mercoledì, agosto 23, 2023


La locanda


Era di passaggio e questo lo sapeva

Nel tempo che passava per trattenere ciò che passa

Ma chi mai potè cogliere quello che non passava?

Quello che contemplava non era nello spazio,

Eppure davanti a lui, vi era tutto lo spazio.


Il letto dell’Eterno riempiva l’effimero, 

Dimorandovi senza posa ma senza stabilirsi,

Lo raggiungeva, infine, e vedeva, emanata

Da corrente contraria di luce fatale

Chiarità del santuario ove il Santo abitava,


Finché dall’insopportabile non fosse gravato

E neppure ridotto al balbettio del dolore,

Potrebbe sul bordo del corso inesauribile

Costruir la locanda sognata, offrire il vitto

Ai viandanti perduti tra la nebbia e il timore?


Fissare ogni ragione di chiarita di grazia

Per fondar la sua casa sulla tremula sabbia,

Ma stabile e sigillata dall’Eterno che passa

Per sprofondare, infine, al giungendo la sua ora

Pian piano nell’Eterno senza nessuna angoscia.



Patrice di La Tour du Pin, Terza commedia, Piccolo teatro crepuscolare [1964], in ,Poèmes choisis id., pp. 166-167.


Trad Pietro

mercoledì, luglio 19, 2023

Jean Grosjean

Elia 

Cap III

Trad Pietro


Elia abitava sulla sponda di un torrente in una valle perduta, Vi tro

vava dei granelli di erba e bacche di arbusti, compartiva co con i corvi quello che rubacchiavano nelle fattorie. Beveva l’acqua del torrente.

L’acqua cantava tra le pietre che levigava- L’acque porta via nella sua corsa chiazze di luce strappate alla luce del cielo, ma la trasparenza permetteva di vedere l’estasi della sabbia in fondo all’acqua. Elia dormiva in una cavità della roccia su di una vasca limitata dagli ontani ove anche il torrente sembrava dormire.

Al mattino si immergeva in questa vasca.

La luce spuntava tra gli ontani. Elia si inchinava con i giunchi per ammirare la sua limpidezza nell’onda tra gli ontani. La luce che era tranquilla sul fondo del cielo tremava sul fondo della vasca. Quando l’alba invadeva il cielo, l’acqua si illuminava come un’anima. I pioppi si illuminavano. La freschezza faceva rabbrividire l’erba. Elia risaliva la sponda guardando la luna pallida che si dissolveva nel cielo pallido. Un volo d’uccelli scivolava sul limite del cielo.

Le nuvole passeggiavano ancora le loro ombre sulle ondulazioni del suolo. Talvolta il vento si riposava sul dorso dei boschi e il sole restava velato. Le foglie appena respiravano. La felicità del momento restava ai margini del tempo

Presto l’estate regnò senza. Assunse lo stilo delle grandi estati della storia. Il sole evidenziava le ombre delle rocce. L’erba si disfaceva in polvere. L’aria era stagnante. Elia cercava rifugio in un gerbido. Una rosa altea appassiva contro un vecchio albero. Questo era il prezzo del sole. Questo era il prezzo della pace. L’uccello tacque. Quieto l’insetto. L’abisso verticale del cielo.


Jean Grosjean

L'Ironie Christique



L’universo è ordito, costantemente, dal movimento del linguaggio, cioè da una forma di audacia. Siccome non si può sapere come finirà una frase, non si può nemmeno sapere dove va la storia del mondo. Giovanni solo ci dice che è viva, perché è nel linguaggio che si trova la vita. Se Dio fosse silenzioso sarebbe soltanto sacro. Noi dimoreremmo nella notte dell’adorazione proprio come i pagani. Il nostro Dio non si concepisce senza linguaggio, il linguaggio è vitale nel nostro Dio. E siccome il linguaggio che fa esistere l’universo è vivo e vitale, possiamo dire che il divenire dell’universo è qualche cosa di quanto il Dio vivente osa dire a se stesso.

Una vita muta è soltanto un’ombra di vita mentre la vita è luce. Il gesto vitale che è presso Dio lo slancio del linguaggio è quindi come la lampada con la quale Dio illumina la propria trasparenza. E se questa luce pura che l’anima del linguaggio illumina Dio, essa brilla per cosí dire nel mezzo di tutto ciò che non pe Dio. Irradia la luce di Dio e nulla le impedisce di irradiare le tenebre, ma le tenebre non la afferrano. Può forse l’oscurità del vuoto conservare qualche scintilla di un raggio che la attraversa?

Non è forse necessario che la luce inventi nella notte le polveri erratiche disseminate dal suo passaggio? Le tenebre, infatti, sembrano tanto incapaci di comprenderla quanto a conservarla o a combatterla. Giovanni però non si imbuca in una teoria, La sua contemplazione diffida di ciò che è fisso. Quello che dice è storico, Immediatamente dopo l’aneddoto eterno della vita interiore di Dio, egli racconta la missione del suo primo maestro chiamato Giovanni, come lui.

L’infanzia di questo Giovanni non ha interesse per lui come non ne ha la sua o di quella del Messia. … I millenni sono soltanto una sera. Vi è una sola notte, più o meno lunare, tra la luce di Dio e la luce di Dio nel mondo. Vi è uno chiamato Giovanni che è venuto per dare testimonianza della luce, in modo tale che, grazie a lui, ogni essere umano possa confidare in essa. Essere umano, infatti, segnica essere più linguaggio che il resto del mando, più ayttenti a qualche altrui, come il linguaggio di Dio rischia davanti a Dio perché ha fiducia in Dio. lABC del linguaggio come anche quello della vita che è la sua natura pe la fiducia. Noi, però no siamo il nostro linguaggio, è il linguaggio che viene dall’alto che inventa la nostra esistenza.


Trad Pietro

lunedì, luglio 17, 2023

Itinerario della mente in Dio

Giovanni Bonaventura Fidanza

Trad Pietro


Intendi, dunque e considera che quel bene (Dio) è ottimo in tutto e non si può concepire nulla che sia migliore di esso. E questo bene è tale c¡he non può essere pensato come non esistente, dato che è  assolutamente meglio e l’esistere che il non esistere, Inoltre è un bene tale che non può esser concepito che come Uno e Trino.

Il bene, in effetti è diffusivo per virtù propria; il sommo bene  è sommamente diffusivo per virtù propria. Ma la diffusione non potrebbe  essere somma, se non fosse contemporaneamente attuale e intrinseca, sostanziale e ipostatica, naturale e volontaria, liberale e necessaria, senza mancanza e perfetta. Pertanto, se non esistesse una produzione attua e consustanziale, di durata eterna, nel sommo Bene, e se non sorgesse una persona tanto nobile come quella che la produce in quanto ispirazione e generazione… in modo tale che vi sia un amato e un colmato, un generati e un ispirato, ovvero: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, allora non potrebbe esistere il Sommo bene perché non potrebbe diffondersi sommamente… Il Sommo Bene non sarebbe il Sommo se mancasse la diffusione somma. Per tanto, se con occhio della mente puoi cointuire la purezza di quella Bontà, che è l’atto puro del Principio che caritativamente ama con amore gratuito, con amore dovuto e con amore composto da ambedue; che è la diffusione pienissima come natura e come volontà; che è la diffusione secondo il verbo in cui tutte le cose son dette, e secondo il dono in cui si donano tutti gli altri doni.


Capirai che per la somma comunicabilità del bene è necessario che esista la Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, persone che per essere sommamente buone, sono necessariamente sommamente comunicabili: per essere sommamente comunicabili, sono sommamente consustanziali, per essere sommamente consustanziali, sono sommamente configurabili nella somiglianza; per essere comunicabili, consustanziali e configurabili in sommo grado, sono sommamente coagulai, e quindi, sommamente coeterne; proprietà dalle quali risulta la somma cointimità grazie alla quale non solo una persona è necessariamente in un’altra…ma anche perché l’una opera con l’atra per l’identità della sostanza, della virtù e dell’operazione della stessa beatissima Trinità

Jean Grosjean 

L’ironie christique



Giovanni comincia dall’inizio e, come Mosè. Risale all’origine. Che  progresso, tuttavia, nell’interiorità. Mosè parte dalla creazione del mondo: Dapprima Dio ha fatto il cielo e la terra. Egli non immagina nessun avvenimento prima di questa opera di Dio. 

Ora, l’esistenza del mondo è davvero fondamentale* Il mondo è impastato di apparenze meravigliose, ma in parte ingannevoli, di una terribile crudeltà di cui ci si attende che siano anche un po’ illusorie.


Mosè quando vuole descrivere la nascita del mondo è obbligato a dire: Dio disse, perché, a rigore, dio può impastare una materia, ma come ha fatto esistere tale materia? Dio può mettere ordine nel caos, illuminarlo, ma la luce, l’ordine e persino il caos in che modo esistono Dunque Dio avrebbe parlato.

Il pensiero di Mosè raggiunge il limite. Si scontra con la parete di un atto creatore come inizio assoluto, come qualche cosa di opaco.

Con Giovanni il velo del tempio si rompe, lo sguardo affonda nel santuario.

Se Dio ha parlato è perché per prima cosa Dio parla: al principio vi era il linguaggio.

Il linguaggio, allora è la sorgente di Dio? Dio non sarebbe, insomma, altro che parola? Giovanni precisa subito che il linguaggio era presso Dio. Se il linguaggio stava presso Dio, allora non preesiste a Dio, soltanto preesiste al mondo. Dio non è l’effetto del linguaggio sebbene il linguaggio abiti da sempre presso di Lui. Era dapprima presso Dio.Allora il linguaggio non è anteriore a Do e, tuttavia, Dio non è mai esistito senza il linguaggio. 


Considera Dio come creatore è una visione bellissima, certo, ma un po’ grossolana. Ê una visione stimolante e allo stesso tempo pericolosa, quanto si agitano gli uomini per fabbricare, agire,, o al meno darsi da fare. Perché? Perché credono oscuramente di divinizzarsi. Dimenticano che Dio non è Dio perché ha fatto il mondo, perché ha inventato qualche cosa, no. Dio è Dio perché è in conversazione, perche in Lui vi è il linguaggio.

Si potrebbe dire che prima di avere la minima intenzione di creare qualche cosa, d’immaginare il benché minimo dispiegarsi del tempo e dello spazio, Dio abbia passato il suo tempo, se mi posso permettere di dirlo a significarsi la sua stessa esistenza perché il linguaggio di Dio non aveva da dire che Dio. In effetti, se Giovanni aggiunge che questo linguaggio era Dio lo fa per dire che il linguaggio è l’atto unico di Dio e che mostra interamente Dio, Conteneva l’eccellenza e l’intensità da la stessa sorgente. Era lo stesso Dio che Dio, ma Dio in quando detto, in quanto mostrato

Dio,a llora è chi parla, ma la sua parola è chi lo ascolta. La sua parola è docile a Lui perché lui è interamente tutto ció che dice. Riflettiamo un po’ sul fatto che colui che parla e colui che ascolta sono differenti. Il linguaggio non sopprime la distanza tra di loro. Al contrario la rende sensibile, visibile, cosciente, santa. Se il Dio che parla è lo stesso Dio che ascolta, il suo linguaggio stabilisce in Lui, a causa della differenza dei ruoli, una santa distanza. Esiste, allora, in Dio, una sorta di differenza abissale, scavata e allo stesso tempo varcata dal suo stesso linguaggio. (È proprio di questa specie di abisso interno che la parola che creerá il mondo será l’eco). Un linguaggio congenito a Dio stabilisce in Dio una rottura, perché diversifica Dio in ruoli opposti che mantiene uniti proprio quella medesima opposizione che esso stabilisce, 

Immenso rischio di un linguaggio che va  dall’uno all’altro e che solo può essere altro nell’altro.

Stupefacente precarietà di un linguaggio che è soltanto un passaggio. Non un tragitto da chinarla a chi ascolta, ma trasformazione di sé. Quale parola, infatti è la stessa nella bocca di chi la proferisce e nell’orecchio di chi la raccoglie? La natura della parola è di perdersi per strada e di raggiungere il suo obiettivo solo una volta divenuta estranea alla sua fonte malgrado la fedeltà forsennata alla quale si consacra.

Si malgrado l’esattezza o la forza di chi  parla e malgrado l’attenzione o l’intelligenza di chi ascolta il linguaggio appartiene prima all’uno e poi all’altro.

Inoltre il linguaggio che parla si sforza di essere fedele all’orecchia a cui si dirige e il linguaggio ascoltato si sforza di essere fedele alla bocca che lo ha pronunciato, senza contare che chi parla è modificata da ció che dice  come chi ascolta da ciò che ode

Sebbene in Dio l’uno e l’altro coincidano, non sono una stessa cosa, cosí che il linguaggio conserva la totalità del suo rischio. Ebbene questo rischio è l’intimità di Dio perché il linguaggio era in principio presso Dio.


Pp 8-13

Trad Pietro

mercoledì, maggio 24, 2023

Materia trasparente


Un’altra volta in sogno si impregna il cuore
Di aver vissuto… oh fresca materia trasparente!
Di nuovo come allora sento Iddio nelle viscere.
Ma nel mio petto ora è sete quello che fu sorgente.
Nella mattina pura luce dal monte
Freme il cannetto azzurro di rugiada…
Ancora come in sogno un angolo di Spagna
L’odore della neve che l’anima mia sente!
Oh pura e trasparente materia dove stretti
Come fiori nel gelo, ci trovammo
All’ombra un giorno dei boschi profondi
Dove nascono steli che vivendo strappiamo!
Oh dolce primavera che mi corre nell’ossa
Ancora come in sogno… e di nuovo mi desto.
Leopoldo Panero
Trad. Pietro

martedì, maggio 23, 2023

Nascita

Come ricordare la propria nascita? Come fare l’esperienza del nulla anteriore a questo istante? Il nulla anteriore all’esperienza? Posso sperimentare nell’agonica angoscia il nulla della morte ma non quello della nascita, lo stesso nulla infinito prima e dopo, nel passato e nel futuro, un nulla che sboccia, un nulla che spegne. Sorgo da un nulla infinito, eterno, mi risveglio alla presenza, mi apro allo spazio e al tempo come il riflesso di un lampo, La coscienza sboccia dall’interno della mia presenza ed espande il mondo che mi accoglie, che si apre e si dilata dentro e fuori di me, che mi disperdo dentro e fuori del mondo. Un istante, quello della nascita, un abbraccio di carne, luce profumo concentrati in una sensazione puntuale che esplode nello spazio e che lo crea apprendendo a sperimentarlo. Sgorgare in un getto di presenza, sgorgare dal nulla come una corrente d’acqua limpida che la stessa forza del suo erompere modella in un fluire di sensazioni, percezioni che si diramano fino all’essere qui ed ora.

Nascere è spaventoso come morire


Apro gli occhi dopo un lungo sonno. Devo dare un’altra volta un ordine al caos, dare forma a un mondo, porre argini alla notte eterna, vincere la minaccia che tutto inghiotte: l’ombra. Tutte le mattine questo immenso sforzo, questo rinnovato scatenarsi della magia. Devo raccogliermi in me stesso, ordinare sensazioni e percezioni con un movimento centripeto, dare origine a un vortice che mi delimiti come un centro di irradiazione. Ogni istante di questa magia necessita un rito minuzioso, preciso. L’onda di un monotono scroscio, quasi ancora un pulsare ritmico mi travolge, si fa lentamente fruscio, mormorio, un sillabare un balbettare che va articolandosi lentamente in una cascata di parole magiche che nominando delimitano luce ed oscurità. Colori, suoni, profili, direzioni, gravità.

Ogni mattina questo sforzo immenso. Ogni mattina le fauci del drago, il suo alito ipnotico, la paura fino a che la litania dolcemente mormorata distenda il bianco lenzuolo dell’esserci, il velo di tepore che sarà carne pulsante del cuore.

giovedì, maggio 18, 2023

Intimità



L’intimità con il nostro morire ci apre la dimensione dell’infinito. Quando viviamo il nostro morire come il centro del nostro essere, quando sperimentiamo la dimensione finita del nostro essere, sperimentiamo anche la dimensione infinita del nulla che ci attende. Ê uno spasimo davvero terribile. Questa esperienza però illumina tutti i nostri gesti, le nostre percezioni, le emozioni. Le illumina in un senso concreto, tutto diventa più vivido, più nitido, ogni dettaglio sembra risplendere di malinconia e gratitudine. Ê un dono, non ne dubito, un dono che duole e che strazia ma che trasforma.

L’infinito, l’eterno si da nella forma del nulla, è un nulla però che vivifica, un nulla che svuota e illumina. Un nulla che cela una speranza.

Corpus


Nel mio paesello appenninico, per la festa del Corpus Domini, le stradine strette strette intorno alla chiesa si riempivano di frasche appena tagliate, appoggiate ai muri delle case antiche, legate agli stipiti dei portoni, uomini scuri erano saliti sui monti per tagliarle e trarle giù e ora il bosco invadeva per una domenica il borgo intero, con la sua fragranza, con il suo colore. Poi il selciato si copriva di petali di fiori, rose, dalie, tanti fiorellini bianchi di una piantina di cui non ricordo il nome, dal lieve profumo di miele che cresceva abbondante sulle rive dei torrentelli. Il baldacchino avanzava solenne in questo trionfo di semplicità. Aspiravo con forza l'odore delle frasche, immaginavo il profumo dei petali e tutto si fondeva con l’odore dell’incenso che evocava alla mia mente bambina nubi altissime di cieli scoscesi, aperte a inquadrare un infinito che mi toglieva il respiro, come quando guardavo i voli e i giochi delle rondini, al tramonto del sole nel cortile. Lo scoppio dei mortaretti mi faceva sobbalzare il cuore. Temevo questi scoppi crudeli e minacciosi e nelle stesso tempo desideravo il successivo. L’odore acre della polvere da sparo si fondeva con tutti gli altri profumi. Avanzava l’ostensorio, che il parroco reggeva ben alto per le strette viuzze, per i vicoli frondosi, oggi fetidi e abbandonati in un modo che ha rinnegato fedi e magie.

domenica, maggio 07, 2023

Jacaranda

Jacarandá


Dopo il breve nubifragio che nonostante la sua violenza non ha alleviato la morsa dell’arsura, improvvisamente, sono fioriti gli alberi di Jacarandá. Baldacchini di campanule viola, un viola che sfuma nel celeste, che risalta sul verde dei prati o dei boschi, ove ancora si trovino prati verdi, con la stessa forza elettrizzante con cui risalta sullo sfondo del cielo più terso.

Nuvole grate alla vista, grate all’anima che beve il loro sfolgorante colore e si disseta dall’aspra aridità dell’ansia. Dondolano a mezz’aria le loro squisite campanule, si cullano nella brezza con movimenti impudichi. Chiome di fiori, fioriture febbrili che annullando le foglie, sembrano nutrirsi direttamente della luce e del colore del cielo. Miracolosi sciami vegetali che trasformano la luce in colore, un colore dove la vista riposa, s’annida, si raccoglie in una forma di frescura propria di altre contrade. I viali sembrano percorsi dagli strascichi di vergini giganti in processioni quesi immobili. Che ebrezza vertiginosa ci inonda allora e ci lascia con un gusto dolciastro che sfibra i sensi. La brezza che le scuole fa cadere, infine i loro fiori le chiome sembrano allora specchiarsi sul selciato, come sull’acqua limpida di un canale grigio . I fiori caduti si incollano alla suola delle scarpe con un rumore che produce la sensazione di schiacciare un tappeto di insetti: scarabei o scarafaggi.

Intimitá

La nostra morte è quanto di più intimo possediamo, la nostra morte e il nostro morire. Morire è, in certo modo, diventare intimi con la nostra morte, scoprire la sua forma, ovvero discernere quale tipo di morte ci sia destinata. Solo la nostra morte, la morte che ci è data, è morte per noi. La morte degli altri, dal nostro punto di vista non è morte, è separazione, forse abbandono, a volte persino tradimento. La morte degli altri è il loro uscire definitivo dalla spazio della nostra esperienza sensoriale, il loro confinamento nel ricordo o nel sogno o anche nel sogno del ricordo. Non possiamo morire la morte altrui. Possiamo morire solo della nostra morte. Forse possiamo considerare questa povera analogia: morire è il processo di maturazione del frutto che è la morte. Povera davvero, ma utile, in qualche misura all’immaginazione.

Poter morire, della nostra morte, diventare intimi con la morte è, credo una grazia, un dono. Un dono del quale non saremo mai abbastanza grati. Eppure è un dono che accantoniamo con estrema facilità. Lo dimentichiamo anche quando abbiamo sperimentato che la bellezza del mondo, tutta la radiante meraviglia della creazione si svela ai nostri occhi solo quando la viviamo nella coscienza piena del nostro incessante morire, quando la contempliamo con gli occhi di qualcuno, noi stessi , che va morendo. Credo che solo da questa prospettiva si possa comprendere l’indicibile speranza della resurrezione cristiana.

Fiamma



Ê una fiamma forse di candela, forse un tizzone, una fiamma che va spegnendosi lentamente, lentamente e nel suo spegnersi impercettibile impercettibilmente risplende sempre più pura, trasparente, cristallina.

Una fiammo che muore e nel suo morire irradia luce su luce, luce tenue, luce velata, scorta come riflesso di una lacrima, al limite del visibile, eppure viva, fremente quasi d’un brivido sottile. Una fiamma che espande la sua luce, come luce riflessa sulle lacrime alle ciglia, luce consunta luce sfinita dal suo riflesso, dai suoi arpeggi. Luce che consola e che duole sulla soglia di un’altra luce.

mercoledì, maggio 03, 2023

La prigione


È così vasto qui il paesaggio, spazia la vista senza incontrare ostacoli per un’estensione inabituale: la terra si svela in una sua   bianca nudità, senza la protezione di prati e boschi a preservare il suo pudore, è una terra che riverbera il bagliore di questo sole crudele, senza permettere riposo alcuno a chi la osserva e che si ritrova di colpo essere il centro di una distesa di campi solcati con geometrica precisione per estirpare con minuzia qualsiasi traccia di vegetazione. Le zolle hanno perso tutta l’umidità sono come frammenti di ossa, fossili di ere innumerevoli. Gli occhi non trovano quiete, non hanno dove celarsi, dove dimorare. Allora anche l’anima si spoglia, si fa bianca come la terra, di un bianco appena un po’ ingrigito, si adatta a decifrare il ritmo dei solchi, si lascia attraversa dalla luce diffusa, abbandona ogni speranza di quiete, di raccoglimento, diviene tersa e tesa fino alla dissoluzione. Solo il verde novello dei mandorli disposti in curvi filari regolari 

esprime un linguaggio che consola, ma è una consolazione sottile, che si mantiene solo grazie a uno sforzo costante a una concentrazione dolorosa. Non è una terra ostile è una terra pura, che non genera illusione, che forza l’anima a dissiparsi, a rinunciare al punto di vista, a farsi specchio di una realtà che la rispecchia, a farsi vortice in un vortice di luce implacabile.

Poi, a una svolta della strada, ecco apparire all’improvviso l’edificio oscuro della prigione, le siepi di filo spinato, gli alti cancelli, i viali rettilinei tra grandi cunette di cemento, le finestrelle oscure, accecate dalle grate metalliche e un improvviso dolore, un dolore sordo e vorace, oscura senza ombra alcuna la vista assetata di pace.


giovedì, aprile 27, 2023

L'urlo


L’invasione del nulla, la sua manifestazione come angoscia assoluta, sta oltre il linguaggio. Il linguaggio è un rito di protezione contro questa irruzione, una rete fragile e illusoria a cui aggrapparsi nella vertigine. È l’indicibile, l’inconoscibile che si manifesta scuotendo il corpo fino nelle fibre più intime. Il linguaggio, la parola esiste come forma del senso, del significato, l’angoscia assoluta consuma fino in fondo il significato. È terribile la sua forza e l’anima è ricondotta all’urlo, forse la sua essenza primordiale. L’anima è all’origine l’urlo che scaturisce dal nulla.

Eppure da questo naufragio, da questa devastante periodica scossa che irrompe nella coscienza può sgorgare una luce flebile e abbagliante allo steso tempo: l’anima sperimenta questo annientamento e quindi è posta contro il nulla, non soccombe ad esso ma lo assume, lo trasforma in vertigine e paura e infine in urlo: Eli Eli… Da questo punto si può ricominciare  laboriosamente a sperare.

martedì, aprile 25, 2023

Claudia




Qual è il segreto di Claudia, quale il suo destino? Qual è la ragione del nostro incontro così assolutamente improbabile come padre e figlia? Lei romena abbandonata, io italiano smarrito in queste terre dove l’Europa si confonde con l’Africa, tra ciuffi di palme e agrumeti sterminati.

Ê stata la sua malattia ciò che mi ha spinto ad adottarla? Non so. Era una bambina magica che sapeva giocare con la paglia e nella paglia vedeva cascate di luce. Quando la conobbi giocava a gettare manciate di paglia in aria e guardava i frammenti di steli ricadere come un nevicata d’oro. Fu in una delle grandi foreste attorno a Blois. Ci nascondevamo nei cespugli per spiare i cervi che scendevano verso un piccolo lago tra i carpini. Poi costruimmo una capanna di frasche Aveva fame di vita Claudia, ed una condanna a morte. Pochi mesi di vita, dicevano gli oncologi. Ora ha ventisei anni. Tanti anni di lotta accanita per vivere, per godere della vita in tutta la sua pienezza nonostante il dolore, la paura, il rifiuto dei suoi coetanei che non possono sopportare il suo sguardo così intenso i suoi gesti lenti di una tenerezza infantile, la sua ingenuità e la sua fiducia.

La bellezza di Claudia è qualche cosa che non merito, che non ho meritato. È una bellezza che fiorisce dalla fragilità ed è fatta di Fede e di tenacia. Di preghiera e di lotta.

Claudia vuole vivere e lotta quotidianamente per vivere, per amare, per essere lieta e compartire con gli altri la letizia conquistata a caro prezzo.

Una lotta la sua che non tradisce sforzo né fatica; una lotta che è una celebrazione. È così bello starle accanto. Ê un dono e uno strazio.

lunedì, aprile 24, 2023

Ibn Mardanis



Il Cristo gigantesco, bianco, apre le braccia sul castello di Ibn Mardanis e abbraccia la città e i suoi orti. Ai suo piedi si stendono come un tappeto gli agrumeti di un verde ancora fresco, fino alle montagne, ai pineti dal manto oscuro che presto si copriranno del triste saio della polvere. Il cielo è una cupola di un azzurro intenso tra cascate di luce che si rilette sulle miriadi di foglioline di aranci e limoni trasformandole in limpide scintille, in chiarissime fiammelle, qua e là ciuffi di palme come guerrieri dalla chioma barbara e ostile sorvegliano questa distesa fragrante di primavera.

La mia anima allora, per pochi istanti, si libera dalla mia stretta e gode di se stessa facendosi trasparente al mondo, puro riflesso della gloria della terra, si svincola dal punto di vista che permanendo in me la inchioda alla limitazione del mio essere io. Allora sono e non sono me stesso, giubilo sentendo che sguscio dalla mia interiorità,  come una mano da un guanto e che la ritrovo fuori di me, fuori del tempo, completamente altra e intima, ancora a me più intima del mio stesso cuore, del mio respiro faticoso ora per l’erta che salgo.

Mi sembra di udire i cavalli di Ibn Mardanis scalpitare fiutando il sangue della conquista.