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martedì, gennaio 15, 2008

Rapsodia sul tema di Antigone


Come figlia, la donna deve veder disparire i genitori con commozione naturale e con calma etica; ché solo a costo di questa relazione essa giunge all'esser-per-sé, di cui è capace; intuisce dunque nei genitori il suo esser-per-sé, ma non in guisa positiva. Ma le relazioni di madre e di moglie hanno la singolarità, da una parte, come qualcosa di naturale appartenente al piacere, d'altra parte come qualcosa di negativo, che ivi scorge solo il suo dileguare; e d'altra parte ancora appunto per ciò quella singolarità è un alcunché di accidentale che può venire sostituito da un'altra. Poiché dunque a tale comportamento della moglie è mista la singolarità, l'eticità di esso non è pura; ma in quanto l'eticità è tale, singolarità è indifferente, e la moglie è priva del momento del riconoscersi come questo Sé nell'altro.

(Hegel, Fenomenologia dello spirito)


Canto del riflesso

Mio limpido specchio - pensò quel giorno
salendo per l'ultima volta sull'autobus -
vado alla città del dolore ma è mattina
di gran sole oggi d'illusione di erbe profumate
di tutte le estati vissute di corse nei campi
di risate nella gola. Mio specchio mio riflesso
di giovinezza quando correvi veloce
quando poi allungavi come i miei i capelli
e quasi m'invidiavi il canto.
Lo so - diceva - è inutile l'agire
dispendio senza misura e senza approdo.
Come se in lei premessero generazioni
sconosciute. Una cripta segreta, mio specchio,
una immensa spaventevole folla
ho al posto del cuore, una nebbia.
Anche tu, infine, sei andato.
Chiudiamo allora questo assedio - pensò -
diamo oblio a queste schiere di non dimenticati
a questi resti mai inceneriti.
Così - dice - guardai nei giorni che restavano
il verde dei campi, il verde più di tutto
mancherà a questi occhi,
e il mutare della luce nelle ore
come l'alba arrivava lentamente
come alla sera si spegnevano sui volti i colori.
E notti intere ho vegliato per contare
ancora una volta i minuti nel silenzio
e portare nella mente come di lontano
i gridi si rispondono di animali spaventati eccitati
come le cose si richiamano nel buio
assicurandosi così del loro esistere.
Confine. Invidiabile licenza.
Lei non più tra i vivi, non ancora tra i sepolti
ma accesa, come se il vasto mondo
la prendesse nel suo sogno
solo allora a lei svelandolo, in dono.
Infine, mio chiaro specchio, ho preso quell'autobus.
Ma prima, nella vetrina del negozio, a lungo ho guardato quelle bellissime
scarpe - erano rosse, erano di vernice
erano come le avevo sempre
sognate

Laura Silvestri

***

Un problema nuovo si presenta, non era chiaro nemmeno a Hegel. Hegel ha lungamente cercato, nella "Fenomenologia dello spirito di articolare" la tragedia della storia umana in termini di conflitto di discorsi. Si è compiaciuto, tra tutte, della tragedia di Antigono, in quanto vi vedeva , l'opposizione piú chiara tra il discorso della famiglia e quello dello stato. Per noi, però, le cose sono molto meno chiare.

...

Goethe corregge, con sicurezza ció che per Hegel rappresenta il tema essenziale, l'opposizione di Creonte ad Antigone come due principi della legge, del discorso. Il conflitto sarebbe legato alle strutture. Geothe mostra al contrario che Creonte, spinto dal suo desiderio, batte la campagna, prendendo di mira il suo nemico Polynice oltre i limitia lui consentiti.

...

Non si tratta di un diritto che si oppone a un diritto, ma di un torto che si oppone - a che? a un'altra cosa che è rappresentata da Antigone. Vi dirò che non si tratta semplicemente della difesa dei sacri diritti del morto e della famiglia.

...

Quando si spiega davanto a Creonte su ciò che ha fatto. Antigone si presenta con un : "è così perchè è così", come la presentificazione dell'individualitá assoluta. In nome di che cosa? E, prima di tutto, sulla base di cosa? Ella dice nettissimamente - Hai fatto le leggi. E di nuovo si elude il senso per tradurre alla lettera - perché in nessun modo Zeus era colui che ha proclamato a me queste cose. - Naturalmente, si comprende quello che vuole dire, e io vi ho sempre detto che è importante che la comprensione non sia fine a se stessa: Non è Zeus che ti da il diritto di dire queste cose. Ma non è quello che lei dice. Ella nega che sia Zeus che gli ha ordinato di fare ció.
ma Antigone conduce al limite il compimento di ció che si puó chiamare il desiderio puro e semplice, il desidrio di morte come tale. Questo desiderio, ella lo incarna.

Pensateci bene, che fine ha fatto il suo desiderio? Non è forse il desiderio dell'Altro, collegarsi al desiderio della madre? Il desidero della madre, il testo vi allude, è all'origine di tutto. Il desiderio della madre è contemporaneamente il desiderio fondante di tutta la struttura, quello che fa venire alla luce questi discendenti unici, Eteocle, Polynice, Antigone, Ismene, ed è al tempo stesso un desiderio criminale.

Lacan
Seminario
Libro VII

a cura di genseki

martedì, ottobre 17, 2006

Laura Silvestri


Perché il faro lo ha fatto costruire un tizio, un artista, trasportando sul continente da navi e vagoni tonnellate di lastre di ferro predisposto alla ruggine, a farsi brunito e scorticante, fastidioso alla vista. Un pozzo sotterraneo lo blocca ancorandolo ai ghiacci e alla terra incrostata, ancora adesso ogni tanto mi sembra di sentirli sfrigolare e spaccarsi e quella vibrazione sale su, agrappandosi alle spire della scala interna e arriva fino alla stanza bianca, perfino i vetri ne crepitano ... Dunque il tipo vadicendo che qua sotto quella buca è simile a un immenso recipiente dove cuociono come in un grande uovo, una matrice gorgogliante, gli ingredienti del mondo, acqua zolfo seme mercurio e chissá cos’altro, insomma un bel minestrone, così me l’immagino, per sempre intento a riprodursi e maturare ed esalare, e il faro... il faro sarebbe la strada, lo stretto canale in cui quei fiumi, quegli spiritelli leggeri quando è il loro momento se ne scappano via, liberi finalmente, in corsa verso il cielo, facendo a gara a chi per primo tocca il vuoto. Così. Andarsene in alto, affinati e ripuliti, lubrificati quel tanto che basta alla fuga e alla visione. E dice, l’artista di aver preso l’idea da un tal gesuita che qualche secolo fa divenne famoso assicurando che avrebbe di lì a poco decifrato i geroglifici, ma ancor più idolatrato per uno strano museo delle meraviglie dove aveva raccolto di tutto, marchingegni per il moto perpetuo, giochi ottici, obelischi di legno, idoli, feti, bastoni di sciamani, animali impagliati. Per questo poi il faro non è più alto dei suoi trenta metri, non sia mai, come ammoniva il monaco, che crescendo in eccesso e arrivato a 178 miglia d’altezza cominci a pesare un po’ troppo e svellere non solo il suo pozzo nascosto ma perfino la terra dal suo asse.

Canti di lontananza
pp. 16-17

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