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venerdì, ottobre 24, 2014

Max Jacob

Poesie scelte
trad. genseki

Malvina

Eccone una che, spero, vi spaventi
La signorina Malvina non molla il suo ventaglio
Se lo tiene ben stretto
Fin da quando ella è morta.
I guanti grigio perla sono stellati d’oro
E come un cavatappi
In un valzer gitano
Viene a morir d’amore
Accanto alla tua soglia
Proprio vicino al sasso
Dove posi le canne.
Mettiamo che sia morta, diciamo,
Di diabete
Morta di quel profumo
Che aveva appeso al collo.
Oh che onesto animale sì casto e poco folle
Golosa senza gusto
Avea sangue pesante
Di docente di lettere di ruolo
Era con il cilindro che le facean la corte.
Ella avrebbe gradito le maniere degli ussari!..
Fantasma di Malvina che Iddio ti benedica!

***

La dama cieca

La Dama cieca dagli occhi sanguinanti sceglie le sue parole
E non parla a nessuno dei suoi mali.
Ha capelli muschiosi,
Gioielli in pietra rossa
La Dama grassa e cieca cui sanguinano gli occhi
Scrive cortesi lettere con margini e interlinea.
Le pieghe della felpa le costan molta cura
Ma si sforza di fare qualche cosa di più.
Non parla del cognato che qui non è stimato,
Perché beve e fa bere anche la Dama cieca
Che ride, allora ride con un sordo muggito.

***

Riparatore invalido di vecchi autoveicoli
Ahimè l’anacoreta è tornato al suo nido.
Sangue della mia barba, son vecchio per Parigi
L’angolo delle case m’entra nelle caviglie.
Il mio gilet a quadretti, si dice, ha un’aria etrusca,
Il cappello marrone, non s’adatta ai miei stracci.
Avviso, è un volantino che ho posto alla mia porta:
Questa vecchia baracca puzza di capra morta.

***

A una Santa nel giorno della sua festa

Santa, santa, quando m’opprime
La tentazion del peccato
Mostratemi ch’è un delitto
Solo averlo pensato.
E nel giorno beato
Tutto a voi dedicato
Il Signore pregate
Che da sconce passioni
Purifichi il mio cuore.
Di guerra sulla terra
Che non sia più questione
Goda la Francia intera
Di vostra protezione.
Pregate che comprendano
Gli uomini tutti quanti
Il potere del sangue del nostro Salvatore
E che sotto il suo giogo
Tutti pieghino lieti.
Poiché siam tutti figli
Di quell’Unico padre
Con una sola fede
Fratelli obbediremo
Al Dio di questa legge.
Sono il Diavolo e la sua banda
Lascia che ti risponda
Pecca a destra, pecca a manca
Girati come vuoi
Tu abiti nella mia stanza
Esser di Dio non puoi.

***

Conchiglie d’ali! O foglie morte
Labbra dischiuse d’insetti rossi,
Non sono foglie quelle alla soglia
Ma sono insetti color del mogano
Mi parleranno? S’involeranno?
O sopra i coppi vorran salire?
Piovve ripiovve intorno al presbiterio
Attendo e intendo passi di cavalieri.
Attendo e intendo gracidar ranocchie
Attendo intendo il sibilo dei rospi
Salimmo infine sulle foglie di zucca
Attendo e intendo gocciolare d’acque.

***

Marina a Roscof

fLa palma nana vieta lancia in resta
Al giorno chiaro di sfiorare i peri.
Chi dunque ha riso nella sera offesa?
Hanno cantato. Saranno gli ebanisti.
O vita! O morte! O terra di mistero
Che cosa celi che svelano le sere?
Di che tesori sei tu tesoriera?
O vita! O morte! Dove son le cisterne?
Hanno cantato! Intorno all’organino
Son le coriste di canto gregoriano
Che ogni sera in mezzo al campo d’orzo
Fondono l’anima col poema cristiano.
L’una col libro e l’altra col pedale.
Attendo! Intendo la pianta che mi parla.
Lo sguardo attendo dei fiori morituri.
Petalo! Attendo un occhio sulla perla
Che nessun’ombra potrà mai incupire.

***

Il cielo e il mare color della lavagna
Quando lo straccio vi cancella il gesso!
C’è un battelliere sulla riva opposta?
Verso il piccolo Hotel del promontorio.
Nera e profonda è l’acqua,
Alti e lisci gli scogli non offrono riparo,
La luce smorza l’abat-jour di nuvole
La terra ondeggia … che cosa succede
Nelle scodelle come marezzate?
Cosa s’aggira agli angoli deserti
“Comprendo ciò che dite quando siete silente”
Cupa una cappa! Una garitta verde
Presto la notte: sarà dura in mare.

***

Il Contadino

Sotto gli olmi più vecchi di mio padre
Sotto gli olmi più vecchi di mio nonno
Sotto gli olmi di Mont Frugy d’Odet.
Sotto i castagni delle rive d’Odet
Ove son nato oggi ho visto passare
Il contadinello ammalato.
No, non guardarmi come se andassi a morire
Tu sei me stesso, sempre ti ho conosciuto
Un bimbo, un bimbo del cielo o dell’inferno?
Sorridi
Ti riconoscerò dal tuo sorriso.

***

S’apre la porta! Parlano!
Non c’è nessuno! Io sento che c’è qualcuno.
Accendo la lampada e s’anima il muro;
I fiori di carta sanguinano dalle ali
Ogni animale sanguina dai petali.
Tutto s’anima e avanza fino al centro
Del tappeto dove è un cono il crepuscolo
Del caminetto: In quale stato mi troverà
Domani il mio domestico! A tentoni,
Nell’ombra trovano le mie dita l’angolo del letto,
O letto, mia salvezza se non mi porta via!
Nessuno troverà quell’uomo coricato
Al suo posto c’è una bestia
Una bestia viscosa.

***

La Guerra


I viali esterni, di notte, sono pieni di neve; i banditi sono soldati; mi attaccano con sagole e risate, mi spogliano: fuggo per ricadere in un altro isolato. E’ il cortile di una caserma, o quello di una locanda? Quante sciabole! I lancieri! Nevica! Mi pungono con una siringa: è veleno, per uccidermi. Un cranio di crespo velato mi morde un dito. Vaghi riflessi proiettano sulla neve la luce della mia morte.

***

Un cappello di paglia dall’Italia


Là dove Algeri è un presagio di Costantinopoli, le spalline d’oro non furono altro che rami d’acacia e viceversa. Vanno di moda grappoli d’uva di celluloide, le signore li appendono dappertutto a mo’ di gioielli. Un cavallo che mangiò gli orecchini d’una delle mie amanti è morto avvelenato, il carminio del suo muso e la fucsina del pampino si mescolarono in veleno mortale.

***

Il corno chiama come una campana
Come un colore nelle foreste.
Corno lontano d’albero a roccia.
Ora che parte la caccia al Liocorno
Esci con quelli che ti sono amici.
Sella e cavallo mostrano il sentiero
Sella e cavallo legati ad un albero.
Siedono a tavola fuor della magione
Mangiano gamberi con la maionese.
Vieni! All’appello dei tuoi cari amici.
Udivo grida venire dalla casa
Mi ritrovai seduto tra brillanti bottiglie
Quando mi accorsi che non conoscevo nessuno
E i lamenti di dolore provenienti dalla casa
Si mescolavano ai discorsi svagati, alle canzoni.
Lontano il gallo come scoppio di risa
L’angelo mio custode mi sussurrò all’orecchio:
- Sta in guardia! Troppo tardi che la terra tremava
Sotto di me, Signore Iddio soccorso!

***

Agonia

Mio Dio son tanto stanco di non aver speranza
Di rotolar la botte della mia decadenza
Senza giammai riuscire a rinunziare al mondo.
Porto Satana in me come un intermediario,
Il mio blasone intacco quando scuoto le briglie,
Rivolgo nella notte le mie visioni ai morti,
Con il cranio percoto le rocce dell’inferno
Le coltri del mio letto son di lana di ferro.
Sovente nel mio sonno la stessa isola elettrica
Marchia con il coltello i nomi patronimici
Sulla mia pelle. Membra, pacchi d’anguille
Che con un gaio ghigno i diavoli spidocchiano.

***

Viaggio

Strada di notte, notte della strada! Luna
Sul lago, lago nei tuoi occhi. Carrozza
Che rapisce il nostro viaggio di notte
Occhi di viaggio sono ora i tuoi occhi
Occhi di viaggio di convalescenti. Quando
Il postiglione cesserà di cantare
Soltanto allora ti dirò il mio pensiero
E’ una questione di geologia architettonica
Sull’infinito dei monti e di lor forme, C’era
Sulla coperta ad artigli una tazza di
Porcellana ove la luna formava un punto. Nel
Mezzo sole della carrozza – il postiglione
Canta – tu canta, o postiglione – credevo che la luna
Fosse la tazza, e la coperta ad artigli fosse
Le montagne, e che non fossimo più sulla
Terra. Non c’è più luna! O notte delle strade!
O strada delle notti: sono i tuoi occhi occhi di
Mare ed io non ti conosco. Così
Procedevamo con tutta la nostra indulgenza verso
Un paese che non è lontano e che non volevo
Conoscere e ove una certa angoscia
Mi mostra che mi conduce il postiglione
Cantando. Ora è il momento della paura!

***

Amore del prossimo

Qualcuno ha visto il rospo attraversar la strada?
Non è che un omettino: grande come una bambola.
Striscia sulle ginocchia: fors
forse per la vergogna.
Ma no, soffre di artrite e trascina una gamba,
Dove va zoppicando? Vien fuori dalla fogna,
Il povero pagliaccio.
Nessuno che abbia scorto il rospo per la strada.
Un tempo nessuno mi notava per strada,
Si beffano ora i fanciulli della mia stella gialla.
Com’è felice il rospo… Senza la stella gialla.

***


Non ritorneranno più

Quando ritorneranno i becchini alla fossa di Ofelia? Ofelia ancor non giace nella sua tomba immortale; sono i bechini che ci finiranno a un cenno del caval bianco. E il bianco destriero si reca tutti i giorni a brucare quei sassi. E’ il cavallo bianco della locanda del cavallo bianco, proprio davanti alla tomba. La tomba è una finestra che s’apre sul mistero.

***

Jabès su Max Jacob

Penso che scrivere sia anche scrivere in modo piatto. Credo che nonè necessario cercare di allontanare la trivialitá da un testo a qualunque prezzo. La trivialitá è un mezzo. Partendo da essa, possiamo andare piú a fondo. Altrimenti come facciamo a sapere che stiamo apporfondendo? La trivialitá è la superficie, una superficie che dobbiamo esplorare, per poi frantumarla.
Max Jacob mi rese molto sensibile a questo tipo di problemi. Quando gli lasciavo i miei testi a volte mi diceva – troppo coinciso – altre volte – troppo diluito -, o – troppo lirico -. - Legga i classici per il pudore -, mi scriveva, o – troppo laconico – legga Chateaubriand per la frase -solo molto piú tardi compresi che scrive voleva dire essere allo stesso tempo coinciso e profuso e anche scrivere a volte in modo piatto: la piattezza serve da supporto all'imagine, al pensiero e fa sí che risaltino.

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Max Jacob detestava il caos. Soleva dire che la forma di una poesia debe essere perfetta proprio come un uovo e che sebbene all'interno del testo debe essere vigente una libertá totale, il testo stesso debe trovare imperativamente la struttura che gli è propria. “Quando un cantante ha una voce ben rodata, puó divertirsi facendo gorgheggi” Scrisse nel 1916 nella prefazione del “Cornet à dés”.

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Il fatto che i surrealisti non abbiano mai riconosciuto Max Jacob come uno dei loro predecessori si debe alla sua conversione al cattolicesimo e anche al fatto, che a differenza di oro, egli non si sentí mai un discendente di Rimbaud e Lautréamont.

Frammenti da: Du désert au Livre intervista di E. Jabès con Marcel Cohen

Trad. genseki