lunedì, luglio 17, 2023

Jean Grosjean 

L’ironie christique



Giovanni comincia dall’inizio e, come Mosè. Risale all’origine. Che  progresso, tuttavia, nell’interiorità. Mosè parte dalla creazione del mondo: Dapprima Dio ha fatto il cielo e la terra. Egli non immagina nessun avvenimento prima di questa opera di Dio. 

Ora, l’esistenza del mondo è davvero fondamentale* Il mondo è impastato di apparenze meravigliose, ma in parte ingannevoli, di una terribile crudeltà di cui ci si attende che siano anche un po’ illusorie.


Mosè quando vuole descrivere la nascita del mondo è obbligato a dire: Dio disse, perché, a rigore, dio può impastare una materia, ma come ha fatto esistere tale materia? Dio può mettere ordine nel caos, illuminarlo, ma la luce, l’ordine e persino il caos in che modo esistono Dunque Dio avrebbe parlato.

Il pensiero di Mosè raggiunge il limite. Si scontra con la parete di un atto creatore come inizio assoluto, come qualche cosa di opaco.

Con Giovanni il velo del tempio si rompe, lo sguardo affonda nel santuario.

Se Dio ha parlato è perché per prima cosa Dio parla: al principio vi era il linguaggio.

Il linguaggio, allora è la sorgente di Dio? Dio non sarebbe, insomma, altro che parola? Giovanni precisa subito che il linguaggio era presso Dio. Se il linguaggio stava presso Dio, allora non preesiste a Dio, soltanto preesiste al mondo. Dio non è l’effetto del linguaggio sebbene il linguaggio abiti da sempre presso di Lui. Era dapprima presso Dio.Allora il linguaggio non è anteriore a Do e, tuttavia, Dio non è mai esistito senza il linguaggio. 


Considera Dio come creatore è una visione bellissima, certo, ma un po’ grossolana. Ê una visione stimolante e allo stesso tempo pericolosa, quanto si agitano gli uomini per fabbricare, agire,, o al meno darsi da fare. Perché? Perché credono oscuramente di divinizzarsi. Dimenticano che Dio non è Dio perché ha fatto il mondo, perché ha inventato qualche cosa, no. Dio è Dio perché è in conversazione, perche in Lui vi è il linguaggio.

Si potrebbe dire che prima di avere la minima intenzione di creare qualche cosa, d’immaginare il benché minimo dispiegarsi del tempo e dello spazio, Dio abbia passato il suo tempo, se mi posso permettere di dirlo a significarsi la sua stessa esistenza perché il linguaggio di Dio non aveva da dire che Dio. In effetti, se Giovanni aggiunge che questo linguaggio era Dio lo fa per dire che il linguaggio è l’atto unico di Dio e che mostra interamente Dio, Conteneva l’eccellenza e l’intensità da la stessa sorgente. Era lo stesso Dio che Dio, ma Dio in quando detto, in quanto mostrato

Dio,a llora è chi parla, ma la sua parola è chi lo ascolta. La sua parola è docile a Lui perché lui è interamente tutto ció che dice. Riflettiamo un po’ sul fatto che colui che parla e colui che ascolta sono differenti. Il linguaggio non sopprime la distanza tra di loro. Al contrario la rende sensibile, visibile, cosciente, santa. Se il Dio che parla è lo stesso Dio che ascolta, il suo linguaggio stabilisce in Lui, a causa della differenza dei ruoli, una santa distanza. Esiste, allora, in Dio, una sorta di differenza abissale, scavata e allo stesso tempo varcata dal suo stesso linguaggio. (È proprio di questa specie di abisso interno che la parola che creerá il mondo será l’eco). Un linguaggio congenito a Dio stabilisce in Dio una rottura, perché diversifica Dio in ruoli opposti che mantiene uniti proprio quella medesima opposizione che esso stabilisce, 

Immenso rischio di un linguaggio che va  dall’uno all’altro e che solo può essere altro nell’altro.

Stupefacente precarietà di un linguaggio che è soltanto un passaggio. Non un tragitto da chinarla a chi ascolta, ma trasformazione di sé. Quale parola, infatti è la stessa nella bocca di chi la proferisce e nell’orecchio di chi la raccoglie? La natura della parola è di perdersi per strada e di raggiungere il suo obiettivo solo una volta divenuta estranea alla sua fonte malgrado la fedeltà forsennata alla quale si consacra.

Si malgrado l’esattezza o la forza di chi  parla e malgrado l’attenzione o l’intelligenza di chi ascolta il linguaggio appartiene prima all’uno e poi all’altro.

Inoltre il linguaggio che parla si sforza di essere fedele all’orecchia a cui si dirige e il linguaggio ascoltato si sforza di essere fedele alla bocca che lo ha pronunciato, senza contare che chi parla è modificata da ció che dice  come chi ascolta da ciò che ode

Sebbene in Dio l’uno e l’altro coincidano, non sono una stessa cosa, cosí che il linguaggio conserva la totalità del suo rischio. Ebbene questo rischio è l’intimità di Dio perché il linguaggio era in principio presso Dio.


Pp 8-13

Trad Pietro

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