martedì, maggio 15, 2012

Bools Corracha

La poesia che segue è uno dei pochi testi che ci ha lasciato Bools Corracha proprio nei primi mesi autunnali successivi al suo arrivo a Jeve. In quel periodo il giovane ma provato Bools Corracha era fortemente influenzato dalla posia di Ferlingheti adepto di un tardo, patetico e anche un po ridicolo "hyppismo" (Spero che questa parola esista ed abbia un senso). I testi che pubblicherò in questo blog, quando ne avrò il tempo, li devo alla cortese liberalità di Tristan Lermita che di Bools  Corracha fu sodale e che fu testimone della tragica scomparsa del nostro Dreiser Cazzaniga,

La terra

Da qualche parte Debord
afferma che lo sviluppo della tecnologia
introdurrà inevitabilmente,
dopo l’automobile come mezzo di trasporto
per le masse,
l’elicottero
o qualche analogo veivolo,

questa previsione,
puntualmente,
non si è verificata,
ed è un grande scorno per l’inventore della psicostoriografia
il non aver capito che proprio sulla base degli assiomi di questa scienza
era evidente che essa non avrebbe potuto realizzarsi.

Se potessimo vedere il mondo dall’alto
tutte le mattine
quando andiamo al lavoro
tra la nebbia leggera
come il respiro delle
foglie
dorate dall’autunno incipiente
dall’autunno che annuncia
il trionfo
della sua trasparenza funerea
se l’angolo della vostra visuale potesse restringersi
dirigendosi in precipite
picchiata
verso il serpente grigio e argento del fiume
che striscia tra le foglie leggere
bianche
nitide dei
pioppi
variando di diversi gradi il piano
sui cui
scorre parallelo
come
in un quadro
cubo futurista
per poi innalzarsi
di colpo
verso il cielo
viola e argento
come la nota cristallina
di un violoncello di betulla
in modo tale che la nostra bocca
socchiusa potesse bere
i primi raggi candidi dell’alba
che sono frizzanti
e lattei
come le piume di un angelo
addormentato dopo l’amore
con una tenera angela pallida
incontrata a una curva del tramonto

allora

il nostro IO
IO
che è un meschino aggregato di dolorose abitudini
di costrizioni
e cogenze appuntite come aculei
rivolti verso il dentro
si dissolverebbe
in polvere di luce
e noi saremmo
piume
schiuma di luce
lievi balzi di azzurro
e vapore
appena percepibili
nell’abbraccio verde
e ocra della terra
nel suo caldo respiro bianco.

Per questo
è necessario
per la produttività
e il profitto
e forse anche per la professionalità che il nostro sguardo
abbia una sola prospettive
lineare
che la nostra vita sia un percorso
rettilineo su un unico piano
che il nostro corpo si
muova esclusivamente
sul nastro grigio viscido e sporco
delle strade
e non possa percepire null’altro che la superficie
dei centri commerciali
e delle zone industriali
e le cancellate delle villette
con il loro giardinetti
dove spunta un’araucaria
perfettamente stupida
nella sua minacciosa ottusità
e i cani dal pelo lucido
che latrano
l’aggressiva ignoranza dei loro padroni
pieni di odio
e di paura inespressa.

Il percorso lineare
educa la mente alla monodimensionalità
l’anima all’obbedienza,
il corpo al dolore

Il percorso lineare
educa l’uomo al lavoro

la strada è l’ipnosi dello sfruttamento.

Per queste ragioni
eminentemente
psicogeografiche
Debord
sbagliava
e non ci sarà mai
l’elicottero
utilitario
e le strade feriranno sempre
i boschi
e lungo le strade
sorgeranno sempre i capannoni vuoti
con gli spiazzi pieni di lamiere e laterizi e spazzatura e mucchi di terra
su quali spuntano rovi stenti
e ortiche pallide.
I capannoni sono vuoti perché la loro funzione non è produttiva ma educativa
o socioipnotica
essi iterano sul nostro percorso lineare
la rappresentazione dell’inevitabile cogenza del lavoro salariato
in tutta la sua
disperata bruttezza.

Bools Corracha

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