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mercoledì, novembre 26, 2014

La bella mano

XIII

Luce dal ciel novellamente scesa
Per far con tua presenza sacra e pura
Piú degna in noi natura
Ed aggrandire il basso stato umano,
Appena che la lingua s'assicura
A dir del ben donde ho la mente accesa
Pensando alla mia impresa
Dignissima di stile alto e sovrano:
Ma pregp Amor, Ch'ogni mia sorte ha in mano,
Che la presuntuosa affranchi, e aspire,
Facendo alle mie stanche rime scorta;
E scusi il troppo ardire
Del gran piacer, che a scriver mi conforta.

Perché compiutamente ogni bellezza,
Per vera elezione Amore e Dio
Poser nel volto ch'io
Come idolo scolpito in terra adoro,
Sia benedeto il subito desio,
E il mio sperar che fu di tanta altezza,
Che giá con tal vaghezza
Mi mosse a contemplar l'alto lavoro;
Non so se per riposo o per ristoro
Di mie fortune e de' passati affanni,
Ció provedesse il mio Signor fallace,
Per darmi alfin degli anni
Alcun breve conforto, o qualche pace.

Se il piacer amoroso, ond'io m'accendo
Mentre che in te son tutto attento e fiso
Per iscolpire il viso,
Che fa alla nostra etá cotanto onore,
Non mi tenesse allor da me diviso.
Finché la forma tua vera comprendo
E gli secreti intendo
L'anime spente accenderei d'amore.
Ma se l'innamorato acceso core
La gran dolcezza in voce poi sciogliesse,
Come confusa in lui l'ascondo e celo,
Io temo non ne avesse
Di sí supreme laudi invidia il cielo.

Quel vago riso e l'atto signorile,
L'angeliche maniere elette e care,
E il bel dolce parlare,
Che per virtú materna in te succede;
L'aspetto che nel mondo non ha pare,
Son le faville, e il bel laccio gentile,
Che in angoscioso stile,
Mia vita ardendo strugge e la mia fede.
Sará sempre mercede
Nimica pur cosí di leggiadría,
Come bellezza di pietá rubella?
Che se in costei non fia,
Trionferá sopr'ogni donna bella.

Chi potrá mai le doti e le virtute
E l'alte tue eccellenzie al mondo sole
Con mortali parole
Contare appieno, come io dentro sento?
Quale intelletto, e che tanto alto vole,
Che spieghi cose mai piú non vedute,
Ove son stanche e mute
E penne, e rime e ciascun nostro accento?
L'andar celeste e il divin portamento,
Che fan del Paradiso prova in terra,
Qual lingua o quale stile, è cosí che 'l descriva?
Che se 'l piacer non erra,
Tua forma è umana ma l'essenza è diva,

Or va, Canzon leggiadram
Davanti a quella oriental Fenice,
Che fa di sé la nostra etá felice,
Cotanta grazia da' begli occhi piove:
E narra se fra noi
Valor fu mai che in lei non siritrove
Raccolto tutto, e piú compiuto assai.

Giusto de' Conti




sabato, novembre 15, 2014

Giusto de' Conti



Quel cerchio d'oro che due trecce
Bionde alluma si, che il Sol troppo
Sen dole, e il viso ove fra pallida viole
Amor sovente al'ombra si nasconde;

E l'armonia che tra si bianche e monde
Perle risuona anheliche parole;
E gli occhi, onde il mattin riprende il Sole
La luce che perduta avea tra l'onde;

E la vaghezza del soave riso
Coll'atto altero dell'andar beato.
Che ogi vil cura dal cor m'allontana;

E il bel tacere da 'nnamorar Narciso, è
Quel che tanto ha sopra ogni altro stato
Nobilitata la natura umana.



mercoledì, novembre 05, 2014

Giusto de' Conti


Questa Angioletta mia dall' ale d' oro,
mandata qui dal regno degli Dei,
non so che nell' aspetto aggia con lei,
che come cosa santa sempre adoro.

De i spirti eletti il più gentil di loro
venendo a noi con gli altri Semidei,
(nel fronte porto scritti i pensier miei)
dalla più degna sfera ed alto coro,


dal volto acceso d' un celeste raggio
sfavilla, e da i begli occhi la vaghezza,
che il cor m' ha pien d' ardente caldo, e gelo :


e dalla bocca colma di dolcezza,
riversa il bel parlar si dolce e saggio ;
come colei che lo imparò dal cielo.

La bella mano

Sonetto V