giovedì, luglio 27, 2006

Ben Waddah


Ben Waddah, Ahmed (Murcia, 1135)



Mi meraviglio dell’ingratitudine dell’arco
Non è leale con i colombi della macchia

Quando era ramo fu loro amico
Ora ch’è arco non ne ha pietá.
Tali le metamorfosi del tempo

Trad. genseki

Ben Waddah scrive queste righe immerso negli orti, nella profonditá verde dei palmeti e delle canne con l’odore dell’acqua verde come il bronzo.
L’acqua ha un odore, nel fondo degli orti, la geometria degli orti è perfetta
L’acqua delinea i perimetri, circoscrive, separa, definisce e traccia.
Intornio la terra è rossa e bianca e i pini montani si disfano in vaghe trasparenze.
Il bianco e il grigio dei colombi in fondo alla macchia è fresco, appartiene al mondo dell’acqua, al gorgogliare, al mormorio. Naturalmente tutto questo non lo sappiamo, possiamo solo immaginarlo ampliando scorci casualmente sopravissuti alla calcificazione.
Lontano sta la cittá. Ma pure la cittá è un labirinto di cortili e di giardini, dove gli animali, cani soprattutto sono importanti protagonisti.
Sulla cittá i minareti
Come funghi azzurri.

Questo testo puó evocare il momento in cui nacque come pura calligrafia, come gioco di parallelismi.

Il primo movimento è circolare e va dall’arco ai colombi e dai colombi all’arco.
Esso è diviso in quattro segmenti, il primo e il terzo, il secondo e il quarto sono in relazione metamorfica l’uno cn l’altro. L’arco si trasforma in ramo, i colombi passano dall’immobilitá al volo (dalla sicurezza al timore).
L’ultimo verso introduce la direzione: il tempo che corrisponde al diametro
del circolo appena descritto.
La direzione é antioraria, il tempo va dall’arco al ramo, come in una pellicola proiettata all’indietro.

Vediamo l’arco ritornare legno nella mano dell’artigiano e poi ramo nelle mani del boscaiolo che delicatamente pare ricollocarlo nel suo punto di incastro sul tronco del vecchio albero frondoso.
Ecco il frullo palpitante del volo dei colombi si immobilizza in un punto impercettibile di quiete e come attratti da una forza invisibile essi si appoggiano di nuovo su ramo che un attimo prima li seguiva sotto forma di freccia.

Poi di nuovo udiamo lo sciacquio pigro dell’acqua tra le canne scure e l’odore delle pesche che marciscono nell’orto.

Questo breve testo inutile è dedicato a Hezbollah a Hassa Nasrallah ai suoi combattenti, ai suoi martiri.

genseki

giovedì, luglio 20, 2006

Canti di Lontananza


Laura Silvestri


Qui intorno non c’é proprio miente, anche la luce bianca e spessa sembra un limite, un blocco livido, diffuso, una gelatina appiccicosa che copre le pietre, si fa trascinare dal vento, fino a trattenere perfino la notte oltre il confine.

martedì, luglio 18, 2006

Autografa Gamma



Poesie di genseki

*

La terra nutre le ali
La terra le nutre e le rende alla notte
La notte al fuoco
Alla morte delle stelle

Son ali e furono polvere
Son ali della sete
Consumate di povertá
Sono milioni di milioni di ali
Sui vostri giardini, nei vostri guardaroba, nei nostri cuori
Attraverso i nostri sguardi

Son ali polverose nei vostri quartieri
Ali grige nei nostri polmoni
Sfrigolerebbero se vi fossero candele

Ali
A sparire in un fruscio di ali

Quando la prima lacrima
Si specchierà nell’ultima goccia
Di pioggia
A stento trattenuta
Da un lembo di sonno.

14/07/2006


*

Calasparra

Quanti olivi per fare un paesaggio!

Senza ombre
Dove il verde é un getto
E sale verso il rosso
E si fa trasparente

E l’acqua é luce

Lo sguardo si assottiglia
Fino a farsi lamina
Di vista

Il sole schiaccia il mondo
E lo solleva

Nel suo sogno
Verticale.

*

16/07/2006

*

L’acqua ha il colore del bronzo
La pesantezza sferica
Dello specchio
Che riflette la colonna del sole
Nell’ora verticale
Delle palme.

*

17/07/2006 13:56

*

Troverò il suono
Un giorno,
Il suono cavo
La pulsazione sorda
Che collega le ali delle palme
A quello che resta di me
Scuoiato dal mare
Disperso dalle tenaglie del sale
Sulla graticola delle conifere
Sulla clessidra di colori
Della risacca ?

*

17/07/2006 17:03:29

*

L’ora rovente
Vetrifica il passo e lo sguardo
Sono asceti i pini
In ginocchio sui ciottoli di lava
Il fuoco verde della linfa
Risana
La piaga
Dei conversi..

*

17/07/2006 17:07:28

*

In un via vai di colori
Si perde la trasparenza
Resto fatto di ossa
Sensibili
A ogni soffio
Di sguardo.

18/07/2006 11:36:39

*

Dove raccoglieró i miei occhi
In questo pozzo di luce?
Quando ritroveró il lago
Dove la pupilla si spoglia
Tra guizzi di dorsi
Squamosi
E riflessi di mirti?

18/07/2006 11:40:11

*

I minareti azzurri
Tra i limoni,
L’odore dell’acqua
Tiepida, del legno delle norie
I canali calligrafano il nome di Dio
Sulla pelle degli orti

I cristiani sono carnivori
Hanno orrore delle mosche
E del cuoio

Ci saranno solo coltelli

18/07/2006 14:44

*

mercoledì, luglio 12, 2006

Cristo Arboreo


Ezequiel Martinez Estrada
(1895-1964)


Nella simbologia cristiana la croce è chiamata albero: l’albero della croce. Il suo frutto è il Cristo.
Estrada segue questo cammino simbolico e va oltre. L’albero stesso è il crocifisso. L’albero è natura cristica, la croce è il Cristo.
La natura vegetale è il primo segno profetico del sacrificio divino.
Il sacramento della clorofilla.

genseki




L’amore nella linfa



Strinse la terra le sue matrici
E si fece più urgente
Il martirio clemente
Delle sante radici.

L’albero sedentario
La sua libertà volle
Offrire sottomesso
Al mobile fratello

Si rassegnò a una sorte
Di paralisi fiera
Affinché il mondo fosse
Libero dalla morte

E dentro i sonni atroci
Dell’assogettamento
Si diede in alimento
Ai nipoti feroci

Col temperare il clima,
Rendendo digeribili
I tossici terribili
Della materia prima.

Dié agilitá alla scimmia
E le piume al serpente
Purificó l’ambiente
Che avvelena il carbonio

In fiori e frutta diede
Sua bontá naturale
Si aprí nell’aria uguale
Ad una man che scruta

Ei fece santo il suolo,
Verde, dolce, fecondo
Da lui ebbe l’uccello
La facoltá del volo

Al vegetale deve
La vita l’animale
Che sfugge nelle selve
Alle crudeli belve

Offerse contro l’acqua
La grande chioma aperta
E suggerí al selvaggio
E capanna e piroga.

Patí eterni dolori
Il suo martir fin tanto
Che imparó quel pianto
Che ne profuma i fiori.

Santa é ogni era
Vegetale, ed io sento
Che vi pensa un pensiero
Sottil d’un altro tipo.

Nel mondo non son tante
Le virtú quanti i fiori,
E forse son migliori
Dei santi le piante.

In esse si riassume
Ogni pena e saggezza
Fino a che giunga il giorno
Che ne sveli il profumo.

Anche la meraviglia
Primordiale ne sgorga
Al copiare alle stelle
La semina dei chicchi

Bene é qui ricordare
Quell’antico proverbio
Che nulla piú ci acquieta
Dell’azzurro e del verde

Il mondo verde e azzurro
Ha una legge infallibile
Dare pascolo al bove
E ceppi al Re Saul;

Fiori, alberi, piante
Regno profumato e soave
Cosí rigido e grave
Come gli antichi marmi!

Che in te l’angoscia umana
Le sue ruggini scuota
Mondo che desti al Budda
L’intuizion del Nirvana.


Trad. genseki