martedì, giugno 30, 2009

Alejandra Pizarnik








Alessandra tra i lillà

Queste poesie furono dedicate dalla poetssa uruguayana Cristina Peri Rossi nel 1976

Di cose cosí finirè per morire
A.P. (suicida il 27 settembre 1972)

Alessandra tra i lillà


I

Forse fu il nome dolce di Alessandra
O quei lillà dui muri
Il loro alito nella note densa
O, forse,
La caccia nottuna
Di parole che scivolano
Sui vetri
Che le lascerá precipitare verso la morte
Nella solitaria
Durata di un grido
A mezzanotte
Complice di nomi oscuri
Imronunciabili.

*

II

Parola per parola
Facevi la notte
Agli angoli delle strade
Che il silenzio abbandonava
Restando in agguato
Come se fossero
Le dame rosse delle rivelaioni.

*

III

Si parola
Per parola
Facevi la note
Sussurrandola
- i piú bei suoni -
Perché quella notte
Non giunsero le parole alla riscossa?
Come ti fermarono
Sprovvista?
Dove stavano i ibri cinerini
Dei parchi
Dei rampicanti e delle pareti
Dove le dam porpora, le misterise
Dove tuo padre e tua madre?
- Forse fu il dolce nome: Alessandra -
Forse le cerimonie dei parchi.
Forse una dama rossa che non venne
Alla notturna
Festa di parole
Una che non mantenne la promessa
Qualcuno che non venne all'appuntamento
O la noia delle parole - a volte accade -
Te precipitó oltre i suoni
Quando finamene tutto fu detto
- Tutto fu detto -
E si alza ancora tenebrosa
La solitudine di Alice nello specchio d'altroqui.

*

IV

E il silenzio nascosto dentro la casa
E nel silenzio che resta
Quando gli amici se ne vanno
Nel silenio dei portacenere
Dei bicchieri senza acqua
Volesti stabilire la parola giusta,
Senza sapere
Che il silenzio e le parole
Sono solo agonie.

*

V

Il nome dolce di Alessandra
La simmetria nei parchi
Una bambina spaventata
- Oggi ce nebbia a Barcellona -
Parigi fu una festa
Che non hai voluto compartire
Lettere agli amici
Ove mancava una i o una iota
Il miserere notturno intonato
Da vecchie lescbiche
Un foglio bianco
Toujours
Un foglio bianco
La lettera che non arriva
La parola che manca
Ce la fanno
A spaventare una bambina.

*

Alessandra
Oggi vedo un parco
Una dama azzurra
Lillá sui muri
Cespugli che crescono
Oggi ascolto
Una canzone lontana
Una storia di principesse
E castelli
E congedi estivi
La cicala
Mi svglió per dirti
Che dalla finestra
Entra odore di pino.

Victor Ségalen

lunedì, giugno 29, 2009

Victor Ségalen

Steli

Ecco l'impero che sta al centro del mondo. La terra aperta alle opere dei vivi. Il continente in mezzo ai Quattro-mari. La vita protetta, Propizia allla giustizia, alla felicità, all'accordo.

Ove gli uomini si alzano, si inchinano, si salutano i conformitá con il loro rango, i fratelli conoscono la loro posizione e tutto si ordina sotto l'influsso chiarificatore del cielo.

Laggiú il miracoloso Occidente, pieno di montagne che perforano le nubi; con i suoi palazzi volanti, i suoi templi leggeri, le sue torri mosse dal vento.

Ogni cosa è prodigio, ogni cosa è inattesa: la confusione si agita: la Regina dai desideri cangianti vi tiene la sua corte. Nessun essere ragionevole mai vi si avventura.

Ê laggiù che per magia Mu Wang ha proiettato la sua anima in sogno colà vuol dirigere i suoi passi.

Prima di abbandonare l'Impero per riunirsi con la sua anima egli en ha fissato, Qui, il punto di partenza.


trad. genseki

domenica, giugno 28, 2009

Se incontri una poesia


Se tra te e il silenzio
Si trova una poesia
Lasciala dove sta
Tu salta
Salta all'altro lato del senso
Sul versante dove c'è
Ancora tanta neve
Bianca comela pagina non scritta
E una luna sottile sottile
Come una parentesi aperta.


Se sul cammino del silenzio
Incontri una poesia
Non la salutare
Semplicemente
Passale accanto
E svolta dietro l'angolo
Dietro la siepe. dietro la staccionata
Cerca l'altro lato dietro qualsiasi cosa ne abbia uno
Va bene anche un vecchio tronco
O una pila di cassette vuote di acqua minerale
Ma cerca l'atro lato
Quello dove cade la neve ancora
E anche giá da prima
E la neve cade senza far rumore.


Se sul cammino del silenzio
Un poesia ti intralcia
Non ribellarti
Taci come il muro
Tace alla lucertola nel sole
Taci e corri cerca l'altro lato
Del paesaggio quello bianco
Quello gelato, quello dove gli alberi
Sono di brina
E dalle bocche esala
Il vapore del fiato
Senza suono

Se sul cammino del silenzio
Già intravedi la meta
Giá assapori la quiete
Della realizzazione
Siediti sulla soglia
Del giardino muto
E cerca una poesia
Nel muschio, o tra le fragole
Cerca una poesia
Tra le pietre della fonte
Che non sa mormorare
Tra le rughe di quel vccchio mendicante
Che ha perso la voce
Di tanto ringraziare
Cercala con dedizione assoluta, e
Abbi fiducia, ti troverá lei,
Tu allora non fare niente, non alzarti,
Semplicemente
Assaporala
Come un'immensa anguria
Nell'agosto marino
Della tua infanzia.


genseki

venerdì, giugno 26, 2009

La grande rinuncia

La grande rinuncia consiste nel rifiutare completamente le nozioni di interno e di esterno, di corpo e di spirito fino ad essere come lo spazio vuoto ove non vi è nulla cui attaccarsi per appropriarsene. Quando solo sussistono risposte a oggetti precisi in ambiente determinato, ecco la grande rinuncia, l'oblio totale del soggetto e dell'oggeto.
la rinuncia intermedia consiste da una parte nel seguire il Dao e diffondere i suoi insegnamenti, dall'altra a rinunziare ai benefici che da questo derivano mano a mano che essi si manifestano.
La piccola rinuncia consiste nel compiere ogni sorta di bene, nell'avere speranza e nel riconoscere la vacuitá attraverso lo studio dei testi fino a non avere piu nessun attaccamento ai propri meriti.
La grande rinuncia è avere davanti a sé una grande torcia. Non ci si puó perdere.
Con la piccola rinuncia la torcia sta al lato e volte si è nella luce a volte nelle tenebre.
Con la piccola rinuncia la luce sta alle spalle e non si possono vedere fossi e crepacci.
Lo spirito del Bodhisattva è simile allo spazio vuoto da cui tutto è escluso.
Il fatto che i pensieri passati siano introvabili è la rinuncia al passato.
Il fatto che i pensieri del presente siano introvabili è la rinuncia al presente
Il fatto che i pensieri del futuro siano introvabili è la rinuncia al futuro.
Tale è la rinuncia ai tre tempi

Huangpo
Dialoghi
trad. a cura di genseki

mercoledì, giugno 24, 2009

Nichita Stanescu

Le nonparole


Mi ha teso una foglia come una mano a dita

Gli ho teso una mano come una foglia a denti

Egli mi ha teso un ramo come braccio

E come un ramo io ho disteso un braccio

Su di me si é chinato con il tronco

Come melo pesante per i frutti

Anch'io ho piegato il mio novello tronco

Udivo la sua linfa che saliva

Come sangue,

Egli udiva il mio sangue salire

Lentamente come linfa.

Ho trapassato il suo corpo

Lui ha percorso il mio

Io – sono rimasto un albero solitario

Lui – un uomo solo


Nichita Stanescu

Trad genseki

martedì, giugno 23, 2009


Ed é per questo che moriamo tanto?
È solo per morire
Che ci tocca morire ad ogni istante?

Sermone sulla morte

César Vallejo


Veniamo, infine a trattar della morte
Che agisce per squadroni, previa parentesi quadra,
Graffa, paragrafo, mano grande, dieresi,
A che serve la cattedra assira, il pulpito cristiano?
La rapida avanzata del mobile vandalo?
E ancora meno questo rifugio sdrucciolo?


È per finir
Domani in gloria fallica
Diabetico e con sputacchiera
Volto geometrico, defunto,
Che ci servono le prediche e le mandorle,
Di patate ne abbiamo fin troppe,
E lo spettro fluviale d'oro ardente
Ove brucia il prezzo della neve?


Solo per questo dobbiam morire tanto?
Soltanto per morire,
Quel che ci tocca è morire ad ogni istante?


E questo paragrafo?
E la graffa deista che sollevo?
E lo squadrone cui mancó il mio casco?
La chiave che puó aprire ogni porta?
E a graffa forense, la mano,
La patata, la carne, le mie contradizioni da camera?


O matto, gatto, topolino,
O sensato cavallissimo che sono!
Cattedra, sì, tutta la vita, púlpito
E per tutta la morte!
Sermone di barbaria; queste carte
Questo rifugio sdrucciolo, le pelli.


Pensoso, in questo modo, aurifero, bracciuto,
La preda la difendo in due momenti,
Uno la voce, l'altro la laringe,
E con l'olfatto fisico con cui prego
L'istinto di immobilitá con cui avanzo,
Finché vivró potró sempre vantarmi
Ne saranno orgogliosi i calabroni
Perché io sto nel mezzo ed alla destra,
Ed egualmente mi trovo alla sinistra.

trad genseki

lunedì, giugno 22, 2009

Leo Ferre La Memoire et la mer.

La marea la porto nel cuore
Mi va crescendo come un segno
Muoio di mia sorella, di me mambino e del mio cigno
Una barca diepende come
Attracca in porto per un pelo
Piovono nel mio universo
Gli anni luce che abbandono
Sono il fantasma col girocollo
Che esce per la mascherata
Ti lancia nebbia di baci
Ti da rifugio nei suoi versi
Come la rete in giugno
Vi brillava il lupo altero
Quello che vidi splendere
Alle dita dell'arena.

Ricordi il can marino
Che liberammo su parola
Che abbaia nel gran deserto
Della necropoli di alghe
Io so che la vita è qua
Coi suoi polmoni di flanella
Quando certi giorni piove
ll freddo grigio col suo appello
Ricordo quelle serate
Le corse vinte sulla schiuma
Sbavavano i cavalloni
A filo degli scogli erosi
Angelo dei piaceri persi
Rumori d'altra abitudine
Le mie brame son divenute
Angoscia dell'abitudine

Diavolo di sere vinte
Col pallor delle riscosse
Lo squalo dei paradisi
Nel muschio madido del mezzo
Torna con i violini
Fanciulla verde dei fiordi
Nel porto russano i corni
Le fanfare dei ritorni
Profumo raro raro di salino
nel pepe fuoco dei geloni
Quando andavo geometrizzando
Il cuore al cavo della tua piaga
Nel disordine del tuo culo
Unto tra garze d'alba fina
vedevo un'altra vetrata
Faciulla verde del mio spleen

Le conchiglie dipinte
Sotto i sunlights spezzati e liquidi
Scuotono tante nacchere
Che sembran la Spagna livida
Dio di granito accogli
Il loro voto da parada
Quando il coltello penetra
Nelle nacchere del volto
Vedevo i presentimenti
E presentivo l'intravisto
Tra le persiane sanguinose
E i globuli che tracciavano
Matematiche azzurre
Su questo mare mai etale
Da dove poco a poco sale
la mia memoria delle stelle

Questo rumore che mi giunge
Dal caro arco ove m'accieco
le mani che van tremando
E ruminando muggiscono
Il rumore mi segue a lungo
Qual mendicante maedetto
Come l'ombra che perde tempo
A disegnare il mio teorema
E sotto il mio trucco da rosso
Sbatte come una porta
Questo rumore che sta in piedi
Per calli di musiche morte
Addio al mare, è finita
Sulla spiaggia la sabbia bela
Sono greggi di infinito
Quando il mare pastore chiama.

trad genseki

Nichita Stanescu

Il poeta all'etá di trent'anni


Nichita Stanescu

Nona Elegia
Quella dell'uovo

In uovo nero mi lascio scaldare
Nell'attesa del volo che mi infesta
Congiunte stanno una all'altra
Identitá con identitá.
Sentimento di ali sulle spalle,
La sensazione di un occhio
Va alla ricerca di un'orbita.
Oh, Tu! Immensa oscuritá
Nascita interrotta nel disgusto.
Su di me è discesa un'idea
Che materna mi cova.
Adesso, tutto ció che è
È calor rotondo e odo:
Esce da me una specie di becco
Simultaneamente e ovunque
Si rifiuta di essere obelisco
Intima colonna vertebrale ricurva
Rompo il mio guscio di pelle calcinata,
Che aderisce direttamente all'anima
Perché non faccia marcia indietro
Imparando a camminare.
Salta il guscio nero, olé!
Mi ritrovo piú grand e senza aver volato
Aderente a quel verso dove
Come l'abbraccio di una volta.
Indosso occhi dallo sguardo irreale
A destra, a sinistra, sopra e sotto,
Prtorendo stirpi di figli animali
Che sanno morire di una bella morte
Mi crescono iridate piume d'osso
Fino al negro cóncavo.
Saltano i gusci neri, tuti insieme,
Eccomi qua, ancora una volta, dolce,
Rinchiuso in un uovo piú grande
Covato da u'idea maggiore di molto
Mezo tuorlo, mezz'uccello
Nel gioco dei passi rubati
Grande uovo, sillaba stentorea
In crescita perpetua colta
Senza tetto
Stalattite
Sedotta.
Uova concentriche, nere, rotte
Una per una e in parte.
Pulcino rifiutato dal volo
Che penetra un uovo dopo l'altro
Fino ad Alcor dal cuore della terra
In un ritmico eco che si espande.
L'identitá vuole sfuggire all'identitá,
L'occhio dall'occhio, e sempre
In se stesso ricade pesante
Come neve nera.
Da un dentro a un altro maggior dentro
Nasci all'infinito, ala senza voli,
Solo dal sonno
Ci si puó risvegliare
Nessuno si sveglia dal guscio dell'esistenza, nessuno,
mai.

Trad. genseki

domenica, giugno 21, 2009

Montaignismi

Non sono capace di tradurre Montaigne. Come riprodurre questa lingua tanto flessibile da aderire alle piú sottili sfumature del pensiero? Lingua volgare che sembra scritta da qualcuno che pensi in latino e che voglia presentarsi con una semplicitá bonaria a volte quasi popolare.

La lingua di Montaigne ha una patina arcaica che sospetto fosse giá arcaica nel momento in cui egli scriveva ma che acquisisce una bellezza ancora piú rara oggi che si sviluppa sullo sfondo di quella perfetta struttura cristallina che è il francese classico.

Tradurre quesa meraviglia nel povero, stentato italiano che mi appartiene sarebbe uno stupro.

Se fossi capace di mimare la scrittura di un classico, e non lo sono, nemmeno saprei che pesci pigliare tra le eleganze della prosa umanistica e i riboboli toscani della coeva lettaratura italiana.

Così non lo traduco, lo contemplo in tutta la sua bellezza:


Montaigne e lo Zen


Quand je dance, je dance, quand je dors, je dors. Voire, et quand je me promène solitarement en un beau verger, si mes pensées se sont entretenues des occurences étrangères quelque partie de temps, quelque autre partie je les rameine à la promenade, au verger, à la douceur de cette solitude....

Essais

Livre III XIII De l'Expérience



venerdì, giugno 19, 2009

St. James Infirmary - Eric Clapton, Dr. John

JACK TEAGARDEN St. James Infirmary

Louis Armstrong - St. James Infirmary

Sono sceso all'ospedale di San Giacomo
A cercare la mia bambina
Lei giaceva su un lungo tavolo bianco
Era dolce tranquilla e ordinata

Sono salito a parlare col dottore:
“È proprio giú” mi ha detto
Son tornato dalla mia bambina
Mio dio Mio dio, era morta

Sono entrato nel bar di Gianni
All'angolo della strada
Mi ha servito come sempre
C'era sempre la stessa gente

Alla mia sinistra stava il vecchio Gianni
I suoi occhi come inondati di sangue
Fissavano tutta quella gente
Queste furono le parole che disse:

Lascia ora che vada in pace,
Signore con la tua benedizione
Se andasse fino alla fine del mondo
Non troverebbe un uomo migliore di me.

Quando morró vi prego seppellitemi
Con il mio Stetson da dieci dollari
Mettete un moneta da venti all'orologio
Gli amici sapranno che non son morto di fame

Sei buoni cavalli voglio per la mia bara
Sei ragazze per cantarmi una canzone
Una banda di jazz mi accompagni
Fino alla porta dell'inferno

Qui finisce anche la mia storia
Presto qualcuno paghi un altro giro
A chi lo voglia sapere rispondo:
Questo è il blues dell'Ospedale di san Giacomo.

Trad genseki

giovedì, giugno 18, 2009


Maurice Scéve

Dalla Délie

Traduzioni di genseki dedicate a Maresa.

In libertá vivevo nel mio aprile
Senza preoccupazioni, adolescente,
dagli occhi ignari del danno incombente
Pronti a stupirsi per la dolce presenza
Che con l'alta, divina sua eccellenza
Abbaglió l'alma ed i sensi talmente
Che dei suoi occhi l'arcier, semplicemente,
La mia volontá tutta ha asservita
E da quel dì, oramai continuamente
In sua beltá giacciono morte e vita.


Quellla beltá che abbelliva il mondo
Quand'Ella nacque in cui morendo vivo
Impresse al centro di un bagliore rotondo
Non solamente il suo viso ben vivo
Ma tanto ha lo spirto mio rapito
Nell'ammirare mirabil meraviglia
Che, come dea, quasi morto mi svegli
Alla chiarezza della mia brama funebre
In cui piú mi da luce, o meraviglia!
Piú mi lascia affondare nelle tenebre.

mercoledì, giugno 17, 2009

Se vuoi leggere ancora

Amico, ora basta!
Se vuoi leggere ancora
Fatti tu stesso scrittura
Divieni la tua essenza.

Angelus Silesius.


*
Trad. genseki



martedì, giugno 16, 2009

Servo padrone

Quello che segue è uno dei testi piú profondi e violenti sulla relazione servo padrone e sulla monarchia. Da un certo punto di vista lo si puó considerare come l'involuzione assoluta di un pensiero smarrito tra intuizioni e paura. Il servo si fa uguale al padrone in quanto decide di accettare di essere servo, cioé si riconosce come tale riconoscendosi come servo è lui che riconosce il padrone come tale, che gli conferisce ealtá e che lo conferma. Questa forma della dialettica di Simone Weil ricorda i quadri di Esher. Vi è un errore prospettico, qualche cosa di imposibile che si afferma peró come evidenza. Qui l'errore prospettico si situa tra i termini astratti della dialettica le cui funzioni si confondono leggermente ai margini, si fanno poco nette in modo percettibile e ci danno questa visione fiabesca, arcaica e in fondo oscena;

"Una condizione dlla subordinazione simile a quella che T.E. LAWRENCE trovó in Arabia nel 1917, a quella che , proveniente fose dai mori, ha impregnato per secoli la vita spagnola. Questa condizione che rende il servo simila al padrone, grazie a una fedeltá volontaria e gli pemette di inginocchiarsi, di obedire, di sopportare le punizioni senza nulla perdere della propria fierezza, appare nel "Poema del Cid" come pure nel teatro spagnole del secolo XVI e XVII, essa cinse la monarchia, in Spagna, di una poesia che non ebbe mai l'equivalente in Francia, estesa anche alla subordinazione imposta con la violenza, esa nobilitó perfino la schiavitú e permise agli spagnoli catturati e venduti come schiavi in Africa del Nord, di baciare le mani dei loro padroni senza abbassarsi, per dovere e non per viltá.

Simone We
I Catari e la Civiltá Mediterranea

lunedì, giugno 15, 2009

Il sermone delle cose inanimate

Che meraviglia che meraviglia!
L'insegnamento del mondo inanimato
Se cerchi di ascoltarlo con le orecchie
Non hai speranza di comprnderlo
Lo puoi comprendere soltanto
Se lo ascolti con gli occhi.

Tong-Chan

Trad. genseki


domenica, giugno 14, 2009

Non so davvero chi puó aver scritto

Non so davvero chi puó avere scritto questa frase:

"La bellezza femminile è la radice del piacere tanto per l¡uomo come per la donna e non puó essere un caso se la dea dell'amore è piú forte e piú antica che il dio. Desiderare che la propria bellezza sia desiderata è la vanitá di Lilith, ma desiderare il godimento della propria bellezza è l'obbedienza di Eva. In tutti e due i casi l'amante desidera che l'amata gusti il suo proprio diletto".

L'ho trovata in mezzo a vecchi appunti incompleti e senza data.

gensek

Cuor di carciofo

Cuor di carciofo, frana senza margini
Dove si spegne la luce dei carrubi
La carne è prescindibile se il sole
Non si stanca di tessere tesori:
Scarabei, cetonie, altri diamanti,
Scintille che negano il corpo
Lo diffondono in schiuma di clorofilla
A inondar l'ariditá dell'argilla.

genseki

venerdì, giugno 12, 2009

Come datteri

Infine tramontavi anche tu
Come il bagliore delle unghie
In un gesto distratto
Nello sbadiglio di lavanda degli armadi
Tra le coltri di fieno e di cotone
Piú non avremo sognato di ciliege
Di dentifricio e cubetti di ghiaccio
Che i topolini dell'incomprensione
Venivano a rosicchiare di notte
Come fosse formaggio
Infine tramontavi anche tu
Come i collletti inamidati e i cicli
Di letture popolari
Tramontavi dietro la barriera
dei barattoli di conserve e le lattine di crema di cocco
Le staccionate degli asparagi si facevano allora
Ancora piú scure, scrutavamo il destino
Oltre gli steli per l'ulima volta
Con dita secche, noi due,
Come datteri
E lingue smemorate.

Gaspard de la Nuit

La maschera: è notte, prendiamo le lanterne!
Mercurio: Bah! i gatti non han che gli occhi per lanterna

Il Lanternone

Una notte di carnevale


Ma perché diavolo, stanotte dovevo andare a pensare che c'era abbastanza posto per accoccolarmi, protetto dal temporale, per me, folletto di grondaia, nella Lanterna di Madame de Gourgouran!

Me la ridevo di cuore ascoltando uno spiritello, fradicio dell'acquazzone che ronzava attorno alla rimia lampada luminosa senza riuscire a trovare la porta da dove io ero entrato.

In vano mi supplicava, raffredato e rauco, di lasciare almeno che accendesse il suo moccolo per trovare la strada.

Di botto, s'incendió la pergamena gilla della lanterna, strappata da un colpo di vento che fece gemere, nella strada, le insegne a penzoloni come bandiere.

- Gesú, misericordia!- Esclamó la begina, facendosi il segno della croce. - Che il diavolo ti possa straziare, brutta strega! - Esclamai, sputando piú fiamme io di un fuoco artificiale.

Ohimé! Ero cosí grazioso questa mattina rivaleggiando con la mia acconciatura in grazia ed eleganza, con il cardellino dalle alucce scarlatte del signorino De Luynes!

Aloysius Bertrand
trad. genseki

giovedì, giugno 11, 2009

Caracoles III

Dagli occhi mi parlavi

Dagli occhi mi parlavi come fossi vicina
Perduta tra capelli fili di fiato petali
Il cenno era un supplizio tra caduta
E timore, ceree le dita avvolte in poca luce
Dipanavi dagli occhi un filo di sospiri
Come un gatto tossivi palpiti di fringuello
Sfinimento di tendini e pupille, sopore
Crescente fino all'esplosione
Rossastra del sonno e delle onde
Lontana dipanata, sviluppata in sequenze di voli
Finalmente intrapresa inafferrata
Nella veritá dell' asssenza
libero io dai ceppi del tuo sguardo.

genseki

mercoledì, giugno 10, 2009

caracoles II

caracoles

Onda, onda dicevi

Onda, onda dicevi e nel frattempo
Con la mano scostavi acque di sogno
dagli occhi salsi
Sul crinale i palmizi percuotevano
La grancassa del sole celebrando
Un mardi gras mediterraneo
Con le variopinte livree le piume di pavone
E i galli da sgozzare la testa penzoloni
I tuoi piedi si muovevano tra spruzzi di sangue
Leggeri come il mio desiderio di te
Il sole si insediava vincitore, poi,
Tra le tue dita, nel cono oscuro
Dove avevo creduto fino ad allora che si nascondesse il mio cuore
Talismano della mia persistenza
A illuminare le vane regioni del nulla
I piccoli tsunami dell'impermanenza:
Il mio divenire altro
Per troppa troppa luce
Appena un palmo piú in là
Di dove fino ad allora
Avevo continuato ad essere io.

genseki

venerdì, giugno 05, 2009

Lacrime. Da dove?

Quante lacrime sulla mia faccia
Quante lacrime gocciolavano sulle mie guance
Sulla fronte, sul mento
Lacrime amare, lacrime di bronzo
Lacrime azzurre lacrime taglienti
Lacrime concave lacrime stremate
Lacrime profumate di magnolia
Lacrime al dente o bianche come
Il tuorlo del solo uovo di un pavone albino
Lacrime dotte lacrime di selva
Lacrime spore lacrime scintille

Lacrime grani del grande melograno
Che fioriva a jabalsa nel giardino
Del re del rame
Lacrime rupestri
Lacrime rune
Lacrime alla salvia
Lacrime a fiotti
Lacrime a cascata
Mi lavavano il volto tumefatto
Dai baci freddi di tanto lacrimare

Lacrime, da dove?
Da quale fonte di infinito dolore
Inflitta al cielo alla terra alle radici
Cadevano a quell'ora sui miei occhi
Che non sapevo aprire a lacrimare?

genseki


giovedì, giugno 04, 2009

C

Non vi è differenza

Per i discepoli che desiderano una formula segreta essenziale basta che sappiano che non devono afferrare nulla con lo spirito. Quando si parla del vero corpo assoluto del Buddha lo si compara al cielo. È una metafora affermare che il corpo asoluto è il cielo e che il cielo è il corpo assoluto. Le persone ordinarie dicono che il corpo assoluto occupa lo spazio celeste e che questo spazio è il contenitore del corpo assoluto. Esi ignorano che il cielo è il corpo assoluto e ce il corpo assoluto è il cielo. Quando si afferma l'esistenza del cielo, il cielo non è piú il corpo assoluto. quando si afferma l'esistenza del corpo assoluto, il corpo assoluto non è piú il cielo. Basta no spiegare concettualmente il cielo perché questo sia il corpo assoluto e di non spiegare concettualmente il corpo assoluto perché questo sia il cielo. Non vi è differenza tra il cielo e il corpo assoluto, tra il Buddha e gli esseri viventi, non vi è differenza tra samsara e nirvana, non vi è differenza tra le passioni e il risveglio. "Chi si è sciolto da tutte le caratteristiche particolari quegli è il Buddha".

Huangpo
trad a cura di genseki

mercoledì, giugno 03, 2009

Note sulla poesia cinese

L'epoca Tang

È durante la dinastia Tang che sono codificate le regole e gli stili della poesia cinese classica che contribuiranno a costituire lo xinti (nuovo stile) in contrapposizione al guti (stile antico) che era caratterizzao dall'assenza di qualsiasi regola formalizzata.
Lo xinti consta di due grandi generi: lo ci e lo shi. i poemi del genere ci sono fondamentalmente vere e proprie canzoni. Il poeta ne compone anche la melodia o soltanto le parole sulla bae di qualche antica melodia popolare. È quindi la struttira musicale che determina quella metrica. In totale esistono 826 tipi di ci che furono codificati dall'Imperatore Qian Long. Ogni tipo ha il nome di una canzone popolare e ciascuno possiede una propria struttura metrica e strofica. Il titolo della melodia che determina lo stile del testo va posto come sottotitolo.
Lo shi è invece la vera e propria poesia. Le sueregole sono molto piú rigide di quelle del ci.
Lo shi presenta tre varianti: il lüshi, il jueju e il pailü.
Le posie lüshi sono tutte composte di otto versi che sono o tutti pentasillabi o tutti eptasillabi.
Il jueju è una strofa di quattro versi.
Il pailü una strofa di piú d otto versi.
Nel lüshi i versi pari devono rimare tra di loro, tra il terzo e il quarto verso e tra il quinto e il sesto deve esseci parallelismo e in tutti i versi la cesura cade dopo la quarta sillaba. La poesia cinese, a differenza della lingua corrente che ne ha quattro, possiede solo due toni: ping e ze. Ping corrisponde al primo e secondo tono della lingua normale e ze al terzo e quarto. Nei versi ping e ze devono altenarsi nelle sillabe pari: se la seconda sillabe è ze, la quarta sará ping. L'ultima sillaba nei versi che rimano dovrá essere ping.
Il jueju è come un lüshi di quattro versi che possono essere i primi quattro, gli ultimi quattro o i quattro intermedi. Il venticinque per cento delle poesie dell'era Tang sono jueju.

genseki

martedì, giugno 02, 2009

Poesia sul cinghiale

Attraverso il sevizio shyni stat ho scoperto che le parole digitate in google che piú frequentemente aprono la strada fino a questo remoto blog sono:

"Poesia sul cinghiale"

In questa poesia sul cinghiale
Non c'è proprio nessun cinghiale
Non ci sono nemmeno le idee
Che permetterebbero di afferrarne
Uno
Per le setole
E trascinarlo su e giú per tutta la rete
La ragnatela, insomma,
Come se lo meriterebbe.
Guardate bene, o segugi di google!
Guardate bene!
Di cinghiali non ce ne sono
Nemmeno di nascosti dietro le t o nell'anello
Delle O
È un abbaglio
Orsú andate da un'altra parte
A caccia.

genseki

Hyperborea

Nichita Stanescu

Cotinua la traduzione delle elegie del poeta romeno Nichita Stanescu (per leggere le altre elegie basta cliccare su "Omaggio alla Romania" in etichette).

Ottava elegia
Iperborea

Così ella poi mi disse osservando le cose fisse
Della mia costiuzione:
"Vorrei fuggire a Iperborea
E vivo partorirti
Come cerva sulla neve
Mentre corre e geme
Con lunghe grida appese alle stelle
Nella notte.

Noi, nel freddo e nel ghiaccio
Mi spoglieró
Mi tufferó in acqua. anima indifesa,
Che adotta quale suo limite gli esseri marini.

Come crescerá l'oceano, sicuro, quanto crescerá!
Crescerá tanto che ogni sua molecola
Sará come l'occhio di un cervo
No, di piú, come una balena.

Mi tufferó in quell'acqua bella gonfia
Urtandomi con paeaggi browniani
Muovendomi, come una spora disperata,
A zigzag tra i colpi
Delle grandi molecole fredde
Figlie di Ercole.

Senza poter annegare, senza
Poter camminare e nemmeno volare
Solo zigzag e poi ancora zigzag
Imparentandomi con la felce,
Per un destino di spora...

Deh! Fuggiamo a Iperborea
A partorirti vivo
Bramendo, correndo spezzettata dagli affilati angoli
Del cielo violaceo
Sul ghiaccio che si crepa in Iceberg
Perduti sotto il cielo viola.

trad. genseki

lunedì, giugno 01, 2009

Conjuration des Espangnols contre la République de Venise, et des Gracques Escrito por Saint-Réal (César Vichard), M. l'abbé de Saint-Réal

Conjuration des Espangnols contre la République de Venise, et des Gracques Escrito por Saint-Réal (César Vichard), M. l'abbé de Saint-Réal: "DES ESPAGNOLS CONTRE LA RÉPUBLIQUE DE VENISE En iGi8 J_JE différent de Paul V et de la république de Veuise ayant été terminé par la France eu conservant au saint siege l houneur qui lui est dû et aux Vénitiens la gloire qu ils méritoient il n y avoit que les Espagnols qui eussent sujet de s en plaindre Comme ils s étoient déclarés pour le pape et qu ils lui avoient offert de soumettre les Véuitiens par les armes ils furent irrités de ce qu il avoit presque t raité sans leur participation mais ayant pénétré le CONJURATION "

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Questa è la terza parte della traduzione dello splenddo testo dell'abate di Saint-Rëal. (Per leggere le altre parti basta cliccare su Saint-Réal in etichette).

In ogni modo, a partire da allora, non ci fu piú nessuna deliberazione del senato ce restasse segreta per l'ambasciatore spagnolo; egli era informato di tutte le risoluzioni che vi si prendevano e i generali dell'Arciduca conoscevano quelle relative alla guerra molto prima che quelli della Repubblica avessero l'ordine di eseguirle. Con queste conoscenze, quello che ora serviva all'ambaciatore per avere successo ella sua impresa era un numero considerevole di soldati; siccome in Lombardia vi era una potente armata spagnola, egli non temeva che gli venissero a mancare gli uomini, posto che a Milano vi fosse un governatore capace di pensare come lui. Il marchese d'Inojosa che lo era allora aveva legami troppo stretti con il duca di Savoia per essere adatto, egli aveva appena firmato il trattato di Asti, in cui la Francia e Venezia erano stati mediatori tra lui e questo principe. L'ambasciatore, che sapeva che questi negoziati non erano visti di buon occhio in Ispagna e scrisse affinché fosse richiamato chiedendo, nello stesso tempo a Don Pedro di oledo, marchese d Villafranca, suo intimo amico, di brigare per il governatorato di Milano, Don Pedro ebbe l'rdine di partire immediatamente per andara e prendere il posto d'Inojosa, verso la fine del 1615. E, non appena giunto a Milano avverti venezia per il tramite del marchese di Lara. L'ambasciatore comunicó il suo progetto al Lara nel modo che giudicó il piú adeguato perché fosse accettato, e lo incaricó principalmente di sapere se il nuovo governatore sarebbe stato in grado di inviargle milecinquecento uomni dei migliori quando fosse giunto il momento. Don Pedro, affascinato dalla grandezza dell'impresa decise di assecondarla per quanto fosse nelle sue possibilitá, senza esporsi a certa rovina se fosse fallita. Invió una seconda vola il lara a Venezia per assicurare l'ambasciatore della sua compiacenza pregandolo di tener conto del fatto che non aveva senso inviare gli uomini che egli domandava senza avergli scelti attentamente; ché se fossero morti, egli sarebbe stato colpevole di avere esposto a un pericolo tanto grave i piú valorosi soldato del suo esercito. Egli gli avrebbe certo dato il maggior numero di uomini possibile e cosí ben scelti che avrebbe risposto di loro come di se stsso.
Nulla era più importante per i disegni dell'ambasciatore che di impedire qualsiasi possibilitá di accordo. Per questo spinse il marchese di lara e avanzare proposte di pace assolutamente irragionevoli da parte del governatore di Milano. Il senato rispose indignato, come previsto e ruppe ogni negoziato. Don Pedro da parte sua no ¡n tralasció nulla per rendere ancora piú acide le relazioni. Il duca di Mantova era poco propenso a concedere il perdono ai propri sudditi ribelli, come promesso in seguito al trattato di Asti; lo incoraggiarono a essere ostinat,o e a continuare le esecuzioni di questi che egli aveva già cominciato. Si avanzarono proposte al duca di Savoia per rendere esecutivo questo trattato, ben sapendo che egli le avrebbe rifiutate visto che ci si rifiutava di deporre le armi dopo che lo avesse fatto lui cn il preteto della guerra del Friuli in cui la Spagna non poteva dispensarsi dal prendere parte senza perdere l'onore. L'armata veneziano aveva passato l'Isonzo e assediava Gradisca, capitale degli stati dell'Arciduca. Il consiglio di Spagna che sulle prime parve indifferente, vedendo che si voleva spogliare quel principe minacció di prendere partito. In quel tempo finiva il disaccordo nella casa d'Austria tra il ramo spagnolo e quello tedesco, che durava dai tempi del figli e del fratello di carlo V per la successione dell'Impero. L'interesse degli spagnoli per questa guerra fu il primo segno di questa iconciliazione.

trad. genseki