dal viluppo dei mandilli il suo opinello con cui divise esattamente in due la massa che ai miei occhi pareva palpitante, per un attimo pensai che i frammenti di carne trasformati in pseudopodi schizzassero verso i miei occhi e mi penetrassero nel cervello per succhiarmi quello che mi restava di autocoscienza – Che cosa le succede Lermita? - La voce di Fabro mi liberó da quell'incubo, i filamenti rientrarono nella gelatina e i miei occhi nelle loro orbite. Fabro mi stava offrendo nel piattino azzurro una metá della carne, l'altra meta la stava giá rumorosamente masticando lui, vincendo il ribrezzo con uno sforzo sovrumano la inghiottii anch'io a bocconcini. Perché il Duca Spadaro girava per la valle con il bagagliaio pieno di scatole di carne manzottin? Vi era un qualche legame tra Duca Spadaro e Dreiser Cazzaniga? La carne manzottin aveva qualche cosa a che fare con la morte di Dreiser Cazzaniga? Io en avevo mangiato un pezzo e non ero morto li per li. La carne manzottin era un segnale, un messaggio, una domanda? Dreiser Cazzaniga en conosceva la risposta e per questo doveva essere messo a tacere?
Tristano Lermita

sabato, gennaio 22, 2011

Scoriosozzo

Che cosa ci faceva Dreiser Cazzaniga nei boschi di Scoriosozzo, che cosa lo aveva spinto a recarsi alle pendici del Monte Mucrone, alle soglie alte e luminose della Melanopartene, che avvolta nei suoi sette mantelli rossi benediceva il dolore dei pellegrini accogliendoli uno a uno tra i pesanti panneggi per un tempo sempre molto breve ma che ai meschini pareva un'eternitá di muschiosa beatitudine? Era difficile rispondere anche e soprattuto ora che questa domanda non si poteva piú farla direttamente a lui. Il Commissario Fabro pensava che Dreiser Cazzaniga dovesse conoscere qualcuno nel paese di Scoriozozzo; la difficoltá, tuttavia, stava nel fatto che il pasello di Scoriozzozzo in realtá non esisteva, e non solo non esisteva, nemeno aveva abitanti, Scoriosozzo era solo il mortuario sogno massonico di una pallida e grassa borghesia pedemontana. Quello che avrebbe potuto sembrare un borgo pittoresco radicato solidamente nel tempo e nel granito grigio del costone era in realtá solo un incastro di villule ottocentesche dalle forme grottescamente iniziatiche, simboliche, egiziane, di quell'Egitto di cartapesta e tarocchi che tanto affascinava il grasso Schikaneder. Certo dopo piú di un secolo quei tristi manieri melodrammatici in cui il granito era impiegato per imitare la cartapesta e che poggiavano su creste e costoni anch'essi di granito avevano assunto un tale convinzione del loro ruolo nel paesaggio da far si che Scoriozozzo potesse apparire un borgo agli occhi del viandante e persino del villegiante se non fosse stato che non aveva abitanti, e se non aveva abitanti come poteva Dreiser Cazzaniga essere ospitato da uno di loro per essere poi assassinato? In realtá nella valle si diceva o meglio si mormorava che un abitante residesse in quel triste mondo sarastriano anche se solo pochi si azzardavano a pronunciare il suo nome: un tale Duca o Buca detto anche Tucano: grasso, grasso, grasso, con lo sguardo perso perennemente in una smorfia di meraviglia eravi che diceva averlo scorto intento a far provvista di legna sul Mucrone e su Serretto nell'iminenza dell'inverno rigido di Scoriozozzo. Mo dove viveva, nessuno pareva saperlo a volerlo rivelare. Comunque Tristano decise di seguire il lentissimo Fabro nella sua ricerca. Il borgo di Scoriosozzo non lo si poteva percorrere senza essere scossi da un certa inquietudine, le sue magioni altezzose rivelavano nel portamento che la loro origine non era nell'arroganza rapace e spensierata di una feroce aristocrazia alpina, adusa alla razzia e al gelo, ma nei costumi biedermeier di un opulenta e untuosa e tronfia e suina borghesia di pianura e della pianura piú stagnante del continente. Stagnante nel suo ottuso benessere, nella sua cultura cimiteriale, nei suo entusiasmi cadaverici, nella sua grossolana teosofia. Scoriosozzo non era un borgo era un sogno molesto che si era a tal punto aggrappato al granito e alle robuste radici dei faggi da aver acquistato le convincenti sembianze di una solida esistenza. Scoriosozzo lo faceva star male come una sonata di Schubert suonata dalla figlia scrofolosa di un industriale di pianura per i suoi compari di sfruttamento e stupro prima di andarsene tutti al bordello marocchino a sodomizzare le tredicenni, Non poteva sopportare di immaginare i salotti tivestiti di mogano in cui un tempo la luce proveniente da pomposi candelabri illuminava tremante i ritratti di antenati comprati al mercato dell'antiquariato a metri quadri.
Tristano Lermita

martedì, gennaio 18, 2011

Confidenze al Comissario Fabro

Davanti a un bicchiere di Inferno e a un piatto rovente di polenta scunsa finí per riconoscere con il commissario Fabro che lui e Dreiser Cazzaniga avevano avuto molte conoscenze in comune. Si Jules Lapache lo aveva conosciuto anche lui, no, prima del suo sodalizio con Dreiser Cazzaniga, quando Jules Lapache aveva ancora la sua scorbutica centoventisette verde e il maglioncino azzurro a girocollo e forse lavorava ancora per la rateale Einaudi. Si fu al Barfranca che lo conobbe, pe via del progetto di una rivista a cui egli si diceva interessato, non non gli aveva mai comprato nessun libro, si, fu lui a dargli il nome di Dreiser Cazzaniga come un possibile cliente, Jules Lapache aveva giá tutti i denti marci, allora, ma questo non selo ricordava si ricordava solo il maglioncino a girocollo, Po Jules e Dreiser Cazzaniga cominciarono a rassomigliarsi ogn giorno di piú solo che Dreiser Cazzaniga andava in bicicletta con lo zaino e ogni tanto i capelli se li lavava. Il commissario Fabro continuava con le sue domande, come se non avesse niente di meglio da fare, mentre con le ditona grasse girava le pagine di una gazzetta dello sport sudicia e piena di cerchietti vinosi. No la sorella di Jules non l'aveva proprio mai vista, no quella con cui viveva non era la sorella! Jules Lapache non era un alcolizzato, non aveva ammazzato nessuno, non aveva un tesoro nascosto, faceva ringhiare le donne che incontrava come mastine, tutte, quasi tutte, con lui ringhiavano, non avevano paura di lui, verso di lui provavano qualche cosa che aveva punti in comune con la paura ma soprattutto con la voglia di dilaniare con i denti carni giá infette, di sporcarsi le labbra con sangue stagnante e di lecarsele poi e di ululare, dopo aver ringhiato il ringhio piú ndo e scabbioso che femmina del totem dello sciacallo avessa mai potuto ringhiare da quando la luna era verde e baciava sulla bocca, una per uno tutte le sue fedeli cacciatrici. Gli avrebbero morso volentieri gli stinchi rinsecchiti a stento ricoperti da qui calzettini rigidi e verdevinosi che dovevano puzzare deliziosamente. Ma lui non sembrava temerle, le affrontava con una voce soffice soffice e esibiva con loro il suo odio per la vita, che era un odio contadino, l'odio di una lucertola sul muro, un odio cresciuto nell'odore del verderame e del letame nella disperazione della masturbazione dietro la gabbia dei conigli. Si e Dreiser Cazzaniga non si accorgeva di andar rassomigliandosi, di tentare di imitarlo anche se lui le ragazze non le faceva ringhiare, anzi! E cosí si convertiva in un enigma, un enigma appassionato che attraeva odi impotenti, tanto impotenti da restare in gran parte inespressi. Dreiser Cazzaniga e Jules Lapache divennero enigma e paria del borgo e della provincia eppure con loro tutte le armi restavano spuntate, nulla avrebbe potuto ferirli. Dreiser Cazzaniga, allora si mangiava le unghie.
Commissario lei pensa che l'abbiano assassinato?

genseki

lunedì, gennaio 17, 2011

Tristano Lermita

Incontro con Dreiser Cazzaniga

Ricordava di aver incontrato Dreiser Cazzaniga nel corso delle sue passeggiate novembrine, con la testa in fiamme e Carducci nel cuore. La sua percezione dell'autunno era profondamente carducciana per via della poesia imparata a memoria d'autunno, alle elementari e per il fatto che per la via che egli percorreva per andare a scuola davvero respirava l'aspro odore dei mosti e se non vi erano spiedi vi erano cacciatori di cinghiali, sugli usci, che non rimiravano il cielo ma si rimiravano le scarpe piene di fango, Insomma l'autunno lo viveva in un universo parallelo che chiamava Carducci, E fu in autunno che incontró Dreiser Cazzaniga sulla stradina di Santa Libera, prima che decidessero di asfaltarla, stradina che menava al mare attraverso un lunghissimo itinerario tra alte querce rosse. Dreiser Cazzaniga avanzava col passo di un ciccione che è profondamente convinto di essere magro. In generale si muoveva e gesticolava come qualcuno che fosse di colpo stato precipitato in un altro corpo e non se en fosse ancora reso conto, Dai suoi occhi tranquilli e acquosi sembrava guardare il mondo come se fossero intensi e fiammegianti, il sorriso dolce che modellava la sua bocca pareva che nascondesse una smorfia invisibile di annoiato disprezzo, le dita pallide e lunghisime le muoveva come se fossero tozze e brunite dal fuoco del lavoro e della lotta. La lunga barba castana e i capelli che scendevano formando abbozzi di anelli fino al collo sfiniti e unti sotto il rigido cappello nero gli conferivano un profilo vagamente giudaico. Scrutava pigramente il bosco in cerca di funghi, reggeva con la mano destra una copia dell'Orlando Furioso di Garzanti. Non sapeva chi fosse en come si chiamasse, venne a conoscenza del suo nome nel caffé del borgo mentre comprava un biglietto della corriera che scende verso il mare e trangugiava un caffé amaro e colloso. Lo rivide altra volte, anche in cittá, con i seguaci di Mastro Arrigo, con qualche prostituta ucraina biondissima e stupida, mentre entrava in una panetteria a comprare la focaccia. Dreiser Cazzaniga non aveva per lui nessun interesse e nulla faceva presagire che fosse destinato, proprio lui a incontrarne il cadavere in quel bosco di carpini epilettici alle pendici del monte mucrone con la testa appoggiata a un tronco coperto da uno spesso strato di Trametes Versicolor. Era Dicembre, Il monte Rosa lontano era solo un'idea traingolare, come era finito lassú quel corpo coperto da una giacca grunge, col basco ancora ficcato sulla testa calva e un paio di scarponi da muratore di cui no gli ea sfugitto dal piede? Restó a fissare il cadavere e si percepí di colpo come un leggero segugio giallo intento a fiutare le ascelle di quel morto. Poi si ricordó di Nastagio degli Onesti, di Botticelli, una donna nuda correva nel bosco in uno schianto secco di rami. Quando riaprí gli occhi e ritrovó la calma si accorse che il Commissario Fabro gli aveva appoggiato una mano sulla spalla.