lunedì, novembre 30, 2009

Alfonso Cortés

La follia di Alfonso Cortés

Maria Luisa Cortés, scrisse nella biografia di suo fratello (Biografia di Alfonso Cortés):

Una notte, a metá del mese di Febbraio del 1927, dopo diversi giorni di bevute si alzó a mezza notte e disse a mio padre: “papá non so che cosa mi succede, ma mi sento come se non fossi io, mi sembra di essere il Papa o l'Anti-Papa. Mi vengono idee orribili, non posso dormire”. Mio padre rispose: “Figlio mio, hai mangiato qualche cosa di indigesto con tutto quello che hai bevuto in questi giorni, ti daró un purgante”. A partire da quel momento ci alzammo da letto e nessuno riuscí piú a dormire in tutta la casa. Lui iceva. “Venite qui con me che da quella parte c'è l'inferno, ci sono i dannati. Ecco il confine. Allontanatevi sorelline, venite con me qui è la Gloria”. Cosí passammo tutto il resto di quella tragica notte vivendo con lui dentro la Divina Comedia fino al mattino. Il giorno dopo furono chiamati i medici: il dottor Abraham Marín suo padrino di battesimo e il dottor Fernando Cortés Rocha, suo cugino che dichiararono che era impazzito.

p. 74

*

Nella “Prefazione” al suo libro: “Il Poema quotidiano (e altre poesie) scrive Alfonso Cortés:

Come risultato, in quei giorni della perdita dell'essere piú amato che della nostra vita, delle lotte mentali combattute e dello squilibrio economico della casa paterna, mi accadde di aver dovuto soffrire uno stato confusionale, che si avvicinava alla follia e che non era nient'altro che la teratologia che suole colpire frequentemente gli intellettuali che lavorano intensamente e profondamente. Siccome capitó a me in modo tale che provvocó non poco disordine mentale e nervoso, ebbene, dovetti sopportare in quei momenti lo spettacolo extra-naturale di una visione terrorizzante como quella che riferisce il profeta Giobbe nel suo libro, e mio padre decidette di trasferirmi alla clinica dell'Ospedale per Malati di Mente della capitale dove, dopo lunghe cure potei ritrovare la salute. (Il poema quotidiano, p. 11).

*

Ernesto cardenal sostiene che la follia di Alfonso la provvocó la sua intimitá con Dio. Scrive Cardenal: “Deve essere una intimitá terribile, quella di Dio per rendere folle: - Non voglio piú sentire il solletico di Dio nel mio cervello - grida Alfonso in una delle sue poesie. ... è un tipo di follia non ancora conosciuta dalla scienza e che si chiama “solletico di Dio nel cervello”.

*

Alfonso Cortés perse la ragione ma non la poesia.
Carlos Tunnermann

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Negli ultimi anni della sua vita la sua follia diventó tranquilla in modo che fu possibile che le sorelle che ebbero sempre cura di lui lo trasferissero alla sua casa di León. nei primi anni, invece, la sua follia aveva momenti di furore per cui i suoi genitori dovettero incatenarlo a un asse del tetto, tanta era la sua furia che giunse a piegare le sbarre che proteggevano la finestra. Scrive ancora Ernesto Cardenal: “ricordo i suoi occhi pallidi, celesti e la sua barba rossastra, quando con i compagni di scuola passavavamo per casa sua prendendolo il giro... allora non sapevamo e non lo sapevano nemmeno i grandi che quell'uomo era uno dei piú grandi poeti della lingua castigliana”.

A cura di genseki

giovedì, novembre 26, 2009

Alfonso Cortés

In questa foto Cortés ha ventisette anni. Poco dopo la follia improvvisa lo condannerà a vivere ventidue anni legato a una trave della sua casa.

Altre traduzioni di Cortés si possono leggere qui

genseki

Alfonso Cortés

La pietra è una delle forme estreme che la ricollocazione dell'Io raggiunge nella poesia del Nicaraguense Alfonso Cortés. Unpoeta la cui personalità si confonde con insostenibile intensità con l'immensitá del cosmo. Cortés colloca il suo Io nell'intimitá della pietra attraverso l'osservazione allucinata dello scorrere del tempo. La pietra è ció in cui il tempo sembra raggiungere il limite massimo di viscositá. La coscienza allucinata della pietra è coscienza di un quasi limite del tempo.

genseki


Le pietre


Le pietre, ahimé, le pietre hanno un segreto
Dolor che appare come in carni vive
Quando con egoismo sofferente e discreto
Sembra che la vita abbiano a sdegno
E s'oppongano al tempo tenacemente schive
Come se volessero interromperne il regno.

Son mute e rassegnate con il vento
E con l'acqua, non nutrono altro intendimento
Che ribellarsi contro la lor sorte
E sopportar con disdegno il fato,
Ben oltre l'acqua, il vento il fuoco irato
Senz'ansia, forza, vita, senza morte.


È un prometeico supplizio senza nome,
D'essere bestia o albero peggiore
Enti di un'era all'uomo anteriore
Condannate da una vendicativa norma
In sé prigioni – forse perché un giorno
Tolsero al caos il dono della forma.

Vantando invano un simbolo vero
All'apparir del volto della luna
Indagano le cose del mistero,
Aprono al vento che audace le flagella
Le bocche atroci prive di favella
Alzano teste senza alcun pensiero.

E forse in una forma di esistenza
Piú ampia della personalitá,
Vive la natura nella loro coscienza
E ignorano, tanto a lungo han consevato
In sé gli Annali dell'Eternità,
Ch'oblio non v'è ove memoria è spenta.


La pietra viva


La pietra si sveglió (pietra pur era
Come le altre che stanno nel monte
Muschio la pelle e edera le vene)

Gli occhi dischiuse (In quell'ora rara
Che s'illumina il sole come un rogo
Per scaldar la capanna del pastore).

Ecco due passi, intanto, (Era sonora
E barbara la pendice montagnosa
Il vento pettinava la sua cupa chioma).

In tremito interiore si inquietava
La pietra fin che l'ansia
Aperta fe la bocca ai suoi pensieri:

Dove sei mai? Dove sei mai, distanza?
Irrelata de il tempo smisurato,
E quello che Dio è, sola fragranza?

Svestitemi vi prego questa tunica
Con essa l'esser mio non è che cosa,
E la forma il carcer della vita.


Trad. genski






martedì, novembre 24, 2009

Aforismi di Hugo

Se volete restare forti, restate piccoli. Siate il nulla. Il serpente che riposa, coricato in spire circolari, simboleggia insieme l'infinito e lo zero.


Victor Hugo
L'uomo che ride



La promessa

Da ognuna di queste note traspariva
La bellezza del Tuo sorriso
Mentre pronunciavi la promessa
Che a compiere verrai il giorno tremendo
In cui tutte le promesse
Saranno sangue, cenere e sgomento
Con lo stesso sorriso.

genseki

lunedì, novembre 23, 2009

Lucian Blaga

L'eone dogmatico

Posto di fronte al mistero metafisico, lo spirito credette in un certo momento che avrebbe avuto il diritto di formularlo anche senza comprenderlo. Questa sfida supera tutte quelle mai lanciate dal pensiero degli uomini. Normalmente l'intelletto formula solo ciò che si può ridurre a termini e relazioni logiche. Oppure anche fatti di intuizione, che, nel caso in cui non siano pensabili logicamente, risultano comunque organizzabili attraverso l'incorporazione del concreto alogico in nozioni. (L'alogico puó essere trattato in questo modo). Esso, tuttavia, non cerca di formulare prorio nulla se non è data nessuna di queste possibilitá. Per l'intelletto qualche cosa è “formulabile” nele senso ampio del termine, quando è “razionalizzabile”. Ogniqualvolta pensó di trovarsi di fronte a un oggetto non razionalizzabile, trascendente o empirico, la filosofia rinunció a qualunque formulazione. Solo la metafisica dogmatica osó proporre formule che stessero in disaccordo con le funzioni logiche dell'intelletto. La metafisica ebbe i suoi grandi momenti in India e in Grecia. Un tema seducente, come sappiamo, sul quale sono state scritte moltissime variazioni. A qualcuno è venuto in mente qualche volta di parlare, in questo contesto, cioè in un contesto puramente filosofico e “comme il faut”, anche del dogma di Filone, degli Gnostici o dei Cristiani? I Santi Padre, oltre il pensiero magico, nel quale caddero con una certa frequenza, e della produzione ingenua nella quale si compiacquero, mostrarono anche un senso singolarmente profondo per la metafisica che merita di essere messo in rilievo. Il dogma, e non parliamo di un dogma determinato ma del dogma come metodo di pensiero, è un procedimento metafisico per eccellenza, non è l'unico, certo, ma ha in sé il significato di un punto di arrivo, di una conclusione di tutti gli altri metodi, ne è come la corona. La mente greca, brillante per la sua curiositá, i doni plastici e metaisici si azzardó fino solo sul limite della scienza “Dell'aldilà”, ivi compreso Plotino, un gran maestro della riflessione metafisica, che comunque non restò completamente tagliato fuori dal dogma.
In un certo senso, tuttavia i Padri della Chiesa sono solo contingentemente metafisici. I loro costrutti sono moltompoco orientati cosmicamente, troppo unilaterali centrati in elementi singolari ibridamente mescolati con elementi non filosofici. Paradossalmente, risultano essere invece dotati della più profonda attitudine metafisica. Dal punto di vista filosofico, la metafisica di Plotino è indiscutibilmente piú monumentale, matura e libera da elementi che minaccino la purezza della filosofia di quanto non lo sia la metafisica patristica. La maniera di enunciare dei padri, la loro abilitá nel mettere in evidenza il mistero senza razionalizzarlo, la fredda rinuncia alla logica una volta che se ne siano esaurite tutte le sottigliezze, l'estrazione dei concetti dal loro ingranaggio logico per dotarli di poprietá differenti, sono aspetti della spiritualitá patristica in grado di impressionare ancora oggi. Non negheremo che i dogmi menzionati, cristiani o non cristiani, risultino per il loro contenuto, strani. E non perché siano “assurdi”, bensí perché sembrano caduchi. “L'assurdo”, nel significato speciale che assume nella sfera dogmatica, non è un motivo sufficiente per rifiutare una formula. Nei dogmi in discussione si concentra un materiale molto antico. Inoltre nei loro elementi costitutivi i combinano, secondo un criterio che urta contro la nostra mentalitá, sequenze di pensiero astratto con sequenze magiche e mitologiche, con molte delle quali non abbiamo ormai piú nessuna affinitá spirituale. Ai momenti mitici si attribuisce lo stesso valore che a quelli astratti. La supposta equivalenza tra logo e mythos compromette, secondo noi piú i dogmi in questione che non il metodo dogmatico in se stesso. Non avremmo nessun problema ad accettare dogmi che si situino esclusivamente sul piano mitico, e neppure dogmi elaborati esclusivamente sul piano concettuale. Tuttavia non con dogmi - giochi incoerenti – in cui i due piani si sostituiscono capricciosamente e si confondono ad ogni passo. ecco perché, tra molte altre ragioni, i dogmi analizzati e altri simili non possono in alcun modo i nostri dogmi. La domanda è se coloro che rifiutano i dogmi per il loro contenuto caduco comprendono a sufficienza l'ateggiamento spirituale che portó alla loro elaborazione. Pensiamo di no. Fino ad oggi non si è intrapresa una analisi minuziosa della struttura dei dogmi e dei loro procedimenti. Se si fosse intrapesa, almeno nella misura in cui lo si fa in questo saggio, si sarebbe notato che, a parte i dogmi che provocano rifiuto per il loro contenuto, c'è anche uno spirito dogmatico, un metodo dogmatico, che, una volta attualizzato potrebbe generare nuovi dogmi miracolosamente convergenti con le necessitá spirituali del nostro tempo: dogmi, cioè, forgiati con elementi mitici o concettuali estratti dalla coscienza dell'attualitá.
A noi i dogmi del passato possono appena servire come pretesti per stabilire un “tipo di conoscenza” o di “ideazione”, se si preferisce. È possibile qualche cosa del genere? Per centinaia di anni i filosofi pensarono così. Lo si verifica con la storia alla mano. Se fu possibile un tempo, si debe ammettere che l'atteggiamento spirituale che serví di sostrato in quell'occasione, potrá riapparire nel corso della storia, con la stessa forza e con le stesse conseguenze creatrici che durante l'eone patristico. Per la loro vocazione spirituale, i Padri della Chiesa possono essere considerati, per tanto, anche i rappresentanti simbolici di una possibile metafisica del futuro.

Lucia Blaga
Trad genseki

Claude Debussy: Harmonies du soir

Armonia della sera

Per Shirakumo

Ecco venire il tempo quando sul proprio stelo
Ogni fior si consuma come fosse d'incenso;
Suoni e profumi danzano nell'aria della sera;
Un valzer melancolico di languida vertigine!

Ogni fior si consuma come fosse d'incenso;
freme il violino come un cuore che si affligge;
Un valzer melancolico di languida vertigine!
È triste e bello il cielo come un altare immenso.

Freme il violino come un cuore che si affligge,
Tenero cuor nemico al nulla vasto e nero!
È triste e bello il cielo come un immenso altare;
Il sole s'è sommerso nel suo sangue rappreso.

Tenero cuor nemico del nulla vasto e nero,
Dell'ieri luminoso raccogli ogni vestigio!
Il sole s'è sommerso nel suo sangue rappreso.
Riluce il tuo ricordo come chiaro ostensorio.

Baudelaire
trad. genseki

sabato, novembre 21, 2009

The Akathist - Akathistos Arabic - Ἀκάθιστος - المدائح

Seduto sotto il mango

Seduto soto il mango
I piedi immersi nella polpa verde
Del mare ribollente come mosto
Solo fissavo il tuo volto affumicato
I chiodi arruginiti delle tempie
Le spine che cucivano le labbra
Il ritmo dei tuoi cauri mi scuoteva
al battito delle catene percepivo
La vorticosa presenza dei galli
Il loro splendore tolemaico
Le stelle che brillavano di anice.
O pelle di cipolla, pelle arata
Ho solcato di lacrime le lame
Cosparso di cannella le ferite
Marinato nel rito passi e fianchi
Seduto sotto il mango
Dimentico delle mele e della salvia
Aspra saliva raccolsi tra i tuoi denti
Permettendo che il grido dei palmizi
Mi penetrasse alto e frastagliato
Della mia dignitá facendo strazio.

genseki

mercoledì, novembre 18, 2009

Angela

La meraviglia di questi marosi
Era il rumore dei loro colori
Fragorosi come il vino acido
Sibilanti come scie di perle
La loro frequenza crepitante
Come una pergamena tra le pale
Di un vecchio rotore.
La meraviglia di questi marosi
Era la loro natura mentale
La loro rivoluzione inarrestabile
Su di assi tanto corti.
Potevano infrangersi tranquillamente
In un angolo del mio studio e
Poteva contenerli il palmo della mia mano.
Li vidi tra le ciglia di Vimalakirti
Quando giocava a bocce con i Kalpa
Tra foglie secche nell'autunno di Langa,
Quando i miei zoccoli risonavano sull'acciotolato
I marosi erano veri e propri universi conflagrazioni di Sutra
Fu allora che tu apristi l'ombrello con un gesto
Tanto grazioso
E restasti nuda sotto il baldacchino di berillo
Vasto come l'universo del Buddha Cariasuryapratibha.
Nuda come la poesia
Sulle piazze di Mondovì le Mamiwata
Sgozzavano i galli per il rito
E il sangue fresco tingeva i capelli dei bambini della colonia polacca.
O Cristo, dove li hai lasciati i tuoi sandali
La tunica fragrante di trigo
Tutte le segretarie di Fossano tornavano dal lavoro
Tutte nel medesimo istante spingevano le chiavi nelle toppe
Sul mio quaderno nuovo scorrevano i Sutra
Come sullo schermo segnaletico dell'autostrada
Avevo scelto il veicolo del Bodhisattva
E mi rtrovavo su un treno locale,
Le gocce di pioggia sul finestrino sporco
Erano ciascuna un universo perfetto
Lontano, tra le luci delle fabbriche
Tu sorridevi, un lupachiotto al seno
Marosi
Marosi
Che meraviglia!
Come velluto sul palmo della mia mano

genseki

sabato, novembre 14, 2009

Gesú e Maria nell'Islam

Molte persone non sanno che Gesú (Isa) è uno dei profeti più importanti profeti e messaggeri dell'Islam. Mettere in risalto i valori rappresentati da questo profeta che,secondo Ibn Arabi è il sigillo della santità, significa, in un certo modo compartire con i cristiani e con la societá giudeocristiana in generale i suoi valori piú alti e solidaristici.


Allah ci dice en Qur'an che Gesù, la pace sia con lui, fu un profeta ispirato da Lui, che la sua stazione spirituale è quella dello spirito santo...


Gesú è Ruh al Quddús, spirito di santitá, Gesú, inoltre perfeziona la legge e supera la religione dei predecessori, la forza dell'abitudine religiosa per mezzo dell'amore e ci permette cosí la realizzazione spirituale.


La rivelazione di Gesú nel Vangelo (Inyil) secondo i Qur'an ha come tema centrale la nascita del verbo, della parola dopo una lunga gestazione nel cuore prima che il senso si articoli nella nostra gola. La parola che emette il profeta non è solo discorso eloquente, ma il verbo creatore stesso, la parola divina capace di conformare il mondo e la visione umana, capace di articolare i nomi di Dio nel mondo visibile per poter ricordarlo. Questa parola ci prepara per l'incontro con il messagio di Muhammad, la pace sia con lui, al termine del nostro viaggio sui sentieri dei profeti e dei santi.


I Sufi dicono che svegliare Gesú nel nostro significa significa accedere al linguaggio creatore che sgorga dal cuore illuminato.


Tra i musulmani c'è una speciale venerazione per Maria, la pace sia con lei. Secondo quanto dice il Qu'ran nel sura della casa di Imrám, la madre di Maria la concepì per consacrarla al servizio divino. La sua tutela fu affidata a Zaccaria, la pace sia con lui, che era suo parente. Egli la visitava nel tempio e sempre trovava accanto a lei alimenti e provviste. Quando le domandava dadove venissero lei rispondeva: “Da Allah, certamente, egli povvede senza limite a coloro che ama”.


Il Qu'ran ci spiega anche come Maria diede alla luce un figlio, Gesú, un profeta che sará conosciuto come Isah Ibn Mariam, Al Masih, l'unto, che è un riferimento al suo lignaggio allo stesso tempo profetico e regale. La sua preminenza è valida tanto in questa vita come in quella futura, Gesú, la pace sia con lui, discendeva per linea paterna dalla casa di david, e, per parte di sua madre, Mariam, dalla casa di Aronne, la pace sia con loro. Unisce nella sua genealogia il mulk e il malakut, il cielo e la terra, mediante un barzak che solo è posibile per mezzo di una parola purificata.


Nel Qu'ran, Gesú, la pace sia con lui, ci parla fina dalla culla, perché la sua rivelazione è il verbo creatore e questo non è il discorso di un essere umano con una biografia e con una storia, bensí l parola dell'essere umano realizzato. Allo stesso modo la parola non è solo la vibrazione della gola, ma ha bisogno del fiato, del prana, del significato, per potersi articolare, così il Gesú del nostro essere non è soltanto la capacitá di comprendere e diffondere la lingua ma la possibilitá di trasmettere la rivelazione, il significato attraverso lo spirito e la compassione universali.


La adorazione umana ha bisogno della parola perché Dio organizzó la nostra natura in questo modo, la nostra natura è la stessa natura di Adamo, capace di riflettere al suo interno le luci e i suoni del mondo, le pulsioni dell'universo e il sentire di Dio.

Grazie a questa sua capacitá di nominare il mondo e riflettere così la creazione, Allah ci dice nel Qu'ran che per Lui la natura di Gesú è come quella di Adamo, la pace sia con loro.


...


Il messaggio di Gesú, ome quello di Muhammad, la pace sia con loro, è universale, per tutta l'umanitá...


La compassione che è un sentimento spirituale e un valore per tutte le religioni acquisisce cone Gesú, la pace sia con lui, una nuova potente dimensione.

Tale compassione è ralazionata con il fatto di compartire un destino, una visione, cercando di comprendere coloro che percorrono altri sentieri spirituali.


Oggi sono più necessari che mai i luoghi di contatto di incontro, angoli di mondo dai quali poter guardare il futuro con una cetta speranza collettiva. Proprio per questo avvertiamo l'immenso valore che acquisisce oggi il messaggio di Gesú.


Hashim Cabrera

Webislam 10/01/05

trad. genseki




venerdì, novembre 13, 2009

Francis Bebey

Francis Bebey lo conobbi a Yaoundé al principio degli anni 80, durante e dopo un concerto. Era rimasto colpito dal mio livello di camerunizzione, di mimetizzazione linguistica e gestuale che faceva di me una specie di comico bianco innegrito dalla gestualitá islamica e dalla gandura che si voleva impeccabile. Insomma lo facevo ridere. Il gin mi produceva allora una bulimia incipiente e una pecoce caduta dei capelli. Non avevo incontrato Khidr Elia e stufo della ignominia dei missionari europei in cui i toccava immergermi quasi tutti i giorni ritornai in Italia con una sciabola fulbé, un cappello del Burkina Faso e una gandura da cerimonia, pochi mesi dopol'incontro.
Rividi Francis Bebey a Ceriale, durante un concerto per una qualche disgustosa ONG succhiafondi. Era un concerto, quello che tenne di musica, direi, etnologica eseguita con correttezza professorale. Non era il scintilante cabaret camerunese che avevo conosciuto molti anni prima. Chiesi a gran voce Agata. non la cantó. Ci rivedemmo dopo in una birreria. Continuava a trovare molto comico il mio cipiglio da bianco innegrato e musulmano. Disse che Agata non si poteva cantare in Italia perché il testo è difficile da capire se non si è letto il romanzo. Ci scambiammo i numeri di telefono. Me lo chiese lui e mi disse che probabilmente non ci saremmo mai telefonati. Fu proprio così.
genseki

Francis Bebey Agatha

Andiamo Agata
Non mi mentire
Si, hai capito bene
È tuo marito che te lo dice
Sono io che ti ho detto di mentire eh?
Tuo figlio, quello la
Tutti lo vedono che non è il mio
Ma con che faccia tosta vieni qui
A contarmi delle storie
Agata, andiamo tu sei nera dalla testa ai piedi
Come me
E allora! Come hai fatto a mettere al mondo un bambino bianco
E mio per di più?
Ma dai!

Mi prendi per scemo eh!
Ascolta! Il diritto di versarmi da bere ce l'hai
Ma non quello di mentire.

Agata, tuo figlio è nato da un mese
E non ha ancora deciso di prendere il colore locale
E tu vuoi dire che quello è mio figlio
Ci fai Agata? Ma dammi da bere va!
Il vino non mente!
La povera mamma me lo diceva
Figliolo tua mogli
Te en fará vedere di tutti i colori
Te lo dico io!
Di tutti i colori te en fará vedere.

Sei fortunata Agata
Sai?
Un bambino,
Che lo mandi il diavolo o il buon Dio
Che sia bianco o giallo
E persino rosso
Un bambini è sempre un bambino
C'hai una bella fortuna va!
Perché Re Salomone
Proprio lui in persona mi ha detto
Che lo devo tenere il bambino
Come fosse mio
Eh!
Ma attenta! Non mi contar più storie
Se mi fai un altro figlio, verde!
Dimmelo cheè verde, dai!
Non mi far credere che è nero.

Francis Bebey
trad. genseki

mercoledì, novembre 11, 2009

La Fable du Monde


Supervielle

La poesia da me tradotta nel post precedente è tratta dal Libro "La Fable du Monde" di Jules Supervielle. Jules Supervielle, banchiere, nato in America del Sud è stato un cancellato della poesia francese del secolo XX. Credo soprattutto per il carattere immediatamente non avanguardistico della sua poesia. Un cancellato come a suo tempo e per molti decenni lo fu Hugo. La letteratura francese suol essere un bosco di cancellati. Sarebbe lungo cercare di darne le esaustive ragioni, Lungo e noioso. anche Ronsard fu cancellato! A suo tempo. Essere cancellati significava essere ridicoli, cioè, per dirlo meglio, si era cancellati attraverso il ridicolo. Non so se sia ancora così, oggi che la poesia è stata complessivamente cancellata come funzione civile dalla societá "occidentale". Affermare il propri interesse, che so per "La Légende des Siècles" voleva dire essere ridcoli. I cancellati trovano, qui a Baige, una ospitalitá minima, che forse lascerá una tracciolina in google alla centoventimilionesima pagina. Finora nessuno è giunto a Baige cercando Hugo. Molti cercando "Topa nuda". Hugo è un caso raro di un intellettuale di sinistra ridicolizzato dalla destra nella persona di Ionesco e la cui cancellazione fu largamente accettata dai suoi confratelli progressisti con la sola eccezione di Aragon. anche questa anomali andrebbe approfondita. Hugo occultato, che so, a profitto di Sade,

geneki

Jules Supervielle

Traduzioi di genseki da "La fable du Monde".

La goccia di pioggia
(Dio parla)

Io cerco una goccia di pioggia
Appena caduta nel mare
In rapida verticale
Che più della altre brillava
E sola tra tutte le gocce
Sembrava che avesse capito
Che, dolce, nell'acqua salata
Doveva per sempre sparire.
Da allora la cerco nel mare
La cerco per soddisfare
L'incerto ricordo del quale
Son io il solo custode.
Invano, perché ci son cose
Che nemmeno Dio puó fare
Per quanti si sforzi davvero
E goda del valido aiuto
Dell'aria del cielo e del mare.

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Quarta parte della traduzione dell'opera di Saint-Réal.
Per le altre tre parti cliccare qui

Don Pedro fece avanzare il Maresciallo di Campo Gambalotta verso Crema con alcune truppe, fece montare ventiquattro pezzi di artiglieria a Pavia perché, secondo quanto dichiarava dovevano accompagnare un corpo di ottomila uomini al comando di Don Sancho de Luna. Inoltre, il viceré di Napoli, che attraversava il Mediterraneo con la flotta spagnola e minacciava di attaccare il Duca di Savoia da Villafranca e bloccava tutti i rinforzi che potevano giungere alla Repubblica per il mare, considerava come un suo dovere entrare tutti i giorni nel golfo per tenere in iscacco la flotta veneziana.

I ministri veneziani avevano reclamato presso tutte le corti contro la violenza di questi metodi, il marchese di Bedmar cercó di giustificarli; credette che fosse molto importante rovesciare le fondamenta della venerazione che tutta l'Europa da tanti secoli nutriva per questa republica, che era considerato il piú antico e il piú libero di tutti gli stati. Tale libertá era stata appena messa a prova e innalzata ancora piú in alto in occasione del conflitto con il papa da molti scritti che sembravano ancora inconfutabili anche se la parte avversa non mancava di abili pubblicisti che avevano ben saputo rispondere. L'ambasciatore si era messo a leggere queste opere e in pochi capitoli aveva saputo confutare i numerosi volumi degli autori veneziani, senza degnarsi di citarne nemmeno uno, e siccome tra questi temi non v'è niuno che un uomo abile volendo non possa rendere un garbuglio, con il fine pretestuoso di stabilire il diritto dell'Impero su Venezia, mostró che l'indipendenza di questa repubblica era chimerica e chimerico era il suo impero marittimo. Siccome per i suoi fini era molto meglio ch'egli non fosse noto come l'autore di questo libello, lo fece pubbllicare in modo cosí abile che durante tutta la sua vita non si seppe che avesse qualcosa a che fare con esso. Sembra strano che nessuno lo sospettasse; ma si deve credere che i veneziani ancora non lo conoscessero bene, i suoi modi vivaci e impulsivi, con i quali si presentava, non permettevano loro di pensare che un uomo con un carattere cosí impetuoso potesse essere l'autore di una satire di stato di gran raffinatezza e sottigliezza. L'equità e la buona fede sembravano dominare questo testo; le dichiazioni contro i delitti dei veneziani che vi si trovavano, erano sempre nei termini di una apparente moderazione, che sola bastava a renderle plausibili. Quest'opera che ebbe per titolo: “Squittinio della libertá veneta” fece molto discutere. Non sapendo chi ne fosse l'autore il sospetto cadde naturalmente sulla corte romana, per via di altri scritti simili precedenti. Gli esperti del senato credettero che tutti ne sentissero la forza quanto loro stessi; se ne spaventarono di piú di una battaglia perduta, Frate Paolo ebbe l'ordine di esaminarla. Costui, che si era preso gioco di altri scrittori del partito avverso, dichiaró che in questo caso non conveniva rispondere, perché si sarebbe potuto farlo solo spiegando cose che era meglio lasciare sepolte nelle tenebre dell'antichitá e che se, tuttavia, il senato riteneva che la dignitá della repubblica soffrisse di questo oltraggio, egli si incaricava di mettere la corte di Roma in uno stato di tale ansia difensiva, che non avrebbe piú nemmeno pensato ad attaccare. Questo parere, che fu subito accettato nel fuoco del risentimento, permise a Fra' Paolo sarpi di pubblicare la sua amata “Storia del Concilio di Trento” che altrimenti non sarebbe stata pubblicata durante la sua vita. L'anno 1616 passó senza che nessuna delle due parti conseguisse un vantaggio considerevole. Il Duca di Savoia e i Veneziani, che non volevano far correre rischi di sorta alla gloria conquistata, diedero a Gritti, ambasciatore veneto a Madrid il mandato di riaprire i negoziati. Gli Spagnoli, indignati per la resistenza incontrata avanzarono proposte tanto irragionevoli, che la cosa non ebbe seguito. Gradisca restó bloccata, si continuó a battersi per tutto l'inverno, e gli eserciti si misero in campagna, giunta la primaver, a con un ardore tale che prometteva imprese ancora più grandi di quelli dell'anno anteriore. La tregua in Olanda aveva reso inutili quasi tutte le truppe di quello stato e ridotto gli avventurieri francesi e tedeschi a cercare impiego altrove. I conti di Nassau e di Lievenstein condussero ottomila olandesi e walloni al soldo della repubblica. Gli Spagnoli si lamentarono molto con il Papa del fatto che in questo modo i Veneziani esponevano l'Italia all'infezione dell'eresia veicolata da questi uomini d'arme; ma l'ambasciatore veneziano fece presto comprendere che non era tanto la devozione religiosa che faceva parlare gli Spagnoli quanto piuttosto il timore di vedere due grandi repubbliche unire le forze contro di loro. Il marchese di Bedmar avrebbe avuto dei bei problemi se il Papa avesse obbligato i Veneziani a licenziare quegli eretici. Siccome la maggior parte degli uomini d'arme quando servono un principe straniero non hanno in vista che il loro tornaconto, egli sperava di arruolare per i suoi fini queste truppe mercenarie, con un poco di denaro e la speranza del saccheggio di Venezia. Per negoziare questo affare mise gli occhi su di un vecchio gentiluomo francese, tal Nicolas de Renault, uomo di sapere e prudenza e che era rifugiato a Venezia per qualche oscuro motivo che non si riuscí mai a scoprire. Il marchese di Bedmar lo aveva frequentato a lungo presso l'ambasciata di Francia ove risiedeva.


César Vichard Abbé de Saint-Réal.

Trad. genseki

lunedì, novembre 09, 2009

Gaspard de la Nuit

Il Vespro

Quando a Pasqua o natale la chiesa verso sera
Si riempie di passi confusi e di ceri profumati.

Victor Hugo
Canti del crepuscolo

Dixit Dominus meus: Sede a dextris meis
Vespro


Trenta monaci spulciavano foglio per foglio i loro breviari unti come le loro barbe, lodavano Dio e mandavano il diavolo al suo ninferno.

"Madamina, le vostre spalle sono un mazzolino di rose e di gigli." E il cavaliere, inclinandosi cavò un occio al suo valletto con la punta della spada.

"Vi fate beffe di me!" - mormorava la smorfiosetta - "Vi divertite a farmi perdere il segno".
"Madamina, è l'Imitazione di Cristo, quella che state leggendo?"
"Macchè, è il Oracolo di galanterie amorose".

ma già i salmi erano stati cantati. Ella chiuse il libro e si alzó. "Andiamo, per oggi abbiamo pregato abbastanza."

A me, povero pellegrino inginocchiato in disparte proprio sotto l'organo parve che si udissero gli angeli scendere melodiosamente dal cielo.

Feci appena in tempo a cogliere da lontano un poco di profumo di incenso e Dio permise che potessi spigolare i chicchi del povere al fondo della sua ricca mietitura.

Aloysius Bertrand
Trad. genseki

Wolfram von Eschenbach


Se il dubbio fa il suo nido

Nei pressi del cuore
Ecco che presto nascerá amarezza.

Parzifal


domenica, novembre 08, 2009

Far pulizia per mezzo del vuoto

Il monaco raggiunge io suo scopo quando i suoi pensieri si calmano e non quando ha studiato molto. O voi che cercate lo spirito per mezzo ello spirito apprendendo dagli altri voi non fate altro che prendere e apprendere. Ma dove pensate di potr andare in questo modo? Gli antichi erano ben vivi. A loro bastava aver compreso una parola sola e smettevano di studiare, cosí si è detto di loro che erano discepoli pigri "che non facevano più nulla dato che non studiavano più". Oggi tutti vogliono sapere molte cose e imparare sempre di più. Si progettano grandi programmo di ricerca testuale sui sutra e questo lo si chiama "pratica", ma si ignora che le conoscenze teoriche troppo estese finiscono per trasformarsi in un coperchio soffocante. Quando si da molto latte da bere a un bebe, si dovrebbe sapere se sará in grado di digerirlo oppure no, Invece sempbra che non se ne sappia niente. I discepoli dei tre veicoli sono fatti tutti così. Soffrono tutti di indigestione, una indigestione di nozioni teoriche che è un po' come un avvelenamento, un'intossicazione che si manifesta in ció che è sorto per sparire. Nella quiddità non succede niente del genere. "Lame di questo ttipo non ne ho nel mio tesoro reale".
Bisogna "far pulizia per mezzo del vuoto" di tutte queste vecchie teorie. Quando non c'è più nessuna discriminazione si cade nel vuoto dell'embrione del Tathagata. L'embrione del Tathagata, che non è sporcato dal minimo granello di polvere, è la manifestazione nel mondo del "re della spiritualità che invalida l'essere". Quando il Buddha dice di "non aver trovato nessuna realtá" in Dipamkara, la sua sola intenzione è quella di liberarvi dei vostri affetti e delle vostre teorie intellettuali. "L'uomo senza qualitá" è colui che ha lasciato che la superficie e il fondo si fondano fino al punto in cui le passioni spariscano nell'assenza assoluta di un punto di appogio.

Huangpo
Dialoghi
Trad. a cura di genseki

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venerdì, novembre 06, 2009

Nicola Cusano III

Dell'apice della teoria parte III

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genseki

Pietro

Vedo le cose che dicesti, sebbene superino le mie capacità. Infatti che cosa potrebbe saziare il desiderio della mente se non il potere stesso, il potere di ogni potere senza il quale nulla si può? Infatti se qualcosa potesse essere senza il potere stesso in che modo lo potrebbe senza potere? E se senza potere non potrebbe, così dal potere stess avrebbe ciò che può.

Non si sazia la mente se non comprende ciò di cui nulla è migliore. E questo non può essere che il potere stesso, cioè il potere di ogni potere. Vedi bene dunque che solo il potere stesso è ciò che da ogni mente è cercato, il principio del desiderio mentale, poiché di cui nulla vien prima, e il fine di quel desiderio mentale, nulla oltre il potere stesso potendo essere desiderato.

Il Cardinale.

Ottimamente. Vedi ora Pietro, quanto ti giova la consuetudine dei colloqui e la lettura dei miei opuscoli, affinché tu mi comprenda meglio. E non dubito che tu vedrai intorno al potere stesso quelle stesse cose che io vedo non appena vi applicherai la mente. Infatti presupponendo ogni domanda intorno al “può” il potere stesso non vi si può opporre nessun dubbio; nessun dubbio infatti sfiora il potere stesso.

Chi infatti si domandasse se il potere stesso sia, subito, non appena vi riflettesse, vedrebbe che la domanda non è pertinente, non potendo senza potere cercare il potere stesso. Meno ancora si può ricercare se il potere stesso sia questo o quello, giacché il potere stesso presuppone e il poter essere e il poter essere questo e quello. Così il potere stesso precede ogni dubbio che possa sorgere. Non vi è infatti nulla di più certo di quello, dal momento che il dubbio stesso non può che presupporlo, né alcunché più sufficiente o più perfetto quello può essere trovato. Così nulla può esservi aggiunto né tolto o sottratto.


Trad genseki

mercoledì, novembre 04, 2009

Mondi intermedi

Victor Hugo

Da: L'Uomo che ride

Il sonno frequenta cupe compagnie fuori dalla vita; sopra i dormienti fluttua il pensiero in decomposizione, un vapore vivo e morto si combina con il possibile che forse, in qualche modo, pensa nello spazio. Da qui i grovigli. La fitta nuvola del sogno si sovrappone alla trasparente stella dello spirito. Sopra le palpebre chiuse, dove la visione ha preso il posto della vista, una disgregazione sepolcrale di sagome e figure si dilata nell'evanescente. Una misteriosa dispersione di esistenze si mescola alla nostra vita sul bordo mortale del sonno. È nell'aria che larve e anime si intrecciano. Anche chi non sta dormendo avverte su di sé il peso di quella vita sinistra. Lo attornia una chimera, realtà intuita, e lo turba. L'uomo sveglio che cammina attraverso i fantasmi del sonno altrui, respinge confusamente forme che gli passano accanto, e ha, o crede di avere, l'orrore vago dei contatti ostili con l'invisibile, e a ogni istante avverte l'urto oscuro, l'inesprimibile incontro che dilegua. Camminare nella notte popolata di sogni è come attraversare una foresta.


I piedi

Dreiser Cazzaniga era un feticista al contrario, ci deve essere un termine tecnico per indicare qualche cosa del genere ma non lo conosco. Dreiser Cazzaniga detestava i piedi, in ispecie quelli femminili. I piedi sono inevitabilmente una parte del corpo, non hanno nessuna possibilitá di essere considerati altro che una parte del corpo, Questo era ció che Dreiser Cazzaniga non riusciva proprio ad accettare: i piedi come due animali dotati di vita propria appiccicati ad un corpo con pretese di bellezza. Due animaletti ben capaci di moine graziose e di espressioni accattivanti ma pur sempre due animaletti, due ciechi grumi di materia cioè di morte in un corpo che si pretende oggetto e soggetto di amore, coè di soggetto e oggetto dello spirito. I piedi non riescono mai a giungere alla fisionomia però ne sono spesso la caricatura. Naturalmente detestava ancor più le unghie dipinte, specialmente di blu o di verde. Dovettero passare molti anni perchè infine potesse accettare con una certa calma di avere anche lui due piedi. ma sol come poderosi supporti della corsa, prese dell'energia della terra, li accettava solo immaginandoli come radici. Nonostante tutto finì per esser un viandante in sandali, Anche in stagioni poco propizie come l'autunno.
genseki

lunedì, novembre 02, 2009

domenica, novembre 01, 2009

Corpo narrato, corpo salvato

Per l'uomo, che vive nel linguaggio e per il linguaggio, la sola maniera di accettare di possedere un corpo, di vivere in un corpo biologico con la sua fisiologia atroce è di sovrapporre ad esso un corpo simbolico. Un corpo simbolico che, in qualche modo, funzioni da intermediario tra la coscienza e il corpo fisiologico. la coscienza non può mai essere brutalmente e direttamente coscienza di un corpo biologico. Essa ha bisogno della mediazione del simbolo.

Credo che questa possa essere una delle ragioni del successo delle medicine alternative più eccentriche.

Normalmente esse fanno appello a potenti forme simboliche che si sovrappongono anche graficamente al corpo.

Questa è la funzione per esempio dei chakra che da elementi circondati da un qualche alone esoterico sono diventati parte del linguaggio e dell'immaginario di qualunque apprendista pettinatrice.

Il nostro corpo puó e debe essere letto grazie a strumenti di questo tipo. E la possibilitá di leggerlo è giá una garanzia di guarigione. Guarigione dal fatto di essere un corpo fisico. Nessuno può incontrarsi con il corpo fisico, con il reale corporale senza esserne annientato. Ammesso che sia possibile accedere al reale corporale senza l'intermediazione del linguaggio. Il corpo deve poter essere narrato perché si possa concepire che possa essere guarito. Apparentemente questa sembrerebbe anche la funzione dell'erotismo. Un corpo erotico è un corpo-linguaggio, un corpo-racconto, un corpo-parabola. Il corpo sessuato è il reale atroce che la pornografia cela facendo come se lo disvelasse. Perché la veritá del corpo è la morte e la sola certezza di immortalitá è il verbo.

genseki