lunedì, settembre 18, 2023

Tradotto dal silenzio

Joë Bousquet

Trad. Pietro




Attraverso la percezione di un oggetto, un oggetto qualsiasi, sento come una specie di pregiudizio causato al mio pensiero. Il mondo in cui vivo è oppresso dal peso della luce, quella luce nella quale non posso penetrare senza che tutti i pensieri che sono in me divengano trasparenti e inesistenti come spettri. Questo mondo è grottesco, ed è necessario che porti in volto la sua assurdità, giacché, senza conoscerne un altro, posso giudicarlo imperfetto. Non si può stare nell’orribile luce, sotto la pioggia esecrabile dei raggi, e se qualcuno così prevenuto come lo sono io, continua a dimorarvi, è perché non sa bene in che modo afferrare la notte.


Vi è una notte nella notte.


Vi sono sere in cui mi sento sfiorato da una specie di malinconia, una insensibilità triste. Mi sento inferiore, allora, degno di una mediocrità a cui verifica che la mia vita si conforma. Mi sento separato dal mondo per un’idea che mi faccio della sua bellezza. Non soffro ma gusto e penso il mio silenzio come se fosse l’espressione perfettamente appropriata del mio nulla interiore.


Sono disgustato dall’Io perché so che ha la realtà di questo mondo nelle mani. Odio questo “Io” che, invece di formarmi, me determina. Infatti è l’unità di tutti i miei istanti ña mi abbandona in mezzo ad essi, e tende a darmi come essere il mio pensiero, ovvero ciò che mi pone di fronte al mondo esterno e fuori di lui.

Tutti i miei istanti in un solo istante!… Temo, ormai, che la mia pena diri quanto me. Il mio vero essere mi caccia davanti a sé. Ah! Bisognerebbe avere per esistenza reale l’essere astratto di questa unità. Non bisognerebbe che tale unità di tutti i miei istanti avesse per figura nell’universo materiale questo corpo assurdo al quale sono legato. Questa unità da un frutto, ahimè!

lunedì, settembre 11, 2023

Preludio

Patrice de la Tour du Pin

Trad Pietro


A A. -H. de B”





Tutti i paesi che non hanno più leggende

Sono condannati a morire di freddo.


Lungi nell’animo, si distendono le solitudini

Sotto il sole morto dell’amore di sé.

All’alba si scorgono crescere nel torpore

Della palude, i banchi immensi di nebbia

Che usano i poeti, impotenti,

Per rendere vaghi il dolore e la paura.


Occorre respirarli quando si innalzano

E godere di questo brivido sconosciuto

Che appena si scopre nei sogni,

Nei paradisi che a volte si intravedono;


Solo i mediocri, gli addomesticati

Non comprenderanno la loro amarezza:

Non odono, perduti nella bruma,

Il grido selvaggio degli uccelli braccati.


Era il paese degli angeli selvaggi,

Quelli che non poterono nutrirsi d’amore;

Come tutte le bestie di passaggio, 

Seguivano i venti sempre cangianti;

Salivano, talvolta, verso i cuori eletti,

Molto al di sopra della banalità della terra,

Ma sentivano battere nelle loro arterie

Il rimpianto dei cieli che non avrebbero rivisto!


Allora abbandonavano le altitudini

Spinto da orgoglio e da codardia

Li si sorprende nelle nostre solitudini

Solo di rado; hanno lasciato tutto.

La loro leggenda è morta nei bassi fondi.


Li si vede errare negli occhi delle donne,

E in quei bambini che attraversano l’anima,

Alla fine di Settembre, come vagabondi.


Alcuni, tuttavia si aggirano nell’ombra

Non devono restare molto lontani;

So che si bagnano nelle notti oscure

Perché  i loro svaghi non abbiano testimoni.

Ma cosí straziante emerge il loro grido

Che sembra spezzare tutti i petti,

E si perde alle cime dello spirito

Come un lontano richiamo di caccia.


Lo udranno spaventati i casolari,

La sera dopo gli svaghi della carne;

Si spargerà sulla landa il lamento

D’una bestia sgozzata in pieno inverno;

O questo grido di paura nell’ombra intensa

Che bruscamente sorprende gli stagni,

Quando si avvicinano i passi degli inseguitori

E fan sgorgare l’acqua nel silenzio.


Sara cosí desolante sulla pianura

Che balzeranno i cuori dei passanti;

Si fermeranno per riprendere fiato

E dire: ecco il canto di un innocente!

La chiamata trascorsa, risuoneranno 

Gli echi fino al centro dei midolli

E seguiranno il suo volo come un suono di corno,

Verso l’abisso trasparente delle stelle!


Tu saprai che non è il freddo


Che scatena un grido simile a quest’ora;

Meno lamentevole sarà la tua paura,

Tu conosci le febbri interiori,

I desideri che bruciano fino a contorcervi

Il ventre in due, in uno spasmo impotente;

E direi che il grido dell’innocente,

È il richiamo di una belva che vorrebbe mordere…


*


Vieni a sputare sui morti oscuri

Il disprezzo delle gioie comuni;

L’anima elevata e lo spirito puro

Si nutrono di rancore.

Se è proprio la povertà

Che permette l’elezione

Rigetta questa bestemmia

Che non da soddisfazione.


Perché resteranno più forti

D’ogni ingiuria che rimonti,

E questa pietà dei morti

Non sará mai vergogna.


*


Amico mio segreto, che io visiti

Questo giardino per i morti di cui conosci 

Il silenzio

O evochi a bassa voce la tua presenza, 

Nel più tenero di un cuore

Che non volesti lasciare,

Non vi vedo una grande differenza.


Avevo raccolto questi fiori per la morte di un eroe,

La sua tomba sarà ricoperta di anemoni,

Fioritura del vento e dello spirito

Non disturberà, tranne me, il tuo riposo,

Poiché tutti gli altri ti abbandonano.


Il tuo riposo? Sotto un cielo alto, straziato dai lampi,

Sempre solitario nelle ore di tempesta, 

Spinto di risacca in risacca, e la testa

Presa nel morso negro dei mondi bramati,

E sempre da questo lato della festa…


Mi fai venir voglia di essere più difficile…


Tuttavia non ho fatto vela verso le isole,

All’avventura verso le zone morte del mare;

Ho paura, tuttavia, di tornare accanto a te,

Di istruire i bambini con parole nascoste


E formule infuse d¡ombra che li gelano…

I miei discepoli cercheranno altri altari,

Ceracre il senso del mondo nel mezzo delle erbe

Profumati, sulle alture spazzate dal cielo…


Oppure, le notti d’inverno, trascinando sulla mia scia,

Su di un declivio di un bianco indescrivibile,

I compagni in file serrate come animali,

Io insegnerò loro la disciplina della Quête

In questa scivola dove saremo veri cercatori

Di saggezza, una grande mandria di anime inquiete.


Spiegherò loro la bellezza dei loro ruoli,

Ma quando uno sentirá la mia mano sulla sua spalla,

Risponderà come risposi anch’io:

“Se mi hai scelto per la mia intelligenza,

Sarò io quello che si tanto atteso

Per secoli e secoli in silenzio.