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martedì, settembre 09, 2014

Frammento di Bools Corracha

Finimmo per vivere qui,
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...

Bools Corracha
A cura di genseki

lunedì, gennaio 07, 2013

Pentimento

Il paese della pioggia è appena oltre il rio
Entro nella pioggia come fosse un'altra pelle
Come il pellegrino che implora il perdono
Le foglie umide della vite canadese
Si incollano alle braccia alle spalle
Rane e serpi sono pensieri che confortano
Il viaggio sarà lungo lunghissima ogni giornata
Il paese del pentimento la contea del rimorso
Si estende appena oltre la cortina della pioggia
I draghi della nebbia sfregano le squame
Sui fianchi del monte, sulla corteccia dei faggi
Implorerò il perdono dei vivi e dei morti
Dei nemici e degli amici
Gemendo intera tutta la mia abiezione
Nella speranza della luce immeritata
Del perdono della pace serena
Oltre la pioggia tra il verde fresco dei prati
E l'oro fragrante e radioso dell'avena
Oserò pronunciare di nuovo il nome
Della Vergine bella e del suo Figlio.

Bolls Corracha

venerdì, dicembre 21, 2012

Sulle cime

Sulle cime piú alte giá l'autunno
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.

genseki

venerdì, ottobre 19, 2012

Alberi


Questa è una poesia di Bolls Corracha caratteristica del periodo del suo lungo soggioro a Jeve e dell'amicizia povera e spoglia con Jules Lapache.
genseki


 Questa poesia è dedicata agli alberi
Nella stagione in cui sono più tristi
La scrivo infatti il 31 Dicembre,
di notte prima che finisca l’anno

Privi di foglie lavati dalla pioggia
Avvolti nella nebbia
Intirizziti
Ora paiono antenne di metallo
Lance d’acciaio dai riflessi grigi
Che attendono tremando irrigiditi
Il bacio lieve, bianco della neve
Che li rivesta come morte spose
Del suo lino di gelo
Che simuli sui rami fantasmatici
La gioia spenta della fioritura.

Ché non c’è inverno
Privo di ricordi
Anche se non ululano più i lupi
Tra le file di tronchi fitte e scure
E non c’è morte senza che si disfi
L’ombra della speranza delle fronde.

Per questo scrivo gli alberi d’inverno
Quando le chiome sono solo d’ombra
Anche gli abeti sono fiamme nere
Profonde come il vento della notte.

Ritorneranno i boccioli arancione
E gialli per l’ardore d’esser verdi ?
Ora che il sogno dolce delle foglie
E’ un tappeto di linee che cancella
la pioggia grigia col fango vischioso ?

Foglie peltate, rotonde, reniformi
Digitate lobate bipennate
Forme di cuori d’asce di coltelli
di corna e zampe vive verdi orme
tenere carte tarocchi della vita
Ritorneranno a incarnare la luce
nella forma più verde del suo gioco
Nelle chiome che fremono di suoni
Chiome piramidali o arrotondate
Ombrelliformi oppure colonnari
Chiome candele di resina e di linfa
Chiome di latte e sperma vegetale ?

Ora le chiome sono solo un sogno
Ora la vita è nuda e trasparente
Raggi di vento ed aghi di cristallo
La trafiggono come fosse assente

Per questo scrivo gli alberi d’inverno
nella stagione in cui sono più tristi
Il 31 Dicembre: Capodanno.

Bolls Corracha
a cura di genseki

Barbara

Barbara è ancora una delle poesie giovanili di Bolls Corrachia ritrovata e pubblicata dal caro genseki.


Barbara


La notte scorsa
era una notte di nebbia
viscida e calda come la febbre
ha sognato
Barbara
si
proprio
Barbarà
quella di Prévert
bagnata e radiosa
come lo è da 50 anni
come lo sarà
ancora
per moltissimi altri
forse
per sempre
se questa locuzione ha un senso
per i mortali
l’ho sognata
sullo sfondo nuvoloso
del cielo di Brest
tra nuvole marce
dall’odore di nafta
e di acqua di mare
e la colonna sonora
era un rombo di archi
come nelle canzoni di Ferré
nel sogno
lei mi ha parlato
con una voce calda
e roca
come quella di Billie Holliday
non ricordo bene
quello che mi ha detto
le parole dei sogni
si dissolvono
al risveglio
come un volo di piccioni
grassi e sporchi
intorno
ai campanili grigi
di qualche cattedrale
posso quindi solo cercare
di ricostruire il senso delle sue parole
con la logica della veglia

“ Da 50 anni
ormai io corro
fradicia e radiosa
incontro all’amore che perderò
da 50 lo abbraccio
nella pioggia
da 50 anni ripeto questa scena
ininterrottamente
in bianco e nero
per il pubblico distratto degli studenti di francese
che sognano
l’uccello lira
e per gli innamorati che amano le fotografie di Doisneau
si Prévert
mi ha rovinato
nessun altro poeta dopo di lui
ha più voluto
scritturami
per altri
quelli che avevo sempre sognato
per cui mi sentivo ormai matura
ruoli drammatici
o ermetici
avrei voluto percorrere le strade
dell’America
in gins
e maglione di lana
con un vecchio zaino militare
affacciarmi morta
a una finestra neogotica
di Fiesole

oppure passeggiare tra i laghi di Carinzia
scendere con Annina
le scale di Livorno
con una catenina
dorata tra i denti
nelle mattine di mare
che sanno di latte
e di azzurro
approdare bruciata dal sole
bionda
sulle spiagge di isole vespertine
tra il brusio
ininterrotto dei pappagalli
vestita come una zingara hollywoodiana
invece
da 50 anni
posso solo
correre
sotto la pioggia
di Brest
che mi unge i capelli
e mi macchia il vestito
di cotonina a fiori
sullo sfondo
di nuvole marce
di soldati
morti
macerie
e trincee
rigorosamente in bianco e nero
e per di più
senza audio
e questa pioggia
mi ha guastato la salute
mi è entrata fino nelle ossa
mi ha tolto l’appetito
e il sorriso
e non ho mai potuto ascoltare
una canzone di Neil Young
anzi mi sono persa
anche
tutta la scena psichedelica
dove
avrei potuto svolgere
un ruolo di primo piano
e il cinema a colori
e le foto di Mapplethorpe
e i riccioli di Malcom Mcclaren
per correre sotto la pioggia
davanti a un pubblico
sempre più ristretto
di studenti di francese
e di liceali innamorati
i cui padri ascoltavano De André “
questo mi ha detto
- credo -
Barbarà
in un attimo di sosta
con una smorfia stanca sul volto ingenuo
prima di ricominciare
a correre
in bianco e nero
fradicia e radiosa
sotto la pioggia grigia
sotto le nuvole marce
di Brest
e
io
non ho saputo dirle
che l’ho
amata
e che l’amo sempre
e che tutte le sere
di pioggia
cerco il suo volto
tra quello di tutte le ragazze dai capelli fradici
che corrono sotto la pioggia unta
cercando invano
di ripararsi con la borsetta
dal tempo che le fisserà
per sempre
nel lampo mortuario
di una posa perfetta.


lunedì, ottobre 15, 2012

Il mercatino dell'antiquariato

Continua la pubblicazione a cura di genseki delle poesie giovanili di Bools Corracha.


Il mercatino dell’antiquariato


Quando viene l’autunno
spuntano dovunque
i mercatini dell’antiquariato
probabilmente ce ne sono anche in piena estate
e forse in primavera
ma il maggior numero di essi
si svolge
indubbiamente
all’inizio dell’autunno
oppure
alla fine dell’estate
cioè a settembre

l’autunno è essenziale all’antiquariato
nella sua forma di mercato all’aperto
perché
la luce calda e cristallina dell’autunno
e il riverbero delle foglie
che cominciano
a tingersi di rosso e d’oro
sono necessari per dare
alle madie
e alle specchiere
all’ottone
e alle rilegature dei libri
la patina di colore
malinconico che contraddistingue
nell’immaginario telecollettivo
ciò che è antico
come un mulino bianco
o la pasta di giovannirana
e l’autunno
è l’unico elemento
che possa legare insieme
la congerie di oggetti
estremamente incongrui
che si trovano
in un mercatino dell’antiquariato
fumetti americani della settimana scorsa
pappagalli centenari
con un’ala bruciata
e la voce arrochita
sigariavana sbocconcellati
denti d’oro cariati
divise risorgimentali
spartiti musicali
gialli e ocra
fotografie di ritapavone
bidè di stagno
bastoni da passeggio olandesi
mozziconi di sigarette
mollette di plastica
busti romani di plastica verde
specchi opacizzati
bottiglie di cocacola
telefoni verde pisello
o giallo canarino
carte stradali del Touring
con macchie di caffè ocracee e anche grigiastre intorno alle città con più di 100.000 ab.
francobolli
del belis
letti di ottone malese
forchette di cellulosa
coltelli di porcellana
volpi canore che hanno perso la coda
bicchieri irregolari macchiati
indelebilmente di vini densi
pelli di gatto scabbioso
ermellini napoleonici
proclami savoiardi
biscotti al rosolio
ghiande saturnine
cartoline in biancoenero
con saluti rispettosi svolazzanti
di giovani impiegati di belle speranze
in riviera
a timide sartine del Canavese
e
poi
madie
madie
madie
madie
e
madie
la madia
è l’epitome
del mercatino dell’antiquariato
in essa convergono
tutti gli oggetti che lo costituiscono
e che noi guardiamo
mentre i nostri occhi divengono
grigi
e le nostre camicie vietnamite o taiwanesi
si trasformano in polverose redingotes
e noi ci sentiamo come chi è appena sceso da un calesse
mentre una foglia
rossa
che si è staccata da un platano o da una vite
plana sulle nostre teste
dove
è appena spuntata una bombetta magrittiana
e si posa
leggera
ai piedi di un grosso cane di ceramica arancione
nell’aria cristallina di settembre
 
Bolls Corracha

martedì, maggio 15, 2012

Bools Corracha

La poesia che segue è uno dei pochi testi che ci ha lasciato Bools Corracha proprio nei primi mesi autunnali successivi al suo arrivo a Jeve. In quel periodo il giovane ma provato Bools Corracha era fortemente influenzato dalla posia di Ferlingheti adepto di un tardo, patetico e anche un po ridicolo "hyppismo" (Spero che questa parola esista ed abbia un senso). I testi che pubblicherò in questo blog, quando ne avrò il tempo, li devo alla cortese liberalità di Tristan Lermita che di Bools  Corracha fu sodale e che fu testimone della tragica scomparsa del nostro Dreiser Cazzaniga,

La terra

Da qualche parte Debord
afferma che lo sviluppo della tecnologia
introdurrà inevitabilmente,
dopo l’automobile come mezzo di trasporto
per le masse,
l’elicottero
o qualche analogo veivolo,

questa previsione,
puntualmente,
non si è verificata,
ed è un grande scorno per l’inventore della psicostoriografia
il non aver capito che proprio sulla base degli assiomi di questa scienza
era evidente che essa non avrebbe potuto realizzarsi.

Se potessimo vedere il mondo dall’alto
tutte le mattine
quando andiamo al lavoro
tra la nebbia leggera
come il respiro delle
foglie
dorate dall’autunno incipiente
dall’autunno che annuncia
il trionfo
della sua trasparenza funerea
se l’angolo della vostra visuale potesse restringersi
dirigendosi in precipite
picchiata
verso il serpente grigio e argento del fiume
che striscia tra le foglie leggere
bianche
nitide dei
pioppi
variando di diversi gradi il piano
sui cui
scorre parallelo
come
in un quadro
cubo futurista
per poi innalzarsi
di colpo
verso il cielo
viola e argento
come la nota cristallina
di un violoncello di betulla
in modo tale che la nostra bocca
socchiusa potesse bere
i primi raggi candidi dell’alba
che sono frizzanti
e lattei
come le piume di un angelo
addormentato dopo l’amore
con una tenera angela pallida
incontrata a una curva del tramonto

allora

il nostro IO
IO
che è un meschino aggregato di dolorose abitudini
di costrizioni
e cogenze appuntite come aculei
rivolti verso il dentro
si dissolverebbe
in polvere di luce
e noi saremmo
piume
schiuma di luce
lievi balzi di azzurro
e vapore
appena percepibili
nell’abbraccio verde
e ocra della terra
nel suo caldo respiro bianco.

Per questo
è necessario
per la produttività
e il profitto
e forse anche per la professionalità che il nostro sguardo
abbia una sola prospettive
lineare
che la nostra vita sia un percorso
rettilineo su un unico piano
che il nostro corpo si
muova esclusivamente
sul nastro grigio viscido e sporco
delle strade
e non possa percepire null’altro che la superficie
dei centri commerciali
e delle zone industriali
e le cancellate delle villette
con il loro giardinetti
dove spunta un’araucaria
perfettamente stupida
nella sua minacciosa ottusità
e i cani dal pelo lucido
che latrano
l’aggressiva ignoranza dei loro padroni
pieni di odio
e di paura inespressa.

Il percorso lineare
educa la mente alla monodimensionalità
l’anima all’obbedienza,
il corpo al dolore

Il percorso lineare
educa l’uomo al lavoro

la strada è l’ipnosi dello sfruttamento.

Per queste ragioni
eminentemente
psicogeografiche
Debord
sbagliava
e non ci sarà mai
l’elicottero
utilitario
e le strade feriranno sempre
i boschi
e lungo le strade
sorgeranno sempre i capannoni vuoti
con gli spiazzi pieni di lamiere e laterizi e spazzatura e mucchi di terra
su quali spuntano rovi stenti
e ortiche pallide.
I capannoni sono vuoti perché la loro funzione non è produttiva ma educativa
o socioipnotica
essi iterano sul nostro percorso lineare
la rappresentazione dell’inevitabile cogenza del lavoro salariato
in tutta la sua
disperata bruttezza.

Bools Corracha

sabato, aprile 22, 2006

Mushotoku




I funghi vanno cercati
Senza spirito di profitto
Cioè senza aspettarsi di trovarli
Così almeno si trovano le castagne
O – secondo – la stagioneI mirtilli
Poi si sente il crepitare secco
Dei rami spezzati dai passi
Lo scricchiolìo fragrante delle foglie
Si scorgono le scivolate
Dei caprioli sul fango del sentiero
Si salutano i faggi d’argento
Dai mille occhi
Quante ferite nelle cortecce!
Quante ferite nei nostri piedi!
E se appare la tromba di rame
Dell’Omphalotus olearius
Allora anche il cuore squilla
Di ocra e d’arancio
Le falloidi sembrano limoni
Le fistuline svergognate mostrano
La lingua rossa dalla bocca sdentata
Dei ceppi antichiLe lumache di ceralacca
Sigillano i dispacci delle foglie cadute
Senza spirito di profitto
Senza aspettarsi di trovare
Senza nemmeno cercare
L’ombrello di galassie
Del fungo padiglione profumato
Nella radura verdissima
Dell’esserci.

29/09/02 20.22

Bolls Corracha

*

Ciclista taoista

Pedalare è realizzare il Dao
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Cigola la catena
Mal oliata
Del vecchio velocifero montano
Spinge la gamba piena
S’alza la gamba vuota
E il cerchio della ruota
Poggia su un nuovo punto
Ma un punto non è nulla
Il cerchio è un’illusione
Ruota la ruota immobile
Ed il sole riflette
Un raggio in ogni raggio
Della solare ruota
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Cigola la catena mal oliata
Del vecchio velocifero montano
Un cerchio per il ginocchio
Un altro per la caviglia
Realizzano l’eterna
Identità del Dao.

29/09/02 20.33
Bolls Corracha