Visualizzazione post con etichetta Huysmans. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Huysmans. Mostra tutti i post

lunedì, marzo 27, 2023

La Cattedrale


Questo breve testo vorrebbe essere una esplorazione, senza pretese di erudizione della concezione di Huysmans dell’architettura gotica nella sua opera “La Cathédrale”. L’ edificio sacro è trattato da Huysmans dal punto di vista iconologico, simbolico, estetico e spirituale. Questi diversi punti di vista si incrociano e si sovrappongono, aprendo molteplici sentieri nella foresta della Cattedrale.

La visione della Cattedrale propria di Huysmans sorge sulle rovine  delle cattedrali di Chateaubriand nel “Genio del Cristianesimo” e di Hugo, in “Notre dame de Paris”, cioè sulle rovine del romanticismo di cui, però Huysmans-Durtal non fa mai cenno, per acido, sdegnoso disprezzo. Tuttavia i punti di vista, le prospettive che tracciano e delimitano lo spazio della Cattedrale in quanto spazio sacro sono condizionati anche da questi autori, sempre presenti senza però essere mai nominati.

Le linee seguenti hanno l'ambizione di essere una sorta di catalogo, per nulla esaustivo, di questi punti di vista, di queste prospettive, come appaiono ad una prima semplice lettura.

La somma dei punti di vista e delle prospettive Di Durtal-Huysmans disegnano un'altra cattedrale che si sovrappone alla Cattedrale reale, così come la Cattedrale sonora del grande organo si modella sulle  volte dell'edificio straordinario, e le note di una sinfonia di Brückner si ergono come guglie per discendere subito vertiginosamente, in un abisso di toni oscuri.

La Cattedrale è per Chateaubriand una rovina venerabile, egli ha visto un intero mondo, “L'ancien Régime”, sparire davanti ai suoi occhi, è una forma della nostalgia per Hugo che ha vissuto l'epoca della costruzione dei grandi boulevards, è una impossibilità per Huysmans che ha vissuto la comparsa delle grandi fabbriche meccanizzate nel Nord di Zola e di Verhaeren.

I costruttori di cattedrali sono destinati, ora, all'insuccesso. La Cattedrale resta una possibilità reale solo per qualche vecchio prete, qualche vecchia beghina, le guide spirituali di Durtal nella sua catacombale ascesa. Autentica Cattedrale è la fabbrica, il gigante di acciaio che ruggisce nel fondo della pianura.


Il sentiero nella foresta


Per raggiungere la radura, “lucus e non lucendo” si debe percorrere un sentiero, un sentiero oscuro, cupo, nella foresta. È il sentiero del cacciatore e la traccia della preda, il sentiero degli archetipi, il sentiero iniziatico delle fiabe.


“A Chartres, quando si esce da quella piccola piazza spazzata, in tutte le stagioni, dal vento tignoso delle pianure, un alito dolciastro di cantina illanguidito da un odore morbido e quasi soffocato di olio, vi soffia in volto quando vi inoltrate nelle tenebre solenni della tiepida foresta”.


“Anche se conosceva la strada, egli avanzava con precauzione, in questo viale bordato da alberi enormi le cui cime si perdevano nell'ombra. Ci si sarebbe potuti credere in una serra coperta da una cupola di vetro nero, perche si camminava su lastre e né cielo appariva su di voi, né brezza vi accarezzava il volto. Persino le rare stelle, le cui luci tremolavano lontane, non appartenevano a nessun firmamento, posto che brillavano quasi al livello della pavimentazione, insomma, splendevano dal suolo”.


Il bosco è, secondo Chateaubriand, lo spazio sacro originario che costituisce il modello sulla base del quale sono state costruite le cattedrali gotiche. Il sentiero che Durtal percorre per raggiungere la Cattedrale è anche un sentiero che attraversa il tempo, conduce simbolicamente dal bosco arcaico alla cattedrale cattolica, che sono l'una immagine dell'altra, e un sentiero iniziatico che conduce dalla natura allo spirito. Dal sacro alla fede.

Il cammino, l'itinerario, inoltre, contiene in sé la meta. La radura non è altra cosa rispetto alla foresta, è proprio la foresta in quanto raggiunta, in quanto fatta propria dal viaggiatore, dall’errante. Durtal è uno di essi, certo, egli ha attraversato, la disperazione dell'edonismo, la vertigine del satanismo con il suo cattivo gusto e i la sua isteria, la religione dell'arte per l'arte e altro ancora fino a ritrovarsi sulla strada per Chartres in compagnia di vecchi preti fanatici e di una beghina sfiorita e mezza matta.


“Con l'alba che cominciava a spuntare, la foresta di questa chiesa sotto gli alberi della quale stava seduto si faceva davvero incoerente. Le forme appena giunte a sbozzarsi si cancellavano in questa oscurità che fondeva tutte le linee mentre si spegneva. In basso, in una nube che si dissipava, scaturivano, come fossero piantati in pozzi che li stringevano nei colletti stretti delle loro bocche, i tronchi secolari dei favolosi alberi bianchi; poi la notte, quasi diafana al livello del suolo, si faceva più spessa, risalendo, e li privava dalla base dei loro rami che non si vedevano più”.


La comparazione tra la Cattedrale e la foresta diventa qui del tutto esplicita:


“La tiepida foresta era scomparsa con la notte; pochi alberi restavano come scaturiti vertiginosamente dal suolo, si slanciavano con un solo movimento nel cielo, si riunivano ad altezza smisurate, sotto le volte delle navate la foresta era diventata una immensa basilica, fiorita di rose fiammeggianti, perforata da vetrate incandescenti, pullulante di Vergini, di Apostoli, di Patriarchi e di Santi”.


L'intuizione di Chateaubriand è sviluppata qui con una sensibilità che, lo si vede bene, ha attraversato le esperienze ricche e contraddittorie del simbolismo e del realismo.


Nel terzo capitolo la comparazione tra lo spazio naturale della foresta e lo spazio sacro della  Cattedrale diviene sempre  più chiara, l'intuizione di Chateaubriand sull'origine del gotico, è sviluppata in modo analitico e estetico minuzioso:


"Senza sminuire la teoria che consiste nel vedere in questo problema soltanto una questione materiale, tecnica, di stabilità e di resistenza, una invenzione dei monaci che avevano scoperto un bel giorno che la solidità delle loro volte sarebbe stata meglio assicurata dalla forma a mitra dell'ogiva che da quella mezza luna dell'arco pieno, non sembra che la dottrina romantica, la dottrina di Chateaubriand di cui ci si è fatto beffe sia la meno complicata di tutte, la più naturale, insomma la più evidente e la più giusta?

Per me è quasi certo, proseguí Durtal, che l'uomo ha trovato nei boschi la forma tanto discussa della navata e dell'ogiva. La più stupefacente cattedrale che la natura ha costruito, da se stessa, prodigandovi l'arco spezzato dei suoi rami, si trova a Jumièges. Là, accanto alle magnifiche rovine dell'abbazia che ha conservato intatte le sue due torri e la cui navata scoperchiata e ricoperta di fiori si collega ad un coro di fronde circondato da un'abside di alberi, tre immensi viali, bordati di tronchi secolari, si estendono in linea retta; uno, quello del mezzo, molto largo, gli altri due, che lo affiancano, più stretti; essi disegnarono l'immagine astratta di una nave e delle sue fiancate, sostenute da pilastri neri e avvolte da fasci di foglie. L'ogiva vi è chiaramente riprodotta dai rami che si toccano, così come le colonne che la sostengono sono imitate dai grandi tronchi. Bisogna vederla d'inverno, con la volta ad arco spolverata di neve, i pilastri bianchi come tronchi di betulla, per comprendere l'dea originaria, il seme dell'arte che ha potuto far sorgere lo spettacolo di simili viali, nell'animo degli architetti che sgrossarono, poco a poco, il romanico e finirono per sostituire completamente l'arco acuto all'arco pieno.

E non vi sono parchi, più o meno antichi dei boschi di Jumièges, che non riproducano con altrettanto esattezza gli stessi contorni; ma quello che la natura non poteva dare, era l'arte prodigioso, la scienza simbolica profonda, la mistica appassionata e placida dei credenti che edificaron le cattedrali. Senza di loro, la chiesa restata allo stato bruto, così come la natura l'aveva concepita, sarebbe rimasta un abbozzo senz'anima, un rudimento; essa era l'embrione di una basilica, cangiante secondo le stagioni e i giorni, inerte e viva al tempo stesso, animandosi al suono dell'organo del vento, che deformava il tetto mobile dei suoi rami, al suo solo spirare, era inconsistente e spesso taciturna, assolutamente sottomessa alle brezze, serva rassegnata dellepiogge; non era stata illuminata, insomma, che da un sole che si insinuava tra le losanghe e i cuori delle foglie, così come tra le maglie delle piastrelle verdi. L'uomo, con il suo genio, raccolse questi sparsi bagliori, li condensò in rosoni e in feritoie, li riversò nei viali di bianchi fusti; e persino con il tempo peggiore, le vetrate risplendettero, imprigionarono fino alla più piccola luce del tramonto, rivestirono il Cristo e la Vergine degli splendori più favolosi, quasi giunsero a realizzare su questa terra il solo abbigliamento che potesse convenire ai corpi gloriosi, vestiti diversi di fiamme!"


In questo testo non è solo la cattedrale che riproduce la foresta aggiungendo la profondità simbolica e mistica che manca alla natura, ma è la natura stessa che cerca di riprodurre la Cattedrale. Si genera un movimento circolare che va dalla foresta alla Cattedrale e dalla Cattedrale alla foresta il cui asse mediano è costituito dal simbolo.




La fortezza, l'armatura


La Cattedrale è paragonata a una fortezza e persino all'armatura di un cavaliere di quella crociata predicata da S. Bernardo proprio nella Cattedrale. Si tratta di una “Lorica” l'armatura fatta di orazioni e di esorcismi che avrebbe dovuto proteggere il cristiano che se rivestiva. La cattedrale è una “Lorica” ma non una “Lorica” di parole o di altri segni verbali, quanto piuttosto di pietre e di segni architettonici:


“Ritornava a casa sua per mangiare qualche cosa e, abbracciando, con un'ultimo sguardo, la chiesa ammirevole, ricapitolando i simulacri guerrieri così come apparivano: le forme di scudo dei rosoni, di lama di spade dei vetri , i contorni dei caschi e degli elmi delle ogive, la somiglianze di alcune vetrate in grisaglia filigranata di piombo con le tuniche di maglia di ferro dei combattenti, e, fuori, contemplando uno dei campanili intagliato a lamelle come una pigna, come una cotta di maglia, si diceva che pareva davvero che “gli ospiti del buon Dio” avessero preso in prestito i loro modelli ai bellicosi arnesi dei cavalieri; che avessero voluto perpetuare come per perpetuare il ricordo delle loro imprese, raffigurando dovunque l'immagine ingrandita di quelle armi di cui i Crociati si cinsero quando si imbarcarono per partire alla riconquista del Santo Sepolcro”.


Il Battello


La barca, il battello sono stati impiegati come immagini della Chiesa nel corso di tutto il Medioevo. Un esempio classico si trova nella “Navigatio Brandani” ancora una volta si trattava di un simbolo volto a rappresentare la Chiesa intesa come comunitá di credenti al quale Huysmans sovrappone l'immagine della Chiesa come edificio di pietra in una metaforizzazione regressiva..

Il riferimento ai vascelli crociati è, naturalmente soltanto letterario e privo di riferimenti storici seri.


“L'interno stesso della basilica sembrava esprimere, nel suo insieme, la stessa idea e completare cosí le immagini simboliche dei particolari, inarcando la sua navata, la cui volta a forma di fondo di barca imitava la chiglia rovesciata di un battello, ricordava lo scafo delle navi che si dirigevano verso la Palestina".


La Cattedrale Antropomorfa


L'ultima immagine che ritroviamo nel I capitolo è molto intensa nel suo antropomorfismo simbolico.


“Solo la cattedrale vegliava sulla città indifferente, implorava perdono per le sofferenze non accettate, per l'inerzia della fede che dimostravano ora i suoi figli, tendendo al cielo le sue due torri come due braccia, che simulavano con la forma dei campanili le due mani giunte, le dieci dita diritte, strette le une alle altre, in quel gesto che i creatori di immagini di un tempo davano ai santi e ai guerrieri morti scolpiti sulle tombe".


La cattedrale e il Cristo morto


Il simbolo più violento per l'immaginazione è quello per cui si vede nel corpo di pietra della Cattedrale, la rappresentazione del corpo del Cristo morto, o meglio, la rappresentazione del Cristo morente, nel momento di esalare il suo ultimo respiro. La pietra, ció che vi è di piú lontano dalla vita nell'universo è piegata a rappresentare il brivido dell'uomo-dio agonizzante.

È un brivido quasi impercettibile, che si trasmette attraverso i secoli, le età, cristallizzato e, tuttavia attivo.

La teologia sottolinea come la chiesa sia il corpo di Cristo in quanto comunità di credenti. Con un gesto di rara violenza iconica Huysmans ritorna alla confusione de bambini e degli incolti tra la Chiesa come corpo collettivo dei credenti e la chiesa come corpo fisico per unificare le due immagini in quella definitiva della chiesa come corpo di Cristo, Huysmans impiega il “corpo” come perno e crea l'equazione vertiginosa: Cattedrale=chiesa=Cristo; ma qui non si tratta del Cristo vincitore della morte, al contrario, di un Cristo agonizzante che coinvolge tutta quanta la creazione nella propria agonia, persino le pietre in un unico, immenso, spaventevole brivido.


“Gesù è morto: il suo cranio è l'altare, le sue braccia distese son le due ali del transetto le sue mani trafitte sono le porte; le sue gambe le navate in cui ci troviamo e i suoi piedi perforati il portone da cui siamo appena entrati. Considerate, ora la sistematica deviazione dell'asse della chiesa; imita l'atteggiamento del corpo abbandonato sul legno del supplizio, e, in certe cattedrali, come quella di Reims, l'esiguità, la strozzatura del santuario e del coro in relazione alla navata, simula ancora meglio il capo e il collo di quell'uomo piegati sulla spalla dopo aver reso l'anima".


*


"Fino ad ora abbiamo esaminato soltanto l'immagine del Cristo, immobile, morto, nelle nostre navate; ora voglio discorrere di un caso meno comune, di una chiesa che non raffiguri più soltanto i contorni del cadavere divino, bensì la figura del suo corpo ancora vivo, di una chiesa dotata di una specie di apparenza di mobilità, che cerca di muoversi con Gesù sulla croce.

Sembra, infatti, un dato ormai acquisito che certi architetti abbiano voluto rappresentare, nella struttura dei templi che edificarono, le condizioni di un organismo umano, scimmiottare il movimento dell'essere che si inclina, animare, per dirlo con una parola sola, la pietra. Questo tentativo è stato fatti nella chiesa abbaziale di Preuilly-sur-Claise, in Turenna. La pianta e le fotoincisioni di questa basilica illustrano un libro interessante che vi presteró e il cui autore, Don Picardat, è il parroco stesso della chiesa, Potrete allora riconoscere con facilitá che l'aspetto di questo santuario è quello di un corpo che si tende in diagonale, che si dispiega tutto da un lato e che si inclina. Questo corpo si muove per lo spostamento voluto dell'asse la cui curva comincia con la prima trabeazione e va via via sviluppandosi, attraverso le navate dal coro e dall'abside fino al capitolo con il quale si fonde, appropriandosi così dell'aspetto di una testa ciondolante.

Meglio cha a Chartres, che a Reims, che a Rouen, l'umile edificio che eressero alcuni benedettini i cui nomi sono ignorati, dipinge, con l'andamento a serpeggiante delle sue linee, la fuga delle sue colonne, l'obliquità delle sue volte, la figura allegorica di Nostro Signore sulla croce. In tutte le altre chiese, però, gli architetti hanno imitato, in qualche modo, la rigiditá cadaverica, il capo reclinato per il trapasso, mentre a Preuilly i monaci hanno fissato questo indimenticabile momento che trascorre, nel Vangelo di san Giovanni tra il “Sitio” e il “Consommatum est”.

La vecchia chiesa di Turenna è dunque l'effige di Gesù crocifisso ma ancora vivo".




domenica, ottobre 18, 2009

Gilles de Rais

Gilles erra nelle foreste che circondano Tiffauges, foreste oscure e fitte, come se ne trovano ancora in Bretagna, per esempio a Carnoët.
Singhiozza mentre cammina, disperde, smarrito, i fantasmi che si avvicinano, guarda e di colpo si rende conto del'oscenitá degli alberi piú antichi.
Sembra che la natura diventi perversa davanti ai suoi occhi e che la sua sola presenza basti a depravarla; per la prima volta comprende, l'immutabile lussuria dei boschi, scopre priapo tra i cdui.
Qui, l'albero gli appare come un essere vivente, in piedi, la tesa in giú, nascosta tra la capigliatura delle radici, con le gambe all'aria, spalacate, che poi si dividono in altre cosce ancora ce si aprono a loro volta e diventano sempre piú piccole mano a mano che si allontanano dal tronco; proprio li, tra quelle gambe, si tprva piantato un altro ramo ancora in un coito immobile che si ripete sempre piú miniscolo i ramoscello in ramocello, fino alla cima; e lassù, ecco che il fusto sembra un fallo che cresce e scompare sotto una sottana di foglie o se ne esce all'inverso da un ciuffetto verde e di muschio per penetrare il ventre di velluto della terra. Vi sono immagini che lo terrorizzano. Rivede la pelle degli adoloscenti. la pelle lucida delle pergamene, nelle scorze lisce e pallide degli alti frassini; ritrova l'epidermide elefantiaca dei mendicanti nell'involtorio nero e rugoso delle querce piú antiche; poi, dopo la biforcazione dei rami, dei buchi spalancati, degli orifizi ove la scorza si rigonfia in fenditure ovali, iati pieghettati che simulamo immomde cloache o spalancati sessi bestiali. ai gomiti dei rami altre visioni, fosse brachiali, ascelle pelute di licheni grigi; ecco, persino i tronchi degli alberi hanno ferite che si allungano in grandi labbra, sotto ciuffi di velluto rosso e mazzetti di muschi!
Ovunque le forme oscene sorgono dalla terra, sgorgano verso il firmamento che si satanizza, le nuvole si gonfiano in capezzoli, si fondono in natiche, si arroondano in ventri fecondati, si disperdono in zampilli lattei; si accordano con la cavità cupa della macchia dove non vi sono piú che immagini di cosce gigantesche o nane, triangoli femminili, grandi V, bocche di Sodoma, cicatrici che si slabbrano, umide perdite! - L'abominevole paesaggio muta, ecco che Gille vede sui tronchi inquietanti polipi, sanguisughe orribili. Constata tumori e ulcere, piage taglate nette, tubercoli cancerosi, carie atroci; è per gli alberi una clinica venerea per gli alberi in cui sorge alla svolta di un viale un frassino rosso.
Davanti a queste foglie porporini che cadono, si crede bagnato da una pioggia di sangue; diventa rabbioso, sogna che sotto la scorza abita una ninfa forestiea, e vorrebbe impastare la carne della dea, trucidare la Driade, violentarla in un organo sconosciuto alle follie degli uomini.
Invidia il boscaiolo che potrá ferire, massacrare questo albero, si spaventa, si agita, ascolta, selvaggio, la foresta che risponde alle grida dei suoi desideri con i sibili stridenti dei venti; si abbatte, pinage, riprende il suo cammino fino a che giunge al castello e crolla sul suo letto come un tronco caduto. Ora che dorme, i fantasmi si definiscono con piú precisione. I lubrichi abbraci dei rami, il coito delle essenze differenti dei bosci, i crepacci che si dilatano, le forre che si dischiudono spariscono; le lacrime delle foglie frustate dalla tramontana, si seccano; gli ascessi bianchi delle nuvole si riassorbono nel grigio del cielo; e - in un grande silenzio - sono gli incubi e i succubi che passano.
I corpi che egli ha massacrato e di di cui ha fatto gettare le ceneri nei fossati risuscitano allo stato di larve e lo attaccano nelle parti basse. Si dibatte, si schizza di sangue, si sveglia di colpo e acoccolato si trascina a quattro zampe, come un lupo, fino al crocifisso di cui morde i piedi, ruggendo.
Poi uno sconvolgimento immediato lo travolge, trema davanti a questo Cristo il cui volto convulso lo contempla. Lo scongiura che abbia pietá, lo supplica di risparmiarlo, singhiozza, piamge e quando non ne può più geme sottovoce, ascolta, terrificato piangere nella sua stessa voce le lacrime dei bambini che chiamavano le loro madri e chiedere pietá!

genseki

domenica, ottobre 04, 2009

Gilles de Rais

Quello che segue è un breve profilo del terribile Gilles de Rais tracciato da Durtal-Huismans. Che tipo di profilo, peró? Non sembra un profilo psicologico, e nemmeno una fenomenologia metafisica. In queste linee non si incontra mai la parola peccato.
Chi è allora Gilles de Rais? Ebbene Gilles de Rais è Florissans des Esseints trasportato nel gotico "flamboyant", nell'età della "danse macabre".
Questo testo è dunque un frammento d critica narratologica. Una metanarratologia.
Sembra che Huysmans non possa liberarsi di questa figura e giochi a metterla in scenna sugli sfondi e nelle circostanze piú differenti, ma Des eeints, e Gilles de Rais sono puri attanti di un catalogo di oggetti e di sensazioni reiteratamente e successivamente consumabili.
Sono, per dirlo brevemente, il consumatore. E quello che consumano è merce, è pura equivalenza sull'orizzonte del valore. Il mondo di des Esseints è un catalogo immenso di beni e di sesazioni che si possono acquisire e consumare e cosí pure quello di Gilles de Rais e questi personaggi, la sola cosa che fanno, è apparentemente quella di consumare questi beni.
Vivono nello spettacolo e allo stesso tempo ne sono parte. Come avrebbe detto Debord.

(cliccando sull'etichetta Huysmans si puó facilmente accedere alle altre part di questa traduzione).

genseki

Gillede Rais
a cura di genseki da Là-bas di Huysmans

Gilles è un essere diviso in tre differenti persone.Enlace

Per prima cosa il soldato valoroso e pio.

Poi l'artista raffinato e criminale.

Infine il peccatore che si pente, il mistico. È tutta un voltafaccia di eccessi questa persona, si scopre per ognuno dei suoi vizi una virtú che vi si oppone: ma nessun percorso visibile li unisce.

La sua ferocia superò i limiti di quello che è possibile all'uomo, eppure fu caritatevole, adorò i suoi amici e li curó, come un fratello quando il demonio li ferì.

Impetuoso nei desideri, eppu pazient; valoroso in battaglia, vile davanti all'aldilà, fu dispotico e violento, debole, tuttavia, quando le lusinghe dei suoi parassiti crebbero. Ora sule cime, ora nel baratro, mai in pianura, nelle pampas dell'anima. Nemmno le sue confessioni servono per chiarire questi antipodi. Egl risponde, quando gli ingiungono di spiegarae chi gli suggerì l'idea di tali crimini: “Nessuno, la mia sola immaginazione mi spinse: il pensiero mi è venuto da solo, frutto delle mie fantasticherie, dei miei piaceri giornalieri, dei miei gusti per il vizio.

Si accusa di pigrizia, assicura costantemente che i pasti delicati, le forti bevute hanno sciolto la belva che era in lui. Lontano dalle passioni mediocri, egli si esalta, di volta in volta, nel bene come nel male e si getta, la testa bassa, nei gorghi opposti dell'anima. Muore all'etá di trentasei anni ma gia si era esaurito il flusso dei godimenti disordinati, il riflusso dei dolori che nulla puó calmare. Aveva adorato la morte, amato come un vampiro, copulat con inimitabili espressioni di soffernza e di terrore, e, tuttavia era stato oppresso da rimori infrangibili e paure insaziabili. Quaggiú,per lui non restava piú niente da imparare, niente che valesse la pena.

martedì, maggio 12, 2009

Gilles de Rais

Le pagine dell'investgazione continuano, si accumulano, rivelano centinaia di nomi, narrano il dolore delle madri che interrogano i passanti sulle strade, le grida delle famiglie nelle case da cui sono rapiti i bambini non appena si allontanano per zappare il campo e seminare la canapa. Queste frai ritornano desolate alla fine di ogni deposizione: “si vedono lamentarsi dolorosamente”, “si odono molti lamenti”. Ovunque si stabiliscano i macelli di Gilles le donne piangono. Il popolo terrorizzato racconta dapprima che fate melvage disperdono la sua prole. poco a poco, spaventosi sospetti cominciano a sorgere. Quando il Maresciallo si sposta, da Tiffauges a Champtocé, da Suze a Nantes, lascia dietro di sé una scia di lacrime. Attraversa una landa e, l'indomani, spariscono alcuni bambini. Fremendo il contadino constata anche che ovunque sono apparsi Prelati, Roger de Bricqueville, Gilles de Sillé, tutti gli intimi del Maresciallo, i bambini sono scomparsi. Infine, con orrore nota che una vecchietta, Perrine Martin, errra grigiovestita, il viso coperto da un velo nero come Gilles de Sillé, avvicina i bamini e le sue parole sono seducenti e il suo volto così attraente quando solleva il velo che tutti la seguono fino al margine del bosco ove attendono uomini che li portano via imbavagliati nei sacchi. Il popolo spaventato chiama questa fornitrice di carne, questa orchessa, la Meffraye come un rapace.

Questi emissari giravano per borghi e villaggi alla cacia del bambino agli ordini del Grande Cacciatore, il Signore di Bricqueville. Non contento di questi battitori, Gilles si metteva alle finestre del castello e quando qualche giovane mendico, attirato dalla fama delle sue liberalitá domandava l'elemosina, egli lo valutava con uno sguardo, faceva salire quelli la cui fisionomia lo incitava allo stupro e li gettava in una secreta fino a quando, affamato non esigesse il suo pasto carnale.

Quanti bambini sgozzó dopo averli violentati? Egli stesso lo ignorava. aveva commeso tanti stupri e tanti omicidi! I testi del tempo parlano di settecento ottocento vittime, ma questo numero è insufficiente, sembra inesatto. Regioni intere furono devastate; i casinali di Tiffauges non avevano piú bambini, a Suze non c'erano piú maschietti; a Champtocé tutto il fondo di una torre era pieno di cadaveri; un testimone citato nell'strutoria Guillaume Hylairet dichiara anche: “aveva udito dire che aveva trovato in quel castello una condotta piena di bambini morti”.

Ancora oggi persistono tracce di quei delitti. Comunque Gilles confesó spaventosi olocausti che i suoi amici confermarono con tuti gli spaventosi dettagli. Al tramonto quando i loro sensi sono come staffilati dal succo potente delle cacce, infiammati da bevande ardenti e speziate, Gilles e i suoi amici si ritirano in una camera lontana el castello. Qui i bambini prigionieri nelle fosse sono condotti, denudati, imbavagliati; il Maresciallo li palpa e li viola, poi li squarta a colpi di daga, si diverte a smembrarli pezzo a pezzo. Altre volte apre loro il petto e beve l'alito dei polmoni; apre loro il vente, lo fiuta, allarga la ferita con le mani e vi si siede dentro. Allora mentre si macera nel fango umido delle tiepide interiora guarda sopra la sua spalla per contemplare le supreme convulsioni degli ultimi spasimi. Lui stesso ha detto: “Ero piú contento di godere delle torture, delle lacrime, del terrore e del sangue che di tutti gli altri piaceri”.

mercoledì, febbraio 25, 2009

Gilles de Rais

Tutte le teorie moderne dei vari Lombroso e Maudsely non sono sufficienti a spiegare i crimini innumerevoli e i singolari abusi del Maresciallo. Classificarlo nel gruppo dei monomaniaci sarebbe stato giusto, se con questa parola si classificano tutti coloro che hanno una idea fissa. Infatti, ognuno di noi è monomaniaco, a partire dal commeciante che pensa solo al suo interesse, fino all'artista assorbito nella concezione di un'opera, Perché, tuttavia. il Maresciallo fu momomane, come lo divenne? Ecco ció che tutti i Lombroso della terra ignorano. Le lesioni dell'encefalo non significano assolutamente niente in queste faccende. Si tratta semplicemente di coneguenze, di effetti derivati di una causa che dovrebbe essere spiegata e che nessun materialista sa spiegare. È davvero un po' troppo facile affermare che una perturbazione dei lobi crebrali produce assassini o sacrileghi; gli alienisti famosi dei nostri giorni pretendono che l'analisi del cervello di una folle riveli una lesione o una alterazione della materia grigia, e se così fosse? Resterebba da spiegare, per una donna affetta da demonomania, se la lesione si è prodotta perché ella è demonome o al contrario ...


Nel quindicesimo secolo le due tendenze estreme dell'anima furono rappresentate da Giovanna d'Arco e dal Maresciallo de Rais. Non vi é alcuna ragione per affermare che Gilles fosse piú folle della Pulzella i cui meravigliosi eccessi non hanno relazione alcuna con manie e deliri.


Quando gli esperimenti alchemici e le evocazioni diaboliche falliscono Prelati, Blanchet e tutti i maghi e stregoni che circondano il Maresciallo ammettono che per agganciare Satana, Gilles avrebbe dovuto cedergli o l'anima o la vita o commettere crimini.

Gilles rifiuta di alienare la sua esistenza e di abbandonare l'anima, ma pensa senza orrore agli assassinii. Quest'uomo, tanto valoroso sui campi di battaglia, tanto coraggioso quando difende e accompagna Giovanna d'Arco, trema davanti al iavolo, ha paura quando pensa alla vita eterna, quando pensa a Cristo. E lo stesso vale per i suoi complici; per essere sicuro che essi non riveleranno i rivoltanti abomini che il castello nasconde, fa loro giurare il segreto sui santi evangeli, sicuro che nessuno di loro romperá il giuramento, perché, nl medio Evo , il piú impavido dei banditi non oserebbe assumere su di sé irremissibile misfatto di ingannare Dio!.

Comunque resta il fatto che mentre gli alchimisti abbandonano i loro fornelli impotenti, Gilles si abbandona a orge spaventevoli e la sua carne arsa dalle essenze disordinate delle bevute dei piatti, entra in eruzione, bolle e tumultua.

Non vi erano donne nel castello; Gilles sembra aver esecrato il sesso a Tiffauges. Dopo le bagasce degl accampamenti le prostitute della corte di carlo VII, sembra che lo abbia colto il disprezzo per le forme femminili. Come coloro il cui ideale di concupiscenza si altera e si svia, giunge a essere disgustato dalla delicatezza della pelle e dall'odore della donna che tutti i sodomiti detestano.

Egli conduce alla depravazione i ragazzi del coro della sua cappella, li aveva scelti “belli come angeli”. Furono i sol che egli amó e i soli che nei raptus omicidi risparmió.

Ma presto questa salsa di eiaculazioni infantili gli parve insipida. La legge del satanismo che vuole che l'eletto del male scenda fino all'ultimo scalino la spirale del peccato, era ancora una volta, in vigore. L'anima di Gilles doveva riempirsi di pus, perché in quel rosso tabernacolo decorato di ascessi potasse abitare compiaciuto l'Infimo!

Le litanie della foia si innalzarono nel vento salato dei macelli. la prima vittima di illes fu un bambinello il cui nome si ignora. Lo sgozzó, gli taglió le mani, gli estrasse il cuore, gli strappó gli occhi e li portó nella stanza di Prelati. Entrambi gli offrirono a con suppliche appassionate al diavolo che tacque. Gilles esasperato fuggí e Prelati avvolse i poveri resti in un lenzuolo e tremando fu, nella notte a seppellirli in terra consacrata accanto a una cappella dedicata a San Vincenzo.

Il sangue di quel fanciullo che Gilles aveva conservato per scrivere le su formule di evocazione e i suoi grimori, fu seme orribile e presto Gilles poté mietere e immagazinare la piú esorbitante messe di crimini che si conosca.

Dal 1432 al 1440, cioé negli otto anni che vanno dal ritiro del Maresciallo alla sua morte, gli abitanti dellAnjou, del Poitou, della Bretagna, errano singhiozzand sulle strade. Tutti i bambini scompaiono; i pastorelli sono rapiti nei campi, le bambine all'usicta da scuola, i ragazzetti che vanno a giocare a palla nelle stradine o si rincorrono all'orlo dei boschi, non tornano piú.

Nel corso di un'inchiesta ordinata dal Duca di Bretagna, gli scribi di Jean Touscheronde, commissario del Duca, redigono liste interminabili di bambini scomparsi.

Perduto, a ochebernart, il figlio di Donna Péronne “che andava a scuola e imparava molto bene” dice la madre.

Perduto a Sain-étienne de Monluc, il figlio di Guillaume Brice “poveretto che chiedeva l'elemosina”.

Perduto a Machecol, il figlio di Georget le Barbier “che fu visto, un certo giorno cogliere pere dietro il Palazzo Rondeau e che poi non fu piú visto”.

Perduto a Thonaye, il figlio di Mathelin Thouars “che si lamenta e piange e il figlio aveva dodici anni”.

A Machecoul ancora, il giorno di Pentecoste, i coniugi Sergent lasciano a casa il loro figliuolo di otto anni e al ritorno dai campi “non ritrovano piú il bambino di otto anni e molto se en meravigliano e soffrono”.


Huysmans

Là-bas

Trad e montaggio genseki

mercoledì, febbraio 04, 2009

Gilles de Rais V

Sono nato sotto una tale stella che nessuno mai potrá fare ció che ho fatto io

Questi maghi, che tutti i biografi sono concordi nel rappresentare, secondo me a torto, come volgari parassiti e delle canaglie, erano, in fin dei conti, la nobiltá spirituale del quindicesimo secolo. Non avendo trovato posto nella Chiesa, ove non avrebbero accettato niente di meno che la porpora o il soglio non restava loro altra possibilitá che rifugiarsi presso un gran signore come Gilles, forse il solo, in quel tempo che fosse abastanza istruito e intelligente per comprenderli. Riassumendo, un misticismo naturale da una parte e la frequentazione quotidiano con sapienti ossessionati dal satanismo. Una miseria crescente all'orizzonte che l'intervento diabolico avrebbe potuto scongiurare, una curiositá folle, forse, per le scienze oscure; tutto questo spiega che, poco a poco, mano a mano che il legami con il mondo degli alchimisti e degli stregoni si stringe, egli si getti nell'occulto e sia spinto ai crimini piú inverosimili.
D'altra parte, per quanto riguarda i bambini sgozzati, cosa che non accadde inmediatamente, perché Gilles violentó e uccise i bambini solo dopo che l'alchimia si dimostrò vana, egli non differisce sensibilmente dai baroni del tempo suo.
Certo egli li supera nel fasto del vizio e nell'opulenza dell'omicidio ecco tutto. ... I principi a quei tempi erano dei massacratori spaventosi. Vi è un Signore di Giac che avvelena la moglie , la getta sul cavallo e la trascina al galoppo per cinque leghe, fino alla morte. Vi è un altro ...che afferra il padre, lo trascina scalzo nella neve, poi lo getta tranquillamente, fino alla morte in una prigione sotterranea. E quanti altri ...
Non pare che durante le battaglie e le razzie il Maresciallo si sia macchiato di delitti seri, certo aveva un gusto singolare per la forca, amamva far impiccare tutti i francesi rinnegati sorpresi nei ranghi degli inglesi o nelle cittá poco fedeli al Re. Il gusto per questo supplizio non lo abbandona nel castello di Tiffauges.
Infine per concludere si deve aggiungere a tutte queste cause un orgoglio formidabile, un orgoglio che lo spinge a dire, durante il processo: “sono nato sotto una tale stella che mai nessuno potrá fare mai ciò che ho fatto io”.
Eccoci giunti, tuttavia, al momento in cui Gilles de Rais inizia la ricerca della Grande Opera. Non è difficile immaginarsi le conoscenze che possiede relativamente al modo di trasformare i metalli in oro. L'alchimia era già molto sviluppata un anno prima della sua nascita. Gli scritti di Alberto il Grande, Arnaud de Villeneuve, Ramón Llull erano nella mani degli ermetici. I manoscritti di Nicalas Flamel circolavano; non v'è dubbio che Gilles , andava matto per i libri rari, li abbia potuti acquistare; aggiungiamo che a quel tempo, l'editto di Carlo V vietava sotto pena di prigione e di morte i lavori alchemici e che la bolla “Sponde pariter quans non exhibent” che il Papa Giovanno XXII fulminó contro gli alchimisti era ancora in vigore. Queste opere erano quindi proibite e conseguentemente introvabili; è comunque certo che Gilles le ha lungamente studiate, ma tra studiarle e comprenderle il cammino è lungo.
Questi libri costituivano, in effetti il piú incredibile abracadabra, il grimorio più astruso. Tuto era allegoria, metafore bizzarre e oscure,emblemi incoerenti, parabole confuse, enigmi pieni di cifre!
...

venerdì, gennaio 09, 2009

Gilles de Rais IV



Il grande Usuraio del tempo, Giovanni V Duca di Bretagna rifiutó di pubblicara nei suoi stati l'editto che fece tuttavia notificare, sottobanco a coloro tra i suoi sudditi che facevano affari con Gilles. Nessuno, quindi, osava piú comprare terre da Gilles per paura di attirarsi la collera del Re e l'dio del Duca, Giovanni V, restó il solo possibile compratore e fissó lui il prezzo. Questo spiega anche il furore di Gilles contro la sua famiglia che aveva sollecitato le lettere reali – e perché egli non si occupó piú, per tutta la sua vita di sua moglie e di sua figlia che relegó in un vecchio castelle a Pouzages.
La domanda sul perché e per quali motivi Gilles lasció la corte, mi sembra trovare risposta in questi stessi fatti. È evidente che giá da molto tempo, ancor prima che il Maresciallo si autoconfinasse nei suoi feudi, Carlo VII era assalito dalle suppliche della mogliee degli altri parenti di Gilles; d'altra parte, i cortigiani dovevano detestare il giovanotto a causa delle sue ricchezze e del suo fasto; quello stesso Re che abbandonó deliberatamente Giovanna d'Arco quando ritenne che non fosse piú utile, trovava un'occasione di vendicarsi su Gilles dei servizi che egli gli aveva reso. Quando aveva bisogno di denaro per le sue truppe, allora non si dava troppo pensiero del fatto che il Maresciallo fosse troppo prodigo! Ora che lo vedeva mezzo rovinato, gli rimproverava i suoi sperperi, e non gli risparmiava biasimo e minaccia. Si capisce che Gilles abbia lasciato quella corte senza nessun rimpianto. Ma c'è dell'altro. La stanchezza di una vita nomade, il disgusto degli accampamenti che probabilmente lo avevano colto; ebbe certamente fretta di concentrarsi in una atmosfera pacifica accanto ai suoi libri. Sembra che soprattutto la passione per l'alchimia l'abbia interamente dominato e che egli abbia abbandonato tutto a causa di essa. Bisogna, infatti notare che egli amó davvero in se stessa, quella scienza che lo precipitó della demonomania, quando sperava di produrre oro e di salvarsi quindi dalla miseria che lo assediava, la amó quando ancora era ricco. Fu, infatti, verso il 1426 quando il denaro scorreva a fiumi verso i suoi scrigni, che egli tentó, per la prima volta la riuscita della grande opera.
Eccolo, finalmente, a Tiffauges che sará il teatro dei suoi primi delitti di sadismo e di magia assassina.
Mancano i documenti per unire le due parti della sua vita cosí bizzarramente separate ma vi sono molte piste possibili. Quest'uomo era un vero mistico. Ha vissuto gli avvenimenti piú straodrdinari che la storia abbia mai mostrato. La frequentazione di Giovanna d'Arco ha certamente reso piú acuti i suoi slanci verso Dio. Ora dal misticismo esaltato al satanismo esasperato, non v'è che un passo. Nell'aldilá tutto si tocca. Egli ha trasferito la furia della preghiera nel mondo del suo inverso. In questo fu spinto dal gruppo di preti sacroleghi, dimanipolatori di metalli e di evocatori di demoni che lo corcondava a Tiffauges.
Fu Giovanna d'Arco che infiammó quest'anima smisurata, disposta a tutto alle orge di santitá come agli oltraggi del delitto. Poi non ci fu transizione: non appena morì Giovanna, egli cadde nelle mani degli stregoni che erano i piú squisiti scellerati e i letterati pi´raffinati. Coloro che lo frequentarono a Tiffauges erano ferventi latinisti, prodigiosi conversatori, possessori di arcani dimenticati, detentori di vecchi segreti. Gilles si trovava, evidentemente meglio con loro che con Dunois e La Hire.


Traduzione e montaggio a cura di genseki

giovedì, dicembre 11, 2008

Gilles de Rais III


A Tiffauges risiede tutto il clero di una metropoli, decano, vicari, tesorieri, chierici e diaconi scolari e coristi; ci è giunto il rendiconto delle spese per le , le stole e le casuble.
Gli ornamenti sacerdotali abbondano, qui incontriamo i teli vermigli dei paramenti di un altare, cortine di seta smeraldina, una cappa di velluto cremisi, viola con un telo d’oro , un’altra in tessuto di damasco aurora, dalmatiche di satin per i diaconi, baldacchini decorati a figure a uccelli d’oro cipriota, là piatti, calici, cibori, lavorati col martello, borchiati, cosparsi di gemme, reliquari tra i quali la testa in argento di Sait Honoré, un mucchio di ori incandescenti che un artista stabilitosi nel castello cesella secondo i suoi gusti.
E tutto era a portata di tutti; la sua tavola era aperta ad ogni ospite; da tutti gli angoli della Francia lunghe carovane si dirigevano verso questo castello in cui gli artisti, i poeti, gli scienziati trovavano un’ospitalità principesca, semplici agi, doni di benvenuto e omaggi alla loror partenza.
Già indebolita per i salassi profondi praticati dalla guerra la sua fortuna vacillò sotto queste spese; allora egli imboccò la strada terribile degli usurai, chiese prestiti ai peggiori borghesi, ipotecò i castelli alienò le proprietà, in certi momenti si ridusse a impegnare gli arredi del culto, i suoi gioielli, i suoi libri.
Una memoria che gli eredi di Gilles rivolsero al Re ci rivela che la sua immensa fortuna disparve in meno di otto anni.
Un giorno sono le signorie di Confolens, di Chabannes, di Chateaumourant, di Lombert che vengono cedute a un capitano d’armigeri a vil prezzo; un altro è il feudo de Fontaine-milon, le terre di Grattecuisse che compera il Vescovo d’Angers, la fortezza di Saint-Etienne de Mer Morte acquistata da Guillaume Le Ferron per un pezzo di pane; un altro ancora è il castello di Blaison e di Chemillé che un tal Guillaume de la Jumelière ottiene a forfait e che non paga. Tutta una lista poi di castellanie e foreste, saline e prati, un lungo foglio di carta sul quale egli aveva minuziosamente annotato gli acquisti e le vendite.
Spaventata da queste follie, la famiglia del maresciallo supplicò il Re d’intervenire; e, in effetti, nel 1436, Carlo VII°, “Convinto – come dice del cattivo comportamento del sire De Rais” gli vietò nel Gran Consiglio e con lettere datate da Amboise di vendere o alienare qualsivoglia fortezza, castello o terra.
Questa ordinanza, in realtà non fece altro che affrettare la rovina dell’interdetto.
trad genseki

sabato, novembre 29, 2008

Gilles de Rais II


Le armate inglesi si congiungevano, inondavano il paese, si estendevano sempre di più, invadevano il Centro. Il re pensava a ripiegare nel Sud, ad abbandonare la Francia; fu allora che apparve Giovanna D’Arco.
Gilles ritorna allora presso Carlo che gli affida la guardia e la difesa della Pulzella. Egli la segue dovunque, l’assiste nelle battaglie, anche sotto le mura di Parigi, è accanto a lei a Reims nel giorno della consacrazione, quando il Re a motivo del suo valore lo crea Maresciallo di Francia a venticinque anni!
Come si comportò Gilles de Rais con Giovanna D’Arco? Non abbiamo informazioni. Vallet de Viriville l’accusa di tradimento senza però portare nessuna prova. L’abate Bossard afferma al contrario che gli fu fedele e che lealmente vegliò su di lei portando ragioni plausibili a suffragio della propria opinione. Quello che è certo è che si trattava di un uomo la cui anima era saturata di idee mistiche come prova tutta la sua storia. Visse a fianco di questa fanciulla straordinaria le cui avventure sembrano attestare che un intervento divino negli avvenimenti di quaggiù è veramente possibile.
Assiste al miracolo di una contadinotta che piega una corte di cialtroni e di banditi, rianima un Re vile e in procinto di fuggire. Assiste all’incredibile episodio di una vergine che conduce come un gregge docile al suo gesto dei tipi come La Hire, Xaintrailles, Beaumanoir, Chabannes, Dunois e Goncourt vecchie belve che belano al suo comando e rivestono l vello degli agnelli. Anche lui, come loro bruca l’erba bianco delle prediche, fa la comunione, venera Giovanna come una santa. Vede infine che la Pulzella mantiene le sue promesse. Toglie l’assedio di Orléans, fa consacrare il Re a Reims e dichiara, allora, ella stessa che la sua missione è terminata, domandando la grazia di potersene tornare a casa.
E’ facile scommettere che un tale ambiente abbia potuto esaltare il misticismo di Gilles; ci troviamo di fronte ad un uomo la cui anima è divisa tra l’ussaro e il monaco.
La Pulzella aveva portato a termine la sua missione. Che cosa avvenne di Gilles dopo ch’ella fu catturata, dopo la sua morte? Nessuno lo sa. Tutt’al più viene segnalata la sua presenza nei dintorni di Rouen quando viene istruito il processo; ma da questo non si può concludere, come fanno certi suoi biografi ch’egli nutrisse l’intenzione di salvarla.
Comunque, dopo aver perduto le sue tracce lo ritroviamo chiuso a ventisei anni nel suo castello di Tiffauges.
Il vecchio soldato che che era in lui scompare. Nello stesso tempo in cui iniziano i delitti cominciano a svilupparsi in Gilles l’artista e il letterato, debordano, lo incitano perfino, sulla spinta di un misticismo capovolto, alle più sapienti crudeltà, ai crimini più raffinati. E’ quasi isolato al tempo suo il barone de Rais! I suoi pari non sono che dei bruti, lui cerca le appassionate raffinatezze dell’arte, sogna una letteratura e lontana, compone persino un trattato sull’arte di evocare i demoni, adora la musica ecclesiastica, vuole circondarsi soltanto di oggetti introvabili, di cose rare.
Erudito latinista, conversatore spiritoso, amico generoso e fedele. Possedeva una biblioteca straordinaria per quei tempi in cui la lettura restava chiusa nei limiti della teologia o delle vite dei santi. Possediamo la descrizione di alcuni dei suoi manoscritti: Svetonio, Valerio Massimo, un Ovidio pergamenaceo, rilegato di cuoio rosso con fermaglio di vermiglio e chiave.
Era pazzo di questi libri e li portava con sé dovunque andasse; aveva assunto un pittore chiamato Thomas che li decorava con lettere miniate, lui stesso dipingeva smalti che uno specialista scovato con grande fatica incastonava nell’oro delle rilegature, I suoi gusti in fatto d’arredamento erano strani e solenni; restava senza fiato davanti alle stoffe abbaziali, alle voluttuose sete, alle tenebre dorate degli antichi broccati. Amava i piatti accuratamente speziati, i vini ardenti, resi cupi dagli aromi; sognava gioielli insoliti, metalli spaventosi, pietre di follia. Era il Des Esseintes del XV° secolo!
Ma tutto questo costava caro, anche se meno caro di quanto non costasse la corte fastosa che lo circondava a Tiffauges e rendeva questa corte un luogo unico. Aveva una guardia di più di duecento uomini, cavalieri, capitani, scudieri, paggi e tutti avevano a loro volta i propri servitori magnificamente equipaggiati a spese di Gilles. Il lusso della sua cappella e della collegiata tendevano positivimente alla demenza.
Traduzione e montaggio genseki

venerdì, novembre 21, 2008

Gilles de Rais

da Huysmans
traduzione e montaggio del testo di genseki

Come si può penetrare negli avvenimenti del Medioevo, quando nessuno è nemmeno capace di spiegare gli episodi più recenti, i sotterranei della Rivoluzione, della Comune, per esempio? Non resta dunque che fabbricare la propria visione, immaginarsi da sé le creature di un altro tempo, incarnarsi in esse, rivestire, se si può gli stracci delle loro apparenze, forgiarsi, infine, con dettagli abilmente scelti dei quadri d’insieme fallaci.
Gilles de Rais, formidabile satanista fu, nel XV° secolo, il più artista, il più squisito, il più crudele e il più scellerato degli uomini.
Il nome di Gilles resiste da quattro secoli soltanto grazie all’immensità dei vizi di cui è il simbolo. Tuttavia la difficoltà maggiore è quella di spiegare in che modo quest’uomo, che fu un capitano coraggioso e un buon cristiano, divenne improvisamente sacrilego e sadico, vile e crudele. Non c’è nessun esempio, che si sappia di un così repentino cambiamento di un’anima, per questo tutti i suoi biografie si stupiscono di una tale magia spirituale, di questa metamorfosi dell’anima operata con un colpo di bacchetta, come in teatro; i vizi di certo dovettero infiltrarsi in lui in modi di cui sono perdute le tracce attraverso peccati invisibili ignorati dalle cronache.
Gilles de Rais, la cui infanzia ci è ignota, nacque intorno al 1404 sui confini tra la Bretagna e l’Anjou, nel castello di Machecoul. Suo padre muore alla fine di ottobre del 1415; sua madre si risposa quasi subito con un Sire d’Estouville e lo abbandona insieme a suo fratello René; passa quindi sotto la tutela di suo nonno, Jean de Craon, Signore di Champtocé e di La Suze, “Uomo vecchio e anziano e di età molto avanzata” come riporrtano le cronache. Egli non è sorvegliato né diretto da questo vecchio bonario e distratto che si sbarazza di lui sposandolo con Catherine de Thouars, il 30 di Novembre del 1420.
La sua presenza alla corte del Delfino è attestata 5 anni dopo; i suoi contemporanei ce lo presentano come un uomo robusto e nervoso, d’una bellezza inebriante, di rara eleganza. Non abbiamo informazioni sul ruolo da lui svolto presso questa corte, ma si può supplire facilmente, immaginandosi l’arrivo di Gilles, il più ricco dei baroni francesi presso un re molto povero. In questo momento, infatti, Carlo VII° è ridotto allo stremo, non ha denaro, ed è privo di ogni prestigio e autorità è già molto se le città della Loira gli obbediscono; la situazione della Francia estenuata dai massacri, già devastata, qualche anno prima, dalla peste è spaventosa. Essa è scarificata fino a sanguinare, vuotata fino al midollo dall’Inghilterra che simile alla piovra leggendaria, il kraken, emerge dal mare e lancia oltre lo stretto, sulla Bretagna, la Normandia, una parte della Piccardia, l’Ile de France, tutto il Nord e il Centro fino a Orléans, i suoi tentacoli che non lasciano quando si sollevano che città inaridite, campagne morte. Gli appelli di Carlo che reclama sussidi, inventa esazioni, sollecita il pagamento delle tasse sono inutili. Le città sacheggiate, i campi abbandonati e ripopolati dai lupi, non possono soccorrere un Re di dubbia legittimità. Egli mendica vanamente qualche spicciolo. A Chinon, la sua piccola corte è una rete di intrighi che talvolta terminano con egli omicidi. Stanco d’essere braccato, vagamente al sicuro ddietro la Loira, Carlo e i suoi partigiani finiscono per consolarsi con orge esuberanti, dei disastri che continuano ad avvicinarsi; in questo regnare alla giornata, mentre i prestiti e le razzie rendono i banchetti opulenti e lunghe le sbronze, si finisce per dimenticarsi dell’allarme permanente e dei soprassalti e si soffaca il pensiero del domani annegandolo nel vino e palpando le puttane. Che cosa ci si poteva aspettare d’altra parte da un Re sonnolento e già sfiorito, di madre infame e padre folle. Foucquet, nel ritratto che si può vedere al Louvre lo dipinge, con un grugno da maiale, occhi da usuraio di campagna, labbra dolenti e lardose, colorito da castrato, sembra che Foucquet abbia voluto dipingere un prete cattivo raffreddato e dalla sbronza triste. Egli era l’uomo che aveva fatto assassinare Giovanni senza paura e cabbandonerà Giovanna D’Arco; e questo basta per giudicarlo. E’ chiaro che Gilles de Rais che aveva arruolato delle truppe a proprie spese fosse accolto a braccia aperte in questa corte. Certamente egli vi organizzò tornei, fu dai cortigiani e prestò ingenti somme al Re. Tuttavia, nonostante il suo successo non sembra ch’egli sia mai sprofondato come Carlo VII nell’egosmo ansioso e nel vizio; lo ritorviamo infatti, ben presto nell’Anjou e nel Maine che difende dagli Inglesi. Qua egli si dimostrò “Valente e ardito capitano”, come affermano le cronache, anche se schiacciato dalla superiorità numerica del nemico dovette fuggire.

giovedì, novembre 01, 2007

La Cattedrale V

Il libro della Cattedrale

Lo spazio sacro della cattedrale è anche l'immagine simbolica del Libro, o megli dei libri sacri: l'Antico e il Nuovo Testamento.
Il testo di parole diventa testo di pietra, qui, il Logos diventa edificio e l'edifcio rappresenta a sua volta il corpo morente del Logos incarnato: parole, carne e pietra. Ma il Logos di pietra è simbolicamente femminile, umido, sotterraneo, cupo e lunare.

Come testo la cattedrale può e deve essere letta, bisogna però possedere le chiavi che permettano di accedere alla sua scrittura, conoscere il suo linguaggio e le sue regole.
Tuttavia non c'è dubbio la cattedrale va letta, è fatta per essere letta, è leggibile.


“Ed egli ripensó a questa cripta tiepida di Chartres. Si, non vi era dubbio, come tutti gli edifici dell'epoca romanica, essa simboeggia bene lo spirito dell'Antico testamento, ma non è soltanto cupa e triste, è anche avvolgente e discreta, e così tenera e dolce!E poi, se ammettiamo che essa sia l'immagine in pietra del Vecchio Libro, non lo rappresenta certo nel suo insieme, quanto piuttosto nella scelta speciale, invece, delle grandi oranti che prefigurano la Vergine nelle Scritture. Essa è la traduzione in pietra delle pagine riservate soprattutto alle donne illustri della Bibbia che furono in qualche modo incarnazione profetiche della nuova Eva.

Insomma, disse Durtal, malgrado le contraddizioni di alcuni dei suoi testi la cattedrale é leggibile.
Essa contiene una traduzione dell'Antico e del Nuovo Testamento; innesta inoltre sulle sacre scritture le tradizioni degli apocrifi che riguardano la Vergine e San Giuseppe, le vite dei santi raccolte nella Leggenda Aurea di Jacopo da Voragine e le monografie dei Celicoli della diocesi di Chartres.
La cattedrale è un immenso dizionario della scienza del Medio Evo, su Dio, sulla Vergine e sugli eletti.

*

Il testo di pietra che si trattava di comprendere era, se non difficile da decifrare, almeno imbarazzante per i passaggi interpolati, perl le ripetizioni, per le frasi scomparse oppure troncate; per dirla tutta, anche, per una certa incoerenza che si spiegava, del resto, quando si constatava che l'opera era stata continuata da diversi artisti, da essi alterata in forma o dimensioni, in un lasso di tempo di più di duecento anni.

genseki

giovedì, agosto 02, 2007

La Cattedrale III


La fortezza, l'armatura

La Cattedrale è paragonata a una fortezza e persino all'armatura i un cavaliere di quella crociata predicata da S. Bernardo proprio nella Cattedrale. Si tratta di una “Lorica” l'armatura magica fatta di orazioni e di scongiuri che avrebbe dovuto proteggere il cristiano che se en serviva. La cattedrale è una “Lorica” ma non una “Lorica” di parole o di altri segni verbali, quanto piuttosto di pietre e di segni architettonici:

“Ritornava a casa sua per mangiare qualche cosa e, abracciando, con un'ultimo sguardo, la chiesa ammirevole, ricapitolando i simulacri guerrieri così come apparivano: le forme di scudo dei rosoni, di lama di spade dei vetri , i contorni dei caschi e degli elmi delle ogive, la somiglianze di alcune vetrate in grisaglia filigranata di piombo con le tuniche di maglia di ferro dei combattenti, e, fuori, contmplando uno dei campanili intagliato a lamelle come una pigna, come una cotta di maglia, si diceva che pareva davvero che “gli ospiti del buon Dio” avessero preso in prestito i loro modelli ai bellicosi arnesi dei cavalieri; che avessero voluto perpetuare come per perpetuare il ricordo delle loro imprese, raffigurando dovunque l'immagine ingrandita di quelle armi di cui i Crociati si cinsero quando si imbarcarono per partire alla riconquista del Santo Sepolcro".

genseki

giovedì, luglio 19, 2007

La Cattedrale II


Nel terzo capitolo la comparazione tra lo spazio naturale della foresta e lo spazio sacro della chiesa diventa sempre piú chiara, l'intuizione di Chateabriand sull'origine del gotico, è sviluppata in modo analitico e estetico minuzioso:

"Senza sminuire la teoria che consiste nel vedere in questo problema soltanto una questione materiale, tecnica, di stabilitá e di resistenza, una invenzione dei monaci che avevano scoperto un bel giorno che la soliditá delle loro volte sarebbe stata meglio assicurata dalla forma a mitra dell'ogiva che da quella mezza luna dell'arco pieno, non sembra che la dottrina romantica, la dottrina di Chateaubriand di cui ci si è fatto beffe sia la meno complicata di tutte, la piú naturale, insomma la piú evidente e la piú giusta?
Per me è quasi certo, proseguí Durtal, che l'uomo ha trovato nei boschi la forma tanto discussa della navata e dell'ogiva. La piú stupefacente cattedrale che la natura ha costruito, da se stessa, prodigandovi l'arco spezzato dei suoi rami, si trova a Jumièges. Là, accanto alle magnifiche rovine dell'abazzia che ha conservato intatte le sue due torri e la cui navata scoperchiata e ricoperta di fiori si collega ad un coro di fronde circondato da un'abside di alberi, tre immensi viali, bordati di tronchi secolari, si estendono in linea retta; uno, quello del mezzo, molto largo, gli altri due, che lo affiancano, piú stretti; essi disegnanono l'immagine astratta di una nave e delle sue fiancate, sostenute da pilastri neri e avvolte da fasci di foglie. L'ogiva vi è chiaramente riprodotta dai rami che si toccano, così come le colonne che la sostengono sono imitate dai grandi tronchi. Bisogna vederla d'inverno, con la volta ad arco spolverata di neve, i pilastri bianchi come tronchi di betulla, per comprendere l'dea originaria, il seme dell'arte che ha potuto far sorgere lo spettacolo di simili viali, nell'animo degli architetti che sgrossarono, poco a poco, il romanico e finirono per sostituire completamente l'arco acuto all'arco pieno.
E non vi sono parchi, piú o meno antichi dei boschi di Jumièges, che non riproducano con altrettanto esattezza gli stessi contorni; ma quello che la natura non poteva dare, era l'arte prodigioso, la scienza simbolica profonda, la mistica appassionata e placida dei credenti che edificaron le cattedrali. Senza di loro, la chiesa restata allo stato bruto, così come la natura l'aveva concepita, sarebbe rimasta un abbozzo senz'anima, un rudimento; essa era l'embrione di una basilica, cangiante secondo le stagioni e i giorni, inerte e viva al tempo stesso, animandosi al suono dell'organo del vento, che deformava il tetto mobile dei suoi rami, al suo solo spirare, era inconsistente e spesso taciturna, assolutamente sottomessa alle brezze, serva rassegnata dell piogge; non era stata illuminata, insomma, che da un sole che setacciavatra le losanghe e i cuori delle foglie, così come tra le maglie delle piastrelle verdi. L'uomo, con il suo genio, raccolse questi sparsi bagliori, li condensò in rosoni e in lame, li riversó nei viali di bianchi fusti; e persino con il tempo peggiore, le vetrate risplendettero, imprigionarono fino alla piú piccola luce del tramonto, rivestirono il Cristo e la Vergine degli splendori piú favolosi, quasi giunsero a realizzare su questa terra il solo abbigliamento che potesse convenire ai corpi gloriosi, vestiti diversi di fiamme!"

In questo testo non è solo la cattedrale che riproduce la foresta aggiungendo la profonditá simbolica e mistica che manca alla natura, ma è la natura stessa che cerca di riprodurre la Cattedrale. Si genera u movimento circolare che va dalla foresta alla cattedrale e dalla cattedrale alla foresta il cui asse mediano è costutuito dal simbolo.