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lunedì, gennaio 17, 2011

La tuta

La tuta, la sua parte superiore l'aveva comprata in autunno nell'umidissima Piazza dell'Aviatore, ora tutti lo avevano dimenticato, certo l'Aviatore non aveva piú discendenti, o questi si erano dispersi dimentichi della loro stirpe. Eppure era stata gran festa con la banda tutta ben lucidata e il maestro Orlando a scuotere pigramente la bacchetta come se la banda fosse stata di un altro e il cugino Tchenzo, quello che era rimasto sempre giovane e che provava il suono dei freni delle locomotive a soffiare nel clarinetto che tutti credevano fosse il diminutivo di Clarino e il volo cerimonioso dei piccioni tra i tigli dorati sulla piazza della stazione e poi al ristorante con il Borgomastro, i cani, i monelli, i marinaretti e le comitive in bicletta. Tutto era stato dimenticato, in Piazza dell'Aviatore ci avevo comprato la tuta che presto divenne un umile talismano, una tuta da poche palanche, beige, e nera aveva il potere come tutti gli altri talismani che aveva raccolto come orfani del caso di conferire all'attimo la solennitá di un promessa che sarebbe stata mantenuta. L'aveva comprata in un negozio albanese che si chiamava KOLA MIT HAT. Parole che evocarono su due piedi un animale mitologico una specie di incartapecorita tarasca da guardaroba. In un misto di hispano-germano-albionico quel nome gli apparve come dotato incontrovertibilmente del seguente significato: la coda incontra il cappello, la coda con la testa (in un'altra possibile versione). Il serpente Ourobouro insomma, anche enza palindromo. Un talismano, un enigma, un animale mitologico bastavano a renderlo sicuro che nonostante tutto, nonostante la miseria l'abiezione e il ridicolo la vita doveva avere un senso, magari non serio e pomposo, magari secco e spelacchiato e un poco ammuffitto ma sempre un senso. La tuta la indossava da allora quando cercava dentro di se la povertá delle foglie di autunno.

La porta e il portatore

Barzakh, vi si entra seguendo, magari un portatore della chiave, io non en ho mai incontrati, di portatori di chiavi tranne forse quella splendida figliola finlandese che coccolava un gatto tra i due seni perfetti in una pizzzeria di Via Meravigli a Milano. Non la ho seguita peró. La siciliana amara di Bra che voleva che io gli restituissi la copia del quotidiano che mi aveva prestato, ma non una qualsiasi copia di quel quotidiano, proprio quella che mi aveva prestato, Io mentivo compulsivamente allora, e cercavo di entrare nel Mondo dei Significati attarverso le porte al fondo delle case, degli appartamenti, delle villette, delle camere di albergo. Ogni luogo abitabile, allora mi pareva la porta aperta sulla meraviglia di una vita possibile, si aprivano davanti a me inesauribili vite possibili e la pura vita possibile era per me una finestra aperta su un cortile triste, su un grande albero sporco, su una via poco frequentata a guardare la pioggia cadere per sempre un mattino di riposo ma non di festa, un mattino di sciopero o di alluvione o di incipiente guerra civile, insomma un mattino senza lavoro ma feriale, alla finestra che piove. Poi queste porte si sono chiuse, adesso sono scomparse e cerco dentro di me la meraviglia: percheggio il furgone sotto un albero, al fresco, in periferia, ragazzi zingari bruciano piramide di pneumatici e poi vi girano in torno con le moto che urlano pú del sole. Chiudo gli occhi e cerco la porta o il portatore nella paura che sale dentro di me e che come un'onda si solleva dentro di me e con sé mi porta oltre la soglia di Barzakh a Rue Fontaine 41

Rue Fontaine 42


Rue Fontaine 41

Rue Fontaine 41

Che è il nome adeguato per un nuovo blog o un nuovo diario o entrambe le cose, ancora non lo so, Rue Fontaine è da intendersi come l'indice, la localizazione geografica, e storica, in una certa misura del Barzakh. Una porta del Barzakh, insomma. E questo vuol dire che in realtá il mio modo di pensare mostra una continuitá che mi sorprende. La sorpresa dipende, credo, dal fatto che io mi sforzo di stare piú attento alle discontinuitá e alle variazioni che alla continuitá. l'anima, (che oggi si suole chiamare mente) è una successione di avvenimenti discreti e non continui, la continuitá è un'illusione. Questo equivale a dire che se si nega la continuitá dell'anima si finisce per riaffermarla come illusione, ovvero, una continuitá vi è e questa è la coninuitá dell'illusione che vi sia una continuitá, mentre la realtá è che i pensieri sorgono come bolle nell'acqua della marmitta in modo discreto, senza logica, senza relazioni e cosí come sono sorti ricompaiono e con i pensieri anche l'anima è sorta come una discontinutá e scoppierá come una bollicina confondendosi nell'acqua del tutto. Ora che ci penso mi pare che anche nel sorgere discreto dei pensieri ci sia una continuitá, la continuitá del loro stesso apparire: i pensieri e gli altri eventi che occorrono nell'anima, occorrono, appunto in modo continuo, non si possono mai arrestare. Sembra quindi che l'anima sia dotata di due ripi di continuitá, una la continuitá del'illusione e l'altra la continuitá della produzione.
Comunque alla soglia della vecchiaia comincio ad afferarmi come un naufrago ai tronchi marci di acqua salata alle occorrenze di continuitá. Volevo godermela questa mia vecchiaia cecando i semi a partire dai rami su cui le foglie giá hanno acquistato il colore del rame, avevo fatto, naturalemente, i conti senza il dolore e la debolezza che ora minacciano la mia capacitá di godere di qualsiasi cosa e meno ancora della vecchiaia. Cerco le origini delle mie convinzioni piú profonde, dei gesti e delle decisioni che hanno condizionato la mia vita e che la condizionano. La vecchiaia (incipiente) è come un altipiano. (Ovvero come l'illusione di un altipiano, sembra un altipiano perché è incipiente, poi giungerá a sembrare persino una parete, e credo che finira per apparire come uno strapiombo notturno con il trampolino dell'ultimo salto) da quassú si vedono tutti i sentieri che abbiamo percorso per arrivare fin quassú. (verso i ventanni pensavo che avrebbero finito per delineare una forma, un'immagine, una parola, che fosse il senso della vita, del percorso “Die Linien des Lebens sind verschieden”... ora temo che non sará cosí bello e nitido) e le loro intersezioni. Ho notato che le origini sono spesso un brano che lessi e dimenticai completamente, una poesia, una parola a volte, che non ricordavo ssolutamente piú e che si sono sviluppati come semi appunto in ramificati edifizi arborei. Io parto dalla fogliolina giallina lassú sul ramo tremolante e scendo nel tempo e nello spazio fino a trovare il seme che ha generato tutto questo e quando lo trovo sono sorpreso dalla casualitá di tutto il processo.