venerdì, aprile 30, 2010

Il desiderio di Dreiser Cazzaniga

"Il desiderio, ció che si chiama desiderio basta per fare si che la vita non abbia senso se produce un codardo".
Lacan


è alla luce di questa frase di Jacques Lacan, pescata letteralmente a caso nel mare dell'incomprensibilitá dei suoi scritti, che Dreiser Cazzaniga si accinse all'impresa di giustificara la propria vita, anche se essa era ancora un processo e non un cristallo. Per farlo si collocó al suo estremo, costruì un tempo preterito, o almeno cercó di costruirlo, totalmente alieno alla lingua impoverita e ipocrita in cui era stato gettato come scrivente. Un tempo preterito che isolasse il passato come, un arcipelago, di cui peró egli potesse variare in una certa misura le geografia. Ma solo un tempo verbale non bastava; dovette forzarne altri, forzare il lessico e deviare dalla morfologia. Dovette cioè rinchiudersi nella solitudine, negare la sua impresa come qualche cosa che fosse comunicabile, costruire una lingua impossibile dalle regole variabile e contradditorie come la geometria di Escher e poi dovette evocare il suo interprete, il suo giudice e curatore, genseki, il diamante dalle mille e mille sfacettature. Quando fu afferrato dal movimento di questa frase, Dreiser Cazzaniga non sapeva nulla di Lacan, a tratti detestava la psicanalisi, si entusiasmava per gli aspetti piú alchemici dell'opera di Jung, persino era giunto all'estremo di scegliere come guida al suo inferno infermo quotidiano un personaggio cosí assolutamente ripugnante come Simone Weil cui non si sarebbe mai abbastanza pentito di aver tributato un vero e proprio culto, celebrato attraverso la compilazione di stupidi quadernini la cui lettura egli soleva infiggere agli amici incolpevoli e soprattutto a Doña Tejada de las Silvas che non mostrava per essi nessun interesse. Eppure quella frase lo conteneva tutto intero nel fuoco della sua irradiazione spiraliforme.

a cura di genseki

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