domenica, dicembre 27, 2015

+ B A R T O L O M E O
PER GRAZIA DI DIO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI
NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO
A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA
GRAZIA, MISERICORDIA E PACE DA CRISTO SALVATORE
NATO A BETLEMME


Fratelli e Figli amati nel Signore,


La dolcezza della Santa Notte di Natale avvolge ancora una volta il mondo. E nel mezzo delle pene e delle sofferenze dell’umanità, della crisi e delle crisi, delle passioni e delle inimicizie, delle insicurezze e delle delusioni prevale con lo stesso fascino di sempre, reale e attuale come mai, il mistero della incarnazione di Dio, che ci spinge a “imparare la giustizia, noi abitanti della terra” (Is. 26,9), poiché “per noi oggi è nato un Salvatore” (Lc. 2,11).

Purtroppo, tuttavia, nella nostra epoca molti uomini pensano come quell’uccisore di bambini, Erode, quell’ignobile e spietato,  e annientano il loro prossimo in svariati modi. La mente distorta dal proprio egocentrismo  del dominatore di tale mondo, che viene personificata nel volto omicida di Erode, ha visto paradossalmente un pericolo per la propria esistenza, la nascita di un bambino innocente. E come modo più opportuno per proteggere il proprio potere mondano dal pericolo che gli ispirava – dal suo punto di vista – la nascita del bambino, ha scelto di annientarlo.

Per salvarsi dalle intenzioni omicide, il Bambino Gesù, di cui ne hanno parlato gli Angeli, fu obbligato a fuggire in Egitto, costituendo così, diremmo secondo la terminologia della nostra epoca, “un rifugiato politico”, unitamente a Maria, Sua Madre, la Santissima Madre di Dio e a Giuseppe suo sposo.

Nella nostra epoca, considerata come un’epoca di progresso, molti bambini sono costretti a diventare profughi, seguendo i propri genitori, per salvare la propria vita, vita che i loro molteplici nemici guardano con sospetto. Tale fatto costituisce una ignominia per il genere umano.

Perciò anche durante la Nascita del Bambino Gesù, il nostro vero redentore e Salvatore, dal Santissimo Trono Ecumenico, Apostolico e Patriarcale proclamiamo, che tutte le società devono assicurare una crescita serena dei bambini e rispettare il loro diritto alla vita, alla educazione  e alla loro crescita sociale, che può essere loro assicurata dalla alimentazione e dalla istruzione nell’ambito della famiglia tradizionale, con base i principi dell’amore, della filantropia, della pace, della solidarietà, beni che il Signore incarnato ci offre .

Il Salvatore che è nato, chiama tutti ad accogliere questo messaggio di salvezza degli uomini. E’ vero che lungo la storia dell’uomo, i popoli hanno effettuato molte migrazioni ed insediamenti. Speravamo tuttavia che dopo le due guerre mondiali  e le dichiarazioni sulla pace di leader ecclesiastici e politici e di organismi, le società odierne avessero potuto assicurare la convivenza pacifica degli uomini nei propri paesi. I fatti purtroppo deludono la speranza, in quanto grandi masse di esseri umani, difronte alla minaccia del loro annientamento, sono obbligati a prendere la via della migrazione.

Tale situazione creatasi, con l’onda continuamente crescente dei profughi, accresce la nostra responsabilità, quanti abbiamo ancora la benedizione di vivere in pace e con qualche comodità, a non restare insensibili davanti al dramma giornaliero di miglia di nostri fratelli, ma ad esprimere loro la nostra tangibile solidarietà e amore, con la certezza che ogni beneficenza verso di loro, giunge al volto del Figlio di Dio che è nato ed ha preso carne, il Quale non è venuto al mondo come un re, o come un dominatore, o come un potente, o come un ricco, ma è stato generato come un bimbo ignudo ed inerme, in una piccola stalla, senza un focolare, così come vivono in questo momento migliaia di nostri fratelli, ed è stato obbligato nei primi anni della Sua vita terrena a espatriare in una terra lontana, per salvarsi dall’odio di Erode. Potremmo dire, che la terra ed il mare bevono il sangue innocente dei bambini dei profughi di oggi, mente la anima insicura di Erode “ha ricevuto il giudizio”.

Questo divino fanciullo nato e portato in Egitto, è il reale difensore dei profughi di oggi, dei perseguitati dagli Erode di oggi. Egli,  il Bambino Gesù, il nostro Dio, “si  è fatto debole con i deboli” (1 Cor. 9,22), simile a noi, ai privi di forza, agli umiliati, a coloro che sono in pericolo, ai profughi. L’assistenza ed il nostro aiuto verso i perseguitati ed i nostri fratelli deportati, indipendentemente dalla razza, stirpe e religione, saranno per il Signore che nasce, doni assai più preziosi dei doni dei magi, tesori più onorabili “dell’oro, dell’incenso e della mirra” (Mt. 2,11), ricchezza spirituale inalienabile e unica, che non si rovinerà per quanti secoli passeranno, ma ci attenderà nel regno dei Cieli.

Offriamo dunque ciascuno di noi, quanto possiamo al Signore, che vediamo nel volto dei nostri fratelli profughi. Offriamo al piccolo Cristo partorito oggi a Betlemme, questi venerabili doni dell’amore, del sacrificio, della filantropia, imitando la sua benevolenza, e prosterniamoci a Lui con gli Angeli, i magi ed i semplici pastori, gridando “gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra  agli uomini che egli ama” (Lc. 2,14), assieme a tutti i Santi.

La grazia e la copiosa misericordia del profugo Bambino Gesù, siano con tutti voi!

Natale 2015
Il Patriarca di Costantinopoli
Fervente intercessore presso Dio per tutti voi.

venerdì, dicembre 25, 2015

Valaquenta

"Per arroganza, dallo splendore decadde al disprezzo di tutte le cose salvo se stesso, spirito funesto ed impietoso. Trasformò l'intellezione in sottigliezza pervertendo alla propria volontà quanto poteva servirgli, fino a che divenne un bugiardo privo di qualsiasi vergogna. Cominciò con il desiderio della Luce, ma quando non riuscì a possederla esclusivamente per sé, calò, tra fuoco e ira, dentro un grande incendio, giù nell'Oscurità."



sabato, dicembre 12, 2015

Solzhenitsyn

… We turned our backs upon the Spirit and embrace all that is material with excessive and unwarranted zeal. This new way of thinking, which has imposed upon us its guidance, did not admit the existence of intrinsic evil in man nor did it see any higher task than the attainment of happiness on earth. It based modern Western civilization on the dangerous trend to worship man and his material needs… Merely freedom does not in the least solve all the problems of human life and it even adds a number of new ones.”

Solzhenitsyn

martedì, novembre 24, 2015

Mario Tronti

Ma l’idea di comunismo non poteva essere un’idea materialista: è l’interno dell’uomo, quello che il capitalismo uccide. Il capitalismo è esattamente questo: l’eliminazione dell’interiorità e quindi della libertà. Bisognerebbe rilanciare, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni la passione rivoluzionaria del contrasto con tutta intera l’organizzazione del mondo attuale e il rifiuto di tutto intero l’attuale modo di vita. Queste scaramucce quotidiane contro questo o quell’aspetto del quotidiano, decreti governativi, mutamenti istituzionali, sistema di partito, la stessa contestazione dell’ordine economico-finanziario, sia esso in crisi o in sviluppo, non funzionano come politica veramente altra se non li metti dentro una strategia di guerra globale allo stato di cose presente. Guerra civilizzata, come abbiamo imparato dalla grande storia del movimento operaio e come si è disimparato dalle mediocri esperienze delle varie sinistre contemporanee.

martedì, novembre 17, 2015

Thoughts in the Presence of Fear







I. The time will soon come when we will not be able to remember the horrors of September 11 without remembering also the unquestioning technological and economic optimism that ended on that day.
II. This optimism rested on the proposition that we were living in a “new world order” and a “new economy” that would “grow” on and on, bringing a prosperity of which every new increment would be “unprecedented”.
III. The dominant politicians, corporate officers, and investors who believed this proposition did not acknowledge that the prosperity was limited to a tiny percent of the world’s people, and to an ever smaller number of people even in the United States; that it was founded upon the oppressive labor of poor people all over the world; and that its ecological costs increasingly threatened all life, including the lives of the supposedly prosperous.
IV. The “developed” nations had given to the “free market” the status of a god, and were sacrificing to it their farmers, farmlands, and communities, their forests, wetlands, and prairies, their ecosystems and watersheds. They had accepted universal pollution and global warming as normal costs of doing business.
V. There was, as a consequence, a growing worldwide effort on behalf of economic decentralization, economic justice, and ecological responsibility. We must recognize that the events of September 11 make this effort more necessary than ever. We citizens of the industrial countries must continue the labor of self-criticism and self-correction. We must recognize our mistakes.
VI. The paramount doctrine of the economic and technological euphoria of recent decades has been that everything depends on innovation. It was understood as desirable, and even necessary, that we should go on and on from one technological innovation to the next, which would cause the economy to “grow” and make everything better and better. This of course implied at every point a hatred of the past, of all things inherited and free. All things superseded in our progress of innovations, whatever their value might have been, were discounted as of no value at all.
VII. We did not anticipate anything like what has now happened. We did not foresee that all our sequence of innovations might be at once overridden by a greater one: the invention of a new kind of war that would turn our previous innovations against us, discovering and exploiting the debits and the dangers that we had ignored. We never considered the possibility that we might be trapped in the webwork of communication and transport that was supposed to make us free.
VIII. Nor did we foresee that the weaponry and the war science that we marketed and taught to the world would become available, not just to recognized national governments, which possess so uncannily the power to legitimate large-scale violence, but also to “rogue nations”, dissident or fanatical groups and individuals – whose violence, though never worse than that of nations, is judged by the nations to be illegitimate.
IX. We had accepted uncritically the belief that technology is only good; that it cannot serve evil as well as good; that it cannot serve our enemies as well as ourselves; that it cannot be used to destroy what is good, including our homelands and our lives.
X. We had accepted too the corollary belief that an economy (either as a money economy or as a life-support system) that is global in extent, technologically complex, and centralized is invulnerable to terrorism, sabotage, or war, and that it is protectable by “national defense”
XI. We now have a clear, inescapable choice that we must make. We can continue to promote a global economic system of unlimited “free trade” among corporations, held together by long and highly vulnerable lines of communication and supply, but now recognizing that such a system will have to be protected by a hugely expensive police force that will be worldwide, whether maintained by one nation or several or all, and that such a police force will be effective precisely to the extent that it oversways the freedom and privacy of the citizens of every nation.
XII. Or we can promote a decentralized world economy which would have the aim of assuring to every nation and region a local self-sufficiency in life-supporting goods. This would not eliminate international trade, but it would tend toward a trade in surpluses after local needs had been met.
XIII. One of the gravest dangers to us now, second only to further terrorist attacks against our people, is that we will attempt to go on as before with the corporate program of global “free trade”, whatever the cost in freedom and civil rights, without self-questioning or self-criticism or public debate.
XIV. This is why the substitution of rhetoric for thought, always a temptation in a national crisis, must be resisted by officials and citizens alike. It is hard for ordinary citizens to know what is actually happening in Washington in a time of such great trouble; for all we know, serious and difficult thought may be taking place there. But the talk that we are hearing from politicians, bureaucrats, and commentators has so far tended to reduce the complex problems now facing us to issues of unity, security, normality, and retaliation.
XV. National self-righteousness, like personal self-righteousness, is a mistake. It is misleading. It is a sign of weakness. Any war that we may make now against terrorism will come as a new installment in a history of war in which we have fully participated. We are not innocent of making war against civilian populations. The modern doctrine of such warfare was set forth and enacted by General William Tecumseh Sherman, who held that a civilian population could be declared guilty and rightly subjected to military punishment. We have never repudiated that doctrine.
XVI. It is a mistake also – as events since September 11 have shown – to suppose that a government can promote and participate in a global economy and at the same time act exclusively in its own interest by abrogating its international treaties and standing apart from international cooperation on moral issues.
XVII. And surely, in our country, under our Constitution, it is a fundamental error to suppose that any crisis or emergency can justify any form of political oppression. Since September 11, far too many public voices have presumed to “speak for us” in saying that Americans will gladly accept a reduction of freedom in exchange for greater “security”. Some would, maybe. But some others would accept a reduction in security (and in global trade) far more willingly than they would accept any abridgement of our Constitutional rights.
XVIII. In a time such as this, when we have been seriously and most cruelly hurt by those who hate us, and when we must consider ourselves to be gravely threatened by those same people, it is hard to speak of the ways of peace and to remember that Christ enjoined us to love our enemies, but this is no less necessary for being difficult.
XIX. Even now we dare not forget that since the attack of Pearl Harbor – to which the present attack has been often and not usefully compared – we humans have suffered an almost uninterrupted sequence of wars, none of which has brought peace or made us more peaceable.
XX. The aim and result of war necessarily is not peace but victory, and any victory won by violence necessarily justifies the violence that won it and leads to further violence. If we are serious about innovation, must we not conclude that we need something new to replace our perpetual “war to end war?”
XXI. What leads to peace is not violence but peaceableness, which is not passivity, but an alert, informed, practiced, and active state of being. We should recognize that while we have extravagantly subsidized the means of war, we have almost totally neglected the ways of peaceableness. We have, for example, several national military academies, but not one peace academy. We have ignored the teachings and the examples of Christ, Gandhi, Martin Luther King, and other peaceable leaders. And here we have an inescapable duty to notice also that war is profitable, whereas the means of peaceableness, being cheap or free, make no money.
XXII. The key to peaceableness is continuous practice. It is wrong to suppose that we can exploit and impoverish the poorer countries, while arming them and instructing them in the newest means of war, and then reasonably expect them to be peaceable.
XXIII. We must not again allow public emotion or the public media to caricature our enemies. If our enemies are now to be some nations of Islam, then we should undertake to know those enemies. Our schools should begin to teach the histories, cultures, arts, and language of the Islamic nations. And our leaders should have the humility and the wisdom to ask the reasons some of those people have for hating us.
XXIV. Starting with the economies of food and farming, we should promote at home, and encourage abroad, the ideal of local self-sufficiency. We should recognize that this is the surest, the safest, and the cheapest way for the world to live. We should not countenance the loss or destruction of any local capacity to produce necessary goods
XXV. We should reconsider and renew and extend our efforts to protect the natural foundations of the human economy: soil, water, and air. We should protect every intact ecosystem and watershed that we have left, and begin restoration of those that have been damaged.
XXVI. The complexity of our present trouble suggests as never before that we need to change our present concept of education. Education is not properly an industry, and its proper use is not to serve industries, either by job-training or by industry-subsidized research. It’s proper use is to enable citizens to live lives that are economically, politically, socially, and culturally responsible. This cannot be done by gathering or “accessing” what we now call “information” – which is to say facts without context and therefore without priority. A proper education enables young people to put their lives in order, which means knowing what things are more important than other things; it means putting first things first.
XXVII. The first thing we must begin to teach our children (and learn ourselves) is that we cannot spend and consume endlessly. We have got to learn to save and conserve. We do need a “new economy”, but one that is founded on thrift and care, on saving and conserving, not on excess and waste. An economy based on waste is inherently and hopelessly violent, and war is its inevitable by-product. We need a peaceable economy.

Wendell Berry
 
Wendell Berry lives and works with his wife, Tanya Berry, on their farm in Port Royal, Kentucky. An essayist, novelist, and poet, he is the author of more than thirty books. Berry has received numerous awards, including the T. S. Eliot Award, the John Hay Award, the Lyndhurst Prize, and the Aiken-Taylor Award for Poetry from The Sewanee Review. His books include the classic The Unsettling of America, Andy Catlett: Early Travels, and The Selected Poems of Wendell Berry.

venerdì, novembre 13, 2015

Transumanesimo e risurrezione



Gli esseri umani non si sono mai rassegnati ad essere semplicemente quello che sono: segnati dal limite, dalla colpa, dal dolore, dalla morte, cercano nel culto, nel mito, nell’ascesi, nella mistica, nel fare memoria e nel progettare, delle vie verso un oltre rispetto a se stessi. Di tale oltre non sanno molto, ma senza di esso non saprebbero realmente vivere. Una forma contemporanea di tale impazienza nei confronti della condizione umana è legata ai recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale. Internet ne è il simbolo.
Già oggi, e in modi assolutamente imprevedibili per una persona anziana che ripensi alla propria giovinezza, l’uomo contemporaneo è “aumentato” rispetto a quel che era. E – in non pochi ambiti – ha fin d’ora superato se stesso. Ne è segno tangibile il rapporto con il tempo e con lo spazio, ridotti l’uno e l’altro a una immediatezza un tempo inimmaginabile, non soltanto per quanto riguarda le informazioni, ma pure per quanto riguarda le decisioni. In questo senso, siamo già nel “transumanesimo”: stiamo passando da una condizione umana a un’altra[1]. E sembra che non ci siano ragioni per le quali tutto questo dovrebbe fermarsi, dato che le realizzazioni e le prospettive future dell’intelligenza artificiale non presentano limiti. Sembrerebbe che tutto consista nel trasferire le prestazioni  di quest’ultima all’interno dell’uomo stesso, offrendo così ad esso, attraverso le risorse delle nano-scienze e delle nanotecnologie, una liberazione completa da quelle condizioni contingenti che lo mantengono ancora legato al proprio corpo (spazio), un corpo limitato nella sua longevità (tempo) e, in ultima istanza, sottomesso alla morte. L’intelligenza artificiale permette non solo di sviluppare il “transumano”, ma anche di immaginare il “post-umano” e di intravedere ciò che viene chiamato la “singolarità”, ovvero il momento in cui tutto sarà ribaltato in una intelligibilità pura ed efficace, verso la quale fin d’oggi conducono tutte le ricerche e le tecnologie più sofisticate. Si tratterebbe di qualcosa di equivalente all’epopteia del Simposio di Platone o all’advaïta dei pensatori indù, ma ottenuto attraverso lo sforzo degli esseri umani; al punto che coloro che – tra questi ultimi – sono progrediti maggiormente nella ricerca e nella prospettive future, collocano l’avvenimento di tale “punto omega” in futuro molto prossimo.
Non penso si debba sorridere davanti a tale utopia transumanista, che conferisce una forma contemporanea al desiderio essenziale – per quanto spesso non cosciente – dell’uomo: il desiderio che la propria verità stia oltre se stesso. A tale forma contemporanea si possono certo obiettare i considerevoli pericoli legati alla messa in opera, concreta e continua, delle formidabili risorse dell’intelligenza artificiale: pericoli non solo per l’uomo in generale, ma anche per il pianeta e per l’universo[2]. Mi limito soltanto a sottolineare quello che mi pare sia il “vizio” celato in questa utopia: il suo individualismo. Ci si chiede come l’uomo, autonomous individual, possa giungere al culmine delle trasformazioni di cui è tecnicamente capace, e, pur non ignorando i rischi di tale impresa, si tende a minimizzarli, non considerando come “l’individuo autonomo” non esista affatto, non sia mai esistito, e come l’essere umano in realtà sia, e sia sempre stato, con altri. I quali sono per lui essenziali.
In verità, la vita non è fatta per essere aumentata secondo le possibilità di una ingegneria tecnica sempre più capace, ma per essere ricevuta e donata. La massima evangelica “Chi perde la sua vita la troverà” costituisce il solo paradosso capace di indicare il cammino di un autentico “transumanesimo”. Se gli “altri” fanno parte di ciò che concorre a un vero progresso umano, occorre ascoltarli, accogliere il loro dono e le loro parole, e dunque trasformare il desiderio di “essere sempre più” nel desiderio di “essere con”, di “essere per”: desiderando che noi siamo, e non soltanto che io sia. Questo significa, concretamente, “morire a se stesso” per rinascere con altri. Gli eroi e i santi, uomini realmente “aumentati”, sono coloro che lo hanno compreso e la cui memoria è benedizione.
Vorrei qui citare un breve testo che François Cheng ha scritto recentemente, facendo risuonare l’ultima strofa del Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi: “La morte, nella sua essenza, non è affatto una fine assurda, una figura spaventosa che giunge dall’esterno. Dall’esterno può giungere ogni possibile tipo di aggressione, ma la morte in se stessa è la parte più intima di ciascuno, il frutto che ciascuno porta in sé, frutto contenente carne, succo e semi, attraverso il quale si potrà rinascere diversamente, accedendo a un diverso stato d’essere”[3]. Cheng sta qui pensando alla morte corporale evocata da san Francesco. Eppure non è forse ogni istante della nostra vita morte e risurrezione? La rinuncia, nata dal prendersi cura dell’altro e di “se stesso come un altro” (come diceva Paul Ricoeur) è un atto intimo continuamente sollecitato dalla vita, grazie al quale si accede a un differente stato d’essere. Se si acconsente ad essa, momento per momento, quella morte corporale che ci sarà a suo tempo data, sarà vissuta come il frutto maturo della vita, come primizia di risurrezione. La morte e la risurrezione di Gesù, di cui ho parlato in un post precedente in questo stesso blog, ne sono l’icona.
Questo non significa che dobbiamo rinunciare a ogni progetto transumanista. Significa però che occorre preservare tale progetto dagli aspetti fantascientifici che esso talvolta coltiva, e soprattutto mantenerlo all’interno di una visione della vita dominata non dalle aspirazioni incontrollate dell’individuo autonomo, ma dal tema della morte e della risurrezione in quanto legate a una cura dell’altro che ne costituisce la verità. In questo mondo e nell’altro.
(traduzione dal francese di Stefano Biancu)

Perché discutere?

« Discuter est un exercice narcissique où chacun fait le beau à son tour : très vite, on ne sait plus de qui on parle. Ce qui est très difficile, c’est de déterminer le problème auquel telle ou telle proposition répond. Or si l’on comprend le problème posé par quelqu’un, on n’a aucune envie de discuter avec lui : ou bien on pose le même problème, ou bien on en pose un autre et on a plutôt envie d’avancer de son côté
Comment discuter si l’on n’a pas un fonds commun de problèmes et pourquoi discuter si l’on en a un ? »

Félix Guattari


mercoledì, novembre 11, 2015

Deleuze

On n'écrit pas avec son moi, sa mémoire et ses maladies. Dans l'acte d'écrire, il y a la tentative de faire de la vie quelque chose de plus que personnel, de libérer la vie de ce qui l'emprisonne. L'artiste ou le philosophe ont souvent une petite santé fragile, un organisme faible, un équilibre mal assuré (...). Mais ce n'est pas la mort qui les brise, c'est plutôt l'excès de vie qu'ils ont vu, éprouvé, pensé.
Gilles Deleuze

No one is there

Across from behind my window screen
Demon is dancing down the scene
In a crucial parody
Demon is dancing down the scene
He is calling and throwing
His arms up in the air
And no one is there

All of them are missing as the game
Comes to a start
No one is there

Some are calling, some are sad
Some are calling him mad
No one is there

Across from behind your window screen
Demon is dancing down the scene
In a crucial parody
Demon is dancing down the scene
He is calling and throwing
His arms up in the air
No one is there

All of them are missing
 As the game comes to a start
No one is there

And no sound has them
Declared
To be missing
To be missing
To be missing

Nico - No one is there

lunedì, novembre 09, 2015

Bruce Springsteen - My Hometown

Tradizione e talento individuale




…the historical sense involves a perception, not only of the pastness of the past, but of its presence; the historical sense compels a man to write not merely with his own generation in his bones, but with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature of his country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order. This historical sense, which is a sense of the timeless as well as of the temporal and of the timeless and temporal together, is what makes a writer traditional.

T.S. Eliot

Scala claustralium

. Da tutto ciò possiamo dedurre che la lettura senza meditazione è arida, la meditazione senza lettura è soggetta a errore, l’orazione senza meditazione è tiepida, la meditazione senza orazione è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza orazione è raro o miracoloso. Il Signore infatti, la cui potenza è senza confini e la cui misericordia si estende al di sopra di tutte le sue opere, di tanto in tanto fa sorgere figli di Abramo dalle pietre (Mt 3,9), forzando quanti sono induriti e ribelli a sottomettersi nell’accettazione: prodigo di doni trascina il toro per le corna, come dice il proverbio, ogni volta che si intromette senza esser chiamato e che si effonde senza esser cercato. Questo, a quanto leggiamo, è accaduto talvolta ad alcuni, come a Paolo e a qualcun altro. Ma non dobbiamo per questo attender simili doni anche per noi tentando Dio; dobbiamo invece fare ciò che ci viene richiesto, leggere e meditare la legge divina, pregare Dio che venga in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) e veda ciò che in noi è incompiuto. È lui stesso che ci insegna a far questo quando dice: «Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Infatti quaggiù il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Mt 11,12).

Guido il certosino

domenica, ottobre 18, 2015

La solitude du philosphe

Si bien qu'en attaquant le philosophe on se donne la honte d'attaquer une enveloppe modeste, pauvre et chaste; ce qui décuple la rage impuissante; et le philosophe n'offre aucune prise, bien qu'il prenne tous les coups. Là prend tout son sens la solitude du philosophe. Car il ne peut s'intégrer dans aucun milieu, il n'est bon pour aucun.
Gilles Deleuze
Spinoza - Philosophie pratique
Les éditions de Minuit, Paris, 1981

martedì, ottobre 13, 2015

And all the Arts of Life, they chang’d into the Arts of Death in Albion.







And all the Arts of Life, they chang’d into the Arts of Death in Albion.
The hour-glass contemned, because its simple workmanship
Was like the workmanship of the plowman, and the water-wheel
That raises water into cisterns, broken and burn’d with fire,
Because its workmanship was like the workmanship of the shepherd ;
And in their stead intricate wheels invented, wheel without wheel,
To perplex youth in their outgoings, and to bind up labours in Albion
Of day and night the myriads of eternity, that they may grind
And polish brass and iron hour after hour, laborious task;
Kept ignorant of its use, that they might spend the days of wisdom
In sorrowful drudgery, to obtain a scanty pittance of bread ;
In ignorance to view a small portion and think that all,
And call it Demonstration, blind to all the simple rules of life.
 
W.B.

mercoledì, ottobre 07, 2015

Pazzi


«Viene un giorno in cui tutti gli uomini impazziranno e, vedendo uno che non è pazzo, lo assaliranno dicendogli: “Sei pazzo”, per il solo fatto che non è come loro»

Abba Antonio




lunedì, settembre 28, 2015

Beulah

"There is from Great Eternity a mild & pleasant rest Nam'd Beulah, a soft Moony Universe, feminine, lovely, Pure, mild & Gentle, given in Mercy to those who sleep, Eternally created by the Lamb of God around, On all sides, within & without the Universal" 




  (The Four Zoas; Night 1 5;29-31)

Dal Blog: William Blake, religion and psychology

lunedì, giugno 15, 2015

Vivere senza menzogna



Vivere senza Menzogna

solgenitsin
di Aleksandr Isaevič Solženicyn 
Siamo a tal punto disumanizzati, che per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, la nostra anima, tutti gli sforzi di chi ci ha preceduto, ogni possibilità per i posteri, pur di non disturbare la nostra grama esistenza. Non abbiamo più nessun orgoglio, nessuna fermezza, nessun ardore nel cuore. Ci basta non staccarci dal gregge, non fare un passo da soli. Ce l’hanno martellato e il concetto ci è entrato bene in testa, ci assicura una vita comoda per il resto dei nostri giorni: l’ambiente, le condizioni sociali, non se ne scappa, l’esistenza determina la coscienza, noi cosa c’entriamo? non possiamo far nulla. Invece possiamo tutto!
Ma mentiamo a noi stessi per tranquillizzarci. Non è affatto colpa loro, è colpa nostra, soltanto NOSTRA! Si obietterà: ma in pratica che cosa si potrebbe escogitare? Ci hanno imbavagliati, non ci danno retta, non ci interpellano. Come costringere quelli là ad ascoltarci? Fargli cambiare idea è impossibile. Davvero non c’è alcuna via d’uscita? E non ci resta se non attendere inerti che qualcosa accada da sé? Ciò che ci sta addosso non si staccherà mai da sé se continueremo tutti ogni giorno ad accettarlo, ossequiarlo, consolidarlo, se non respingeremo almeno la cosa a cui più è sensibile, se non respingeremo la MENZOGNA. Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza ed essa porta scritto sul suo stendardo e grida: «IO SONO LA VIOLENZA! Via, fate largo o vi schiaccio! ». Ma la violenza invecchia presto, dopo pochi anni non è più tanto sicura di sé, e per reggersi, per salvare la faccia, si allea immancabilmente con la menzogna. Infatti la violenza non ha altro dietro cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza. Non tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa: da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana partecipazione alla menzogna: non occorre altro per essere sudditi fedeli. Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: IL RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA.
Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini PER OPERA MIA! È questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi, la più distruttiva per la menzogna. Poiché se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo tra gli uomini. Non siamo chiamati a scendere in piazza, non siamo maturi per proclamare a gran voce la verità, per gridare ciò che pensiamo. Non è cosa per noi, ci fa paura. Ma rifiutiamoci almeno di dire ciò che non pensiamo. La nostra via è: NON SOSTENERE IN NESSUN CASO CONSAPEVOLMENTE LA MENZOGNA. Avvertito il limite oltre il quale comincia la menzogna (ciascuno lo discerne a modo suo), ritrarsi da questa cancrenosa frontiera! Non rinforzare i morti ossicini e le squame dell’Ideologia, non rappezzare i putridi cenci: e saremo stupiti nel vedere con quale rapidità la menzogna crollerà impotente e ciò che dev’essere nudo, nudo apparirà al mondo.
Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. E da quel momento tale persona non scriverà più né firmerà o pubblicherà in alcun modo una sola frase che a suo parere svisi la verità; non pronunzierà frasi del genere né in privato né in pubblico, né di propria iniziativa né su ispirazione altrui, né in qualità di propagandista né come insegnante o educatore o in una parte teatrale; per mezzo della pittura, della scultura, della fotografia, della tecnica, della musica, non raffigurerà, non accompagnerà, non diffonderà la più piccola idea falsa, la minima deformazione della verità di cui si renda conto; non farà né a voce né per iscritto alcuna citazione «direttiva» per compiacere, per cautelarsi, per ottenere successo nel lavoro, se non è pienamente d’accordo col pensiero citato o se questo non è esattamente calzante col suo discorso; non si lascerà costringere a partecipare a una manifestazione o a un comizio contro il proprio desiderio o la propria volontà.
Non prenderà in mano, non alzerà un cartello se non è completamente d’accordo con lo slogan che vi è scritto; non alzerà la mano a favore di una mozione che non condivida sinceramente; non voterà né pubblicamente né in segreto per una persona che giudichi indegna o dubbia; non si lascerà trascinare a una riunione dove sia prevedibile che un problema venga discusso in termini obbligati o deformati; abbandonerà immediatamente qualunque seduta, riunione, lezione, spettacolo, proiezione cinematografica, non appena oda una menzogna profferita da un oratore, un’assurdità ideologica o frasi di sfacciata propaganda; non sottoscriverà né comprerà in edicola un giornale o una rivista che dia informazioni deformate o che taccia su fatti essenziali. Non abbiamo enumerato, s’intende, tutti i casi in cui è possibile e necessario rifiutare la menzogna. Ma chi si metterà sulla strada della purificazione non stenterà a individuarne altri, con una lucidità tutta nuova. Certo, sulle prime sarà duro. Qualcuno si vedrà temporaneamente privato del lavoro. Per i giovani che vorranno vivere secondo la verità, all’inizio l’esistenza si farà alquanto complicata: persino le lezioni che si apprendono a scuola sono infatti zeppe di menzogne, occorre scegliere. Ma per chi voglia essere onesto non c’è scappatoia, neppure in questo caso: mai, neanche nelle più innocue materie tecniche, si può evitare l’uno o l’altro dei passi che si son descritti, dalla parte della verità o dalla parte della menzogna: dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima. E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima non ostenti le sue vedute d’avanguardia, non si vanti d’essere un accademico o un «artista del popolo» o un generale: si dica invece, semplicemente: sono una bestia da soma e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena. Anche questa via, che pure è la più moderata fra le vie della resistenza, sarà tutt’altro che facile per quegli esseri intorpiditi che noi siamo. Una via non facile? La più facile, però, fra quelle possibili. Una scelta non facile per il corpo, ma l’unica possibile per l’anima. Una via non facile, certo, ma fra noi ci sono già delle persone, anzi decine di persone, che da anni tengono duro su tutti questi punti e vivono secondo verità. Non si tratta dunque di avviarsi per primi su questa strada, ma di UNIRSI AD ALTRI! Il cammino ci sembrerà tanto più agevole e breve quanto più saremo uniti e numerosi nell’intraprenderlo. Se saremo migliaia, nessuno potrà tenerci testa. Se saremo decine di migliaia, il nostro paese diventerà irriconoscibile! Ma se ci facciamo vincere dalla paura, smettiamo di lamentarci che qualcuno non ci lascerebbe respirare: siamo noi stessi che non ce lo permettiamo. Pieghiamo la schiena ancora di più, aspettiamo dell’altro, e i nostri fratelli biologi faranno maturare i tempi in cui si potranno leggere i nostri pensieri e mutare i nostri geni. Se ancora una volta saremo codardi, vorrà dire che siamo delle nullità, che per noi non c’è speranza, e che a noi si addice il disprezzo di Puskin: USCI’ IL SEMINATORE A SEMINARE I SUOI SEMI. Solitario seminatore di libertà, sono uscito presto, prima della stella; Con mano pura e innocente Nei solchi divenuti schiavi ho gettato un seme vivificatore ­ Ma ho solo perduto il mio tempo, i buoni pensieri e la fatica… Pascolate, pacifici popoli ! Non vi risveglierà il grido dell’onore. A che serve al gregge il dono della libertà ? Bisogna solo accoltellarlo o tonsurarlo. La loro eredità di stirpe in stirpe è il giogo con i sonagli e la frusta.
Aleksandr Isaevič Solženicyn (1974)

venerdì, maggio 22, 2015

In offering himself in the breaking of his body and the spilling of his blood, Jesus takes broken and spilled out lives and forms us into one whole body. We become members of one another as we become members of his body.


mercoledì, maggio 20, 2015

 Ecco io sto alla porta e continuo a bussare. Se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me. 21 Vicino a me, sul trono, farò sedere i vincitori, come anch’io ho vinto e mi sono seduto insieme col Padre mio sul suo trono. 22 Chi può udire, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. 

Apocalisse 3, 20

 

lunedì, aprile 27, 2015

Fringuello, fringuello

Fringuello, fringuello
Lascia l'ereditá,
Il canto, il sigillo
Le perle di sangue;
Il tempo trascorso
È la nostra terra contesa
Il Regno è giá venuto
Il vento di primavera
Ferisce d'oro e rame
Le cime dei larici.

genseki

A. R. Ammons

Allora dissi sono Ezdra



Allora dissi sono Ezdra
E il vento mi frustó la gola
Giocando con i suoni della mia voce
Ascoltai il vento salire dalla mia testa alla notte
Voltandomi verso il mare dissi
Sono Ezdra
Ma non giunse eco dalle onde
Le parole si consumavano
Nella voce della spuma
O saltando oltre
Si perdevano in alto mare
Attraverso i campi pallidi e le rovine
Mossi i piedi diedi le spalle al vento
Che strappava cortine di sabbia
Dalla spiaggia e le gettava
Come nebbia marina alle dune
Oscillavo come se il vento mi portasse via
E dissi
Sono Ezdra
Come una parola troppo ripetuta
Si stacca dall'essere
Cosí io Ezdra uscii nella notte
Come una raffica di sabbia
Tuffandomi nell'avena spettinata
Che afferrano le dune
Di mari obliati.

A.R. Ammons

mercoledì, aprile 08, 2015

Pianto nella cattedrale

ART BLOG: Wolfram Onslow Ford : Joan of Arc

I ben vestiti signori viso di volpe
le sibilanti dame coda di seta
il re con in testa la donata corona
tutti sono andati.
Tanto lontani i Santi delle vetrate
quanto i lontani pascoli della Lorena.
Puoi piangere, Giovanna,
fra i gigli d’oro e muti delle bandiere.
Io so, Giovanna:
un petto non può contenere
il cuore che in sé tutto ha contenuto.
Cadano le tue lacrime
fra i gigli tristi e muti delle bandiere.
Eppure tu, ragazza della Lorena,
tu che prendevi in braccio l’agnello stanco
tu di me non dovresti dubitarlo
che io lasci in terra a lungo il mio agnello stanco.

Elena Bono

martedì, aprile 07, 2015

Preghiera prima della battaglia




Santa Giovanna

Bel principe
signor San Michele,
prendete, ve ne prego, buona spada
e venite con me.
Questo è il campo,
principe San Michele;
ora a voi il comandare
a noi il seguire.
Dovunque s’alzerà la vostra voce
noi saremo.
Breve è il tempo,
signor San Michele
e breve la preghiera,
ma una cosa vi voglio domandare.
Non ritornate questa sera
su nei vostri stellati accampamenti
senza per questo campo ripassare.
Quelli di noi che troverete
col viso nella terra
vi prego non voltate
se amico o se nemico
per vedere.
Nelle tende di Dio
conduceteci tutti a riposare.


Elena Bono

venerdì, marzo 20, 2015

Think like a tree


I am the great sun


I am the great sun, but you do not see me,
I am your husband, but you turn away.
I am the captive, but you do not free me,
I am the captain you will not obey.
I am the truth, but you will not believe me,
I am the city where you will not stay,
I am your wife, your child,
but you will leave me,
I am that God to whom you will not pray.
I am your counsel, but you do not hear me,
I am the lover whom you will betray.
I am the victor, but you do not cheer me,
I am the holy dove whom you will slay.
I am your life, but if you will not name me,
Seal up your soul with tears, and never blame me.


Charles Causley

lunedì, marzo 02, 2015

Wendell Berry

Good work finds the way between pride and despair. 

 

Il pensiero unico viene dal Nord

«Urla, o porta; grida, o città; struggiti, Palestina tutta,
poiché viene un fiume da settentrione
E ognuno si cingerà di sacchi per le sue strade
e tutti quanti urleranno sopra i suoi tetti e nelle sue piazze,
struggendosi di pianto»
(P. P. Pasolini)

giovedì, febbraio 26, 2015


Immolati gli occhi

Immolati gli occhi
All'incombere della cascata
L'ampolla continuava a scintillare
Tra fiotto e fiotto di oscuritá.

*

Lasciavi cadere gli occhi
Fino in fondo allo specchio
Gigli e calle ti leccavano i piedi
Lentamente la tua bianchezza
Si separa da te
Come il sonno madido
Dal prato di artemisia.

*

Il cigno insinuava il suo candore
Tra le tue cosce
Con tutte le tue mani sollevavi
Anfore e bicchieri
Versavi il vino dell'ascolto
Nella coppa del silenzio.

genseki

Il giardino

Il giardino solo lo vedevamo
Attraverso una grata
D'acciaio antico
Ed erano ghirlande di dolore
Polline di luce
Zampilli di tenebra
Gocce di luna
I nostri occhi si mutavano in petali
Per appassire a primavera.

*

Il sonno era come
Goccia a goccia
Nel pozzo dell'occhio
Artemisia e appio
Profumavano la notte
Sotto le palpebre premeva
La luce fredda delle stelle.

genseki

La propagazione del dolore

La propagazione del dolore
È un'arte sottile
In questo inverno cosí verde
In attesa del sorriso delle mimose
Il lembo delle gonne
Sfiora appena il pavimento di ardesia
Cosí si schiudono i fiori
Come spade come pugnali.

*

Il dolore è un filo di luce
Attraversa la macchia
Il bosco intero
Noccioli e ontani sono carne rosa
Hanno tante dita
Le erbe dimenticate
Il rio scorre verso il passato
Lo sguardo trascorre dal granito alle nubi.

genseki

venerdì, febbraio 20, 2015

A. R. Ammons

Quiete


Mi dissi: andró in cerca di ció che è umile
E sará dove
Metteró le radici della mia identitá:
Tutto i giorni mi sveglieró
In prossimitá di ció che é umile,
Un centro focale un promemoria appropriato,
Una misura per il mio significato,
La voce grazie alla quale saró ascoltato,
La volontá e il tipo di egoismo
Che potrei
Liberamente adottare come propri:

Ma pur avendo cercato ovunque,
Non posso trovare proprio niente
A cui abbandonarmi:
Tutto è

Magnifico nell'esistenza, tutto è
All'apice della gloria:
Nulla è umiliato
Nulla ho potuto umiliare:

Dissi: che cosa è piú umile dell'erba?
Ah, lá sotto, ecco
Una corteccia di muschio secco come bruciato:
E dissi; ecco dove posso porre la mia dimora; ma
Mentre mi annidavo
Incontrai sotto la superficie grigiastra
Meccanismi verdi troppo complessi per l'intelletto
Che speravano di rinarscere con la pioggia; allora mi alzai

E corsi esclamando che non vi è nulla di umile nell'universo:
Incontrai un mendicante
Con ceppi al posto delle gambe: nessuno lo considerava
Degno della minima attenzione: tutti passavano senza guardare:
Mi annidai e trovai la sua vita:
L'amore scosse il suo corpo come una devastazione
Dissi
Anche se ho cercato dappertutto
Non vi è nulla di umile nell'universo:

Passai dall'alto in basso attraverso
Le trasfiguarazioni della grandezza, della forma e dello spazio:

In punto improvvisamente giunse la quiete,
Che meravigla:
Muschio, mendicante, cespugli, zecche, pino, io che magificenza
L'essere!

A. R Ammons

De The Selected Poems: 1951-1977, Expanded Edition

Trad genseki

giovedì, febbraio 19, 2015

Il Tirso

Le tue mani mi salutavano da tutte le foglie
I tuoi denti da tutti i fringuelli
Succo di pinoli erano le tue sillabe
Come bacco regnavo con il tirso
Sullo sciame dei miei errori.

genseki


mercoledì, febbraio 18, 2015

Una pietra che cade

Una pietra che cade
Dischiude un universo
Di dolore e di suoni
- Mi manchi -
Lo diceva al vento
E la sera era palpabile abbandono
D'ali nella macchia sgomente
Frulli
Agli angoli della bocca salace
La piega amara del disprezzo
Un tempo bastava Novembre
Perché si chinassse
Alle mie tempie sudate
Il volto dell'angelo della storia,
Ora, Signore ti disfi in mille foglie
Nel mito della bontá respiro
Come il passero sul fico di Nicodemo.

*


Nell'abbandono alle ali
Si aprono mani vespertine
Con petali di pura visione
Un velo cobalto sciupa
Il brivido del bosco
L'orrore dell'agonia del merlo;
La bicicletta, la febbre
La muffa
Il profumo delle mele fermentate
Ah! Restare qui
Lasciarsi morire qui
Fino all'anno delle comete!

*

genseki

Guglielmo di Saint-Thierry

Chi sta con Dio è ancora piú solo di quando è solo.


venerdì, gennaio 16, 2015

Piavoli - Nostos (1990) - Calypso Excerpt.mp4

Je ne suis pas Charlie



Il cheikh Mahy Cisse, fratello del Imam de la grande moschea de Kaolack e maestro della tariqa Tijaniyya ha detto l'11 di gennaio a Medina Baye (Sénégal).


In vita il Profeta du chiamato folle e ciarlatano molte volte. Ma invece di attaccare coloro che dicevano queste cose, Allah fece scendere una Sura in cui si rispondeva che Muhammad non era posseduto, non era un ciarlatano, era il messaggero della veritá. L'esempio del Profeta era perdonare gli insulti e le diffamazioni di coloro che non credevano in Lui. Per fare una caricatura c'è bisogno di un modello originale. Di Muhammad si racconta nello hadith della sua bellezza straordinaria, soprattutto della bellezza dei suoi occhi; per questo, per esempio, non hanno senso vignette che presentino il Pofeta come se fosse privo della vista,. Chi appare in quelle caricature sará qualcun altro, ma non Muhammad.