Don Baldássare
Come tutti i pargoli del Barrio anche il piccolo Dreiser Cazzaniga dovette frequentare la Scuola per apprendere l'abbecedario e l'abbaco come allora era costume, prima che la Grande Oscuritá rendesse le scuole luogo di cupe pratiche ludico-meditative.
Nella scuola del Barrio regnava in quei giorni la figura della Pedantessa, vecchie pie, miopi e sdentate impartivano le arti del quadrivio a pargoli inquieti, puzzolenti e dalle unghie listate a lutto, vestivano cappottini lisi con colletti di pelle di coniglio e le chiome bianche avevano sfumature celesti, gli occhi di pietra brillavano freddi seminascosti da occhialini ovali.
Dreiser Cazzaniga ebbe fortuna, a lui tocco come maestro Don Baldassare. Come tuti i pedanti era uomo di etá giá avanzata, forse una dozzina di lustri, e al piccolo Dreiser Cazzaniga pareva antico come le colline che circondavano il Barrio o perlomeno come l'altissimo ponte del drago ferreo che lo dominava, avvolto nel suo pastrano dal colore reso indistinguibile dal tempo.
Al principio del secondo anno di scuola il piccolo Dreiser Cazzaniga non aveva ancora conseguito l'abilitá grafica necessaria a scrivere versi endecasillabi e alessandrini ma financo ottonari senza andare a capo rompendo cosí la bella armonia della pagina.
Don Baldassare non lo castigó per quasta sua intollerabile mancaza, piuttosto si avvicinó al piccolo Dreiser Cazzaniga, colse la sua manina con la mano grassottela dalle dita corte e gialle di nicotina e la condusse per l'impervio sentiero di un esametro particolarmente orografico fino al bordo della pagina alla sponda di tanto altalenare.
Fu come se qualche cosa si fosse impresso nell'anima del piccolo Dreiser Cazzaniga, un abito meccanico incacellabile in virtú del quale non ebbe mai piú la necessitá di troncar versi, come involontario carnefice dell'armonia, senza sforzo niuno.
Don Baldássare soleva giocare al biliardo la sera nella taverna del Barrio tra barattieri e malandrini, e quando ali sbirri del bargello occorreva di fare irruzione nella piola o posada grigia e ammuffita, il gioco, infatti, era vietato a' pedanti e alle pedantesse del Regno, agile come giovinetto pastore fuggiva per i tetti con gli altri peccatori menando gran chiaso tra' gatti intenti alle loro faccende notturne.
Vivea solo con la vecchia madre come zitello coatto, la madre volle che fosse presbitero e non potendo conseguirlo per la ripugnanza di lui e la sua convinta empietá costringerlo seppe, tuttavia al celibato.
Alla morte di lei poté infine sposarsi con la vedova benestante ch'ella avea previdentemente eleto alla funzione di madre sostituta in abito legale di consorte. Fu un'unione infelice.
Don Baldassare odiava la neve, quando i primi fiocchi cadevano lenti e svagati sui prati grigi e i tetti bruni del Barrio Don Baldássare soffriva in preda a una rabbia sorda che si esprimeva in melanconia e talora in attachi di una furia astratta ch'egli volgeva contro gli incolpevoli suoi pupilli, specie i piú sudici e i sardi, disprezzava egli segretamente i sardi giunti con il Drago di ferro e dediti alle mansioni piú umili come era consuetudine ovvia nel Barrio,
La Chionofobia di Don Baldassare non trovava la sua eziologia nel Barrio ma nelle lontane steppe della Scizia.
Egli infatti partecipó, come tutti i suoi coetanei del Barrio alla tragica Spedizione Scitica come milite della Legione Cozia. Da quella terra gelata, dalle infinite pianure innevate dai monti avvolti in tormente perenni egli fu uno dei pochi che ebbe la sorte di essere restituito ai suoi cari tutto d'un pezzo e vivo.
Leghe e leghe infinite leghe di neve calpestó sferzato dal gelido staffile del vento caucasico, stremato dalla fame e dalla sete, poté sopravvivere grazie soltanto all'ausilio compassionevole prestato, a lui e ai suoi compagni nella disfatta, dalle pietose vecchierelle delle isbe, dai villani, dai decrepiti pope e anacoreti delle capanne di betulla, la zuppa calda di barbabietola e cavolo, il conforto del riposo permisero loro il ritorno.
E questa ospitalitá, questo ausilio dato al nemico sconfitto e morente invece della vendetta meritata, lo fu nel nome di quel Cristo Signore ch'egli aveva prematuramente rinnegato,
Nella classe del piccolo Dreiser Cazzaniga non eravi croce alla parete, per fermo volere, scellerato oserei dire di Don Baldassare, bensí un piccolo, ma grazioso altare dedicato a Nostra Señora la Virgén Negra de la Cumbre per la quale avea una speciale devozione che trasmise al piccolo Dreiser Cazzaniga e che questi, sebben ghibellino e inimico della fede non abbandonó mai. Sul picciol altare non mancavanno mai candele di cera fragrante e fiori freschi del bosco,
Don Baldássare era per il piccolo Dreiser Cazzaniga la garanzia del ritrno delle stagiioni, del ciclo del giorno e della notte, la sua settimana era organizzata secondo uno schema che si ripeteva come una liturgia per da San Martino a San Giovanni. Le giornate erano anch'esse scandite su di un ritmo sapientemente fissato dall'alba a mezzodí.
Ottobre era dedicato al ricordo e alla lode del navigatore eccelso che aprí un nuovo continente alla Parola di Dio, Novembtre era il San Martino che compartiva il suo mantello di soldato con il povero ottenendo per tutti una breve estate, era il San Martino temuto da' mezzadri, mese delle fiere che attraevano i villani al Barrio e ai borghi per il negozio del bestiame, Dicembre il dolce natale tanto caro al cuore, Gennaio cominciava con il pargoletto anno nuovo e la lista dei propositi per una vita retta. Febbraio veniva con il corteo delle maschere antiche: le Colombine, i Balanzoni, i Pantaloni, Aprile piovoso e fecondo mese del disgelo, Maggio caro al cuore, il mese della Vergine Maria e il ciclo ripetevasi di anno in anno, legge eterna dell'umano e dell'universo come un vivente libro d'ore miniato dello splendore dell'infanzia.
Fu Don Baldássare che modelló l'anima di Dreiser Cazzaniga rendendola tanto sensibile al Culto della Virgén Negra de las Cumbres (benché fosse egli ancor ghibellino e averroista arrabbiato), ai riti e alle cerimomonie.
A cura di genseki