venerdì, maggio 29, 2009

Il ritornello

Solo quando la canzone
Stava per finire si rese conto
Dell'importanza ignorata del ritornello
Con la rima in -illo
E tutte quelle altre consonanti liquide
Che facevano pensare a una corrente
Che si allontana per poi riapparire

L'attesa costituiva la sostanza
Di tutta la lunga canzone
L'attesa della conferma della sola
persistenza

Quella del ritorno

genseki

Quando la musica

Quando la muica suonava
Non erano piú luoghi che sognava
Né eventi
Si lasciava consumare dalla vita
Come il cuore di un girasole
Dalle api
In un fracasso di elitre
Quando la musica suonava
Non erano piú amori che sognava
O passi di danza
Anche quelli si erano spenti
Sul pavimento di un'altra stanza.


genseki

giovedì, maggio 28, 2009

Amore e desiderio

Io che portai da natura un temperamento meno che tiepido, dovetti forse a questa circcostanza di andare esente dal disordine che deriva nel nostro stato morale dalla precocitá dei sensi. Per quanto mi ricordo, le battaglie dell'anima si svegliarono in me prima di quelle della carne; ed appresi per foruna ad amare prima che a desiderare.

Le Confessioni d'un ottuagenario
Ippolito Nievo

Curiosa confessione questa che rovescia l'ordine desiderio amore. Confessione che da la misura di una soliutudine incolmabile, di un isolamento doloroso. Amore è il nome che Nievo sembra dare alla solitudine
genseki

mercoledì, maggio 27, 2009

Luis Garcia Montero

Il primo giorno di vacanza

Io nuotavo nel mare della sera
proprio il monento
In cui la luce fluttua come brace
Di un incendio alla resa
E nell'acqua bruciano le domande
I silenzi piú strani.

Avevo deciso di nuotare fino alla boa
Rossa, quella che si naconde come il sole
Dietro le barche.

Lontanissimo dalla riva,
Solitario, perduto nel crepuscolo,
Mi addentravo nel mare
Sentendo l'inquietudine commuovermi
Come all'entrare in un poema
O in una notte d'amore sconosciuto.

Poi la vidi venire in mezzo all'acqua
Una signora anziana
D'una bellezza stanca
I capelli bianchi raccolti,
Si avvicinó nuotando
Con bracciate serene
Come se provenisse dall'orizzonte.

Al passarmi davanti
Per un momeno mi fissó negli occhi:
Non sono qui per te
Tu non sei quello.

Mi risvegliai coi rumori del mercato
Il rombo di una moto
Disperata correndo per la via.
Era mezza mattina
Sereno il cielo come bandiera viva
All'albero d'agosto.
Scesi al caffé per fare colazione
Osservare il passeggio della gente,
Il mare d'olio
I corpi sotto il sole.
Sul quotidiano
Il nome dell'affogato non era il mio.

lunedì, maggio 25, 2009

Straccioni

Il gelo
sopporto
che fammi torto
.

La canzon del Balurdo


Dai sistematevi che ci si scalda! Ci manca solo che vi mettiate a montare il fuoco. -- Che strano, le gambe adesso mi formicolano.

-L'una! - tramontana bella secca! – ma lo sapete voi, gattacci spellacchiati perché la luna è tanto chiara? è che ci bruciano le corna dei becchi, ci bruciano.

- Come è rossa la brace torbiera!
Come danza la fiamma azzurra sui tizzoni!
Ehi chi è la lingera che ha picchiato la baldracca?

C'ho il naso gelato! - C'ho le chiappe arrostite! - Che ci vedi nel fuoco Ciupiglia? - - Una alabarda. - E tu, Giampollo? - Un occhio.

Largo, largo a M. de la Chosserie! - Eccovi ben bene impellicciato e inguantato per l'inverno, Signo procuratore!
- Eh, giá i bei micioni non c'hanno i geloni!

Ah eccoli qua i signori birri! Gli stivali vi van fumando! - E i bricconi maramaldi?
Due li abbiamo stesi d'una archibugiata, gli altri son fuggiti di la dal fiume.

Così si incanaglivano a un fuoco di sterpaglie, due straccioni, un procuratore del parlamento che se en andava per bordelli con due birraccii che raccontavano senza scoppiare a ridere le imprese di loro sconquassati archibugi.

A. Bertrand
Gaspard de la Nuit
trad. genseki

domenica, maggio 24, 2009

Stampede

Furono le sue parole
Che decisero di smascherarlo
Stanche come erano di essere ripetute
Sulle pagine di quei testi -Poesie?-
Da uno che avrebbe potuto essere un glorioso vagabondo
Un alcolizzato immaginario
Un distillatore di depressione
Un alchimista degli influssi neutrali
Un cercatore di gioielli
Nelle profonditá delle scollature delle dame
Specialmente quando andavano di moda
I nei artificiali
Che doveva essere un bel problema piazzarli
Proprio li dove sarebbero stati davvero seducenti
E questo punto variava da cicisbeo a cisisbeo
E da abate a stalliere.
E digitate digitate digitate
Digitate senza costrutto
Infinitamente
Dopo che il disgraziato aveva aperto la bottiglia
dell'indecenza
E lasciava che evaporassero tutti i freni
Inibitori
dell'opprtunitá
E sfregava l'ipotalamo come se fosse di pomice
Furono le sue parole
Proprio loro a perderlo
A denunciarlo mentre piangeva
A esporlo alla gogna
A condannarlo al taglio di un testicolo
Una volta fuggite dal recinto
In uno stampede gallinaceo
E ora sta li a capo chino
In ginocchio tra questi mulinelli di piume
e le trombette di carnevale
Sta li senza parole
Sognando lo zucchero filato.

genseki

venerdì, maggio 22, 2009

Yoyo

Piú non ci incontreremo in questa primavera
Quando la prima volta ho visto i biancospini
Spogliarsi nei calanchi e latte di letizia
Stillarti dai capezzoli
Fazzoletto di miele a stringere i capelli
Neri ala di corvo io fumavo gauloise
Lo yoyo che giocavo nella mano sinistra
Piú non vuol risalire lungo il filo del tempo
La collana di lune sgranate in riva al Tanaro
La dono alla madonna che ride tra le mele

genseki

Variazioni su di un tema di Rimbaud III

Variazioni su un tema di Rimbaud III

L'indigestione del lupo
Aveva lascoato tracce
Ovunque nell'orto
La barbabietola aspettava di essere raccolta
con la maggiorana
E muggiva di dolore mogio
Le piume del pollame volavano tra i carciofi
E i piselli si ostinavano a tessere da parola
A parola la loro croccante catena di perline
Il lupo aveva sognato palle da bowling
Quella notte
un brodo rugginoso che colava dalle foglie del
Cardo
Con il loro caratteristico odore di pneumatici
Bruciati
Che ti restava tra le dita
Il lupo pensava di avere una palla da bowling
Nella pancia

E continuava a sputare piume
E la corona di spine madida di sangue
Si inclinava fino a sforargli l'orbita
Dell'occhio sinistro
Nel festno bimillenario della passione

genseki

giovedì, maggio 21, 2009

L'amore sbocciava intorno a noi

L'amore sbocciava intorno a noi
Si schiudeva, germinava, cresceva
Brontolava di clorofilla e linfa
S'intrecciava agli altri tronchi
Con un tale slancio vegetale
Che mi mettevo a brucare
A gattoni in questo ribollire di pollini
E il sole finiva per scaldarmi la schiena
E adormentarmi nell'odore verde
Del letame e dei fichi lasciati
A imputridire nello zolfo

mercoledì, maggio 20, 2009

La neve degli ultimi inverni

La neve degli ultimi inverni
Cadeva sporca di sangue
Le estati come vecchi tappeti
Restavano arrotolate in un angolo
Il nostro teatro stentoreo
Taceva tra il latte e le stelle
Alle fronti solo era fresca
La terra fradicia delle zolle.

genseki

Elitre e altra sete

Ratte sfibrano le elitre
I raggi taglienti del palmizio
la sua geometria che segnala
Il vertice al linguaggio delle api
La terra si impregna di sale
Di sodio va ardendo in polveri
Di calce di iodio
I fiori dell'aglio alieni
Trasmettono l'uno all'altro
Il codice segreto della sete.

genseki

martedì, maggio 19, 2009

MARIO BENEDETTI II

Mario Benedetti

Mario Benedetti godeva di una larga popolaritá qui in Spagna dove rappesentava quello che in Italia ha rappresentato Prévert e in misura minore Ferlinghetti, una poesia realmente popolare e di alta qualitá letteraria. Una poesia come uno spazio messo a disposizioe della societá per riflettere e abbandonarsi un momento alla molteplicitá che davvero la realtá è in grado di offrire.

Una poesia colloquiale e ricca di elenchi e di liste.

Una poesia cocciutamente convinta della dignitá deñña parola, di ogni parola e delle parole di tutti.

La morte lo ha finalmente reso quello che era, differente e semplice, la morte che scolpisce per sempre l'individualitá sullo sfondo della sua definitiva impossibilitá.

genseki


Mario Benedetti


Imbarazzato panegirico della morte


La giornalista mi chiese
Se credessi nell'aldilá
Gli dissi di no
E lei mi domandó
Se questo non mi angustiava
E io le dissi di si


Ma che comunque forse
Certe volte la vita
Causa angoscia maggiore
Della morte


Perché le vessazioni
O anche solo i caprici
Finiscono per metterci
In compartimenti stagni


Ci separano gli odi
Le discriminazioni
I conti correnti
Il colore della pelle
L'affermazione o il rifiuto
Di Dio.


Invece la morte
Non fa distinzioni
Ci mette tutti nello stesso sacco
Ricchi e poveri
Sudditi e re
Miserabil e potenti
Indiani e visi pallidi
Iberici e immigrati
Credenti e agnostici


Riconosciamo che la morte fa sempre
Una giusta distribuzione del nulla
Senza plusvalore nè offerte nè domande
Egualitaria e equanime
Si occupa di ogni vemiciattolo
Secondo le sue necessitá
Neutra e equanime
Accoglie con la stessa disponobilita zelante
I cadaveri sontuosi di estrema destra
E i periti di inedia


La morte è eccletica, pluralista sociale
Distributiva, incorrutibile
E continuerá ad esserlo
A meno che a qualcun
Non venga in mente di privatizzarla.


Mario Benedetti

Inventario II

Trad genseki

lunedì, maggio 18, 2009

Né io né padrone

Che i discepoli non abbiano dubbi:
I loro corpi sono formati da quattro elementi, che non hanno "io" e che non hanno padrone. Essi sanno cosí che questo corpo non ha né "io" né padrone. Il loro spirito è formato da cinque aggregati, che non hano né io né padrone. Essi sanno in questo modo che il loro proprio spirito individule non ha né io né padrone. I sei organi di senso e le sei coscienze nascono e muoiono secondo il modo in cui si associano e per loro vae quanto detto sopra. Poiché queste diciotto sfere psicosensoriali sono vuote tutto è vuoto e solo esiste il nostro spirito fondamentale la cui purzza scaturisce per sempre.

Ci sono due modi di nutrirsi: uno si relaziona con la coscienza ordinaria e l'altro con la saggezza. I morsi della fame sono affezioni ordinarie del corpo composto di quattro elementi, cui si rimedia in modo adeguato, senza desiderio e senza attaccamnto. Questo è il modo di nutrirsi proprio della saggezza. Le preferenze di gusti basati sui capricci, la discriminazione erronea, la ricerca esclusiva el piacere senza mai la minima soddisfazione o il minimo distacco, ecco quella che merita il nome di alimentazione propria della coscienza ordinaria.

Gli uditori giungono all'illuminazione grazie al suono della voce e per questo son detti uditori, essi peró non comprendono il proprio spirito e teorizzano sulla dottrina che la voce esprime.
Grazie a parole magiche, a segni propizi o a movimenti essi apprendono che vi é un Risveglio, un Nirvana e per tre incalcolabili kalpa si esercitano sul cammino di una completa buddhitá. Tutto questo dipende dallla via degli uditori e produce Buddha del livello degli uditori.
Basta tuttavia comprendere direttamente e istantaneamente che il proprio spirito è sempre stato il Buddha per non dover piú trovare nemmeno la piú piccola realtá né doversi piú esercitare nella minima pratica e questa è la via superiore che mena al Buddha dell'autentica quidditá.

Huangpo
trad. a cura di genseki

giovedì, maggio 14, 2009

Limone e artemisia

Fu nella radura tra limoni e jacarandá
Che mi venne raccontando la sua storia
- Sai, quella del Nilo, del cesto di vimini
Della sposa venduta sul mercato dal marito mutilato -.
Quanto duró la sua confessione?
Giorni o settimane?
Mi parlò dei fratelli della purezza
Della panchina ove al vespero il Profeta soleva sedere
Con Fatima.

Bevemmo limone e artemisia

Come soli alimenti del nostro cuore
Nudo

Intorno nel frattempo, poco a poco,
Tutte le cose si adagiavano in pace
Nei loro simboli.


genseki

Storia della calligrafia cinese

Calligrafia dell'Imperatore Taizong


L'Imperatore Taizong dei Tang

Storia della calligrafia cinese

Taizong

Taizong nacque nel 568 e fu imperatore tra il 626 e il 649. Calligrafo eccezionaleè una personalitá centrale nella cultura cinese classica. Creó nella sua corte la carica di Calligrafo Ufficiale e onoró con premi i calligrafi di talento delle cui opere veniva a conoscenza. Svolse un'attivitá intensa sforzandosi di fare della calligrafia un patrimonio "nazionale".Il suo regno segna il passaggio ella calligrafia da arte popolae, una forma di artigianato rafinato al mondo dell'arte ufficialmente riconosciuta.
Effettivamente il Posto di Calligrafo Ufficiale che in cinese antico suona piuttosto "Letterato Calligrafo" inseriva la calligrafia all'interno del sistema dei valori confuciani secondo i quali si organizzava la vita culturale, amministrativa e religiosa dell'Impero.Esisteva una accademia imperiale di Letterai consacrati agli studi confuciani. questa accademia si chiamava "Bosco di pennelli". Fu creata durante la dinastia Tang e restó aperta fino all0avvento della repubblica nel 1911. La sua importanza era tale che disponeva della protezione di un Dio particolare Wenchang. Questo Dio corripondeva a una costellazione la cui minore o maggiore brillantezza era segno del fiorire o del decadere della letteratura. Al dio Wenchang si rivolgevano i canidati ai concorsi pubblici. Wenchang era accompagnato dal Dio Zhuyi patrono dei candidati impreparati e dal Dio Kuixing signore ella graduatorie. La creazione del posto di "Letterato Calligrafo" sognificava quindi permettere l'accesso alle piú alte cariche dello stato per mezzo dello studio e della pratica di questa disciplina e quindi attribuirle un ruolo centrale nella societá e nell'educazione.
Dell'Imperatore Taizong ci è giunta una sola opera, cioè una copia a inchiostro di una strofa del Wen Quan Ming tratta da una stle nel 648 che dimostra una straordinaria aderenza ai principi ortodosi dell'arte e una grande eleganza.
genseki

mercoledì, maggio 13, 2009

Variazioni su di un tema di Rimbaud II

I corvi sono incisi sulla valle
Dove mancano i pioppi, oggi,
E fioriscono gli agrumi
Dalla fiaschetta dorata
Sorseggio il distillato di artemisia
In memoria dei miei giorni morti
Delle radure sconosciute
Degli squarci di azzurro tra i faggi
Sotto l'erba correva allora l'acqua
Bianca come ogni sostanza seminale
Come ogni acqua materna
E i corvi sapevano dove li avevano nascosti
I cadaveri dei giorni
Proprio nei punti dove i boschi si gonfiavano
Come ascessi
E la pioggia era un'illuminazione cristallina
Pioggia di aghi allora sollevava
l profumi acuti del rosmarino
Solo i corvi lo sapevano
Dove dovevo scavare
Ubriaco di artemisia nella cunetta
Stanco, stanco del sole.

genseki

martedì, maggio 12, 2009

Gilles de Rais

Le pagine dell'investgazione continuano, si accumulano, rivelano centinaia di nomi, narrano il dolore delle madri che interrogano i passanti sulle strade, le grida delle famiglie nelle case da cui sono rapiti i bambini non appena si allontanano per zappare il campo e seminare la canapa. Queste frai ritornano desolate alla fine di ogni deposizione: “si vedono lamentarsi dolorosamente”, “si odono molti lamenti”. Ovunque si stabiliscano i macelli di Gilles le donne piangono. Il popolo terrorizzato racconta dapprima che fate melvage disperdono la sua prole. poco a poco, spaventosi sospetti cominciano a sorgere. Quando il Maresciallo si sposta, da Tiffauges a Champtocé, da Suze a Nantes, lascia dietro di sé una scia di lacrime. Attraversa una landa e, l'indomani, spariscono alcuni bambini. Fremendo il contadino constata anche che ovunque sono apparsi Prelati, Roger de Bricqueville, Gilles de Sillé, tutti gli intimi del Maresciallo, i bambini sono scomparsi. Infine, con orrore nota che una vecchietta, Perrine Martin, errra grigiovestita, il viso coperto da un velo nero come Gilles de Sillé, avvicina i bamini e le sue parole sono seducenti e il suo volto così attraente quando solleva il velo che tutti la seguono fino al margine del bosco ove attendono uomini che li portano via imbavagliati nei sacchi. Il popolo spaventato chiama questa fornitrice di carne, questa orchessa, la Meffraye come un rapace.

Questi emissari giravano per borghi e villaggi alla cacia del bambino agli ordini del Grande Cacciatore, il Signore di Bricqueville. Non contento di questi battitori, Gilles si metteva alle finestre del castello e quando qualche giovane mendico, attirato dalla fama delle sue liberalitá domandava l'elemosina, egli lo valutava con uno sguardo, faceva salire quelli la cui fisionomia lo incitava allo stupro e li gettava in una secreta fino a quando, affamato non esigesse il suo pasto carnale.

Quanti bambini sgozzó dopo averli violentati? Egli stesso lo ignorava. aveva commeso tanti stupri e tanti omicidi! I testi del tempo parlano di settecento ottocento vittime, ma questo numero è insufficiente, sembra inesatto. Regioni intere furono devastate; i casinali di Tiffauges non avevano piú bambini, a Suze non c'erano piú maschietti; a Champtocé tutto il fondo di una torre era pieno di cadaveri; un testimone citato nell'strutoria Guillaume Hylairet dichiara anche: “aveva udito dire che aveva trovato in quel castello una condotta piena di bambini morti”.

Ancora oggi persistono tracce di quei delitti. Comunque Gilles confesó spaventosi olocausti che i suoi amici confermarono con tuti gli spaventosi dettagli. Al tramonto quando i loro sensi sono come staffilati dal succo potente delle cacce, infiammati da bevande ardenti e speziate, Gilles e i suoi amici si ritirano in una camera lontana el castello. Qui i bambini prigionieri nelle fosse sono condotti, denudati, imbavagliati; il Maresciallo li palpa e li viola, poi li squarta a colpi di daga, si diverte a smembrarli pezzo a pezzo. Altre volte apre loro il petto e beve l'alito dei polmoni; apre loro il vente, lo fiuta, allarga la ferita con le mani e vi si siede dentro. Allora mentre si macera nel fango umido delle tiepide interiora guarda sopra la sua spalla per contemplare le supreme convulsioni degli ultimi spasimi. Lui stesso ha detto: “Ero piú contento di godere delle torture, delle lacrime, del terrore e del sangue che di tutti gli altri piaceri”.

lunedì, maggio 11, 2009

Non si cerca lo spirito con lo spirito

Quando le persone ordinarie odono parlare del metodo della trasmissione dello spirito di tutti i Buddha, essi affermano che otre queto spirito un metodo che puó essere attestato, afferrato. Si mettono in cammino, allora, con il loro spirito alla ricerca di un tale metodo, non sapendo che proprio questo spirito è il metodo e che il metodo è lo spirito. Non si puó cercare un altro spirito con lo spirito. Se si provasse per migliaia e migliaia di kalpa, in fin dei conti non si troverebbe prorio nulla.
La cosa migliore è entrare senza ambagi nel non-spirito, tale è, infatti, il metodo fondamentale. È come quel valoroso che ha perduto la perla che adorna la sua fronte. La cerca ovunque e mai non la trova finché un saggio gliela mostra ed egli si rende conto che si trova proprio tra le sue spracciglia dove, del resto, era sempre stata.
I discepoli dunque hanno perduto il loro spirito fondamentale, non vi trovano il Buddha che cercano altrove, si dedicano a pratiche meritorie, e, seguendo il cammino della testimonianza progressiva erseguon per interi kalpa il loro obiettivo e non raggiungono mai il fine della Via.
Quanto meglio sarebbe per loro se si attenessero direttamente al non-spirito!
Quando si sa con certezza ce in fondo nulla esiste, che non c'è nulla su cui appoggiarsi con ferma stabilitá, che non vi é soggetto, né oggetto, ecco allora che cessa di agitarsi qualunque pensiero erroneo si ottiene il Riveglio. Quando viene il momento di testimoniare la Via si testimonia solo il proprio spirito Buddha fondamentale. Kalpa interi di meriti non sono che pratiche vane. Quando il valoroo ritrova la sua perla ció che ritrova era la perla che era sempre restata sulla sua fronte e non il frutto di una ricerca ardente rivolta all'esterno.
Per questo il Buddha dice: "Nel supremo Risveglio ciò che ho trovato è nulla." Tuttavia nel timore di non essere considerato credibile, egli parla di ció che vedono i cinque occhi e di ció che dicono i cinque tipi di dicorso: la realtá non è un semplice vuoto. Tale è la veritá assoluta.
trad. geneki

Huerta

Variazioni su di un tema di Rimbaud

invano aspettarono che si aprisse
tra l'intrico delle varie ramificazioni
Dei piselli e dei fagioli
Minacciata dai carciofi e dalla sventura
Dell'orizzonte, la soglia della clorofilla
Rugginosa e ribollente
Ancora piú primordiale del latte
Il cui ricordo pur persisteva
Nella loro menti da prima che fosero di carne
E anche il vecchio lupo era un ricordo
Un ricordo spelacchiato di paure infantili
Abbandonato come un peluche adolescente
Sotto le foglie del cavolo che sapevano di burro
Svolazzavano nell'aria, non piume, no.
Piuttosto residui del festino del sole
Laggiù con le ultime stelle stanche.

genseki

Gloomy Sunday III

Diamanda Galas - Gloomy Sunday II

Gloomy sunday

Triste domenica

Triste domenica di fiori bianchi
Orna l'altare una folle speranza
In cui si prostra lo spirito lasso
Mentre la bocca non cessa l'appello
In sogno spegnesi l'occaso estivo
Stanco del sogno di vana attesa

Triste domenica!

Tu non comprendi l'angustia orribile
Di questa attesa senza vederti
Ti prego affrettati or devo andare
Lo vedi! Muio folle d'affanno
Ah se tu fossi bianco sudario
Che copra infine l'ultima ora.

Triste destino!

Amato
Presso la bara di fiori adorna
Sta il sacerdote e a lui sussurro:
amo ed attendo.

Senza timore fissa i miei occhi
Aperti e morti a te rivolti
Con le tue dita li devi chiudere
E solo allora potró dormire
Suon le campane or devo andare.

Triste domenica!

È giunta l'ora che debbo partire
Stringerti voglio nell'ultimo viaggio
Ma dentro sento che non verrai
A visitarmi domenica, amato
Che nella tomba t'ho da aspettare.

genseki

Triste destino!

venerdì, maggio 08, 2009

Quelli che ascoltano Brückner

Quelli che ascoltano Brückner
Sanno che il volo dei falchi
Ê un manuale di architettura gotica
Non tracciano rotte aeree
Delineano guglie intuiscono
Volte vertiginose, grotte luminose
In quello che resta di cielo.

Quelli che ascoltano Brückner
Sanno che il volo delle allodole
Ê un cuore, è sistole e diastole
Ê piccola spugna di sangue prezioso
Brivido giacinto allo scoppio del motore.

Quelli che acoltano Brücner
Ascoltano spesso i quartetti
Con il loro intimismo un po' legnoso
Ma tenero
E la cascata di luci e di rose astrologiche
Della Sinfonia n. IX
E sanno che sotto la scorza del carrubo
Si cela una carne rosa come recente ferita.

Quelli che ascoltano Brükner
Sanno riconoscere le frane di luce
Da piccole variazioni purpuree
Dei fiori dell'aloe
E notano le corna di un cervo
Nel palmizio del loro passato.

Quelli che acoltano Brückner
Sanno che le oasi sono verticali
Al desiderio
E che un adagio congeda momenti
Isolandoli nel tempo come gesti sospesi.

genseki

Il talismano

Molto a lungo ho giocato con i talismani. Sapevo quasi meccanicamente trasformare qualsiasi oggetto in un talismano ma non ero cosciente della pericolsitá di questa capacitá. Un talismano è una cosa, una cosa qualsiasi della vita quotidiana che si carica della possibilitá di asicurarci della nostra esistenza, della nostra continuitá temporale. Talismani sono i testimoni essenziali del fatto che siamo vissuti e che siamo vissuti come noi stessi, con una certa coerenza nella sucessione.
Per me collezionare significava collezionare talismani. Per questo non ha mai avuto senso la completezza di una collezione. Il significato di una collezione era nel fatto che ogni suo singolo elemento mi riconduceva ad una atmosfera, ad una luce, ad una persona, una stagione, un sentimento, una speranza. Insomma la collezione era una reificazione della vita e la completezza della vita non si dà in vita.
Certo la rassicurazione della propria continuitá nel passato era anche e soprattutto una rassicurazione della propria continuitá anche nel futuro. Una garanzia contro il morso stritolatore e nullificante delle dure mascelle della morte.
Anche per questo i talismani erano carichi di nulla. Tutto il nulla dell'eternitá, precariamente contenuto e stabilizzato ma pronto ad esplodere a frantumare il suo guscio se l'oggetto era usato incautamente.
Il nulla è i tuorlo del'uovo talismanico.
In vecchiaia ho perduto questa capacitá ma continuo ad accumulare potenziali talismani in fondo agli armadi, in una cpace borsa di forte plastica che comprai nel tempio taoista della Nuvola Bianca di Pechino.
genseki

mercoledì, maggio 06, 2009

Tra due mondi

nel viaggio il tempo si muta in spazio e lo spazio in tempo, o qualche cosa del genere, insegna la logica della dialettica. nel viaggio io quasi non vivo, mi sospendo, mi procrastino, aspetto di ritrovarmi dopo essermi abbandonato come un bagaglio ingombrante e di poco valore in una stazione da cui i treni posson solo partire.
Quel viaggio mi condusse dalla carnalitá del maggio sanguinoso alla fredda nebbiolina di un aprile apeninnico. Era un viaggio esattamente al confine tra la vita e la morte. Ma anche i confini, le linee, le soglie e i limiti hanno un dentro e un fuori rispetto a se stessi, naturalmente, e non a quanto delmitano. Mi trovavo piuttosto dentro, cioè verso il lato della morte, dal quale osservare la via come un'abitudine.
Fu certo una specie di caso che finissi per incontrare L. ad un casello autostradale che é l'equivalente moderno di un quadrivio sacro al Dio Messaggero, sotto una pioggia furiosa. La invitai a un caffé lassú oltre il bosco nebbioso e spoglio che tardava ad aprirsi al rigoglio stagionale fino all'umido santuario inevitabilmente grotta.
La cameriera era un giovane travestito alla soglia di una trasformazione forse radicale, non ancora nemmeno crisalide il cui culo magro stretto in un paio di pantaloni floreali suscitava in me forsennati e dolenti desideri carnali.
Figura sospesa tra due mondi di cui uno pareva pura negazione.
Un angelo bianco piú gonfio di una porcheria di Botero presideva al nostro malinconico rito.
Ma lei era per me sempre la raggiante.
La regina del bosco che lo ignora e si ignora perduta nel suo sogno di tetti e cortili.

genseki

martedì, maggio 05, 2009

Olav H. Hauge - Tid å hausta inn

Poesia e natura sono due facce della stessa marginalità, di un'unico tramonto.
Il tramonto del tipo di uomo che poteva leggere l'una attraverso l'altra.
genseki

Olav Hauge

Ho trovato queste poesie di Olav Hauge sulla rivista Poesia. Poesia è una rivista vocazionalmente melancolica. Ha qualche cosa di depresso. La poesia di Hauge é di una belleza frastgliata, marginale, lontana, inutile come quello che resta della natura, forse solo geologica nel mondo dell'umano pienamente alienato.
A questo umano corrisponde la malinconia e l'erosione dei volti corrugati e dei fiordi, che esprimono contemporaneament acquiescenza e riservato rifiuto.


Olav Hauge

Ogni giorno

Le grandi tempeste
Le hai alle tue spalle
Non domandavi un tempo
Perché esistevi,
Da dove venivi o dove stessi andando,
Eri soltanto nella tempesta,
ri nel fuoco
Ma si può anche vivere
Nella vita di ogni giorno
Il grigio calmo giorno
Piantare patate, rastrellare foglie
E raccogliere rametti,
Ci sono tante cose a cui pensare al momento,
A tutto non basta la vita di un uomo.
Dopo il lavoro puoi arrostire il maiale
E leggere poesie cinesi
Il vecchio Laerte tagliava i rovi
E rincalzava il fico
E lasciava gli erosi combattere a Troia

*

La falce

Sono tanto veccio
Da non lasciare la falce,
Cantare sommessa nell'erba,
E i pensieri possono correre.
Non fa nemmeno male,
Dice l'erba,
Cadere sotto la falce.

*

Da Dio all'Io

In questa lettera giovanile di Schelling a Hegel il programma dell'idealismo espresso con noncurante stringatezza mostra subito il suo carattere mitologico e narrativo.
È il resoconto riassuntivo del viaggio da Dio all'Io. Ovvero Dio che si fa Io. E Io che ritorna Dio dpo aver attraversato la Valle della ragion pratica.
Dio e Io sono qui due volti dello stesso assoluto che come io è ancora piú lontano che come Dio.
Dio si spoglia della personalitá per diventare un Io assoluto, assolutamente impersonale
genseki



Schelling a Hegel

Lettera sull'immortalitá dell'anima e su Dio

Per noi, ormai non esistono piú i concetti ortodossi di Dio... Noi arriviamo molto oltre l'essere personale . Ecco sono andato trasformandomi in uno spinozista! Non stupirti! Preso saprai in che senso: per Spinoza il mondo (l'oggetto semplicemente opposto al soggetto) era tutto, per me è l'Io. La differenza piú propria tra la filosofia critica e la dogmatica m par risiedere nel fatto che quella conidera l'Io assoluto (ancora non condizionato da nessun oggetto) come punto di partenza, e questa, invece, l'oggetto asoluto avvero il Nn-Io. Quest'ultima, portata alle conseguenze estreme porta al sistema di Spinoza e la prima a quello di Kant. La filosofia debe partire dall'incondizionato. Ma allora sorge la domanda. Dove stanno le radici dell'incondizionato?, nell'Io o nel Non-Io. Una volta risolta questa domanda, tutto il resto si risolve da sé. Per me il principio supremo della filsofia è l'Io puro e assoluto, cioè l'Io in quanto è solo e soltanto Io non ancora condizionato dagli oggetti, ma posto dalla libertá. L'alfa e l'omega della filosofia è la libertá. L'Io assoluto comprende una sfera infinita dell'essere assoluto nella quale si formano sfere finite che si originano per limitazione della sfera assoluta per mezzo di un oggetto (sfere dell'esistere-filosofia teoretica). In queste sfere vi é pura condizionaltá e ció che è incondizionato produce contradizioni. Noi peró dobbiamo abbattere le barriere, cioé, dobbiamo passare dalla sfera finita a quella ininita (filosofia pratica). Questa, per tanto esige la distruzione della finitezza e in questo modo ci conduce al mondo soprasensibile. “ Ció che era impossibile per la ragione teoretica in quanto debilitata dall'oggetto, o fa la ragion pratica”. Solo che in questo mondo possiamo incontrare soltanto il nostro Io assoluto, dato che solo esso ha descritto la sfera infinita. Per noi non vi è altro mondo soprasensibile che quello dell'Io assoluto, l'Io in quanto ha annochilato tutto l'ambito del teoretico, e che la filosofia teoretica è = 0. La peronalitá sorge con l'unitá della coscienza. Ma la coscienza non è possibile senza oggetto; nonstante, per Dio, cioè per l'Io assoluto, non vi è nessun ogetto, perch'altrimenti non sarebbe piú assoluto. Conseguentemente non vi è un Dio personale, e la nostra masima aspirazione è la distruzione della nostra personalitá e il pasaggio alla sfera dell'essere che, tuttavia non sará mai posible. Da qui la conclusione che è possibile solo un avvicinamento pratico all'Assoluto e da li all'immortalitá.

Lettera di Schelling a Hegel del 4 Febbraio 1795
trad genseki

lunedì, maggio 04, 2009

I due giudei

Vecchi sposi
Vecchi gelosi
Chiudete i chiavistelli
A prova di grimaldelli

(Canzon del povero diavolo)


Due giudei che si erano venuti a fermare proprio sotto la mia finestra contavano misteriosamente sulla punta delle dita le ore – ahi quanto lente! - della notte.


  • Avete denaro con voi Maestro? - chiese il piú giovane all'anziano che conversava con lui.

  • Ti par che questa borsa sia un sonaglio per allietare un infante?


Quand'ecco che un fiotto di folla si scaraventó con strepito fuori dai borghi circostanti e le loro grida si frantumaron contro i miei vetri come i confetti di una cerbottana.


Erano i barbetti che gioiosamente correvano verso la piazza del mercato da dove provenivano scintille di paglia e un certo odor d'arrosto.


  • Trallalla lalla, mi inchino alla Luna mia Signora! - Per di qua masnada dello Zoppo! Due giudei fuori di caa durante il coprifuoco!- Ammazzali! Ammazzali! Agli ebrei il di , alle lingere la notte.-


Le campane fesse strepitavano lassù dai campanili di Sant'Eustachio il gotico: - Dindon dan, dindon dan! -


Aloysius Bertrand

trad. genseki

venerdì, maggio 01, 2009

Marsilio Ficino

Ardenter amat amantem

Preferibilmente Egli rapisce colui che piú ardentemente lo ama. Con ardore ama chi lo ama. Tal benigno rapitore da te altro non vuole che tu sia sia felice d'essere da Lui rapito e questo come olui che mai potrebbe voler tal cosa da te se prima Egli stesso non l'avesse voluta. Similmente la luna non brillerebbe verso il sole se il sole prima non l'avesse illuminata e tu non potresti amare quell'amore se non fossi stato reso amante e capace di amare dall'amore stesso che t'infiamma. Non puoi afferrarlo se non come il luogo che ti contiene. Puoi, infatti contenere cose finite anche innumerevoli. Delle infinite non puoi contenerne nessuna se non ne sei contenuto. In modo simile l'immagine dello specchio non riflette il volto se prima il volto in lei non si fissa. Così anche quando sembra che tu contempli quel volto in realtá sei da Esso contemplato. Similmente atto e movimento non misurano il tempo per noi se non fosse il tempo che costituisce la misura delle stesse; l'anima non puó se non come Colui che la contempla, e non giudica se non come divinamente giudicata.

Ficino
De Raptu Paoli
Trad. genseki

Ardenter amat amantem

Rapit ille prae ceteris quem amat ardentius. Ardenter amat amantes. Non vult benignissumus ille raptor abs te aliud, quae feliciter rapiaris ab ipso, nisi ut vel mediocriter velis rapi: sed hoc numquam velles, nisi ille ante vouluisset. Quemadmodum Luna non refulget in Solem nisi a Sole prius non accensa, sic illum non amas amorem, nisi amore ipso te amante atque efficiente fueris inflammatus. Hunc rursus non invocas, nisi prius te vocantem, non apprehendis eum sicuti nec locum nis comprehendentem. Finita quidem ut plurimum capere potes etiam si ab illi non capiaris; infinito vero capere nihil aliud est quam capi. Et quemadmodum imago in speculo non respicit vultum videtur aspicere, nihil hoc aliud est quam aspici hanc a vultu; rursus quemadmodum actio motusque non metiuntur nobis tempus nisi tempus revera haec ipsa dimetiatur; sic anima neque respicit Dum nisi prius ipsam aspicientem nisi diiudicantem.

Marsilius Ficinus
De raptu paoli