venerdì, febbraio 27, 2009

La morte - Carmelo Bene - Unamuno

Io non diró che siano le dottrine piú o meno poetiche e non-filosofiche che esporró quelle che mi fanno vivere, oso tuttavia affermare che è il mio anelo di vivere e di vivere per sempre che me le ispira. E se grazie ad esse potró corroborare e sostenere questo stesso anelo che forse sta venendo a mancare in altri, avró fatto opera umana o perlomeno avró vissuto. In una parola: con la ragione, contro la ragione o senza la ragione, io non ho voglia di morire. E, quando alfin morró, se é per sempre, non mi saró ucciso io, cioé non mi saró lasciato morire, sará il destino umano che mi avrá ucciso.
Unamuno
Del Sentimento Tragico della Vita
trad. genseki

giovedì, febbraio 26, 2009

Trilce XV

Quella che segue è ancora una poesia di quello che potremmo chiamare il “ciclo della madre” in Trilce.

La rielaborazione della perdita e del lutto comporta l'assunzione dell'infanzia, un viaggio nel proprio passato, nel vuoto, negli inferi della personalitá che va formandosi e deformandosi. da questa discesa nell'abisso della terra la madre va mergendo come l'asse portante, che permette la coerenza el ricordo e la continuitá dell'io. La madre è colonna e colonnato e arco: asse e protezione. L'icona della madre è quella della Vergine, madre di dio padre. Nella mitologia familiare di Vallejo, oltre ogni etnicismo e senza tirare in ballo la psicanalisi, il padre è fratello e in parte anche figlio.

Se la madre assume la forma icona della Vergine Maria, il padre è il Padre e il Cristo contemporanemente.

L'immortalitá è propria della madre, affermata e riaffermata nelle forma di una immanenza e di una quiddità assolute: “cosí...così” che ritmano il rifiuto di qualsiasi orizzonte di trascendenza. L'immortalitá della madre è assolutamente carnale, corporale e architettonica.

genseki


Trilce XV


Madre, domani verró a Santiago

Per bagnarmi nel tuo pianto benedetto

Ora che vado riordinando piaghe e delusioni

Di false faccende.


Mi aspetterá il tuo arco di stupore,

Le tue colonne d'ansie tonsurate

Che finiscono con la vita e col cortile

Il corridoio tutto stucchi e gale;

Mi aspetterá il seggiolone aio

Quell'affare a ganasce di dinastico cuoio

Che con cinghie e laccetti stringe stretto

Natiche pronipoti.


Sto setacciando i miei piú puri affetti

Sto trivellando, non odi la sonda?

Non odi le campane strepitanti?


La tua formula d'amore sto plasmando

Per ciascuno dei vuoti del suolo

Per tutte le cinture piú distanti

E per le citazioni piú distinte.


Cosí morta immortale, cosí

Sotto l'arcata doppia del tuo sangue

Ove passar si debe con riguardo

Con un riguardo tale che mio padre

Persino lui si fece mezzo uomo

Fino ad essere il primo dei tuoi figli.


Cosí morta immortale,

Nel colonnato delle tue ossa

Che non cadrebbe neppure per le lacrime

E nel cui fianco non poté insinuare

Il destino nessuna delle dita

Così, madre immortale, cosí.


trad genseki

mercoledì, febbraio 25, 2009

Gilles de Rais

Tutte le teorie moderne dei vari Lombroso e Maudsely non sono sufficienti a spiegare i crimini innumerevoli e i singolari abusi del Maresciallo. Classificarlo nel gruppo dei monomaniaci sarebbe stato giusto, se con questa parola si classificano tutti coloro che hanno una idea fissa. Infatti, ognuno di noi è monomaniaco, a partire dal commeciante che pensa solo al suo interesse, fino all'artista assorbito nella concezione di un'opera, Perché, tuttavia. il Maresciallo fu momomane, come lo divenne? Ecco ció che tutti i Lombroso della terra ignorano. Le lesioni dell'encefalo non significano assolutamente niente in queste faccende. Si tratta semplicemente di coneguenze, di effetti derivati di una causa che dovrebbe essere spiegata e che nessun materialista sa spiegare. È davvero un po' troppo facile affermare che una perturbazione dei lobi crebrali produce assassini o sacrileghi; gli alienisti famosi dei nostri giorni pretendono che l'analisi del cervello di una folle riveli una lesione o una alterazione della materia grigia, e se così fosse? Resterebba da spiegare, per una donna affetta da demonomania, se la lesione si è prodotta perché ella è demonome o al contrario ...


Nel quindicesimo secolo le due tendenze estreme dell'anima furono rappresentate da Giovanna d'Arco e dal Maresciallo de Rais. Non vi é alcuna ragione per affermare che Gilles fosse piú folle della Pulzella i cui meravigliosi eccessi non hanno relazione alcuna con manie e deliri.


Quando gli esperimenti alchemici e le evocazioni diaboliche falliscono Prelati, Blanchet e tutti i maghi e stregoni che circondano il Maresciallo ammettono che per agganciare Satana, Gilles avrebbe dovuto cedergli o l'anima o la vita o commettere crimini.

Gilles rifiuta di alienare la sua esistenza e di abbandonare l'anima, ma pensa senza orrore agli assassinii. Quest'uomo, tanto valoroso sui campi di battaglia, tanto coraggioso quando difende e accompagna Giovanna d'Arco, trema davanti al iavolo, ha paura quando pensa alla vita eterna, quando pensa a Cristo. E lo stesso vale per i suoi complici; per essere sicuro che essi non riveleranno i rivoltanti abomini che il castello nasconde, fa loro giurare il segreto sui santi evangeli, sicuro che nessuno di loro romperá il giuramento, perché, nl medio Evo , il piú impavido dei banditi non oserebbe assumere su di sé irremissibile misfatto di ingannare Dio!.

Comunque resta il fatto che mentre gli alchimisti abbandonano i loro fornelli impotenti, Gilles si abbandona a orge spaventevoli e la sua carne arsa dalle essenze disordinate delle bevute dei piatti, entra in eruzione, bolle e tumultua.

Non vi erano donne nel castello; Gilles sembra aver esecrato il sesso a Tiffauges. Dopo le bagasce degl accampamenti le prostitute della corte di carlo VII, sembra che lo abbia colto il disprezzo per le forme femminili. Come coloro il cui ideale di concupiscenza si altera e si svia, giunge a essere disgustato dalla delicatezza della pelle e dall'odore della donna che tutti i sodomiti detestano.

Egli conduce alla depravazione i ragazzi del coro della sua cappella, li aveva scelti “belli come angeli”. Furono i sol che egli amó e i soli che nei raptus omicidi risparmió.

Ma presto questa salsa di eiaculazioni infantili gli parve insipida. La legge del satanismo che vuole che l'eletto del male scenda fino all'ultimo scalino la spirale del peccato, era ancora una volta, in vigore. L'anima di Gilles doveva riempirsi di pus, perché in quel rosso tabernacolo decorato di ascessi potasse abitare compiaciuto l'Infimo!

Le litanie della foia si innalzarono nel vento salato dei macelli. la prima vittima di illes fu un bambinello il cui nome si ignora. Lo sgozzó, gli taglió le mani, gli estrasse il cuore, gli strappó gli occhi e li portó nella stanza di Prelati. Entrambi gli offrirono a con suppliche appassionate al diavolo che tacque. Gilles esasperato fuggí e Prelati avvolse i poveri resti in un lenzuolo e tremando fu, nella notte a seppellirli in terra consacrata accanto a una cappella dedicata a San Vincenzo.

Il sangue di quel fanciullo che Gilles aveva conservato per scrivere le su formule di evocazione e i suoi grimori, fu seme orribile e presto Gilles poté mietere e immagazinare la piú esorbitante messe di crimini che si conosca.

Dal 1432 al 1440, cioé negli otto anni che vanno dal ritiro del Maresciallo alla sua morte, gli abitanti dellAnjou, del Poitou, della Bretagna, errano singhiozzand sulle strade. Tutti i bambini scompaiono; i pastorelli sono rapiti nei campi, le bambine all'usicta da scuola, i ragazzetti che vanno a giocare a palla nelle stradine o si rincorrono all'orlo dei boschi, non tornano piú.

Nel corso di un'inchiesta ordinata dal Duca di Bretagna, gli scribi di Jean Touscheronde, commissario del Duca, redigono liste interminabili di bambini scomparsi.

Perduto, a ochebernart, il figlio di Donna Péronne “che andava a scuola e imparava molto bene” dice la madre.

Perduto a Sain-étienne de Monluc, il figlio di Guillaume Brice “poveretto che chiedeva l'elemosina”.

Perduto a Machecol, il figlio di Georget le Barbier “che fu visto, un certo giorno cogliere pere dietro il Palazzo Rondeau e che poi non fu piú visto”.

Perduto a Thonaye, il figlio di Mathelin Thouars “che si lamenta e piange e il figlio aveva dodici anni”.

A Machecoul ancora, il giorno di Pentecoste, i coniugi Sergent lasciano a casa il loro figliuolo di otto anni e al ritorno dai campi “non ritrovano piú il bambino di otto anni e molto se en meravigliano e soffrono”.


Huysmans

Là-bas

Trad e montaggio genseki

Credo Signore, aiuta la mia incredulitá

... allora il padre del'epilettico o indemoniato rispose con queste dense, eterne parole “Credo, Signore, aiuta la mia incredulitá!”. Credo, Signore, socorri la mia incredulitá! Potrebbe sembrare una contraddizione, se egli crede, se ha fiducia, perché dovrebbe chiedere al Signore che venga in suo soccorso, in soccorso della sua mancanza di fede? Tuttavia questa contraddizione è quella che da il suo valore umano piú profondo al grido che sale dalle viscere del padre dell'indemoniato. La sua fede è una fede a base di incertezza. Perché crede, cioè, perché vuole credere, perché ha bisogno che suo figlio si curi, chede al Signore che venga in aiuto della sua incredulitá, del suo dubbio che effettivamente tal cura possa darsi. Tal è la fede umana.

... Una fede assurda, senza ombra di incertezza, una fede da carbonai stupidi, si unuce all'incredulitá assurda, all'incredulitá senz'ombra di incertezza, all'incredulitá degli intellettuali afflitti da stupiditá affettiva ...

L'incertezza, il dubbio, la voce della ragione, era l'abisso, il “gouffre” terribile davanti al quale tremava Pascal. E fu questo a condurlo a formulare la sua terribile sentenza: “il faut s'abêtir” bisogna instupidire.

Per disperazione, si afferma, per disperazione si nega, e per essa ci si astiene dall'affermare e al negare...

Unamuno
Il Sentimento Tragico della Vita

trad genseki

martedì, febbraio 24, 2009

Unamuno II

Unamuno I

I sogni piú folli della fantasia contengono un fondamento razionale, chissá se tutto quello che un uomo non è giá accaduto, sta accadendo adesso, o accadrá fores, prima poi in un mondo o nell'altro. Le combinazioni, appunto, sono infinite. Solo resta da sapere se tutto quello che si puó immaginare è anche possibile.

Unamuno
Il Sentimento Tragico della vita
Trad. genseki



Sembra quasi che questa frase sia il nodo a partire dal quale si è sviluppata tutta l'opera del Borges. quanto Borges debe davvero a Unamuno. Moltissimo a giudicare da questo testo e dalla vicenda altalenante di giudizi ora radicalmente critici ora entusiasti che l'argentino disseminó sul conto del basco. Indizi o depistaggi o entrambe le cose. Borges pare intraprendere con Unamuno un gioco di riflessi e di paradossi che moltiplica il grande gioco di inganni che entrambi questi autori ingaggiano con l'anima dei loro lettori Una delle carte dei tarocchi puó riassumere questa relazione in una sola immagine: il bagatto e una figura dell'antropologia culturale classica: il “trickster”, lo psicocopompo ingannatore.


genseki

lunedì, febbraio 23, 2009

César vallejo come l'ho conosciuto

Prosegue la traduzione del testo di Ciro Allegria sul suo incontro con Vallejo. È poco versimile che queste righe corrispondano davvero ai suoi ricordi di bambino. Il ritratto di Vallejo pare piuttosto conformarsi a un'iconografia agiografica probabilmente già cosolidata: quella del dolorismo indigeno cosmico che probabilmente ha avuto soprattutto la funzione di dissinnescare le potenzialitá di un Vallejo ribelle, dialettico, tagliente e rivoluzionario che a me pare piú verosimile.
genseki

Parlava lentamente, come fischiando le esse, che così son soliti parlare i natuvi di Santiago de Chuco, tato che si distinguono proprio per questa caratteristica dagli altri abianti di quella regione.

Poi si alzó per diegnare la terra sulla lavagna e per tutta la durata della classe ci ripeté che era rotonda e che questa on era la sola cosa sorpendente ma che anche girava su se stessa. Come prova portó il sorgere e il tramontare del sole, il modo in cui appaiono e scompaiono le navi nel mare d altre ancora. Io senplicemente restavo stupefato che questo mond in cui viviamo fose rotondo e girasse su se stesso e anche di quante cose sapesse il mio maestro. Quando la campana suonó annunciando la ricreazione César Vallejo si pulì il gesso dalle mani, si pettinó con le dita della mano, e suscí. Si mise sulla porta come se conversasse con gli altri maestri. Dico questo percé aveva un aspetto molto distratto.

Di nuovo in aula per l'ora di studio, poi ci sarebbe stata quella di lettura. C'era da ripassare la lezione. Mi chiamó accanto a sé e aprí il libro nella sezione del paperottolo. Ebbi fiducia in quello che sapevo e dissi:

questa parte l'ho giá fatta da temp. Anche quella di Rosaria e Pepito. Io lo so tutto questo libro.

Vallejo mi guardó con curiositá.

Sai ancje scrivere?

Quando risposi di si mi chiese di scrivere il mio nome e poi anche il suo. Non sapevo se si scrivesse con V o con B mi decisi per la prima e per fortuna ci azzeccai. Mi fece provare cn altre parole e con una lunga frase.

Sembrava divertirsi. Poi mi chiese:

Sai giá leggere e scrivere, perché ti hanno meso in prima.

Perché non so nient'altro.

Allora mi disse di andare a sedermi. Cercai di fare un po' di conversazione con il mio compagno di banco ma questi mi sussurró che era proibito parlare durante l'ora di studio.

Guardai allora il mio maestro.

César Vallejo, e questa mi sembró sempre che fosse la prima volta che lo vidi – teneva le mani sul tavolo e volgeva il viso verso la porta. Sotto gl abbondanti capelli la sua faccia mostrava tratti duri e definiti. Il naso era energico e il mento, ancora piú energico, risaltava nella parte inferiore come una ghiglia. I suoi occhi oscuri, non ricordo se fossero grigi o neri brillavano come se fossero pieni di lacrime.
Il suo vestito era vecchio e liso. e stringendo la apertura molle del colletto una cravattina di cuoio pendeva annodata sommariamente. Si mise a fumare e continuava a guardare verso la porta da cui entrava la luce chiara di aprile. Pensava o sognava non si sa che cosa. Da tutto il suo essere emanava una grande tristezza, mai ho visto un uomo che sembrasse piú triste, il suo dolore era contemporanemaente una condizione segreta e manifesta che finí per contagiarmi. Una qualche pena strana e inesplicabile mi colse. Anche se a prima vista poteva sembrare tranquillo, in quell'uomo vi era qualche cosa di straziato che io con la mia pronta sensibilitá di bambino percepivo e intendevo in tutta pienezza. Di colpo pensai ai miei lari, alle montagne che avevo attraversato e alla vita che avevo lasciato alle spalle. Tornando a esaminare i tratti del mio maestro li trovai simili a quelli di Cayetano Oruna, peone della nostra fattoria che chiamavamo Cayo, Certo questi era piú alto e ben piantato ma il volto e l'aria tra solenne e triste di amendue avevano gran somiglianza.. L'uomo Vallejo venne a me come un messaggio della terra e continuai a osservarlo, Gettó via la sigaretta, si toccó la fronte, lisció ancora una volta la chioma scura e si rimise tranquillo. La sua bocca si contraeva in un rictus doloroso. Cayo e lui, La personalitá di vallejo, tuttavia inquietava al solo vederla, Ero definitivamente scosso e sopettai che tanto soffrire e irradiare tristezza aveva qualche cosa da fare con il mistero della poesia. Di colpo si voltó e mi guardó, poi guardó tutti i bambini che stavano leggendo nei loro libri, io lo aprii, il mio libro. Non riuscivo a vedere le lettere e volevo piangere

Fu cosí che incontrai César Vallejoj e cosí lo vidi, per la prima volta.

Ciro Allegria
trad. genseki

sabato, febbraio 21, 2009

Supplica

Alla poesia chiedo
Solo ancora uno sforzo
Lo sforzo di accompagnarmi
In questa solitudine
Lo sforzo di starmi accanto
Nel rapido – spero -
Spogliarmi dell'ultima
Veste dell'anima
Dell'anima stessa
Foglia diletta
Al vento, al deserto
Consacrata, al fuoco
Abbandonata
In questo denso
Perdermi dentro
Perdermi dentro
Allo Stesso.

genseki

venerdì, febbraio 20, 2009

Anno dopo anno

Anno dopo anno
L'amore
Diventa cosí grande
Che ci brucia
Incenerisce i sogni
Incenerisce i gesti
Ci lascia con tizzoni di speranza
Anno dopo anno
L'amore
Non è più un girasole
Ma una stella
Non possiamo fissarlo
Ma ci annienta.

29.07.2001

genseki

Essere pronti

La questione essenziale alla fine è questa: se dovesi venire a morire adesso, sarei pronto? La risposta a questa domanda rivela quanto davvero resta di serio nelle mie parole, nelle mie riflessioni, nella maniera di vivere giorno per giorno.

Quanto resta di me? Temo moltissimo. moltissimo di viscoso e iterativo, moltissimo di corrosivo e di torbido.

Tutto questo si cela dietro la pigrizia. La pigizia non è solo pigrizia, è, soprattutto sopravvalutazione di se stessi.

Eppure essere pronto a morire, lo vedo con chiarezza, significa essere pronto ad ogni istante a vivere per davvero senza il peso dell'istante precedente, senza il peso pesantissimo di tutti gli istanti precedenti che si sono susseguiti.

Essere pronto a morire. Ora. Deporre finalmente il fardello tanto gravoso degli istanti passati, con l'infinitá dei loro pensieri e delle volizioni. A questo si riduce tutto il resto: la pratica, la ragione, lo spirito, la fede.

Mi pare che praticare la disponibilitá alla morte, o alla vita sia soprattuto praticare la concentrazione.

Concentrarsi, diventare densi, impenetrabili, comprimere la propria massa nello spazio piú ristretto possibile. È forse questa una maniera di conseguire una tale meta?

Davvero non sono mai stato tanto intimo con la morte come spesso lo ho creduto, questa intimitá non si trova nella vorticosa coscienza dell'impermanenza e neppure nell'intuizione nullificante dell'infinito. Quell'intuizione insopportabile che suole visitarmi nei momenti del dormiveglia. No È tra un istante e l'altro, nella coscienza del loro tracorrere che si educa questa intimitá. Naturalmente anche nella scelta per la solitudine.

Finire probabilmente è piú facile di quello che sembra, è la fine che ci forma conformente ad essa. Succede da sola e quando succede siamo fatti, forse anche inmediatamente, adeguati allla sua modalitá.

O forse, essere pronti a morire, significa proprio accettare di non poter mai essere del tutto pronti, accettare che non si puó essere pronti a morire piuttosto che a vivere perché, appunto, si tratta di vivere. Vivere la propria morte. Vivere la morte. Vivere la morte come un momento della vita.


genseki

giovedì, febbraio 19, 2009

Schoenberg Pierrot lunaire no. 8 Nacht

La viola da gamba


Egli riconobbe con assoluta certezza, la pallida figura
del suo intimo amico Jean-Gaspard Debureau, il gran pagliaccio dei Funamboli, che lo guardava con un'espressione indefinibile di malizia mista a benignitá

Théophile Gautier

Onuphrius

Au clair de la lune
Mon am Pierrot
Prête-moi ta plume
Pour écrire un mot.

Ma chandelle est morte
Je n'ai plus de feu
Ouvre-moi la porte
Pour l'amour de Dieu

Il Maestro di cappella quasi non ebbe il tempo di interrogare l'archetto della viola che questa gli rispose con un gorgoglío buresco di lazzi e di tremoli come se avesse nella pancia un'indigestione di commedia italiana.


Era dapprima Donna barbara che rimproverava quelllo sciocco di Pierrot per aver lasciato cadere la scatola di parrucche di Madame Cassandra e sparso tutta la cipria sul pavimento.


Ecco, allora Madame Cassandra che raccoglie con devozione la sua parrucca E Arlecchino che stampa una pedata nelle natiche a quel belinone, e Colombina asciugrasi una lacrima dal tanto ridere e Pierrot distendere sul volto una smorfia tutta infarinata.


Subito dopo, peró, al chiar di luna, Arlecchino la cui candela era morta supplicava il suo amico Pierrot di aprire la porta per accenderla, mentre il fedifrago trafigava l scrigno del vegliardo e la bella.

*

- Al diavolo Job Hans il liutaio che mi ha venduto questa corda! - esclamó il Maestro di cappella riponendo la viola polverosa nel polveroso suo astuccio.

- La corda si era spezzata.

Trad. genseki


Ovunque il luogo stesso della via

Nulla vi è nella nostra buddhitá fondamentale che non sia vuoto aperto e tranquillo, chiarezza meravigliosa di felicitá piena ove spontaneamente immergesi la realizzazione profonda e spontanea.

Ivi tutto appare perfettamente compiuto, nulla manca. Se si praticasse con coraggio per tre incommensurabili kalpa, salendo tutti gli scalini dell'ascesa, nell'istante brevissimo del risveglio,si sarebbe testimoni della propria buddhitá originaria e spontanea e nulla piú. I meriti accumulati in interi kalpa son come le illusioni del sogno. Per questo il Tathagatha dichiara: “Nel risveglio supremo, effettivamente, non ho trovato nulla. Se vi avessi trovato qualche cosa, allora il Buddha Dipamkara non avrebbe profetizzato la mia venuta. E ancora: “questa realtá è pura eguaglianza senza alto né basso, Risveglio!”

Ecco il nostro spirito in primoridale purezza: nessuna differenza tra gli esseri viventi e i Buddha, tra le montagne e i fiumi del mondo, tra ció che ha forma e ció che forma non ha, e la totalità degli universi di tutti gli spazi vi forma eguaglianza perfetta sena i caratteri particolari di “stesso” e di “altro”.

Questo spirito primridalmente puro è sempre nella pienezza e la sua luminositá rende chiare tutte le cose. Siccome non lo hanno raggiunto le persone comuni lo confondono con la loro coscienza ordinaria. La loro coscienza ordinaria è oscura de essi non percepiscono la chiaritá fondamentale dl loro essere fondamentale. Perché quando si salta direttamente nel non spirito, l'essere fondamentale si manifesta da sé come la grande ruota del sole che sale nello spazio vuoto illuminando tutti gli orizzonti senza incontrare ostacoli. Così, l'adepto che conosce solo la sua coscienza la rifiuta, per praticare davvero, ma cosí si chiude il varco per entrare nello spirito e non lo puó piú cogliere. Riconoscete il vostro spirito fondamentale nella vostra coscienza ordinaria perché se esso non è la vostra coscienza ordinaria, nemmeno è da essa separato. Solo vi basta cessare di teorizzare sulla vostra coscienza ordinaria, di non pensare niente di essa, di non separarvene per cercare lo spirito e di non rifiuarla in nome di un metodo. Nulla di mediato e nulla di inmediato, nulla che resti o s'aggrappi, in ogni caso solo libertá, ovunque il luogo stesso della via.

mercoledì, febbraio 18, 2009

Léo Ferré - Requiem (1975)

Il paese del passato

Quella che si stende davanti a me, da ora in poi, non è piá la contrada del futuro, la contea dell'avvenire. Di qua in avanti, anche se potrebbe parere piú corretto scrivere, da qua indietro, si apre il vasto paese del passato. Anche quello che resta di futuro, in realtá assomiglia sempre di piú ad un angolo di passato. Magari una locanda con il muro esterno coperto di vite canadese e l'insegna “Al porvenir” o il punto di confluenza tra due fiumi, in mezzo a uno sterminato canneto, certamente non ad una autostrada.

A questo paese appartengo, adesso con soddisfatta convinzione. In fondo, sono io che lo ho fatto! È cosa mio. Sono opera mia le sue parti deserte e l'abiezione e anche le grandi pianure e i fianchi dei monti coperti di selve luminose. Senza rimorsi mi riprometto di ripercorrerlo minziosamente per cartografarne il senso e il destino.

martedì, febbraio 17, 2009

Sulla povertá

Sempre mi è piaciuto stare nel mondo senza molti schermi, con il minimo di protezione e di difesa necessarie per non mortificarsi. Mi piace provare il fredo quando fa freddo e il caldo quando fa caldo, affrontare la resistenza della materia nella forma di salita, di peso, di graffio, di declivio, anche di caduta, di punture di insetto che asume di volta in volta. non mi pare di aver viitato una cittá se non mi ci sono sfinito i piedi e consumate le suole. Godo di essere disponibile, direi aperto alle sensazioni tutte, piú che alle sensazioni al mondo stesso che è ciò che connette le sensazioni tra di loro e con il soggetto e permette appunto l'ogettivitá. Tutto questo credo di poter chiamarlo, riassumendo: “Amore per la povertá.

Il modo piú facile per essere vivi nel mondo è una certa forma di povertá, una forma che concide con disponibilitá e apertura, se si vuole anche con fiducia. Certamente nel campo di questo concetto di povertá non entra il tratto distintivo della mancanza.

La povertà scelta e non subita, la povertá non ascetica e non mortificante non coincide con la sobrietà e la temperanza,

Si tratta, piuttosto di una temperanza con disponibilitá con totale apertura.

La scomparsa della povertá dall'orizzonte del pensiero etico e religioso coincide con l'uscita dell'uomo dal mondo e con la sua entrata nell'universo della merce.

Bruckner Symphony No.8 - Finale (1/3), Giulini

Michel de Montaigne

Mon monde est failly, ma forme expirée, je suis tout du passé.
***
Il mio mondo è tramontato, la mia forma scaduta. Tutto intero appartengo al passato.
Michel de Montaigne
Essais III, cap. X
Trad genseki

Alla fine

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Alla fine


Fu allora che lo trovammo
Intrecciato alle radici del lentisco
Tra i ciuffi della bellota irsuta
Lo scheletro dell'aquila
Non scafo per fendere le nubi
Simile invece a un cesto intessuto
Di vimini bianchi sfiniti
Preparato per avvolgere
Il risultato di qualche Opera
Alchemica dimenticata.
O forse si, uno scafo
Ma remoto, da ogni idea di spuma
E di flutto
Con timide dita lo ripulimmo
Dalla terra secca
E dagli aghi di pino
Per un momento ci parve di sentire
Pietá per il dolore del volo.

*

Perché certamente il volo
È un'altra dimensione del pensiero
Come, per esempio,
L'esperienza di essere sorretti,
Sollevati, sostenuti costantemente
Dalla forza stessa del mondo.

Questa esperienza manca al nostro pensiero
Schiacciati come siamo al duro suolo
Dalla ferrea gravitá
Lanciamo il nostro spirito come fuoco d'artificio
Verso il cielo
Perchè fiorisca
-hanabi-

In veritá


genseki

venerdì, febbraio 13, 2009

Englaro

La vita è tale, dal punto di vista dello spirito, come un tessuto di relazioni. Lo spirito è Logos e il Logos è mediazione manifesta, cioè relazione.
Un corpo immobile alimentato artificialmente è in gran parte, se non totalmente fuori da questo tessuto. Non entra in relazione se non come oggetto, come cosa che il discorso di altri soggetti manipola e usa. Come un cadavere.
La disponibilitá, la passivitá al discorso di altri soggetti e proprio quello che lo rende ancora piú morto, chè morto in effetti non è.
Il discorso di chi lo vuole vivo è proprio quel discorso, quella parola che lo situa nella morte, che lo strappa dall'ultima posibile relazione, dall'ultimo possibile riconoscimento: la pietá; e lo rende osceno.
Questo corpo è condannato alla materia proprio da coloro che credono farsi portatori della voce dello spirito.

genseki

La nottola di Minerva

Comprendere ció che è, questo è il compito della filosofia; perché vciò che è, è la ragione. In quanto all'individuo, ognuno è figlio del suo empo, e la filosofia proprio il tempo afferrato nel suo concetto. È insensato credere che qualche filosofia possa precorrere il presente. Quando dice una parola sulla teoria che spiega come debe essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo ardi: perché pensare il mndo accade sempre dopo che la realtá ha compiuto il suo processo di formazione e si trova realizzzata. Quando la filosofia sbozza a chiaroscuro un aspetto della vita, questo, giá invecchiato, in penombra, non può essere ringiovanito. ma solo riconsciuto: la nottola di Minerva inizia il suo volo al cadere il crepuscolo.

Hegel

Filosofia del Diritto
Introduzione

trad. genseki

Al calar del sole si leva in volo la nottola di Minerva, quando l'allungarsi delle ombre vela la molteplicità delle forme. Vola col cuore gonfio di nostalgia, la nostalgia per il mondo screziato delle apparenze multiformi. Quello che il suo volo lascia dietro di sè nel penetrare l'ombra che scende è il manto di Gerione della luce e dell'ombre che non conosce, cui volta le spalle e che le punge il cuore di rimpianto.

Se vola lo deve a questo vuoto rimpianto. È questa nostalgia che la sostiene e la guida nella notte tra i profili grigi di tutte le cose.

Così la nottola della filosofia sta sospesa tra due mondi, pur movendosi dall'uno all'altro perché il grigio è possibile solo la ove vi fu colore.



giovedì, febbraio 05, 2009

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Storia della calligrafia cinese - Ouyang Xun (557-641)





Fu un calligrafo importante della dinastia Sui ma le sue opere erano rigorosamente anonime. Solo intorno ai sessantanni quando fu chiamato a corte dall'imperatore calligrafo Taizong il suo nome fu registrato nei documenti ufficiali accanto alle opere corrispondenti.
Dei suoi lavori alcuni sono sopravissuti nella incisi in steli come “Hua Du Shi Bei” in memoria del monaco Yong Chan e “Cheng Gong Bei” che è la descrizione del paesaggio in cui sorgeva il palazzo Jin Cheng.
Calligrafó inoltre numerosi sutra tra cui spicca il “Sutra del Cuore”, il testo piú importante del buddismo chan: “La forma è vacuitá, la vacuitá è forma.
Le calligrafie dei sutra risalgono alla sua vecchiaia. Le produsse all'etá di quasi settant'anni. Sono andate tutte perdute per l'usura del tempo e per l'uso e solo possiamo contemplare alcune copie a inchiostro tratte dagli originali.
Notevole è anche la calligrafia di nove ballate del regno di Chu del poeta Qu Yuan. Si tratta di testi ricchi di colore e di figure retoriche, immaginazione e mistero.
La calligrafia di Ouyang Xun è stata il modello dello stile regolare e per secoli è stata oggetto di studio e di riproduzione per gli studenti.

Le due riproduzioni sono la prima e la seconda parte del "Sutra del Cuore"


a cura di genseki

mercoledì, febbraio 04, 2009

Yuyos

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Gilles de Rais V

Sono nato sotto una tale stella che nessuno mai potrá fare ció che ho fatto io

Questi maghi, che tutti i biografi sono concordi nel rappresentare, secondo me a torto, come volgari parassiti e delle canaglie, erano, in fin dei conti, la nobiltá spirituale del quindicesimo secolo. Non avendo trovato posto nella Chiesa, ove non avrebbero accettato niente di meno che la porpora o il soglio non restava loro altra possibilitá che rifugiarsi presso un gran signore come Gilles, forse il solo, in quel tempo che fosse abastanza istruito e intelligente per comprenderli. Riassumendo, un misticismo naturale da una parte e la frequentazione quotidiano con sapienti ossessionati dal satanismo. Una miseria crescente all'orizzonte che l'intervento diabolico avrebbe potuto scongiurare, una curiositá folle, forse, per le scienze oscure; tutto questo spiega che, poco a poco, mano a mano che il legami con il mondo degli alchimisti e degli stregoni si stringe, egli si getti nell'occulto e sia spinto ai crimini piú inverosimili.
D'altra parte, per quanto riguarda i bambini sgozzati, cosa che non accadde inmediatamente, perché Gilles violentó e uccise i bambini solo dopo che l'alchimia si dimostrò vana, egli non differisce sensibilmente dai baroni del tempo suo.
Certo egli li supera nel fasto del vizio e nell'opulenza dell'omicidio ecco tutto. ... I principi a quei tempi erano dei massacratori spaventosi. Vi è un Signore di Giac che avvelena la moglie , la getta sul cavallo e la trascina al galoppo per cinque leghe, fino alla morte. Vi è un altro ...che afferra il padre, lo trascina scalzo nella neve, poi lo getta tranquillamente, fino alla morte in una prigione sotterranea. E quanti altri ...
Non pare che durante le battaglie e le razzie il Maresciallo si sia macchiato di delitti seri, certo aveva un gusto singolare per la forca, amamva far impiccare tutti i francesi rinnegati sorpresi nei ranghi degli inglesi o nelle cittá poco fedeli al Re. Il gusto per questo supplizio non lo abbandona nel castello di Tiffauges.
Infine per concludere si deve aggiungere a tutte queste cause un orgoglio formidabile, un orgoglio che lo spinge a dire, durante il processo: “sono nato sotto una tale stella che mai nessuno potrá fare mai ciò che ho fatto io”.
Eccoci giunti, tuttavia, al momento in cui Gilles de Rais inizia la ricerca della Grande Opera. Non è difficile immaginarsi le conoscenze che possiede relativamente al modo di trasformare i metalli in oro. L'alchimia era già molto sviluppata un anno prima della sua nascita. Gli scritti di Alberto il Grande, Arnaud de Villeneuve, Ramón Llull erano nella mani degli ermetici. I manoscritti di Nicalas Flamel circolavano; non v'è dubbio che Gilles , andava matto per i libri rari, li abbia potuti acquistare; aggiungiamo che a quel tempo, l'editto di Carlo V vietava sotto pena di prigione e di morte i lavori alchemici e che la bolla “Sponde pariter quans non exhibent” che il Papa Giovanno XXII fulminó contro gli alchimisti era ancora in vigore. Queste opere erano quindi proibite e conseguentemente introvabili; è comunque certo che Gilles le ha lungamente studiate, ma tra studiarle e comprenderle il cammino è lungo.
Questi libri costituivano, in effetti il piú incredibile abracadabra, il grimorio più astruso. Tuto era allegoria, metafore bizzarre e oscure,emblemi incoerenti, parabole confuse, enigmi pieni di cifre!
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martedì, febbraio 03, 2009

Natura morta con olive e un limone

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Una silenziosa coincidenza

Huangpo

Senza accedere direttamente al non spirito gli adepti potrebbero praticare per interi Kalpa senza giungere mai al termine della Via. Incatenati alle buone azioni proprie dei tre veicoli, non possono liberarsi. Per certificare questo spirito il tempo necessario puó variare. Vi è chi giunge al non-spirito dopo aver ascoltato l'insegnamento appena un istante, vi sono altri che lo realizzano solo al termine dei dieci aspetti della fede, delle dieci attivitá, delle dieci stazioni e delle dieci dediche, e vi è chi lo raggiunge approdando alla decima terra. Restate nel non spirito piú a lungo che potete. Allora non ci sará piú nulla da coltivare, nulla da attestare.
Davvero non vi è nulla che possa essere trovato, eppure la realtá non è il nulla. Colui che vi giunge in un istante e colui che vi giunge alla decima terra hanno esattamente lo stesso merito, non è che uno sia piú superficiale e l'altro piú profondo, il fatto è che se non si giunge al non-spirito non si fa altro che darsi da fare inutilmente per interi kalpa.
Fare il bene o fare il male significa attaccarsi a cose particolari. Produrre male essendone coscienti significa subire il samsara per niente, fare il bene essendone coscienti significa affaticarsi molto per poco vantaggio. Tutto questo non si potrá mai paragonarlo con la possibilitá di riconoscere il proprio metodo spirituale solo con l'ascoltarmi.
Questo metodo è lo spirito, al di fuori dello spirito, infatti, non vi è metodo.
Questo spirito è il metodo, al di fuori del metodo, infatti, non vi è spirito.
Anche se naturalmente questo spirito è non-spirito, il non-spirito non ha tuttavia un'esistenza propriamente detta. Condurre lo spirito verso il non-spirito significa continuare ad attribuire una esistenza al non-spirito.
Basta una silenziosa coincidenza perché il dialogo interiore si interrompa, per questo si è detto che:

Quando la strada è bloccata
Le attivitá mentali cessano.

Questo spirito è la nostra buddità pura e primordiale, la stessa che possiedono tutti gli uomini. Tutto ció che formicola e ha un'anima forma una sola sostanza con i Buddha e i Bodhisattva. È solo perché noi erriamo nell'atto di differenziare che noi finiamo per creare ogni sorta di azioni che generano reazioni.

Trad a cura di genseki

lunedì, febbraio 02, 2009

Le cinque dita della mano


Una famiglia onesta in cui non vi sono mai stati fallimenti,
e nella quale nessuno si è mai impiccato.
(La Parenté de Jean de Nivelle)


*


Il pollice è un grasso oste fiammingo, dall'umore beffardo e salace che fuma, sulla soglia all'insegna della doppia bara di marte.


L'indice è sua moglie, secca come lo stoccafisso, che fin dalla mattina schiaffeggia la sguattera di cui è gelosa e accarezza la bottiglia di cui è innamorata.


Il medio è il figlio, un compagnone tagliato giú a colpi d'accetta che sarebbe un soldato se non fosse birraio e sarebbe un cavallo se non fosse un uomo.


L'anulare è la figliola lesta lesta e tutta pepe che vende ricami alle signore e lesina sorrisi ai cavalieri.


Il mignolo è il beniamino della famiglia, marmocchio piagnone, che si dondola appeso alla gonna della madre come all'artiglio di una orchessa.


Le cinque dita della mano sono la più mirabolante violaccia a cinque petali che mai abbiano ricamatoaiuola della nobile cittá di Harlem.


Louis Bertrand

trad. genseki