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sabato, novembre 29, 2014

La rosa e il cane

Poema perpetuo

È un'arancia ove tutto s'assembla è la grande porta in un un batter d'occhio sole o menzogna molino di innocenza sulla fronte dell'uragano orologio senza fine in vele a terra terra senza ritorno Ceneri sulle teste parole senza ricordi
di tutto un po' è l'ombra
in alto in baso è l'albero
l'acqua e il fuoco almeno
che meglio dice
estate tremula
uomo senza luogo perduta la trebisonda
memoria
il ponte insanguinato l'aria convenuta
per sempore

cosí vanno le cose delle quali non sappiamo nulla oggi di piú o doman di meno o rose o cani girate girate le tests Teste di uomini o d'alberi querce verdi  o aceri serpenti salve alla spalle dell'innocenza noi moltiplicato in sorgenti immaginarie l'acqua della menzogna sulla fronte del temporale orologio senza fine è la porta spalancata molino d'innocenza.


*

Tristan Tzara
Trad genseki

mercoledì, novembre 05, 2014

Le fruit permis I




Sonia Delaunay  Untitled gouache (Illustration for Tristan Tzara's

Tristan Tzara - Dada Into Surrealism (1959)

Da bere e da scegliere

Vi è una bianca servitu che si estende sulla fuga del tempi vi è per tutta la durata del suo impulso il debito del sangue che si impregna vi è una nuvola una sola ma il suo peso è maggiore della terra sull'incoscienza degli anni vi è nell¡asprezza delle grida stridenti di latte la lancetta di una voce che cresce tropicale vi è l'infaticabile ccucitura degli alberi sul percorso avvelenato vi è un orrore indicibile sulla fronte di quelli che ridacchiano vi è per il terremoto montano il cervo rimbalzante la testa che urla l'uccello fuciliere vi è la foglia morta nell'iris della pioggia lo sguardo di nervatura e il fieno perdonato vi sono mille teste in una cifra e il rimorso a salteli vi è chi si confonde nella porpora dei propri propositi di filo vi è la lana che avvelena la brocca vuota dei cranii vi sono coloro che nell'acqua lasciano immergere i loro saponi sottili di memoria  vi è lo stupore stupido di tutti quelli che guardano che non la smettono mai di guardare durante il trascorrere della vita degli altri vié il gemoto divenuto bestia da soma
vi è l'occhio fresco alla cascata
vi è che non vi è la giovane tenerezza flautata sulla mia guancia d'infanzia
             all'orecchio perduto
sprofondate deregolamnetazioni chimiche delle suonerie del tramoto nell'oceano tapezzato di stelle morte
io continuo ad avere fame

i nostri giorni si guardano
senza conoscersi e non si lasciano
testa calpestata sguardo schiumante basta a un solo bagliore di
               raccogliere il suono umano per avere l'acquolina in bocca
che i cavalli si impennino nelle vene folgoranti di mille supposizion di
               diamante
mentre la regina avvolta nelle scaglie del sonno regina delle nostre pene nevica per
                le nostre mani
rizza anche la testa sotto le ingiurie delle strade e il fuoco delle strade e il fuoco delle suole che il vento dell'inverno
                  ci butta in faccia nel cuore delle notti vacillanti come una sola frontiera incrostata si è l'eterna feritadei pasei dell'infanzia
che ha bruciato il suo sangue
lungo la lampada dei desideri supplicanti
raddoppiando il suo dolore
ha visto nascere la luciditá dei lupi su uno spazio d'oblio e la gioia che conduce alla
                       luce

Tristan Tzara
da "Le fruit permis"
Trad genseki

martedì, ottobre 14, 2014

A fuoco alto

Sono passati mille anni e non era che un giorno
Sonno prendilo per i piedi buttalo nella spazzatura
nel fieno della sua tenerezza raggomitolato pugnala la vita
che il cancarone sparso nella stalla sporchi il sangue carte su tavola niente
nelle tasche niente nelle mani niente niente piú niente
sono passati mille anni e era una notte sola
un pesce spaccato per la lunghezza tiepida e il sogno ci risucchia nelle sue viscere
aperte i claxons non hanno piú forza i camion si sono parcheggiati
agli orologi nessuna finta

mezzanotte passa il mondo passa
e io passo tutto passsa ammassiamoci coprifuoco nella folla densa lenta non vi è ness'unaltra via d'uscita fa freddo fa caldo e il sogno è una carta assorbente ancora un mucchio di ferraglia tra invincibili saluti dell'aurora tra gli stracci infamanti delle infanzie squisite del ricordo caldaie da bucato in testa materassi materassi sul tetto delle auto vi ho visto in Spagna e il dolore mi fa ancora fremere con tutta la ridicola potenza che l'uomo crede aver domato ne abbiamo viste molte altre e la paglia e l'asse la quaglia e il fucile delle poltrone Luigi XV a brandeburghi sul petto e delle casse gabbie bagagli tutto forbito colocato infangato macchie di sangue sulle lenzuola gli sguardi fustigati perduti nei ritornelli adulterini delle tracce di passi nel fango che sappiamo delle case abbandonate della morbida intimitá desbordante dalle viscere del pesce sventrato dal confuso ammasso dei pensieri stonacati dei maniaci muffe delle ripetizioni e degli stracci coltivati in giardini pensili di tutte le miserabili grandezze e del latte oscuro della passione la vita multiple degli umani naufragati che siamo mucchio di imbecilli abbandonati a la noncuranza dei solstizi tenera tenera è la notte
agli scampati della paura
il sonno immobile
la pietra al collo


mille anni sono trascorsi e era una sola notte
non sono re magi che sento sotto la finestra non sono buone notizie che sento abbuffare lo spazio non è la porcellana dei gorgheggi
tra i rami gioia aperta ai bambini
che odo nella mia miseria
sono nudo di speranza
annodata all'albero vertiginosa ramificazione di fronde aspetto la folgore e il lampo
mi offro all'ascia del taglialegna dall'alto in basso e con un solo coplo che spezza la vendetta della terra e si rianima la folgore nei pressi del mio sfinimento
son passati mille anni e solo era una notte e anche questa notte notte i re magi marciano a scaldare la gioia dei camini cantando trasformare la sabbia in erba dolce la pietra in sorgenti e le ortiche in cristallo nelle conchiglie c'è sempre il riso lontano soggiorno delle caravelle di briganti mille anni di riso in una sola conchiglia e mille conchiglie chiuuse nel cuore della mia ben amata dove sei testa di spiedo
in quali onde di velluto si è perso il sogno assurdo di nuovo le strade si sono alzate con il sole lentamente lentamente gli occhi sbattuti la nebbia in testa nel ventre quanti kilometri dalla Porta della Muta un mondo intero ci separa
è giorno a Parigi non ci sono piú venditori di vestiti Parigi è cieco e le discariche sono vuote i mercati coperti di tegole di silenzio la Flora tapezzata da rose del deserto notte nera non riconosco piú le strade del mio quartiere avanza dunque testa d'impagliato
a Parigi non ci sono piú patate fritte è scuro a mezzogiorno ecco l'artiglieria sbocca a in senso contrario è spenta e grigia come la nostra avanzata andate testa di porco
è il crepitare della mia giovinezza che sibila tra le mitragliette leggere anch'essa spente
specchio senza risorse,
Parigi Parigi mia cittá aperta ritorno indietro cittá aperta agli assassini vestiti a festa cittá proibita venduta insozzata tumefatta nella luce insradicabile della tua primitiva fierezza la Tour Saint-Jacques resta ove risuona il riso di Desnos e il riso ricade in mille petali di polvere sollevano sul selciato lo spavento degli usignoli sono e battelli lavatoio che vanno a la deriva è l'Ile de la Citá dove si imbrogliano le ali i canti sono costernati in pose eterne i gesti familiari ritrovati a quest'ora si dice che non la rivedremo mai piú
Rigaud gare Montparnasse Benvenuta stazione a te cosí vanno le cose all'immortalitá se credere in una buona partenza non fa male a nessuno i nostri sono partiti portandosi via il nostro cuore pezzo per pezzo e mattone dopo mattone si spoglia la cittá dei pianti
Crevel Passy Concorde strazi dementi fummo di questo mondo ove manate di mani nascevano sullo slancio amico delle libertá tenaci la Senna tra Via du Beaune e des Saints-Pères quante sbornie colarono nelle nostre vene e se en andarono ad ingrossare i debiti dell'aurora o Closerie questa notte o visto affondare tanti lillá nelle tombe aperte che la mia vista si confonde
quanto altri lo hanno conosciuto come Unik di Via Vaugirard l'Ile Saint-Louis Montmartre Auteuil Porte Saint-Denis era la guerra di Spagna al tempo della purezza e noi correvamo al centro incandescente di braci nessun orrore al mondo ci avrebbe fermato tanto i nostri cuori martellavano alla stessa cadenza la tragedia serena che ricopriva il sangue delle strade
Madrid pietra sigillata nel mio dolore antica cittá chiusa all'amore come il mio amore tradito Parigi mia cittá aperta torno indietro i sentieri battuti delle mie giovano estati ove sono le passeggiate e scoprendo Parigi la Ferme di Belleville o il libro d'ore pagina a pagina al tornante delle risa Paul ancora ti vedo tra il manifesto LU e quello di Bovril la Porte de la Villette che amavi come un indovinello la cittá si gargarizza di claxons d'autobus i rami dei metro fanno scaturire geysers le donne sono regine vanno come chiatte ignare della loro bellezza le loro teste sono altrove
en abbiamo contato i carichi impalpabili tesori che passano a filo d'acqua passaggi o passaggi pazienti impazienti passiamo sui nostri amori ci porterebbero troppo lontano le fiamme si sono spente ai quattro angoli del mondo e i miei amici sono morti proprio nel cuore di Parigi
non sono mica nato ieri
e le rime intorno alla vita il sole a bandoliera le dolci pozioni torttando alle mie tempie l'aria di festa che attraversa il petto la gaiezza carnale che si eleva
offerta in onore di questa luce


Tristan Tzara
da “ A Haute Flamme”
trad genseki

lunedì, ottobre 13, 2014

A fuoco alto


Avevo centomila anni
ed eccomi gregge ed eccomi foglia morta de eccomi fresco alberello che scuote la chioma davanti a colui che io sono mentre passo in mezzso agli altri
il blu filava la lana o folle o mischie e io seguivo docile la stella strana stella verso quali tardivi re magi conduceva la speranza schiantata con la dura catena ai polsi delle strade stella di sventura luce cardinale ero io o non lo ero piú non sapevo che cosa dire tanto la tristezza conquistata alle parole semplici sbarrava il cammino della ragione che sfuggiva
mai estate piú splendida
mai bellezza accecante ci trovó piú stupidi di quanto fossimo allora sulla strada senza fine dicevano è bel tempo non credevamo ai nostri occhi e nemmeno ci pensavamo ed era inutile nei fiocchi di luce sprofondava la ragione in mulinelli sfavillanti della memoria che avremmo dovuto fare dei giochi amorosi nascosti nell'abbaglio muto della coorte
l'uccello agli anelli del suo canto infilava interminabili promesse di fidanzamento e nell'añpiezza di un popolo intero al centro delle meraviglie sonore e vive ero io solo coperto di solitudine
mentre camminavamo andavamo affanti di bellezza straziata nelle nostre mani ciascuno la sua solitudine fiore solitario invisibile candore che nasconde il rimpianto e la paura senza conoscere da sola la fatica dei nostri corpi invasi tratteneva il pensiero su questa terra maledetta
al diavolo le sofferenze e che si spiaccichi il cuore lunghe crepe al cuore dei muri impliciti sottile speranza sul filo di quei giorni perché la morte unanime non ci ha compresi nel gruppo designato alle maree della dimenticanza inghiottiteci onde assurde nel letto dell'oblio dolce dolcezza dell'oblio

Tristan Tzara
trad. genseki

venerdì, settembre 17, 2010

Sul sentiero delle stelle marine

Tristan Tzara

Sul sentiero delle stelle marine

A Federico Garcia Lorca

Che vento soffia sulla solitudine del mondo
Che mi sovvengo degli esseri cari
Fragili desolazioni aspirate dalla morte
Oltre le cacce gravi del tempo
Godeva il temporale della sua prossima fine
Che sabbia non arrotondava giá la dura anca
Ma sulla montagna sacche di fuoco
Vuotavano a colpi sicuri la luce di preda
Pallida e corta come l'amico che si spegne
Di cui nessuno piú sa dire il contorno a parole
Nessuna chiamata all'orizzonte ha il tempo di soccorrere
La forma misurabile solo quando scompare

E così da un lampo all'altro
L'animale sempre tende la groppa amara
Lungo i secoli nemici
Attraverso i campi sicuri di parata d'altra avarizia
E nella sua rottura si profila il ricordo
Come la legna che scricchiola segno della presenza
Della necessitá disperata.

Ecco anchei frutti

Non dimentico i frumenti
E il sudore che li ha fatti crescere sale alla gola
Eppure conosciamo il prezzo del dolore
Le ali dell'oblio e i foraggi infiniti
A fior di vita
Le parole che non giungono ad afferrare i fatti
Nemmeno per usarle per ridere

Il cavallo della notte ha galoppato dagli alberi al mare
E riunito le redini di mille oscuritá caritatevoli
Si è trascinato lungo le siepi
Dove petti di uomini trattenevano l'assalto
Con ogni mormorio aggrappato ai fianchi
Tra immensi ruggiti che si acchiappavano
Sfuggendo la forza dell'acqua
Incommensurabili si susseguivano mentre micromormorii
Non erano deglutiti e galleggiavano
Nell'inesporimibile solitudine solcata dai tunnel
Le foreste di mandrie delle cittá i mari aggiogati
Un uomo solo al soffio di molti paesi
Riuniti a cascata scivolando su una lama liscia
Di fuoco sconosciuto che s'insinua a volte la notte
A perdere coloro che il sonno assembla
Nel ricordo profondo

No non parliamo piú di quelli che si sono avvinti
Ai fragili rami, al mal umore della natura
Gli stessi che subiscono i rudi colpi
Tendono la nuca e sul tappeto dei loro corpi
Quando gli uccelli non piangono piú i chicchi del sole
Suonano i rigidi stivali dei conquistatori
Mi sono usciti dalla memoria
Gli uccelli cercano altri impieghi di primavera
Al loro calcolo delle sinecure
Per greggi affascinanti di sgomento
Il vento sulla nuca
Che metttano loro in conto il deserto
Al diavolo i sottili avvertimanti
I divertimenti coquelicot e compagnia bella
Raschia il freddo
La paura cresce

L'albero secca
L'uomo si screpola
Sbattono le persiane
Cresce la paura
Nessuna parola è abbastanza dolce
Per ricondurre il bimbo delle strade
Sperduto nella testa
Di un uomo sull'orlo della stagione
Guarda la volta
E l'abisso
Pareti stagne
Fumo nella gola
Il tetto si sgretola
Ma l'animale famoso impennato
Nell'attenzione muscolare distorto dallo spasmo
Della fuga vertiginosa del lampo di roccia in roccia
Si scatena all'appetito della gioia
Il mattino rifá il mondo
Alla misura del suo giogo

Predone dei mari
Ti sporgi per l'attesa
E ti alzi e ogni volta che saluti il mare ai tuo piedi
Sul sentiero delle stelle marine
Deposte da colonne d'incertezza
Ti sporgi ti sollevi
Saluti smazzati a strisce
E nel mucchio devi muoverti
Anche evitando le piú belle devi muoverti
Ti sporgi
Sul sentiero delle stelle di mare
I miei fratelli gridano di dolore dall'altra parte
Bisogna prenderli intatti
Sono le mani del mare
Offerte a uomini da nulla
Sentiero glorioso sul sentiero delle stelle marine
“Alcachofas alcachofas” la mia bella Madrid
Dagli occhi di stagno dalla voce di frutta
Aperto ai quattro venti
Vapor di ferro ondate di ferro
Sono gli splendori del mare
Bisogna prenderle intatte
Quelle sui rami spezzati rovesciati
Sui sentieri delle stelle di mare
Dove porta tal sentiero al dolore porta
Gli uomini cadono quando vogliono rialzarsi
Gli uomini cantano perché hanno assaporato la morte
Eppur bisogna andare
Calpestare
Il sentiero delle stalle marine con colonne di incertezza
Ma ci si impiglia nella voce delle liane
“Alcachofas alcachofas” la mia bella Madrid dalle luci basse
Aperta ai quattro venti
Che mi chiama – lunghi anni – d'ortiche
Testa di figlia del re figlia di puttana
Ê una testa è l'onda che si spezza
Comunque è il sentiero delle stelle marine
Che si sono aperte le mani
E non parlano della bellezza dello splendore
Null'altro che riflessi di minuscoli cieli
E impecettibili strizzate d'occhio tutt'intorno
Onde spezzate
Predone marino
Ma è Madrid aperta ai quattro venti
Che calpesta le parole nella mia testa
“Alcachofas alcachofas”
Capitelli di grida irrigidite

Apriti cuor infinito
Per penetrare il sentiero delle stelle
Nella vita innumerevole come la sabbia
E la gioia dei mari
Che contenga il sole
Nel petto dove brilla l'uomo di domani
L'uomo d'oggi sul sentiero delle stelle di mare
Ha piantato il segno avanzato della vita
Come va vissuta
Il volo liberamente scelto dall'uccello fino alla morte
Fino alla fine delle pietre e delle etá
Gli occhi fissi sulla sola certezza del mondo
Da cui scorre la luce spazzola a fil di suolo

Tristan Tzara
Trad. genseki

mercoledì, settembre 15, 2010

Tristan Tzara

Le porte si sono aperte senza rumore sono ali
Di gravose lande dalle braccia distese
Steppe di ferro scavalcano i canali
Ove si sparsero le ossa delle carovane perdute
I corpi tesi delle strade pensili
Bruciano il gargarozzo delle folle fredde
Selvaggia luce dorme nel letto del fiume
La vitrea prora dell'aria fende
Occhi maturano nel carcere del mare
Dormono nei numeri
Ciottoli piatti tra i raggi nutrienti
Nessun dolore tenta onde di labbra
Noia naufragata sulla spiaggia dei selvaggi tessuti
Le clessidre dei corpi del sole
Fissano l'ora e l'aratro
Fumo
Linea
Boa
Nube di fiumi impetuosi riempie la bocca arida
L'uomo ni incontra l'uomo
Non incontra la barriera di pietra e i ghiacciai di uomini nudi
Nudi non hanno visitato questi luoghi sono ali
Le porte si sono aperte senza rumore
Nessuno tremerá – un grido tormenta la lana
L'esistenza stessa
Le pessime tracce delle tormbe
Perforatrici di tempeste sono ancora ali
Sotto scaglie radicali si crogiola un sole di millenari avvoltoi
Suonano lampi nella spossatezza delle acque.

Da: Ove bevono i lupi
1932

trad genseki

lunedì, dicembre 21, 2009

Due testi di Tristan Tzara

Fu allora che un fuocherello si fece largo tra gli uomini
O Spagna madre di tutti coloro che la terra non ha cessato di mordere da quando hanno avuto la crudeltà di vivere
Forza del sole alle putrelle di vecchi pani
Nessun sorriso che non si sia disfatto in sangue
Con gli occhi sbarrati hanno taciuto le campane
Bambole di terrore mettono i bimbi a letto
L'uomo si è spogliato del mistero delle parole
Le campagne mostrano gli artigli le case spente
Quelle ancora in piedi nei sudari si asciugano al sole
Sparite immagini pietose ai nudi denti
Risuonano gli stivali della mercede dei traditori

Avrei avuto per me la chiarezza
Sulle strade di Joigny dal sole collegato
Che sono io protetto da un'apparenza in marcia
Undici anni di morte sono passati su di me
E la brughiera non ha atteso il prezzo della sua foga
Non ha atteso la ricompensa della sua calma
Per manifestare alla vita un pomposo rinascimento
Mentre scorza ruvida di monte a raffichi
Correndo ho superato l'immrtalitá dell'illusione...

*

L'acqua scavava lunghe fanciulle

L'acqua scavava lunghe fanciulle all'ombra della sabbia. Ci incrostammo nella notte. Nessuna angoscia ha resistito alla virulenza occulta. Lontano dalle pietre, nel loro centro. Le spine non hanno conosciuto ragioni migliori per annientarsi. Un frutto, il rimorso, come una capsula di luce. E al centro la corono con la corona di spine. Luce immensa che getta sulla spiaggia frutti non sopiti, in brandelli, succosi precursori della morte. Ecco tutta la povertá della campagna. I fatti inassopiti.

L'assenza di sogno, né grave né triste. Per sempre rocciosa e venata di epoche lontane, di ricordi vinosi e di corse verso la morte. Immutabile melancolia di coperte d'acqua che un dormiente di carbone stira per coprirsi fino al collo. A braccetto se en andarono le onde dai luoghi del penseiro e non lasciarono al gusto salino che il feddoloso ricordo del sole.

Brutta, la faccia cambió luci con il faro. E gli animali mostruosi ritorvarono la loro placida postura nel cavo dell'oblio. Tutta la desolazione immensamente fosforescente di una mano tesa a un tornante di mare.

Mezzanote per giganti in “L'Antitesta” 1933