martedì, aprile 28, 2009

Congiura egli spagnoli contro Venezia II

Siccome non ci sono petesti tnanto plausibili come la guerra per gravare il popolo, quella degli Uscocchi dava ai nobili che la conducevano un bella occasione per arrichirsi. Questa guerra costava troppo: non c'era solo il denaro che andava al Piemonte, si dovette anche mantenere una terza armata in Lombardia contro il governatore di Milano che minacciava sempre di fare qualche diversione a favore del'arciduca. La giustizia della causa della Repubblica rendeva i comandanti sempre piú arditi nell'inventare nuove vessazioni, e non rendeva affatto il popolo piú paziente nel sopportarle. Le cose giunsero a un punto che il marchese di Bedmar poté ragionevolmente pensare che il rivolgimento che egli meditava sarebbe stato tanto gradito al popolo quanto funesto ai grandi. E persino tra i grandi vi era chi non amava il governo. Erano i partigiani della corte romana. Gli uni, ed erano la maggioranza, ambiziosi e vendicativi, erano irritati del fatto che la Repubblica era stata governata contro il loro parere durante il conflitto con Roma. Erano disposti a tutto per deporre l'autoritá; e avrebbero contemplato con gioia le sventure dello stato come consegienze di una condotta che essi non avevno approvato. Altri, semplici e rozzi, volevano essere piú cattolici del papa, come questo avava ammorbidito e sue pretese nel compromesso, avevan immaginato che fosse stato obbligato a farlo per politica; e che se fosse restata qualche rstrizione mentale si poteva temere che la scomunica restasse nella testa di sua santitá. Tra questi vi erano alcuni senatori tanto poveri di beni come di spirito, che servirono molto in seguito ai piani del marchese di Bedmar, dopo che egli li ebbe persuasi, a forza di benefici che dopo questo fatti non si poteva piú essere veneziani a posto con la coscienza.
Per quanto fose strettamente proibito ai nobili di frequico di entare gli stranieri, aveva trovato il modo di stringere forti vincoli con i piú disagiato e con i piú scontenti. Se essi avevano qualche parente prossimo in convento, qualche cortigiana, o qualche ecclesiastico di fiducia, comprava la conoscenza di queste persone a qualsiasi prezzo e faceva loro regali che erano di grande valore pur essendo curiositá di paesi esotici. queste liberalitá fatte snza necessitá apparente fecero pensare a quelli che le ricevevano che potevano attirarsene altre pi'considerevoli. Con questo obiettivo, essi soddisfecero completamente la sua curiosit'su tutto quello di cui egli volle informarsi ed ebbero cura di informarsi su quelle cosedi cui non erano direttamente a conoscenza; siccome la sua riconoscenza superava le loro speranze, non ebbero riposo prima di aver introdotto i loro padroni inquesto affare.. Bisogna creder che la necessitá ne fu causa, e che questi nobili non poterono vedere senza invidia persone, del tutto dipendenti da loro, diventate piú riche di loro per dei regali che erano fatti per onorare proprio loro.
Saint-Réal
trad. genseki

lunedì, aprile 27, 2009

Filosofia della Natura

Che cosa resta di vivo nella filosofia della natura di Hegel?
Certamente la forza del linguaggio, la sorpresa esatta di un'immagine:

"Le stelle possiedono la puntualitá di permanere nell'astratta identitá della luce"

Hegel Werke t VII

Settima elegia

Opzione per il reale

Vivo nel nome delle foglie, possiedo nervature
Passo dal verde al giallo e
Mi lascio morire nell'autunno.
Nel nome della pietra vivo e permetto
Che mi si colpisca cubicamente sulle strade
percorse da automobili veloci.
Vivo nel nome delle mele, possiedo
Sei piccoli semi sputati tra i denti
Dalla fanciulla che ha perduto la ragione
Tra pigre danze di ebonite
Nel nome del mattone io vivo
Con polsini di calce, rigidi
Ad ogni mano, abbracciando
Un possibile tuorlo di esistenza
Sacro non lo saró mai. Molta
Troppa è la mia immaginazione
Di altre forme concrete
Per questo ho così poco tempo per pensare
Alla mia stessa vita.
Eccomi. Vivo in nome dei cavalli
Nitrisco, sotto gli alberi potati.
Vivo nel nome degli uccelli,
Ma soprattutto del volo.
Credo di avere le ali, però
Nessuno le vede. Tutto per il volo
Tutto
Non appoggiare ció che c'è giá
su ciò che ci sará.

Allungo una mano che per dita
Ha altre cinque mani, che
Per dita hanno cinque altre mani, che
Per dita
Hanno cinque mani.

Tutto per abbracciare
Minuziosamente, tutto,
Per palpare paesaggi non nati
Per graffiarli a sangue
Con una presenza.

Nichita Stanescu
trad. genseki

giovedì, aprile 23, 2009

Stilmous

Vecchia talpa

A volte questo Spirito non si manifesta, piuttosto si muove "sous-terre", come dicono i francesi. Amleto dice allo spettro che lo chiama repentinamente prima da un lato e poi dall'altro: "mi sembri una talpa molto vispa". Effetivamnte, lo Spirito scava sotto terra, molte volte, come una talpa, completando cosí la sua opera.. Tuttavia laddove il principio della libertá alza la testa, si manifesta una inquietudine, una agitazione verso l'esterno, una creaione dell'oggetto, e in essa o spirito deve consumare la sua forza.
Hegel Opera Filosofia della storia.

Eccola, finalmente, la vecchia talpa di cui tanto si è detto, letto e scritto fare capolino proprio nel suo momento originario, Questo passo della Filosofia della Storia conserva chiaramente ancora il suo carattere orale, il sapore di una conversazione tra il professore e gli alunni con un tono disteso e elegante cui accenna Gramci in una nota dei quaderni che ora mi è difficile rintracciare. La citazione di Shakespeare in un ambiente in cui il romanticismo è senso comune è piegata attarverso un gioco di parole ad un senso speculativo. La vecchia talpa avrebbe potuto forse aspirare ad assurgere al rango di una delle grandi figure del pensiero hegeliano, come che so: Servo padrone o Antigone? Forse no.Tuttavia questo passo è una buon spaccato del processo con cui Hegel elaborava le sue figure, le scolpiva traendole da dove capitava e impastandole di dialettica Chi ne fece una figura speculativ di grane successo fu invece Marx che proruppe nella fragorosa esclamazione: "ben scavato, vecchia talpa!". anche la frase di mar tradisce, senza dubbio la sua natura colloquiale e testimonia della esca dimestichezza sua col pensiero e la personalitá di Hegel che ancora nn era materiale per eruditi e professori.
Attraverso la vecchia talpa il comunismo riconsce come in uno specchio il suo volto in quello dello Spirito Assoluto. Il movimento necessario oscilla tra lo sviluppo delle forze produttive e la dialettica dell'alienazione e del disvelamento. Certo con questa figura Marx dimostra di essere piú prossimo al panlogicismo che al messianismo giudaico che da molti incauti gli si è voluto caricare sulle robuste spalle.
genseki

mercoledì, aprile 22, 2009

Sull'amore coniugale

Hic tecum, hic, coniunx, vita fruenda mihi est,
Otia si capian animum quid mollius umbra,
Fundit quam multa populus alba coma,
Quam platanus platanoque decens intersita laurus
Et quae tan raro citrus honore viret?
Sin labor, ut teneras hortis diponere plantas;
Ut iuva virentes carpere mane rosas
Aut tenuem e foliis Laribus pinxisse coronam
Et suae tritilicae serta parare deae,
Nunc legere arbuteos fetus montanaque fraga
Aureaque in calathis mala referre novis
Nunc agere incautas in retia carca volucre
Mille moos placidi rura laboris habent!
...
Hic tecum, coniunx, vita frunda mihi est:
Ista semana nos fata manent. Mors usque vagatur
Improba, vis mortem fallere? Vive tibi

Pontanus

De amore coniugali

mercoledì, aprile 08, 2009

Pasqua 2009

Ció che noi oggi chiamiamo la religione di Cristo, giá esisteva tra gli antichi e non è mai venuta a mancare dall'origine del genere umano fino al momento n cui Cristo si incarnó, epoca a partire dalla quale, la vera religione che giá esisteva cominció a essere chiamata Religione Cristiana.

Agostino
Confesiones I, 13
trad. genseki

Nikita Stanescu

Dice No solo chi comprende il Si

Prima elegia

Dedicata a Ddedalo
Della famosa stirpe degli artigiani
Dei dedaliani


Comincia e finisce in se stesso
Nessun'aura lo annuncia, nessuna
Cometa lo segue.

Nulla spunta fuori da esso
Per questo non ha volto
Non ha forma
Simile a sfera
Un grande corpo
Avvolto da una pelle sottile.

Ha ancora meno pelle, tuttavia,
Di una sfera.
È la perfezione dell'interiore,
Non ha margine
Pur essendo ben delimitato.

Non lo segna la storia
Dei suoi movimenti
Come le orme dei ferri seguono
I cavalli.

Non ha presente
ma è difficile immaginare
In che modo non lo abbia

Completamente interno
Dentro il punto stesso
Piú concentrato ancora che in un punto.

Non urta nulla
Nulla lo ostacola
Non ha parti esteriori
Con cui urtare.

Avvolto in esso,
Qui, io dormo.

Tutto l'opposto d tutto
Non si oppone
Non nega
Dice No solo colui
Che comprende il Si
Chi tutto conosce
Nel No e nel Si ha le foglie strappate.

Eppure non dormo solo io qui
Con me dorme la serie di coloro
Il cui nome io porto,
La serie degli uomini mi abita
una spalla. La serie delle donne l'altra.

Ma non possono nemmeno penetrarvi. Soo
Piume invisibili

Agita le ali - qui -
Nella perfezione dell'interiore
Che in sé comincia e
In sé finisce.

Da nulla annunziato
Nessuna cometa lo segue.

*

Seconda Elegia

Getica

Nella cavitádi ogni tronco viveva un Dio

Se in qualche pietra si apriva una crepa
Ecco che subito vi collocavano un Dio.

Bastava che un ponte crollasse
Perché al suo posto mettessero un Dio

O che nella strade apparisse un fosso
Per collocarvi un Dio.

Non farti tagli alle mani o ai piedi
Per nessuna ragione,
Ci metterebbeo dentro un Dio
Come ovunque,
Un Dio da rispettare che protegga
Tutto quanto da noi si separa.


Lottatore, attento a non perdere un occhio
Porteranno un Dio e lo inseriranno nel'orbita
E le nostre anime rabbrividendo lo glorificheranno
E anche tu obbligherai la tua anima
A rendergli gloria.

Trad genseki

giovedì, aprile 02, 2009

C'è un paradosso nel marxismo

Da "considerazioni su alcuni filosofi" di Alain

Marx

C'è un paradosso nel marxismo, cioè che questa dottrina che si presenta come un materialismo è in realtá l'idealismo piú ardito. Finché non si sa superare la contradizione, ovvero farla passare all'antitesi che è correlazione non si puó andare avanti. Gli innumervoli lettori di Lucrezio sanno che cosa vuol dire salvare lo spirito negandolo e io ho spesso notato il contrasto tra i materialisti che sono spiriti risoluti e gli spiritualisti che sono spiriti stanchi. Ma bisogna vederci chiaro e ogni difficoltá è risolta in questa formula ben conosciuta di Bacon: "l'uomo trionfa sulla natura obbedendola", di cui il piú insignificante uomo di mare conosce bene ogni applicazione pratica. Il nostromo non è quel tipo di uomo che nega la potenza del mare e nemmeno è disposto a pregare perché l'onda lo colga a prua e non sul fianco; al contrario davanti alla forza impietosa, che egli sa fedele e senza malizia, agisce, cioè passa appoggiandosi a ció che offre resistenza.
Tutti i mestieri conoscono questa tecnica.
Chi non ha pesato come su una bilancia l'universo inflessibile, così ben coeso, e corrispondente a se stesso in tutti i suoi movimenti, senza nessun pensiero, questi non è un uomo. Lo stato di infanzia consiste proprio nel credere che pregando e sperando si vivranno giorni migliori. L'audace cerca soltanto una fenditura su cui poggiare il piede, sicuro, nel modo piú assoluto che l'universo non bara.
Questa posizione severa è quella di Descartes, che anche dal corpo vivo, dal suo proprio corpo, avendo ritirato ogni pensiero e non vedendovi altro che particelle che spingono o sono spinte, pensó che si poteva vivere a lungo se si giocava con tenacia. Ma davanti al corpo politico, il piú complicato di tutti non aveva progetti, qui confidava nella natura, cioé nelle abitudini, nelle passioni, nell'amicizia. Viveva come un Leviatano, come un selvaggio nel bel mezzo della natura delle cose, ossequiandole tutte per precauzione.
Ora, chi vuol agire così è come il pilota sul mare. Dapprima deve cogliere le leggi meccaniche, ció che resiste, che offre un appiglio, ció che on inganna. Cioé leggere la politica come un vortice piú complicato a senza spirito. Non appena vi si suppone uno spirito si è obblligati a pregare. Quindi, in questo mondo umano, cercare ció che non cede mai alla preghiera, cioè ritrovarvi la necessitá naturale attraverso i bisogni, i lavori, le risorse. Come il muschio non spunta che nei luoghi umidi, cosí l'uomo si espande come un vegetale. Negozi, officine, banche, trasporti e depositi, tutto ció è disegnato sulla terra con la stessa necessitá d una macchia di umidita sul soffitto. Chi vuol dimenticare questa necessitá muore. Tutti i pensieri che hanno vissuto dipendono da queste necessitá inferiori. Ecco distrute tutte le nostre ambizioni, ma anche le ambizini del chirurgo sono distrutte nel chirurgo; questa riflessione virile che contempla finalmente la necessitá esteriore, non uccide l'azione, anzi le apre un varco.
Nel momento in cui l'acqua e il vento sono forze cieche ecco che io posso navigare. Da qui questa altra navigazione politica che guarda ai bisogni, agli utensili, ai lavori, elementi ciechi, senza capricci, che non barano e contemporaneamente con questa separazione dello spirito dal corpo la volontá trova le sue armi e testa la sua potenza.
Uno dei termini illumina l'altro come si dice e come si dimostra ma astrattamente, mentre in ogni momento, nell'azione bisogna trovare lo spirito puro se si vuol trovare lo spirito puro. da qui si comprende che i nostri sociologhi mistici sono al livello dei maghi della pioggia. Invece ogni minimo cambiamento nelle condizioni inferiori è come un colpo di remo nell'acqua.;puó essere dato bene o male, ma una buona traversata o un naufragio dipendono dalle stesse leggi, e la sola differenza, per quanto riguarda l'azione dell'uomo, consiste in movimenti minimi, in minimi lavori, tutti orientati da uno spirito previdente e senza paura.

Alain
trad genseki

mercoledì, aprile 01, 2009

Kenneth Patchet

Di Kenneth Patchet non so granché, ho trovato una scelta di sue poesie su una vecchia rivista, e una foto con la faccia da operaio fotogenico. Testardo.Non so cogliere il ritmo dei suoi versi. Non lo sento. per questo, credo le traduzioni suoneranno afone.
Eppure questa poesia la ho vissuta, la vivo da tempo. Quando il dulice sonno ci riporta alla tenerezza animale che non sa della morte, e la mente per contrasto trema della consapevolezza del nulla nel tepore di pelle e lenzuola.

Religiome è che ti amo

Il tempo avrá disteso i nostri corpi
In un unico sogno, saziata la fame, spezzato il cuore
Come una bottiglia bevuta dai ladri.

Amata, lontano si incotrano le nostre bocche
Prossimi i capelle, stretti gli occhi
Fuori

Fuori dalla finestra rami agitati
Da mite vento, muovono gli uccelli rapide ali

Amore, in quest'aria sfinita moriamo.

Lascia che guardiamo il sonno,
Che infiliamo le dita nel respiro che cade su di noi.

Vivi possiamo amare, anche se s'approssima la morte
Non dobbiamo ascoltare il suo canto senza speranza.

Ora, stringiamoci forte, non moriremo uno accanto all'altro.

*

Ereditá

Ti lascio i piaceri della terra:
L'erba bruciata dal sole; corpi
D'acqua, amabili nella vastitá degli anni
Senza avere ali per noi;
La vasta meraviglia del firmamento, tutto l'arredamento
Sfasciato dello spazio cardiaco interiore;
La cinica immagine dl fumo che sale a spirale
Dalle case che non abbiamo mai avuto.

Ti lascio i mari sulle spiagge secche
La treccia d'oro della pergola
Sulle nostre tombe: il tenero suono
Del silenzio su tutte le cose.
Ritorno del corpo ribelle: qui;
La cruda quesione dell'erba;
Il volto cisposo dello spirito
senza splendore. Basta.
Ti lascio.

*

Argomento dell'allodola

Di primo matino venne il gigante
Raggiunse l'albero dei piccoli.
Le loro facce erano come mele candide
E i freddi rami oscuri
E i loro vestititini
Gesticolavano nel vento.
Non si udirono i passi
Dei suoi piedi pesanti. Subito si mise all'opera
Tirandoli giú dolcemente
In un grosso canestro
Che con una cinghia d'oro
Pendeva dalle sue spalle.
Uno solo sfugggí - un dolce grazioso piccino
Dai capelli color latte anacquato.
Cadde nell'erba alta
E non lo poté trovare
Pur avendo frugato con le dita
Fino a che sanguinarono e sorse il giorno,

Agitò i pugni verso il cielo
E chiamò Dio
con un nome brutto.

Ma non ci fu risposta e il gigante
Si inginocchió davanti all'albero
Abbracció il tronco con le mani
E lo scosse
Fino a che caddero tutti i piccini
Nell'erba. E lui li pestò fino a frne gelatina.
Ma non si fermó qui
Diede fuoco al suo canestro mezzo pieno
Tenendolo Tenendolo con le mani finché
Non fu tutto bruciato. Egli vide poi
Due uomini che si avvicinavano su cavalli fumanti
Dalla parte del mondo.
Trasse un piccolo flauto d'argento
Dalla tasca e suonó un motivo
Dopo l'altro
Fino a che essi lo raggiunsero.


Trad. genseki