Nel mio paesello appenninico, per la festa del Corpus Domini, le stradine strette strette intorno alla chiesa si riempivano di frasche appena tagliate, appoggiate ai muri delle case antiche, legate agli stipiti dei portoni, uomini scuri erano saliti sui monti per tagliarle e trarle giù e ora il bosco invadeva per una domenica il borgo intero, con la sua fragranza, con il suo colore. Poi il selciato si copriva di petali di fiori, rose, dalie, tanti fiorellini bianchi di una piantina di cui non ricordo il nome, dal lieve profumo di miele che cresceva abbondante sulle rive dei torrentelli. Il baldacchino avanzava solenne in questo trionfo di semplicità. Aspiravo con forza l'odore delle frasche, immaginavo il profumo dei petali e tutto si fondeva con l’odore dell’incenso che evocava alla mia mente bambina nubi altissime di cieli scoscesi, aperte a inquadrare un infinito che mi toglieva il respiro, come quando guardavo i voli e i giochi delle rondini, al tramonto del sole nel cortile. Lo scoppio dei mortaretti mi faceva sobbalzare il cuore. Temevo questi scoppi crudeli e minacciosi e nelle stesso tempo desideravo il successivo. L’odore acre della polvere da sparo si fondeva con tutti gli altri profumi. Avanzava l’ostensorio, che il parroco reggeva ben alto per le strette viuzze, per i vicoli frondosi, oggi fetidi e abbandonati in un modo che ha rinnegato fedi e magie.
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