mercoledì, maggio 24, 2023

Materia trasparente


Un’altra volta in sogno si impregna il cuore
Di aver vissuto… oh fresca materia trasparente!
Di nuovo come allora sento Iddio nelle viscere.
Ma nel mio petto ora è sete quello che fu sorgente.
Nella mattina pura luce dal monte
Freme il cannetto azzurro di rugiada…
Ancora come in sogno un angolo di Spagna
L’odore della neve che l’anima mia sente!
Oh pura e trasparente materia dove stretti
Come fiori nel gelo, ci trovammo
All’ombra un giorno dei boschi profondi
Dove nascono steli che vivendo strappiamo!
Oh dolce primavera che mi corre nell’ossa
Ancora come in sogno… e di nuovo mi desto.
Leopoldo Panero
Trad. Pietro

martedì, maggio 23, 2023

Nascita

Come ricordare la propria nascita? Come fare l’esperienza del nulla anteriore a questo istante? Il nulla anteriore all’esperienza? Posso sperimentare nell’agonica angoscia il nulla della morte ma non quello della nascita, lo stesso nulla infinito prima e dopo, nel passato e nel futuro, un nulla che sboccia, un nulla che spegne. Sorgo da un nulla infinito, eterno, mi risveglio alla presenza, mi apro allo spazio e al tempo come il riflesso di un lampo, La coscienza sboccia dall’interno della mia presenza ed espande il mondo che mi accoglie, che si apre e si dilata dentro e fuori di me, che mi disperdo dentro e fuori del mondo. Un istante, quello della nascita, un abbraccio di carne, luce profumo concentrati in una sensazione puntuale che esplode nello spazio e che lo crea apprendendo a sperimentarlo. Sgorgare in un getto di presenza, sgorgare dal nulla come una corrente d’acqua limpida che la stessa forza del suo erompere modella in un fluire di sensazioni, percezioni che si diramano fino all’essere qui ed ora.

Nascere è spaventoso come morire


Apro gli occhi dopo un lungo sonno. Devo dare un’altra volta un ordine al caos, dare forma a un mondo, porre argini alla notte eterna, vincere la minaccia che tutto inghiotte: l’ombra. Tutte le mattine questo immenso sforzo, questo rinnovato scatenarsi della magia. Devo raccogliermi in me stesso, ordinare sensazioni e percezioni con un movimento centripeto, dare origine a un vortice che mi delimiti come un centro di irradiazione. Ogni istante di questa magia necessita un rito minuzioso, preciso. L’onda di un monotono scroscio, quasi ancora un pulsare ritmico mi travolge, si fa lentamente fruscio, mormorio, un sillabare un balbettare che va articolandosi lentamente in una cascata di parole magiche che nominando delimitano luce ed oscurità. Colori, suoni, profili, direzioni, gravità.

Ogni mattina questo sforzo immenso. Ogni mattina le fauci del drago, il suo alito ipnotico, la paura fino a che la litania dolcemente mormorata distenda il bianco lenzuolo dell’esserci, il velo di tepore che sarà carne pulsante del cuore.

giovedì, maggio 18, 2023

Intimità



L’intimità con il nostro morire ci apre la dimensione dell’infinito. Quando viviamo il nostro morire come il centro del nostro essere, quando sperimentiamo la dimensione finita del nostro essere, sperimentiamo anche la dimensione infinita del nulla che ci attende. Ê uno spasimo davvero terribile. Questa esperienza però illumina tutti i nostri gesti, le nostre percezioni, le emozioni. Le illumina in un senso concreto, tutto diventa più vivido, più nitido, ogni dettaglio sembra risplendere di malinconia e gratitudine. Ê un dono, non ne dubito, un dono che duole e che strazia ma che trasforma.

L’infinito, l’eterno si da nella forma del nulla, è un nulla però che vivifica, un nulla che svuota e illumina. Un nulla che cela una speranza.

Corpus


Nel mio paesello appenninico, per la festa del Corpus Domini, le stradine strette strette intorno alla chiesa si riempivano di frasche appena tagliate, appoggiate ai muri delle case antiche, legate agli stipiti dei portoni, uomini scuri erano saliti sui monti per tagliarle e trarle giù e ora il bosco invadeva per una domenica il borgo intero, con la sua fragranza, con il suo colore. Poi il selciato si copriva di petali di fiori, rose, dalie, tanti fiorellini bianchi di una piantina di cui non ricordo il nome, dal lieve profumo di miele che cresceva abbondante sulle rive dei torrentelli. Il baldacchino avanzava solenne in questo trionfo di semplicità. Aspiravo con forza l'odore delle frasche, immaginavo il profumo dei petali e tutto si fondeva con l’odore dell’incenso che evocava alla mia mente bambina nubi altissime di cieli scoscesi, aperte a inquadrare un infinito che mi toglieva il respiro, come quando guardavo i voli e i giochi delle rondini, al tramonto del sole nel cortile. Lo scoppio dei mortaretti mi faceva sobbalzare il cuore. Temevo questi scoppi crudeli e minacciosi e nelle stesso tempo desideravo il successivo. L’odore acre della polvere da sparo si fondeva con tutti gli altri profumi. Avanzava l’ostensorio, che il parroco reggeva ben alto per le strette viuzze, per i vicoli frondosi, oggi fetidi e abbandonati in un modo che ha rinnegato fedi e magie.

domenica, maggio 07, 2023

Jacaranda

Jacarandá


Dopo il breve nubifragio che nonostante la sua violenza non ha alleviato la morsa dell’arsura, improvvisamente, sono fioriti gli alberi di Jacarandá. Baldacchini di campanule viola, un viola che sfuma nel celeste, che risalta sul verde dei prati o dei boschi, ove ancora si trovino prati verdi, con la stessa forza elettrizzante con cui risalta sullo sfondo del cielo più terso.

Nuvole grate alla vista, grate all’anima che beve il loro sfolgorante colore e si disseta dall’aspra aridità dell’ansia. Dondolano a mezz’aria le loro squisite campanule, si cullano nella brezza con movimenti impudichi. Chiome di fiori, fioriture febbrili che annullando le foglie, sembrano nutrirsi direttamente della luce e del colore del cielo. Miracolosi sciami vegetali che trasformano la luce in colore, un colore dove la vista riposa, s’annida, si raccoglie in una forma di frescura propria di altre contrade. I viali sembrano percorsi dagli strascichi di vergini giganti in processioni quesi immobili. Che ebrezza vertiginosa ci inonda allora e ci lascia con un gusto dolciastro che sfibra i sensi. La brezza che le scuole fa cadere, infine i loro fiori le chiome sembrano allora specchiarsi sul selciato, come sull’acqua limpida di un canale grigio . I fiori caduti si incollano alla suola delle scarpe con un rumore che produce la sensazione di schiacciare un tappeto di insetti: scarabei o scarafaggi.

Intimitá

La nostra morte è quanto di più intimo possediamo, la nostra morte e il nostro morire. Morire è, in certo modo, diventare intimi con la nostra morte, scoprire la sua forma, ovvero discernere quale tipo di morte ci sia destinata. Solo la nostra morte, la morte che ci è data, è morte per noi. La morte degli altri, dal nostro punto di vista non è morte, è separazione, forse abbandono, a volte persino tradimento. La morte degli altri è il loro uscire definitivo dalla spazio della nostra esperienza sensoriale, il loro confinamento nel ricordo o nel sogno o anche nel sogno del ricordo. Non possiamo morire la morte altrui. Possiamo morire solo della nostra morte. Forse possiamo considerare questa povera analogia: morire è il processo di maturazione del frutto che è la morte. Povera davvero, ma utile, in qualche misura all’immaginazione.

Poter morire, della nostra morte, diventare intimi con la morte è, credo una grazia, un dono. Un dono del quale non saremo mai abbastanza grati. Eppure è un dono che accantoniamo con estrema facilità. Lo dimentichiamo anche quando abbiamo sperimentato che la bellezza del mondo, tutta la radiante meraviglia della creazione si svela ai nostri occhi solo quando la viviamo nella coscienza piena del nostro incessante morire, quando la contempliamo con gli occhi di qualcuno, noi stessi , che va morendo. Credo che solo da questa prospettiva si possa comprendere l’indicibile speranza della resurrezione cristiana.

Fiamma



Ê una fiamma forse di candela, forse un tizzone, una fiamma che va spegnendosi lentamente, lentamente e nel suo spegnersi impercettibile impercettibilmente risplende sempre più pura, trasparente, cristallina.

Una fiammo che muore e nel suo morire irradia luce su luce, luce tenue, luce velata, scorta come riflesso di una lacrima, al limite del visibile, eppure viva, fremente quasi d’un brivido sottile. Una fiamma che espande la sua luce, come luce riflessa sulle lacrime alle ciglia, luce consunta luce sfinita dal suo riflesso, dai suoi arpeggi. Luce che consola e che duole sulla soglia di un’altra luce.

mercoledì, maggio 03, 2023

La prigione


È così vasto qui il paesaggio, spazia la vista senza incontrare ostacoli per un’estensione inabituale: la terra si svela in una sua   bianca nudità, senza la protezione di prati e boschi a preservare il suo pudore, è una terra che riverbera il bagliore di questo sole crudele, senza permettere riposo alcuno a chi la osserva e che si ritrova di colpo essere il centro di una distesa di campi solcati con geometrica precisione per estirpare con minuzia qualsiasi traccia di vegetazione. Le zolle hanno perso tutta l’umidità sono come frammenti di ossa, fossili di ere innumerevoli. Gli occhi non trovano quiete, non hanno dove celarsi, dove dimorare. Allora anche l’anima si spoglia, si fa bianca come la terra, di un bianco appena un po’ ingrigito, si adatta a decifrare il ritmo dei solchi, si lascia attraversa dalla luce diffusa, abbandona ogni speranza di quiete, di raccoglimento, diviene tersa e tesa fino alla dissoluzione. Solo il verde novello dei mandorli disposti in curvi filari regolari 

esprime un linguaggio che consola, ma è una consolazione sottile, che si mantiene solo grazie a uno sforzo costante a una concentrazione dolorosa. Non è una terra ostile è una terra pura, che non genera illusione, che forza l’anima a dissiparsi, a rinunciare al punto di vista, a farsi specchio di una realtà che la rispecchia, a farsi vortice in un vortice di luce implacabile.

Poi, a una svolta della strada, ecco apparire all’improvviso l’edificio oscuro della prigione, le siepi di filo spinato, gli alti cancelli, i viali rettilinei tra grandi cunette di cemento, le finestrelle oscure, accecate dalle grate metalliche e un improvviso dolore, un dolore sordo e vorace, oscura senza ombra alcuna la vista assetata di pace.