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lunedì, settembre 11, 2023

Preludio

Patrice de la Tour du Pin

Trad Pietro


A A. -H. de B”





Tutti i paesi che non hanno più leggende

Sono condannati a morire di freddo.


Lungi nell’animo, si distendono le solitudini

Sotto il sole morto dell’amore di sé.

All’alba si scorgono crescere nel torpore

Della palude, i banchi immensi di nebbia

Che usano i poeti, impotenti,

Per rendere vaghi il dolore e la paura.


Occorre respirarli quando si innalzano

E godere di questo brivido sconosciuto

Che appena si scopre nei sogni,

Nei paradisi che a volte si intravedono;


Solo i mediocri, gli addomesticati

Non comprenderanno la loro amarezza:

Non odono, perduti nella bruma,

Il grido selvaggio degli uccelli braccati.


Era il paese degli angeli selvaggi,

Quelli che non poterono nutrirsi d’amore;

Come tutte le bestie di passaggio, 

Seguivano i venti sempre cangianti;

Salivano, talvolta, verso i cuori eletti,

Molto al di sopra della banalità della terra,

Ma sentivano battere nelle loro arterie

Il rimpianto dei cieli che non avrebbero rivisto!


Allora abbandonavano le altitudini

Spinto da orgoglio e da codardia

Li si sorprende nelle nostre solitudini

Solo di rado; hanno lasciato tutto.

La loro leggenda è morta nei bassi fondi.


Li si vede errare negli occhi delle donne,

E in quei bambini che attraversano l’anima,

Alla fine di Settembre, come vagabondi.


Alcuni, tuttavia si aggirano nell’ombra

Non devono restare molto lontani;

So che si bagnano nelle notti oscure

Perché  i loro svaghi non abbiano testimoni.

Ma cosí straziante emerge il loro grido

Che sembra spezzare tutti i petti,

E si perde alle cime dello spirito

Come un lontano richiamo di caccia.


Lo udranno spaventati i casolari,

La sera dopo gli svaghi della carne;

Si spargerà sulla landa il lamento

D’una bestia sgozzata in pieno inverno;

O questo grido di paura nell’ombra intensa

Che bruscamente sorprende gli stagni,

Quando si avvicinano i passi degli inseguitori

E fan sgorgare l’acqua nel silenzio.


Sara cosí desolante sulla pianura

Che balzeranno i cuori dei passanti;

Si fermeranno per riprendere fiato

E dire: ecco il canto di un innocente!

La chiamata trascorsa, risuoneranno 

Gli echi fino al centro dei midolli

E seguiranno il suo volo come un suono di corno,

Verso l’abisso trasparente delle stelle!


Tu saprai che non è il freddo


Che scatena un grido simile a quest’ora;

Meno lamentevole sarà la tua paura,

Tu conosci le febbri interiori,

I desideri che bruciano fino a contorcervi

Il ventre in due, in uno spasmo impotente;

E direi che il grido dell’innocente,

È il richiamo di una belva che vorrebbe mordere…


*


Vieni a sputare sui morti oscuri

Il disprezzo delle gioie comuni;

L’anima elevata e lo spirito puro

Si nutrono di rancore.

Se è proprio la povertà

Che permette l’elezione

Rigetta questa bestemmia

Che non da soddisfazione.


Perché resteranno più forti

D’ogni ingiuria che rimonti,

E questa pietà dei morti

Non sará mai vergogna.


*


Amico mio segreto, che io visiti

Questo giardino per i morti di cui conosci 

Il silenzio

O evochi a bassa voce la tua presenza, 

Nel più tenero di un cuore

Che non volesti lasciare,

Non vi vedo una grande differenza.


Avevo raccolto questi fiori per la morte di un eroe,

La sua tomba sarà ricoperta di anemoni,

Fioritura del vento e dello spirito

Non disturberà, tranne me, il tuo riposo,

Poiché tutti gli altri ti abbandonano.


Il tuo riposo? Sotto un cielo alto, straziato dai lampi,

Sempre solitario nelle ore di tempesta, 

Spinto di risacca in risacca, e la testa

Presa nel morso negro dei mondi bramati,

E sempre da questo lato della festa…


Mi fai venir voglia di essere più difficile…


Tuttavia non ho fatto vela verso le isole,

All’avventura verso le zone morte del mare;

Ho paura, tuttavia, di tornare accanto a te,

Di istruire i bambini con parole nascoste


E formule infuse d¡ombra che li gelano…

I miei discepoli cercheranno altri altari,

Ceracre il senso del mondo nel mezzo delle erbe

Profumati, sulle alture spazzate dal cielo…


Oppure, le notti d’inverno, trascinando sulla mia scia,

Su di un declivio di un bianco indescrivibile,

I compagni in file serrate come animali,

Io insegnerò loro la disciplina della Quête

In questa scivola dove saremo veri cercatori

Di saggezza, una grande mandria di anime inquiete.


Spiegherò loro la bellezza dei loro ruoli,

Ma quando uno sentirá la mia mano sulla sua spalla,

Risponderà come risposi anch’io:

“Se mi hai scelto per la mia intelligenza,

Sarò io quello che si tanto atteso

Per secoli e secoli in silenzio.




mercoledì, agosto 23, 2023


La locanda


Era di passaggio e questo lo sapeva

Nel tempo che passava per trattenere ciò che passa

Ma chi mai potè cogliere quello che non passava?

Quello che contemplava non era nello spazio,

Eppure davanti a lui, vi era tutto lo spazio.


Il letto dell’Eterno riempiva l’effimero, 

Dimorandovi senza posa ma senza stabilirsi,

Lo raggiungeva, infine, e vedeva, emanata

Da corrente contraria di luce fatale

Chiarità del santuario ove il Santo abitava,


Finché dall’insopportabile non fosse gravato

E neppure ridotto al balbettio del dolore,

Potrebbe sul bordo del corso inesauribile

Costruir la locanda sognata, offrire il vitto

Ai viandanti perduti tra la nebbia e il timore?


Fissare ogni ragione di chiarita di grazia

Per fondar la sua casa sulla tremula sabbia,

Ma stabile e sigillata dall’Eterno che passa

Per sprofondare, infine, al giungendo la sua ora

Pian piano nell’Eterno senza nessuna angoscia.



Patrice di La Tour du Pin, Terza commedia, Piccolo teatro crepuscolare [1964], in ,Poèmes choisis id., pp. 166-167.


Trad Pietro