La valle si stringeva improvvisamente
Tra aceri e ontani. Sul corso del fiume
Ormai morto da tanto tempo
Lo scheletro di un idrometro
Ormai quasi un'astrazione di povero
cemento
E barre di ferro disfatte in polvere
rossa
Di ruggine fangosa. Da quanto ormai
Il fiume aveva perso la sua funzione?
Inutile giaceva ora come dimenticato
dalla sua lingua,
In nessun dialetto più da nessuno
nominato
Morto insomma morto come un fiume sa
morire
Conservando le apparenze di una povera
vita
Solo in poche pozze nascoste tra le
fronde
Lassù dove vi era stata forse una
miniera di torba
Poi un bordello e un mercante di
cavalli
E ormai solo un bosco confuso nella
povera
Demenza del silenzio
Si permetteva ancora di ripetere ad
anime più
Ingenue il sermone dell'unione e quello
dell'impermanenza.
Con tre curve strette scure e viscide
la strada si sforzava
Di oltrepassare la gola e si apriva
allora
Una vasta radura, proprio nel punto
In cui il povero fiume riceveva
l'apporto
Delle acque di un breve fresco
affluente
Che scrosciava dal selvoso versante
meridionale
Nel quale aveva scavato la sua propria
valle
In tante migliaia di anni popolata poi
da pastori
E da assassini della cui esistenza
testimoniavano
Ormai solo le umide edicole della
Vergine e di Santa Rita
Da nessuno ormai più venerate con la
misteriosa miseria
Dell'orazione che accomunava le
vecchine
E i guardacaccia, carbonari ed i
pastori
I cacciatori di selvaggina di passo e
gli sterratori -
Tutte le leggende si erano perse con la
lingua che le aveva espresse -
Il mondo dei fiumi fantasma era muto e
il gelo
Non era più la lieta chiamata di Dio
nella carne viva
Alla pace della fede.
I fiumi conversarono un tempo con gli
schioppi
E con le squille degli alti borghi, dei
santuari inerpicati
Sui colli protetti dai faggeti.
Dreiser Cazzaniga
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