Visualizzazione post con etichetta Ibn Arabi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ibn Arabi. Mostra tutti i post

martedì, marzo 16, 2010

I sufi di Andalusia

Abdallah ben ja'dûn al-Hinnawi ben Muhammad ben Zakariyya.

Morì a Fez nel 597/1201. L'avevo presentato al mio compagno Abdallah Badr al-Habashî, Questo Maestro era uno dei quattro awtâd grazie ai quali Allâh preserva questo mondo. Egli aveva chiesto ad Allâh di cancellare la sua buona reputazione dal cuore di tutti, in questo modo quando era assente, non era rimpianto da nessuno e quando era presente nessuno gli rivolgeva la parola, quando giungeva in qualche posto non gli davano il benvenuto, non conversavano con lui e tutti lo ignoravano.

Io ero giunto a Fez e mi ricordo che alcune persone, avendo udito parlare di me, volevano incontrarmi. Io, invece, non avevo intenzine di vederli, lasciai la casa dove dimoravo e andai alla moschea. Non avendomi trovato in casa, queste persone vennero alla moschea. Io li vidi giungere e quando mi domandarono dove fossi risposi loro: “cercatelo fino a quando non lo troviate”.
Mentre stavo li seduto, molto ben vestito, improvvisamente vidi il Maestro davanti a me. Non lo avevo mai visto prima di allora. Mi disse: “Che la pace e la benedizione di Allâh siano su di te”, io risposi al suo saluto. Allora egli aprì un libro di al-Muhâsibî, il Trattato sulla conoscenza” me en lesse un passaggio e mi chiese di spiegarglielo. Per ispirazione divina, conoscevo già la sua identitità e il suo maqâm, sapevo che era uno degli awtâd e che suo figlio avrebbe ereditato il so maqâm. Gli dissi, allora chi era e quale fosse il suo nome. Egli chiuse il libro, si alzò e disse: “sii discretissimo perchè nutro affetto per te e vorrei conoscerti meglio. La tua aspirazione è autentica.”
Quindi mi lasciò. Da allora ci incontrammo soltanto quando nesun altro era presente.
Soffriva di un danno alla lingua e parlava con difficoltà; tutavia, quando leggeva il Corano la sua pronuncia era eccellente. Quast'uomo che faceva grandi sforzi sul cammino spirituale era commerciante di henné. I suoi capelli erano sempre in disordine e pieni di polvere, egli ungeva gli occhi di kohl per proteggerli dalla polvere di henné.

Ad-Durrat al-fakhirah

Quando parlava passava per matto, quando sedeva in un'assemblea gli altri si alzavano e se en andavano perché lo trovavano fastidioso. Questo stato di cose gli piaceva molto. Un giorno me en stavo seduto presso il minareto quando ibn Ja'dûn venne a sedersi davanti a me dopo avermi salutato. Aprì un libro di al-Muhâsibî. il Trattato della conoscenza. me en lesse un passaggio e mi chiese di commentarlo. Lo feci. Mi disse: “Compagno, se non smetti, rivelerò a tutti la tua funzione, tu sei uno dei quattro. Mi chiese, allora, di non svelare la sua identitá e promise di fare lo stesso per me.
Ibn Arabi
trad a cura di genseki

giovedì, febbraio 25, 2010

I sufi d'Andalusia

Abû Jafar al-'Uryanî II

Si racconta che mentre egli si trovava a Siviglia vennero a informarlo che la gente della fortezza di Kutamah aveva bisogno di pioggia. Sebbene la firtezza fosse sull'altra sponda di un braccio di mare e si dovesse viaggiare otto giorni per raggiungerla via terra, lui si mise in cammino con uno dei suoi discepoli chiamato Muhammad. Prima che partissero suggerirono loro di pregare per loro senza intraprendere il viaggio, egli rispose che Allâh gli aveva ordinato di andare di persona. Quando raggiunsero la fortezza non vi poterono entrare ma egli fece la preghiera di istiqâ e poco dopo Allâh inviò la pioggia. La pioggia cadde intorno a lui e al suo discepolo ma non una sola goccia li bagnó. Quando il discepolo espresse il suo stupore per il fatto che la misericordia divina non fosse caduta anche su dilui, il maestro esclamó: - certo che sarebbe caduta ma avrei dovuto pensarci prima.

Un giorno mentre stavo seduto presso il Maestro, si presentó un uomo con suo figlio. Salutó e ingiunse al figlio di fare altrettanto. Allora il nostro Maestro aveva giá perduto la vista. L'uomo disse: - O Sidi, ecco mio figlio che ha imparato a memoria il Corano.
Udendo queste parole l'aspetto del maestro cambió completamente per l'impressione di uno stato spirituale. Disse allora: - È l'Eterno che porta il transitorio, che il Corano ci porti e ci preservi, noi e tuo figlio!
Questo annedoto è un esempio dei suoi stati di presenza spirituale.

Ibn Arabi
Trad a cura di genseki

I sufi d'Andalusia

Abû Ja'far al-Urianî

Il primo che incontrai sulla Via di Allâh fu Abû Ja'far al-Urianî. Questo maestro venne a Siviglia quando io avevo appena cominciato ad acquisire le conoscenze di questa nobile Via. Fui il primo di coloro che si indirizzarono a lui. Entrato nella sua casa, lo trovai consacrato al dhikr. Mi presenai e lui seppe imediatamente qual era la mia necessitá spirituale.
Mi chisese: - Sei fermamente convinto a seguire la Via di Allâh?
Risposi: - Il servitore puó prendere la decisione, ma è Allâh che stabilisce.
Mi disse allora: - Chiudi la porta, rompi ogni legame, prendi come compagno Il Generoso, Egli ti parlerá senza veli.
Mi impegnai cosí fino ad ottenere l'apertura.
Bencjé fosse un campagnolo illeterato che non sapeva né contare né scrivere, bastaa ascoltare i suoi insegnamenti sul Tawhid per apprezzare il suo livello spirituale.
Dominava i pensieri con l'energia spirituale e poteva superae gli ostacoli dell'esistenza grazie alle sue parole. Lo si vedeva sempre invocare in stato di purezza rituale, rivolto verso la Qiblah, la maggior parte dei casi a digiuno. Un giorno fu fatto prigioniero dai cristiani. Siccome ancora prima di partire sapeva quelo che sarebbe successo avvertí tutta la carovana che sarebbero stati fatti prigionieri dai cristiani il giorno dopo. Il mattino dopo, come aveva previsto, il nemico tese un'imboscata e furono fatti prigionieri. I cristiani ebbero molti riguardi per il maestro e gli diedero un alloggio comodo e servi. Poco dopo poté essere liberato avendo pagato un riscatto di 500 dinari e si mise in viaggio verso il nostro paese. Al suo arrivo gli proponemmo di raccogliere la somma tra due o tre persone. Egli ci rispose che voleva raccoglierla da molte, se fosse statoorno del giudizio posibile voleva ottenere da ciascuno una piccola somma perché Allâh pesava ogni anima il Giorno del Giudizio e in ogni anima c'era qualche cosa degna di essere salvata dal Fuoco. Cosí Egli voleva prendere il bene di ciascuno per la comunitá di Muhammad.

Ibn Arabi
Trad genseki

lunedì, febbraio 08, 2010

I sufi d'Andalusia

Ad-Durrat al fâkhirah

Non diceva mai "Io". Non l'ho mai udito pronunciare questa parola. Durante il periodo della mia ignoranza, cioé prima che entrassi nella Via soleva venire in visita da noi per incontrare uno dei miei zii.

Avevamo cercato per lui una moglie e avevamo cercato di fare le cose per bene. Accadde che io mi ammalai, e durante la malattia egli venne a farmi visita in modo che gli esposi il nostro progetto."Fratello mio", mi disse, "mi sono giá sposato e giovedi entrerò nella mia camera nuziale". Se ne andó. Qualche tempo dopo venne a trovarmi Umm az-Zahrá, una donna che era nella Via di Allâh e le spiegai l'assunto. Avendomi lasciato andó da lui e apprese che subito dopo aver lasciato la mia casa si era ammalato. Lei gli chiese del matrmonio e lui rispose: "O Fatima, mi sono giá sposato e tra cinque giorni entreró nella mia camera nuziale come ho detto a mio fratello Ibn 'Arabi. Lei gli chiese: "Con chi ti sposi? Perché hai tenuto segreto il tuo matrimonio?" Lui rispose: "Sorella mia saprai giovedí". Giovedí morí. Nella notte di venerdí entró nel paradiso. Secondo il volere di Dio come un novello sposo.

Ibn 'Arabi
I sufi d'Andalusia
trad. genseki

mercoledì, ottobre 07, 2009

L'Islam, l'Iran e la filosofia antica

Parte I


Damascio


Damascio nacque tra il 480 e il 490 ad Alessandria in Egitto e fu discepolo di Ammonio che a sua volta era stato discepolo del sommo Proclo. Compiuta la sua formazione e consolidata la sua fama si trasferì ad ad Atene. Aveva intorno ai cinquanta anni quando fu scelto come sucessore di Zenodonte, come Scolarca della Scuola di Atene, occupando cosí la cattedra di Platone.

Credo che si possa considerare il neoplatonismo come una filosofia mistica che aveva assunto nelle forme esteriori e nelle pratiche molti, moltisimi elementi rituali e si presentava quasi come una religione.

Per rendere l'idea di che cosa fosse nell'estrema antichitá il neoplatonismo si potrebbe forse utilizzare l'espressione “Buddhismo di Occidente”. La sua attivitá come Scolarca duró quasi dieci anni, nel rapido, turbinoso disfacimento del pensiero antico e del mondo culturale pagano. Nel 529, infatti, Giustiniano chiuse la Scuola di Atene e confiscó i beni dei Platonici.

Questa confisca dei beni ci fa pensare che i platonici fossero una specie di comunitá, qualche cosa di molto simile a un ordine religioso.

Comunque questi provvedimenti non significarono la fine della scuola, come avevano sprao, probabilmente i Vescovi cristiani che gli ispirararono. L'imperatore filosofo dei Sassanidi offrí loro rifugio e protezione, mi pare nella cittá di Bactria, l'attuale balkh nell'Afghanistano attuale dove sorgeva anche una rinomata universitá buddhista. Secondo altre fonti, quello che restava della Accademia fu ospitato in Ctesifonte.

I nomi di questi filosofi erano Damascio, Simplicio, Prisciano di Lidia, Eulamio di Frigia, Hermias di Fenicia, Diogene di Fenicia e Isidoro di gaza. Nel 532, Cosroes vittorioso nella guerra impose ai bizantini la fine del loro esilio e quasi tutti loro ritornarono in Occidente. Damascio rientró in Egitto.

Di lui conserviamo pochi frammenti dalla “Vita di Isidoro” grazie a Fozio. Si suppone che abbia composto un “Commento al Filebo” che fu atribuito a Olimpiodoro e un “Commento al Fedone” anche esso attribuito a Olimpiodoro.

Tuttavia la sua opera filosofica principale è: “Aporie e soluzioni sui primi principi” che puó essere consierato una specie di commento del “Parmenide”.

Per Damascio, a differenza che per Proclo e Plotino pensa che al di sopra dell'Uno si trova l'ineffabile che non puó essere in nessun modo oggetto della nostra conoscenza. Questo ineffabile è analogo all'Assoluto di Ibn Arabi che anch'esso è antecedente all'Uno. L'uno proprio come uno è la singolaritá di ogno molteplicitá ma non è l'Assoluto, che si può considere come nulla. Il fatto è che noi pensiamo solo relazioni e l'Assoluto ineffabile è al di lá di qualsiasi relazione. Per Damascio tutto esiste in ogni cosa singola. L'assoluto è presente in noi come una forza o uno stimolo che spinge il pensiero a ngarsi come pensiero, situandosi nel punto in cui il pensiero sorge o dove si estingue.

Quest'ultimo punto di vista è molto prossimo alle concezioni del buddhismo mahayana sulla meditazione, concezioni che molti secoli dopo furono sviluppate da Dogen nel concetto di Hishiryo (oltre il pensiero e il non pensiero).

A proposito dell'Assoluto anche per Ibn Arabi esso è: “astrazione da tutte le possibili relazioni (cioè i nomi e gli Attributi”

“Se dall'essere divino si astraessero tute le relazioni non si avrebbe allora nessun Dio. Ma siamo noi che rendiamo reali queste possibili relazioni e finiamo per convertire l'Assoluto in Dio”.

Le radici neoplatoniche del sufismo, i possibili scambi teorici tra buddhismo e neoplatonismo il ruolo del pensiero sciita in questo quadro sono i temi che tratteró nelle prossime pagine.


genseki

lunedì, gennaio 26, 2009

La preghiera dell'ateo


Unamuno capovolge la prova di Anselmo. Il fatto che Dio possa essere pensato come dotato di ogni perfezione lo condanna all'inesistenza. L'inesistenza peró come è declinata nella tradizione apofatica. Inesistenza in quanto assoluta trascendenza, incommensurabile con quell'altra inesistenza, tragica per Unamuno, dell'uomo.
Dio è inesistente per l'uomo perché l'esistenza divina lo trascende in modo assolutamente radicale.
Si intravede nel testo di Unamuno l'ereditá di Ibn Arabi.
La traduzione non è all'altezza del testo.
genseki

Odi la prece mia, Dio inesistente
E nel tuo nulla accogli il mio lamento
Tu che l'uomo meschino mai non privi
Della consolazione dell'inganno
Al nostro anelo concedi alimento.
Quanto più dalla mente ti allontani
Mi sovvengo dei placidi consigli
Con cui la tata addolciva notti tristi.
Che grande sei Dio mio! Sei tanto grande
Che non sei che un'idea; è troppo angusta
La realtá nostra che tanto si espande
Per contenerti. Ed io soffro al tuo fianco
Dio inestistente, perché se Tu esistessi
Esisterei allora anch'io davvero.

Unamuno
trad genseki

venerdì, gennaio 23, 2009

L'Assoluto

Nel pensiero di Ibn Arabi l'assolutamente Assoluto (haq) si situa sul piano dell'unitá e non è mai svelato. Ovvero è inaccessibile per l'uomo e resta tale anche nel momento piú alto dell'unione mistica, nella Rivelazione e nella gnosi assoluta.
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.

genseki

giovedì, gennaio 22, 2009

Ibn Arabi

Posto che null'altro esiste nel vero senso della parola, eccetto l'assoluto, un autentico conoscitore di Dio non vede, nelle forme molteplici che la manifestazione di Dio, giacché sa che Egli si manifesta in tutte le cose. In questa maniera, qualunque sia l'oggetto del suo culto sempre adora Dio. Ciò può essere inteso anche nel modi seguente: le forme divergenti del molteplice all'interno dell'Uno sono o spirituali come gli angeli, o visibili e sensibili esternamente come il cielo e la terra e tutte le cose materiali che si trovano nel mezzo. Quelle si possono comparare alle facoltá spirituali contenute nel corpo di un uomo, queste alle membra di quello stesso corpo.
L'esistenza di questa molteplicitá nell'uomonon impedisce che egli possagga una unitá.

a cura di genseki

venerdì, novembre 28, 2008

Ibn Masarra di Almeria



parte I


Ibn Masarra


Pare che fosse un gigante biondo. Sicuramente un uomo piú alto e corpulento della media. In Africa lo ritenevano un siciliano. Forse per l'azzurro degli occhi.
Di lui non ci è pervenuta nessua opera, nessuna frase. Anche la memoria del suo nome andó perduta per molti secoli e fu riesumata da un dotto Castigliano, acuto, cattolico, miope e sprezzante come Asin Palacios.
Delle sue opere non ci sono giunti nemmeno i titoli, forse, solo di due possiamo ricostruirli con una certa sicurezza: “Kitâb al-tabsira” e Kitab al-horûf”.
Ibn Masarra fu un maestro precoce appena diciassettenne nell'anno 899 giá pare potesse contare su di un congruo numero di discepoli con cui viveva ritirato in una proprietá della Sierra di Cordova.


Il Viaggio in Oriente


Con due di questi discepoli intraprese un lungo viaggio in Oriente, giunse fino a Medina e fino alla Mecca dove incontrò molti importanti maestri dalla cui esperienza apprese la necessitá e le forme di un rigoroso esoterismo.
L'Islam viveva in quegli anni un rigoglioso periodo creativo. Secondo quanto scrive Garaudy Ibn Masarra venne a contatto, nel corso di questo viaggio, soprattutto con il pensiero di Al-Razhi che fu un avversario dell'aristotelismo e del fanatismo religioso allo stesso tempo. Tra le sue opere vi è una “Critica della Religione”. Al-Rhazi puó essere considerato un filosofo della natura nel senso presocratico.
“L'anima è il movimento che orienta ogni essere verso il suo fine. È il progetto di essere. E se si svia da questo fine non sará mai capace di pretendere l'eternitá non essendo niente altro che un progetto abortito”. Al-Razhi considerava necessaria una interpretazione simbolica delle scritture e riconosceva il valore di tutte le religioni.”


I fratelli della purezza


A Bassora studió il razionalismo mo'tazilita e fu influenzato dai “Fratelli della purezza” (ikhwan as-safá) che cercavano una sintesi tra la scienza del tempo e la religione.
Secondo questa scuola rigorosamente esoterica:


“Tutti i profeti annunciano la stessa religione. La religione di tutti i profeti mostra lo stesso cammino e invita in una stessa direzione: il perfezionamento dell'anima umana, la liberazione dal mondo della generazione e della corruzione e l'entrata nel sentero che conduce alla vita eterna”.


La maggior parte degli uomini, peró: “confonde la religione (dîn) con la legge (Sharia)”. La prima non è soggetta a nessuna imposizione.


I “Fratelli della Purezza”sono riconducibili all'ambito ismailita e il loro insegnamento fu esposto in una vera e propria enciclopedia consistente in 52 lettere (Rasa'il Ikhwan as-Safa). La confraternitá si riuniva regolarmente secondo un caledario prestabilito, sembra tre volte al mese: la prima dedicata all'insegnamento, la seconda all'osservazione astronomica e astrologica e la terza alla composizione de esecuzione di inni dal contenuto filosofico. La scuola era organizzata in una gerarchia basata, non rigidamente sull'etá. I gradi gerarchici erano quattro:



  • Gli artigiani: a partire da 15 anni
    I dirigenti politici: a partire da 30 anni
    I re: a partire da 40 anni
    I profeti e i filosofi: a partire da 50 anni. Si trattava del grado angelico (al-martabat al-malkiyya).


I membri della scuola si riferivano a se stessi come: “coloro che dormono nelle grotte”.


Non sappiamo se e quanto dei principi che reggevano questa importante scuola siano stati adottati da Ibn Masarra e applicati nella direzione della comunitá della Sierra di Cordova.
I “Fratelli della Purezza” come gli altri gruppi ismailiti consideravano l'ambito della Rivelazione, anzi l'ambito delle rivelazioni come lo spazio proprio della libertá e dello sviluppo dell'Uomo nella sua interezza.
Questo spazio oggi è andato perduto. Le Rivelazioni si sono chiuse su se stesse, amputando l'anima umana di una parte forse decisiva del suo mondo.
Certamente questa libertá e questo spazio furono il tesoro che Ibn Masarra portó con sé da Bassora a Cordova.


Duh'l Nun l'Egiziano


Sempre secondo Garaudy Ibn Masarra conobbe in Egitto Duh'l Nun, un grande maestro Sufi che viveva asceticamente nel deserto ossessionato dal desiderio dell'unione don Dio.
Attraverso di lui Ibn Masarra conobbe lo gnosticismo neoplatonico. Questo pensiero si era diffuso nel mondo islamico attraverso due opere apocrife: “La teologia di Aristotele” che è una compilazione delle Enneadi di Plotino , precisamente della IV, V, VI e una raccolta di scritti attribuiti ad Empedocle che contenvano, invece, una sintesi del pensiero dei neoplatonici alessandrini. Il tema di queste opere 'e la ricerca dell'Unitá con l'Uno. Duh'l Nun definiva l'unitá con Dio nel modo seguente:


“L'autentica conoscenza dell'Uno è il cuore illuminato da Dio stesso”,


commentando cosí un importante hadith del Profeta:


“Quando amo il mio servo, Io, il Signore, sono le sue orecchie, affinché egli possa udire per mezzo mio; la sua lingua perché possa parlare per mezzo mio, e la sua mano, perché per mezzo mio possa agire”.


Il Ritorno a Cordova


Ritornato nella Sierra di Cordova riprese il suo insegnamento avvolto in uno spesso manto di simboli esoterici. Organizzó la sua scuola in senso strettamente gerarchico, ponendo tutta la sua attenzione nella scelta di pochi discepoli e nella loro direzione spirutuale. Qui egli realizzó la prima sintesi filosofica delle tradizioni mistiche dell'Asia e dell'Africa.
Nella Sierra di Cordova morí, a soli cinquant'anni, circondato dall'ostilitá dei religiosi ortodossi.


A cura di genseki

venerdì, maggio 02, 2008

Fuçûç el-Hikam

Il credente loda soltanto la divinitá che è compresa nel suo credo e a questa aderisce: egli non puó compiere alchun atto che no lo riconduca a se stesso, e allo stesso modo nulla vi è ch'egli lodi senza lodare se stesso. Perché è indubbio che chi loda l'opera ne loda l'autore; la bellezza e la sua assenza ricadono sull'artefice. La divinitá nella quale si crede è plasmata da colui che la concepisce, essa è quindi la sua opera, la lode rivolta a ció che crede è l'elogio diretto a se stesso. Proprio per questo egli condanna qualsiasi credo differente dal proprio; se egli fosse giusto non lo farebbe, ma lo fa, perché resta fermo su di un particolare oggetto di adorazione, è chiaramente nell'ignoranza e per tale motivo il suo credo in Dio implica la negazione di tutto quanto è diverso da esso: se conoscesse il detto di Junaid - Il colore dell'acqua è quello del suo recipiente - consiglierebbe a ogni credente di credere a ció che egli crede, conoscerebbe Dio in ogni forma e in ogni oggetto di credenza, e per questo Allah ha detto: "Io sono conforme all'opinione che il mio servo ha di me". Cioè io gli appaio nella forma del suo credo, se vuole puó ampliarlo oppure ridurlo. La divinitá in cui si crede assume i limiti del credo ed è questa la divinitá contenuta nel cuore del servo; la Divinitá assoluta non essendo contenuta in nessuna cosa perché essa stessa è l'essenza delle cose e contemporaneamente anche la sua essenza.

Ibn Arabi
Fuçûç el-Hikam

martedì, febbraio 05, 2008

Le linee della vita

Il testo che precede dal Futuhat di Ibn Arabi ha come un'eco lontana, sorda, rara, deformata nei versi di Hölderlin:

Le linee della vita
son molte, diverse
Son come i crinali dei monti,
Pari ai sentieri
Ciò che noi siamo quaggiú
Di là potrá compierlo un Dio
Con premio di pace,
Di eterna armonia.

trad genseki

Questo canto flebile e maestoso, apre uno spazio visuale, forse già in quella torre sul Neckar, su un vasto paesaggio di valli e di monti, e un canto che si avvolge sul mondo e che trascina il nostro sguardo verso l'alto.
Le parole del Doctor Maximus non permettono prospettiva. Il cammino percorso non illumina il cammino da percorrere, il nuovo cammino appare quando il vecchio pareva averci portato definitivamente alla meta e la meta si svela come niente altro che un punto in piú sulla starada e nemmeno un punto panoramico. Ogni cammino trae il suo senso dalla sua meta o dalla sua propria impossibilitá di trovare una meta, di riposare in una meta.
Ogni cammino, per il sodale di Hegel, è un elemento di un disegno e trae il suo senso dalla sua relazione con tutti gli altri percorsi, le strade della vita sono come le linee tracciate con un lapis su di un foglio bianco, allontaniamo lo sguardo, per qualche altra incombenza, ed ecco apparire un volto, un albero, quel volto, quel fiore.
Ma chi puó veder il disegno della vita?

Il Folle della Torre e il Grande Sceicco si guardano per un istante nel sogno di queste righe.

genseki

La sosta e il cammmino



Quando lungo il tuo cammino ti avvicini ad una una stazione esclamando: “Finamlmente ho raggiunto la mia meta!” ecco che, proprio allora, una nuova strada si apre davanti a te. Ti procuri le provviste necessarie ad un nuovo viaggio e parti. Non c'è nessuna stazione , sul tuo cammino che tu non accolga dicendo: “Alla buon'ora ho guadagnato la mia meta”. Quando la raggiungi davvero, tuttavia, non trascorrerá molto tempo prima che tu decida di metterti in viaggio ancora una volta”

Futuhat
Trad. genseki

giovedì, marzo 01, 2007

Ibn Arabi e il Mondo Imaginale



"Barzakh" è la congiunzione di due mari: il mare dei significati spirituali e il mare degli oggetti sensoriali. Le cose sensoriali non possono essere significati e i significati non possono essere sensoriali. Peró il mondo Imaginale o "barzakh", da forma corporea ai significati.
Il Mondo Imaginale è uno dei concetti piú significativi dell'opera di Ibn Arabi: esso coincide in parte con il "barzakh" e con il ""barzakh"”.
Nella teologia classica islamica il "barzakh" è lo stato intermedio che segue inmediatamente la morte:

Li ognuno esperimenterá di nuovo quello che fece in vita poi saranno restituiti ad Allah il lo vero Signore e si dissolveranno tutte le loro illusioni”- Corano 10, 30.

Lo spazio nel quale avviene questa esperienza è quello che nella teologia viene chiamato "barzakh".
Nel "barzakh" il contenuto del proprio sé si riversa all'esterno e il suo contenuto si esperisce come quello di un universo che ruota intorno a noi, proprio come in un sogno in cui paure e ansie possono assumere forme e apparenze concrete, nel "barzakh" si esperimenta come concreta la sostanza propria dell'anima che si manifesta in un vero e proprio mondo di immagini reali. La realtá del "barzakh" é, tuttavia, piú reale della realtá del mondo in cui viviamo, relativamente alla gerarchia della creazione e, quindi la nostra esperienza nel "barzakh" é corrispondentemente piú intensa. Il se si trova ad interagire con un universo che non é nient'altro che una rappresentazione, un'immagine viva della nostra interioritá, uno specchio della nostra autentica natura.

Cosí il "barzakh" puó assumere l'aspetto di un giardino del Paradiso o di un incubo o di una mescolanza delle due cose, secondo il contenuto proprio del se di ciascuno..
Nel pensiero di Ibn Arabi questo concetto teologico è profondamente rimodellato, ferma restando la sua base coranica.

In Ibn Arabi, il termine "barzakh" ha un duplice significato. Egli lo impiega, in primo luogo, per indicare il mondo delle immangini (amtal) che rappresenta il quarto dei cinque mondi o awalim, in ordine discendente, ovvero il mondo che, dal punto di vista ontologico, costituisce il terreno intermedio di contatto tra il mondo puramente sensibile e quello puramente spirituale. Questo è il mondo nel quale viene a trovarsi l'anima dei defunti prima del Giudizio, ma è anche il mondo in cui ha luogo il “Tawhid”, la rivelazione profetica che quindi in qualche modo coincide con l'esperienza della morte, così che morire sembra significare aderire definitivamente al “Tawhid”, farsi uno con la propria profezia.
Il secondo significato di "barzakh" in Ibn Arabi è quello di: “stato intermedio che si situa sempre tra due Awalim”. Tra due Awalim c'è sempre un "barzakh".
Gli awalim sono 5 e quindi i "barzakh" possibli sono 4, secondo lo schema seguente:

Mondo dell'essenza
"barzakh" 1
Mondo dei Nomi
"barzakh" 2
Mondo dell'azione
"barzakh" 3
Mondo delle Immagini
"barzakh" 4
Mondo sensibile

Il primo impiego del termine "barzakh" si situa sul piano esistenziale, sul piano dell'esperienza individuale e dell'esperienza profetica.
Il secondo impiego invece si situa sul piano ontologico.
Per comprendere come sia possibile l'impiego di questo stesso termine in due accezioni apparentemente tanto diverse occorre tener presente che il Mondo delle Immagini è esso stesso un "barzakh", dal momento che è un piano intermedio tra il mondo sensibile e gli altri mondi che sono tutti mondi assolutamente spirituali.
Il Mondo delle Immagini, cioè, è un Mondo-"barzakh".
Estendendo questa interpretazione si puó giungere anche ad affermare che anche il Mondo dei Nomi e il Mondo delle Azioni, sono "barzakh" uno relativamente all'altro e il primo al Mondo dell'essenza, il secondo al Mondo delle Immagini.
Lo schema precedente dovrebbe quindi essere riletto nel modo seguente:

Mondo dell'Essenza
Mondo-"barzakh" dei Nomi
Mondo-"barzakh" delle Azioni
Mondo-"barzakh" delle Immagini
Mondo Sensibile.

Effettivamente scrive Ibn Arabi:
Tra questo mondo e la resurrezione ci sono i livelli intermedi "barzakh" ciascuno con i suoi limiti ... essi non né realtá essenziali, né puri effetti. Essi dicono a Dio: “Sia” e Dio li crea, come puó un uomo mortale fugire alla loro influenza? ...
Attraverso di loro appaiono i segno e i miracoli...
La parola “"barzakh
"” è l'espressione di qualche cosa che separa nel modo in cui una linea separa la luce dall'ombra senza che una si confonda con l'altra, ma nessuno dei sensi puó percepire che cosa separi i due elementi anche se l'intelletto comprende che c'è qualche cosa che separa, la separazione percepita dall'intelletto è per l'appunto il “"barzakh"”.

A questo punto dell'esposizione si puó intuire che qualche cosa di analogo al "barzakh" si trova nella tradizione buddista degli stati di bardo.

Continua Ibn Arabi:

“Il “"barzakh"” è qualche cosa che separa il conoscibile dall'inconoscibile, l'esistente dal non esistente, l'intellegibile dall`inintellegibile, l'affermato dal negato.
Esso è comprensibile in se stesso ma non é nient'altro che immagine immaginata. Questa immagine immaginata non é nè interamente esistente e neppure interamente inesistente, non é interamente conoscibile né inconoscibile, affermata o negata.
È come quando si percepisce in uno specchio: la persono sa che in un certo senso ha percepito qiualche cosa e in un certo senso non ha percepito nulla.
Alcuni uomini percepiscono questa dimensione nel sogno, e altri dopo la morte. La perana vede allora qualitá e caratteristiche
morali e spirituali come forme autosussistenti con le quali conversa come se fossero corpi umani”.

Qui, invece, quello che viene irresistibilmente in mente sono le conversazioni di Dante nel corso dl suo viaggio. Che si tratti di un viaggio nel “"barzakh"”?

Il ""malakut"" è la parola con cui il "barzakh" è definito nella tradizone iraniana dell '”Ishraq”.
"malakut"" e "barzakh" coincidono. "barzakh" peró è anche il mondo dgli angeli “malaika” , delle anime. In "malakut" si svolgono tutti i riti e si ripetono tutti i miti, hanno luogo tutte le rivelazioni. È il mondo dell'immaginazione oggettiva. Questo mondo ha una sua storia e una sua geografia. La sua storia possiamo conoscerla grazie al taw'il. La geografia del "malakut", il suo paesaggio, sono la proiezione dei nostri stati interiori, in questo mondo essi prendono la forma di fiori o di alberi, di palazzi, di vergini, di laghi e di montagne. Queste forme di "malakut" sono esteriori ma contemporaneamente costituiscono realmente l'interioritá psichica dell'uomo che si trova immerso in esse. Sono i suoi attributi, i suoi modi di essere. Per questo, secondo Ibn Arabi, l'atto stesso è la sua retribuzione e la retribuzione è l'atto stesso.
Oggi, nella nostra societá ogni forma di fiducia nelle rivelazioni e nel “taw'il” è letteralmente scomparsa dal senso comune.
Uno spazio immenso è rimasto vuoto: lo spazio oggettivo della rappresentazione degli stati interiori.
Esso viene riempito con i prodotti dell'industria dell'immaginario: il Mondo Intermedio, il “barzakh” è per moltissimi il mondi della televisione, dei Grandi Fratelli, dei videogiochi, il mondo delle rivelazioni e delle profezie è considerato superstizione, esoterismo, ignoranza esotica.
L'aggressione della merce penetra nel mondo interiore e lo inaridisce, chiude l'accesso alla veritá del corpo, alla realtá del nostro essere nel mondo.
Al nostro interno dentro di noi, cerchiamo la nostra terra la patria che ha il nostro stesso volto.


Gli Arconti


Sottile è la presenza degli Arconti
Appena un incresparsi
Della Luce
Ad avvertirla per primi
Sono i topi
Si stringono nei cappottini
Di pelo grigio
Con consumata umiltá
Poi egli distende le braccia
Nell'aria tiepida, profumata
Ad accogliere i chiodi
Nei palmi
E tutto si bagna
Di sangue
Di luce.
*
La cittá di Jabalsa
È tutta di rame
Gli Arconti sono voci concave – qui -
Rintocchi
Tra i vicoli rossi
Sulle piazze roventi.
La ali di Yibril
Hanno il suono
Di mille vetrate
Frantumate
In una notte di nebbia
Ma non c'è nebbia
A Jabalsa
Solo un cielo
Azzurro o nero
Puro come uno smalto.
Accanto
A questo antico pozzo
Lo attendiamo
Fedeli
Nell'ora esatta dell'appuntamento
Una brezza leggera
Ci sfiora
Profumata di fieno
Montano
Nella terra di Hurqalya.
*
genseki

giovedì, gennaio 11, 2007

Tanzih e Tasbih


Ibn Arabi
La dialettica tra tanzih e tasbih

Tanzih e tasbih sono due termini che Ibn Arabi trae dalla teologia islamica tradizionale e che impiega per indicare l'aspetto occulto e l'aspetto autorivelatore dell'assoluto.
Il significato di tanzih nella teologia é quello di considerare l'assoluto in quanto Dio come totalmente libero da qualunque imperfezione. Questo vuol dire che nella forna del tanzih Dio è concepito come essenzalmente incomparabile con ciascuna delle sue creature, cioè come assolutamente trascendente. Il tanzih é il modo naturale con il quale la ragione tende a rappresentarsi l'assoluto come Dio.
In questo senso il discorso di Ratzinger a Ratisbona vede l'Islam come una religione dominata dal tanzih, in quanto esso rifiuterebbe a livello teologico qualsiasi relazione tra la ragione umana e Dio, tra Logos e Dio. Evidentemente il tanzih é solo una possibilitá per l'Islam, come per il cristianesimo all'interno di una dialettica molto piú complessa, come vedremo di illustrare nelle righe seguenti.
Il tasbih, invece, é la concezione dell'assoluto in quanto Dio come esso si autorivela nella sue creature.
Per Ibn Arabi il tanzih rappresenta l'assolutezza dell'assoluto e il tasbih la sua determinazione.
Per lui quindi i due termini non vanno concepiti come opposti quando piuttosto come complementari. Ibn Arabi definisce una dialettica di tanzih e tasbih nel quadro della conoscenza, possibile all'uomo dell'assoluto.
Il tanzih e il tasbih sono entrambi parziali. Infatti concepire Dio in modo che sia totalmente separato da qualsiasi creatura è ancora una maniera di limitarlo e di restringerlo.
Secondo Ibn Arabi vi sono due tipi di tanzih: il subuh che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo che significhi imperfezione e il quddus che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo degli esseri possibili, ogni connessione con gli esseri sensibili e ogni qualitá pensabile o immaginabile. Il secondo tipo di tanzih é detto “tanzih del sapere inmediato” e è rappresentato dal profeta Enoch, il primo dal profeta Noé. Il tanzih coincide largamente con la teologia negativa o apofatica da Massimo il Confessore a Dionigi Aeropagita fino a Nicola Cusano.
Ibn Arabi afferma tuttavia che la vera comprensione del'Assoluto é resa possibile solo dalla combinazione di tanzih e tasbih. Questa combinazione dialettica e detta da Ibn Arabi Qu'ran, Corano.
Nella teologia islamica tradizionale il tanzih è identificato con l'idolatria e il tasbih con il monoteismo.
In Ibn Arabi la vera adorazione dell'Assoluto è dialettica: il versetto coranico: “Il tuo Signore ha stabilito che solo a Lui va reso il culto” va interpretato che qualunque sia l'oggetto di culto in realtá attraverso di esso non si fa altro che adorare l'Assoluto. Infatti, siccome nel vero senso della parola nulla esiste realmente al di fuori dell'Assoluto, chiunque adori qualche cosa in realtá lo fa perché rconosce in essa, al di lá della sua esistenza fenomenica fallace, la luce dell'Assoluto. In questo senso politeismo e monoteismo sono due modi complementari di conoscere e adorare l'Assoluto.
Collegata alla relazione dialettica tasbih-tanzih é la coppia Uno- molteplici.
Il tasbih consiste nel riconoscere l'Uno nei molteplici, il tanzih nel negare i molteplici nell'Uno. La conoscenza dell'Assoluto consiste nella comprensione della veritá per cui l'Assoluto consiste nell'Uno e nei Molteplici insieme.
L'Islam è, secondo Ibn Arabi la sola religione in cui tasbih e tanzih siano compresi correttamente nella loro reciproca relazione. Questo è reso possibile integrando il mondo fenomenico conoscibile nell'Assoluto inconoscibile. Nell'Islam l'uomo prende coscienza dell' Unitá di tutti gli attributi divini sapendo peró che ciascuno degli attributi si realizza concretamente nel mondo fenomenico come oggetto o come avvenimento. In questo senso l'Assoluto non é pura astrazione razionale, bensì la base essenziale del mondo, la sorgente dell'essere. L'Assoluto cosí concepito corrisponde al Nome “Il Misericordioso” che viene ad essere il piú perfetto dei Nomi di Dio, quello che contiene tutti gli altri nomi.
Il tasbih corrisponde all'Immaginazione e il tanzih corrisponde alla Ragione. Nella Rivelazione coranica la Ragione e l'Immaginazione di armonizzano.
Una forma del tasbih particolarmente poetica e sorprendentemente lontana nel tempo e nello spazio dal Mondo del Doctor Maximus è data da Ernesto Cardenal:

Io che sembravo essere, tra tutte le persone della terra, colui che era piú fortemente destinato all'amore umano, all'amore sessuale, colui che piú di chiunque altro era nato per questo, il piú sensuale dei poeti, proprio io.: condannato alla castrzione del celibato (peró castrazione spirituale, che non estingue l'amore sessuale), condannato a non toccar donna a vivere per tutta la vita una vita perduta. Tu, l'inventore del sesso, Amore Infinito, premierai il mio cuoe: In questo mondo il mio amore per le donne è rimasto per sempre insaziato. Tu dovrai saziarlo quando celebreremo le nostre nozze. Tu dovrai riempire questo cuore vuoto.
...
Questa notte ho sognato che baciavo una ragazza che fu la mia fidanzata, e mi sono svegliato sentendo sulle labbra il sapore di quei baci. E la vivissima sensazione che mai piú nella mia vita sarei tornato a baciare altre labbra io che ero un essere nato specialmente per baciare, e che se c'erano labbra fatte per baciare quelle erano proprio le mie di labbra. Che cosa feci allora? Stringevo piú forte Dio contro il mio petto, avvicinavo di piú la mia anima a Lui. Mi inondava il Suo amore, un amore senza labbra, senza seni da toccare, un amore senza niente, l'amore puro. Amore, Ti diró una cosa: credono che il tuo amore non abbia niente a che vedere con l'amore del mondo, l'amore dei baci e degli abbracci, l'amore del letto, l'amore libidinoso, l'amore; e, in veritá, con queste labbra mie libidinose mi sono unito con Te senza labbra, oltre il bacio delle labbra, con quello stesso amore che sarebbe stato libidinoso in un ballo e questa mattina nella comunione, nella cappella del seminario, c'è soltanto amore, ouro amore. Sarebbe da raccontare quello che erano per me le ragazze. Le adoravo come Dio. E avevo ragione, lo vedo chiaramente ora, perché riflettevano Dio, c'era uno splendore divino che brillava in loro, de era questo che mi faceva impazzire, come potrebbe non far impazzire Dio, ma il fatto era che nessuna di loro cosí belle, era Dio, la ragazza che non invecchia che dice Fernando Gonzalez. Nessuna era la bellezza totale, bensí riflessi frammentati di tale bellezza, come pezzi di uno specchio rotto. Peró adesso esse non erano nulla o quasi nulla per me che avevo provato un sorso, soltanto un sorso del diletto di Dio. Da allora lo splendore dei loro volti impallidì fino a divenire quasi invisibile, come la fiamma di una candela davanti al sole. Tuttavia come mi accese l'umana bellezza che brillava nell'oscuritá.
...
Parlai a Eduardo Perilla il cowboy ... di come la bellezza delle ragazze ci possa condurre a Dio. Gli parlai dei tre modi di conoscere Dio: l'affermativo, il negativo e quello per eminenza. Per il primo tutta la bellezza che sta in una ragazza sta anche in Dio (tasbih), per il secondo ogni mancanza di bellezza che sta in una ragazza non sta in Dio (tanzih), per il terzo ogni bellezza che sta in una ragazza sta sommamente in Dio. (tasbih) E gli dissi che secondo San Paolo la bellezza invisibile di Dio la possiamo conoscere attraverso la bellezza di questo mondo visibile. Così il sorriso di una ragazza ci rivela un attributo speciale di Dio, l'attributo Sorriso (Ibn Arabi parlerebbe di nomi; del nome Sorriso). Il Sorriso Infinito, perché in Dio tutto è infinito.
Ernesto Cardenal
Las insulas extrañas (trad. Genseki)

E questo dimostra ancora una volta a quale profonditá si incontrino e si incrocino quelle radici che tanti si ostinano a confondere con gli steli.
Sarebbe interessante continuare ad esplorare questa rete che unisce un mistico arabo-andaluso di Murcia ad un prete sandinista e tutti e due a Plotino prendendo in considerazione la relazione tra le coppie tanzh-tasbih e nirvana-samsara e spero di poterlo fare presto in un nuovo articolo.


genseki

mercoledì, novembre 29, 2006

I cinque mondi


Ibn Arabi
I cinque Mondi
^*^

Per Ibn Arabi la realtá come la percepiamo nella nostra vita quotidiana, è illusione, sogno. Non si tratta peró di un sogno o di un'illusione soggettiva.
L'illusione della realtá quotidiana è un'illusione oggettiva.
Il mondo in cui viviamo non si situa sul piano della pienezza della realtà ma su un piano in cui la realtà risulta indebolita sebbene risponda a leggi intersoggettive.
Secondo Ibn Arabi l'essere si articola in piani che egli chiama mondi e che corrispondono allo schema seguente:

Il Mondo dell'essenza
Al-gayb al-mutlaq
L'assenza di manifestazione

Il Mondo degli attributi e dei nomi
Uluhiyya
La Presenza della Divinitá

Il Mondo dell'azione
Rububiyya
Il Dominio

Il Mondo delle Immagini
Alam al-mital

Il Mondo dei sensi
Musahada

Il Mondo delle Immagini: Alam al-Mital è, da un punto di vista ontologico, un terreno intermedio di contatto tra il mondo puramente sensibile e il mondo puramente spirituale, o immateriale.
Esso corrisponde in quelche modo al concetto di Barzakh e al Mondo Intermedio di Sohravardì:
questo è un mondo nel quale si ritrova tutta la ricchezza e la varietá del mondo sensibile, ma in forma sottile. In esso si trovano le cottá mostiche di Jabalqa, Jabarsa e Hurqalqa.
Mi pare anche interessante l'approssimazione al mondo delle immagini che si trova nell'opera di C. S. Lewis “Perelandra”:

“Ogni distinzione tra accidentale e pianificato, così come la distinzione tra realtá e mito era puramente terrestre. Il modello è tanto ampio che dentro il quadro ristretto dell'esperienza terrestre appaiono frammenti di esso tali che noi non siamo in grado di scorgerne la connessione, e altri, invece tra i quali siamo in grado di scorgerla. Per questo distinguiamo chiaramente, per la nostra immediata utilitá, l'essenziale dall'accidentale. Se usciamo peró da questo quadro la distizione intera cade nel vuoto agitando vanamente le ali”.

Il pensiero di Ibn Arabi è puramente ontologico e la sua ontologia non è speculativo quanto piuttosto esperienziale, dipende dalla sua propria intuizine mistica diretta.
Questa esperienza lo porta a considerare cinque piani dell'essere paralleli ai cinque mondi.
L'essere assoluto contemplato nell'esperienza dell'estasi si rivela al contemlante in modi e gradi infiniti che sono da Ibn Arabi classificati, appunto in cinque gradi in ciscuno dei quali l'Essere Assoluto si rivela e si manifesta in modo piú determinato e più concreto e quindi si disvela.
Il primo di questi cinque gradi rappresenta l'assoluto prima che inizi a manifestarsi o a rivelarsi nei piani successivi.
Nella terminologia di Ibn Arabi ogni grado di manifestazione si chiama “hadra” cioè presenza. L'essere in tutti i livelli del suo disvelamento mantiene il nome di “Haqq” Assoluto
Per indicare il disvelamento egli impiega la parola “tayalli
Lo schema dei piani di manifestazione è il seguente:
Haqq
Primo Hadra
No tayalli

Haqq
Secondo Hadra: Dio
tayalli

Haqq
Terzo Hadra: Il Signore
tayalli

Haqq
Quarto Hadra: Il mondo delle immagini
tayalli

Haqq
Quinto Hadra: Il Mondo Sensibile
tayalli

Il primo hadra non è un tayalli ma è la fonte di tutti i tayalli. Tutti i piani stanno tra loro in rapporti di corrispondenza tali che a ogni forma di un hadra superiore corrisponde una forma di ogni hadra inferiore.

genseki

martedì, novembre 21, 2006

La sintesi degli opposti II

Il testo seguente di Efrem Siro, Padre della Chiesa, sembra l'esposizione poetica della tesi di Ibn Arabi che sulla sintesi degli opposti e questo è uno dei tenti piccoli esempi di come le radici si diramino, nella vita dello spirito in direzioni imprevedibile ai neocristiani o cristianisti e a tutti i cultori dell'esclusivismo culturale.
genseki

Inno contro Bar-Daisan

C'è un Essere, che conosce se stesso e se stesso contempla
In se stesso abita
Da se stesso di diffonde.
Gloria al Suo Nome.
Per Sua propria volontà è in ogni luogo
Invisibile e visibile
Manifesto e nascosto
In alto si trova,
In basso.
Familiare e generoso della Sua grazia con gli umili,
Per questo si eleva piú sublime, è esaltato come alla Sua Gloria conviene, al di sopra dei grandi.
Il piú rapido non eguaglia la sua velocità
Il piú lento non esaurisce la sua pazienza
Egli precede tutto e tutto segue
È nel centro di tutto.
Egli è quel mare,
Nel quale nuota tutta la creazione.
Come le acque avvolgono i pesci in tutti i loro movimenti,
Cosi il Creatore si veste del creato,
Con il grande e con il piccolo.
Come i pesci si nascondono nelle acque
Così si celano in Dio altezza e profonditá,
Prossimitá e lontananza,
Con ciò che vi dimora.
E come l'acqua si ritrova con i pesci dovunque vada,
Così Dio si ritrova con chiunque cammini.
E come l'acqua tocca il pesce in qualunque rotazione,
Così Dio accompagna e osserva ogni uomo in ogni sua azione.
Gli uomini non possono muovere la terra, che è il loro carro,
E nessuno, si allontana dall'Unico Giusto, che è il suo socio.
L'Unico Buono è unito al corpo,
È la luce dei suoi occhi.
Nessun uomo puó sfuggire alla sua anima,
Essa resta con Lui
Nessun uomo si cela al Buono
Giacchè questi lo avvolge.
Come l'acqua avvolge il pesce e questi la percepisce,
Così tutte le nature percepiscono Dio.
Egli si diffonde nell'aria,
Il suo respiro entra nel tuo intimo
Egli è una cosa sola con la luce,
E quando guardi ti penetra negli occhi
Egli è una sola cosa col tuo spirito,
Ti osseva da dentro, per sapere chi sei.
Egli vive nel tuo spirito
E nulla v'è che ignori del tuo cuore
Come la mente precede sempre il corpo
Così Egli esamina la tua anima prima di te.
E come il pensiero precede sempre l'atto
Così il pensiero suo conosce i tuoi progetti.
Comparato con la sua impalpabilitá,
È corpo la tua anima, spirito la carne tua.
Egli, che ti creó, è l'anima dell'anima tua
Spirito del tuo spirito,
Distinto da tutto
A tutto resta unito,
E manifesto in tutto,
Un gran prodigio, una meraviglia nascosta.
Egli è l'Essere la cui essenza nessun uomo sa spiegare.
Egli è il Potere la cui profonditá è inesprimibile.
Tra le cose viste e quelle nascoste
Non v'è nulla di comparabile a Lui.
Egli è colui che creò e formò dal nulla
Tutto quello che è.
Dio disse:
Sia fatta la luce!
Una cosa creata.
Egli fece l'oscuritá e cadde la notte.
Osserva: una cosa creata.
Fuoco nelle pietre,
Acqua nelle rocce:
L'Essere le creò.
C'è un potere che le trasse dal nulla.
Contempla
Anche ora, il fuoco non si accumula nella terra
Guarda! Sempre è di nuovo creato
Per mezzo delle pietre focaie.
Egli è quell'Essere che produce la sua Essenza
Da se stesso, e che la sostiene
Quando vuole la accende,
Quando vuole la spegne
E ottiene l'attenzione dell'ostinato.
Nel grande pioppeto si accende un fuoco per frizione di legna
La fiamma divora,
Cresce in forza,
Per finir soccombendo.
Se fuoco e acqua sono Esseri e non creature,
Dove stavano le loro radici?
...
trad. Genseki

domenica, novembre 12, 2006

La sintesi degli opposti


Al-Jarraz che era uno ei molteplici aspetti dell'Assoluto e una delle sue molte lingue, disse che Dio non può essere conosciuto se non si predicano di lui gli opposti in maniera simultanea. Così l'Assoluto è il Primo e l'Ultimo, Esterriore e Interiore. È, semplicemente quello che appare esternamente occultandosi internamente, considerando che proprio nel momento in cui appare esternamente si occulta intrenamente.
Nessuno vede l'Assoluto se non l'Assoluto stesso, e, tuttavia, l'Assoluto non si cela a nessuno. È l'Esteriore che si manifesta a se stesso.
...
L'Interiore contraddice all'Esteriore quando questi dice "Io". Lo stesso avviene con tutte le coppie di opposti. In tutti i casi chi dice qualche cosa é uno, chi ode è il medesimo. Questo ragionamento si fonda sulle parole del Profeta: "e quello che le loro anime dicono loro", dove si vede chiaramente che è l'anima quella che dice e nello stesso tempo quella che ode, colei che conosce quello che ha detto. L'essenza è una, molteplici gli aspetti. Nessuno puó ignorarlo, tutti ne siamo consapevoli nel nostro intimo, nella misura in cui siamo forme dell'Assoluto.
Ibn Arabi
Fusus al-Hikam

venerdì, ottobre 13, 2006

Incontri con Khidr



Ibn Arabi ebbe numerosi incontri con Khidr . Il primo avvenne quando era ancora studente a Siviglia. Egli aveva appena abbandonato il suo maestro Abu’l-Hasan al-Orvani con il quale aveva avuto uno scontro relativamente all’identitá di una persona cui sarebbe apparso il Profeta. A una svolta del cammino uno sconosciuto gli si avvicinó e gli disse: “Oh Mohammed! Abbi fiducia nel tuo maestro. Aveva ragione lui!” L’adolescente ritornó sui suoi passi per dire al suo maestro che aveva cambiato di idea. Appena lo vide questi lo apostrofó senza nemmeno lasciare che aprisse la bocca: “sarà necessario che ti appaia Khidr ogni volta che hai una discussione con me?”

Il secondo incontro avvenne sull’acqua, a Tunisi, nel porto, in una rovente notte di luna piena. Ibn Arabi dorme nella cabina di un battello ancorato nel porto, ma non dorme bene, una sensazione di malessere lo opprime. Esce dalla cabina, sale al ponte. L’equipaggio dorme. Per prendere aria si affaccia a un bordo ed ecco che vede avvicinarsi qualcuno che passeggia sulla superficie dell’acqua come fosse solida. Questa persona parla e discute a lungo con lui per poi scomparire in una grotta scavata in un monte a molti chilometri da Tunisi.
Il giorno dopo, uno sconosciuto lo ferma e gli domanda: “Allora, come è andata iei con Khidr?”

Ma l’incontro decisivo, il più importante avvenne nell’anno1204 a Bagdad. Dopo una breve sosta in questa città, Ibn Arabi si era diretto a Mosul attratto dall’insegnamento e dalla reputaione del maestro sufi Ali ibn Jami. Questi aveva ricevuto da Khidr in persona l’ordinazione e la trasmissione della Khirqa.

Scrive lo stesso Ibn Arabi: “Ali ibn Abdollah ibn Jami viveva in un orto di sua proprietá appena fuori Mosul. Quive Khidr lo aveva ordinato imponendogli la Khirqa in presnza di Qadib Alban. In quello stesso giardino ove Khidr lo aveva ordinato trasmettendogli il manto, egli, con la stessa cerimonia, ordinó anche me. Io ero giá stato ordinato, ma in modo indiretto, per mano di un amico Taquioddin Ibn Abdirrahman, che, a sua volta, aveva ricevuto la trasmissione da Sadroddin, Sceicco di Sceicchi in Egitto... il cui nonno la aveva ricevuta dalle mani del Khidr. Fu a partire da questo momento che cominciai a parlare dell’ordinazione del manto e a conferirla a certe persone, poi compresi la importanza che Khidr attribuiva a questo rito. Anteriormente io non parlavo di questo manto che ora è tanto conosciuto. Il manto, effettivamente, è un simbolo di fraternitá per noi, il segno che condividiamo la pratica dello stesso ethos.. Si é diffusa tra i maestri mistici il costume che, quando constatano qualche mancanza in qualcuno dei loro discepoli, lo Sceicco si identifica mentalmente con lo stato di perfezione que si propone di trasmettere. Una volta raggiunta questa identificazione, prende il manto che porta in quel momento preciso, lo toglie e ne copre il discepolo il cui stato spiritouale vuol perfezionare. Così lo Sceicco comunica al suo discepolo lo stato spirituale prodotto in se stesso, in modo che la sua stessa perfezione si realizzi nel discepolo. Tale è il rito della investitura, ben conosciuto tra di noi, e che ci è stato trasmesso dai nostri Sceicchi di maggior esperienza”.

lunedì, ottobre 02, 2006

Il Velo, Il Simbolo, la Poesia





















Ibn Arabi

La poesia è limitata ed è, per eccellenza, l'ambito del simbolo e dell'enigma. Nella stessa chiarezza dell'evidenza stanno il simbolo e l'enigma delle cose.

*

Nell'evidenza e nell'intuizione Mi nascondo da coloro che si accontentano dei veli.

*

La luce è un velo e anche l'oscurità è un velo. Nella linea fra entrambe troverai ciò che è di maggior profitto.

*

Dio mi disse: "Il silenzio è la tua realtà essenziale ... il silenzio non è altro che te stesso, anche se non si riferisce a te.
...
Con la parola ti ho creato e il verbo è la realtà essenziale del tuo silenzio, di modo che, anche se parli, taci.

*

L'alif rimane in silenzio mentre lettere parlano. L'alif rticola le lettere, però le lettere non articolano l'alif. Le lettere si combinano e si compongono a partire dall'alif e l'alif le accompagna sempre in modo non percepito.

A cura di genseki