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martedì, ottobre 14, 2014

A fuoco alto

Sono passati mille anni e non era che un giorno
Sonno prendilo per i piedi buttalo nella spazzatura
nel fieno della sua tenerezza raggomitolato pugnala la vita
che il cancarone sparso nella stalla sporchi il sangue carte su tavola niente
nelle tasche niente nelle mani niente niente piú niente
sono passati mille anni e era una notte sola
un pesce spaccato per la lunghezza tiepida e il sogno ci risucchia nelle sue viscere
aperte i claxons non hanno piú forza i camion si sono parcheggiati
agli orologi nessuna finta

mezzanotte passa il mondo passa
e io passo tutto passsa ammassiamoci coprifuoco nella folla densa lenta non vi è ness'unaltra via d'uscita fa freddo fa caldo e il sogno è una carta assorbente ancora un mucchio di ferraglia tra invincibili saluti dell'aurora tra gli stracci infamanti delle infanzie squisite del ricordo caldaie da bucato in testa materassi materassi sul tetto delle auto vi ho visto in Spagna e il dolore mi fa ancora fremere con tutta la ridicola potenza che l'uomo crede aver domato ne abbiamo viste molte altre e la paglia e l'asse la quaglia e il fucile delle poltrone Luigi XV a brandeburghi sul petto e delle casse gabbie bagagli tutto forbito colocato infangato macchie di sangue sulle lenzuola gli sguardi fustigati perduti nei ritornelli adulterini delle tracce di passi nel fango che sappiamo delle case abbandonate della morbida intimitá desbordante dalle viscere del pesce sventrato dal confuso ammasso dei pensieri stonacati dei maniaci muffe delle ripetizioni e degli stracci coltivati in giardini pensili di tutte le miserabili grandezze e del latte oscuro della passione la vita multiple degli umani naufragati che siamo mucchio di imbecilli abbandonati a la noncuranza dei solstizi tenera tenera è la notte
agli scampati della paura
il sonno immobile
la pietra al collo


mille anni sono trascorsi e era una sola notte
non sono re magi che sento sotto la finestra non sono buone notizie che sento abbuffare lo spazio non è la porcellana dei gorgheggi
tra i rami gioia aperta ai bambini
che odo nella mia miseria
sono nudo di speranza
annodata all'albero vertiginosa ramificazione di fronde aspetto la folgore e il lampo
mi offro all'ascia del taglialegna dall'alto in basso e con un solo coplo che spezza la vendetta della terra e si rianima la folgore nei pressi del mio sfinimento
son passati mille anni e solo era una notte e anche questa notte notte i re magi marciano a scaldare la gioia dei camini cantando trasformare la sabbia in erba dolce la pietra in sorgenti e le ortiche in cristallo nelle conchiglie c'è sempre il riso lontano soggiorno delle caravelle di briganti mille anni di riso in una sola conchiglia e mille conchiglie chiuuse nel cuore della mia ben amata dove sei testa di spiedo
in quali onde di velluto si è perso il sogno assurdo di nuovo le strade si sono alzate con il sole lentamente lentamente gli occhi sbattuti la nebbia in testa nel ventre quanti kilometri dalla Porta della Muta un mondo intero ci separa
è giorno a Parigi non ci sono piú venditori di vestiti Parigi è cieco e le discariche sono vuote i mercati coperti di tegole di silenzio la Flora tapezzata da rose del deserto notte nera non riconosco piú le strade del mio quartiere avanza dunque testa d'impagliato
a Parigi non ci sono piú patate fritte è scuro a mezzogiorno ecco l'artiglieria sbocca a in senso contrario è spenta e grigia come la nostra avanzata andate testa di porco
è il crepitare della mia giovinezza che sibila tra le mitragliette leggere anch'essa spente
specchio senza risorse,
Parigi Parigi mia cittá aperta ritorno indietro cittá aperta agli assassini vestiti a festa cittá proibita venduta insozzata tumefatta nella luce insradicabile della tua primitiva fierezza la Tour Saint-Jacques resta ove risuona il riso di Desnos e il riso ricade in mille petali di polvere sollevano sul selciato lo spavento degli usignoli sono e battelli lavatoio che vanno a la deriva è l'Ile de la Citá dove si imbrogliano le ali i canti sono costernati in pose eterne i gesti familiari ritrovati a quest'ora si dice che non la rivedremo mai piú
Rigaud gare Montparnasse Benvenuta stazione a te cosí vanno le cose all'immortalitá se credere in una buona partenza non fa male a nessuno i nostri sono partiti portandosi via il nostro cuore pezzo per pezzo e mattone dopo mattone si spoglia la cittá dei pianti
Crevel Passy Concorde strazi dementi fummo di questo mondo ove manate di mani nascevano sullo slancio amico delle libertá tenaci la Senna tra Via du Beaune e des Saints-Pères quante sbornie colarono nelle nostre vene e se en andarono ad ingrossare i debiti dell'aurora o Closerie questa notte o visto affondare tanti lillá nelle tombe aperte che la mia vista si confonde
quanto altri lo hanno conosciuto come Unik di Via Vaugirard l'Ile Saint-Louis Montmartre Auteuil Porte Saint-Denis era la guerra di Spagna al tempo della purezza e noi correvamo al centro incandescente di braci nessun orrore al mondo ci avrebbe fermato tanto i nostri cuori martellavano alla stessa cadenza la tragedia serena che ricopriva il sangue delle strade
Madrid pietra sigillata nel mio dolore antica cittá chiusa all'amore come il mio amore tradito Parigi mia cittá aperta torno indietro i sentieri battuti delle mie giovano estati ove sono le passeggiate e scoprendo Parigi la Ferme di Belleville o il libro d'ore pagina a pagina al tornante delle risa Paul ancora ti vedo tra il manifesto LU e quello di Bovril la Porte de la Villette che amavi come un indovinello la cittá si gargarizza di claxons d'autobus i rami dei metro fanno scaturire geysers le donne sono regine vanno come chiatte ignare della loro bellezza le loro teste sono altrove
en abbiamo contato i carichi impalpabili tesori che passano a filo d'acqua passaggi o passaggi pazienti impazienti passiamo sui nostri amori ci porterebbero troppo lontano le fiamme si sono spente ai quattro angoli del mondo e i miei amici sono morti proprio nel cuore di Parigi
non sono mica nato ieri
e le rime intorno alla vita il sole a bandoliera le dolci pozioni torttando alle mie tempie l'aria di festa che attraversa il petto la gaiezza carnale che si eleva
offerta in onore di questa luce


Tristan Tzara
da “ A Haute Flamme”
trad genseki

giovedì, ottobre 02, 2014

Origini



Ho conosciuto la tua fonte, o fiume:
Era acqua frizzante come l'uncinetto che rapido attraversa
L'indumento rigido della roccia. Sì, per davvero,
Fiume, ho conosciuto la tua fonte.

Con il palmo della mia mano ho toccato la tua frescura,
Il tuo indimenticabile splendore
l'erba novella era in attesa del tuo bacio.
Con il palmo della mia mano ho toccato la tua frescura

Rossa e nera era la forma eterna della roocia
scolpita dal vento, da cima a fondo
In estate roventi, inverni a lungo dimenticati.
Nera e rossa era la forma eterna della roccia.

Proprio cosí, non l'avrei mai lasciata la tua fonte
Mi ci sarei bagnata, piuttosto, battezzata , e illuminata
nella sua primordiale luce santa,
No, no, non l'avrei mai lasciata la tua fonte.

Nina Cassian
Trad genseki


giovedì, settembre 11, 2014

Nina Cassian

Allegria

Godo quando confondo i mei capelli con voi, foglie autunnali,
Quando corro nel folle bosco, ridendo, scivolando, graffiandomi
Le  guance contro le cortecce rugose,
Gioisco quando lancio il mio grido solitario e profondo
Nell'autunno che rosseggia,
Sotto le volte d'oro secco, tra i sussurri del vento,
Mi piace fuggire, cadere, ridere sulla terra decorata
Dal tuo sorriso giallo
Autunno!

*

Volavano

A partire da quel momento, comicia a fare tutto
Due volte.
Al posto del braccio 
Gli spunta  un'ala.


Lui aveva l'ala sinistra
Lei quella destra
Come un solo corpo tra due ali
Volavano
Volavano
Respiravano tra le due ali
Lei - con il polmone destro,
Lui - con quello sinistro
Attraverso un cielo saturo d'oro
Come una lunga navicella d'oro,
Come una chiave d'oro,
Volavano ...
Nell'oro ...
Volavano ...
Nell'oro ...

Trad. genseki

mercoledì, settembre 10, 2014

Nichita Stanescu


Nichita Stanescu

La proclamazione del nome

Dapprima ti stringi nelle spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie
Dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
Poi dici:
Ecco, sto volando, e questo effettivamente è il volo
Ti stringi nella spalle
Come gli affluenti di un grande fiume
Chiudi gli occchi, come le nuvole
Che accerchiano il campo
Ti sollevi sulla punta dei piedi
Come la piramide si eleva sulla sabbia
Rinunci completamente all'udito
All'udito di tutto un secolo
Poii dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
È proprio questo il momento giusto,
Raccogli i tuoi fiumi
Proprio come raccogli le spalle
Ti sollevi sui belati caprini
Dici: "Nevermore"
E subito dopo: - "frufru" - "accipicchia" -
Sbatti le ali di un altro
Che resterá per sempre
Un altro.

Trad genseki

venerdì, settembre 17, 2010

Sul sentiero delle stelle marine

Tristan Tzara

Sul sentiero delle stelle marine

A Federico Garcia Lorca

Che vento soffia sulla solitudine del mondo
Che mi sovvengo degli esseri cari
Fragili desolazioni aspirate dalla morte
Oltre le cacce gravi del tempo
Godeva il temporale della sua prossima fine
Che sabbia non arrotondava giá la dura anca
Ma sulla montagna sacche di fuoco
Vuotavano a colpi sicuri la luce di preda
Pallida e corta come l'amico che si spegne
Di cui nessuno piú sa dire il contorno a parole
Nessuna chiamata all'orizzonte ha il tempo di soccorrere
La forma misurabile solo quando scompare

E così da un lampo all'altro
L'animale sempre tende la groppa amara
Lungo i secoli nemici
Attraverso i campi sicuri di parata d'altra avarizia
E nella sua rottura si profila il ricordo
Come la legna che scricchiola segno della presenza
Della necessitá disperata.

Ecco anchei frutti

Non dimentico i frumenti
E il sudore che li ha fatti crescere sale alla gola
Eppure conosciamo il prezzo del dolore
Le ali dell'oblio e i foraggi infiniti
A fior di vita
Le parole che non giungono ad afferrare i fatti
Nemmeno per usarle per ridere

Il cavallo della notte ha galoppato dagli alberi al mare
E riunito le redini di mille oscuritá caritatevoli
Si è trascinato lungo le siepi
Dove petti di uomini trattenevano l'assalto
Con ogni mormorio aggrappato ai fianchi
Tra immensi ruggiti che si acchiappavano
Sfuggendo la forza dell'acqua
Incommensurabili si susseguivano mentre micromormorii
Non erano deglutiti e galleggiavano
Nell'inesporimibile solitudine solcata dai tunnel
Le foreste di mandrie delle cittá i mari aggiogati
Un uomo solo al soffio di molti paesi
Riuniti a cascata scivolando su una lama liscia
Di fuoco sconosciuto che s'insinua a volte la notte
A perdere coloro che il sonno assembla
Nel ricordo profondo

No non parliamo piú di quelli che si sono avvinti
Ai fragili rami, al mal umore della natura
Gli stessi che subiscono i rudi colpi
Tendono la nuca e sul tappeto dei loro corpi
Quando gli uccelli non piangono piú i chicchi del sole
Suonano i rigidi stivali dei conquistatori
Mi sono usciti dalla memoria
Gli uccelli cercano altri impieghi di primavera
Al loro calcolo delle sinecure
Per greggi affascinanti di sgomento
Il vento sulla nuca
Che metttano loro in conto il deserto
Al diavolo i sottili avvertimanti
I divertimenti coquelicot e compagnia bella
Raschia il freddo
La paura cresce

L'albero secca
L'uomo si screpola
Sbattono le persiane
Cresce la paura
Nessuna parola è abbastanza dolce
Per ricondurre il bimbo delle strade
Sperduto nella testa
Di un uomo sull'orlo della stagione
Guarda la volta
E l'abisso
Pareti stagne
Fumo nella gola
Il tetto si sgretola
Ma l'animale famoso impennato
Nell'attenzione muscolare distorto dallo spasmo
Della fuga vertiginosa del lampo di roccia in roccia
Si scatena all'appetito della gioia
Il mattino rifá il mondo
Alla misura del suo giogo

Predone dei mari
Ti sporgi per l'attesa
E ti alzi e ogni volta che saluti il mare ai tuo piedi
Sul sentiero delle stelle marine
Deposte da colonne d'incertezza
Ti sporgi ti sollevi
Saluti smazzati a strisce
E nel mucchio devi muoverti
Anche evitando le piú belle devi muoverti
Ti sporgi
Sul sentiero delle stelle di mare
I miei fratelli gridano di dolore dall'altra parte
Bisogna prenderli intatti
Sono le mani del mare
Offerte a uomini da nulla
Sentiero glorioso sul sentiero delle stelle marine
“Alcachofas alcachofas” la mia bella Madrid
Dagli occhi di stagno dalla voce di frutta
Aperto ai quattro venti
Vapor di ferro ondate di ferro
Sono gli splendori del mare
Bisogna prenderle intatte
Quelle sui rami spezzati rovesciati
Sui sentieri delle stelle di mare
Dove porta tal sentiero al dolore porta
Gli uomini cadono quando vogliono rialzarsi
Gli uomini cantano perché hanno assaporato la morte
Eppur bisogna andare
Calpestare
Il sentiero delle stalle marine con colonne di incertezza
Ma ci si impiglia nella voce delle liane
“Alcachofas alcachofas” la mia bella Madrid dalle luci basse
Aperta ai quattro venti
Che mi chiama – lunghi anni – d'ortiche
Testa di figlia del re figlia di puttana
Ê una testa è l'onda che si spezza
Comunque è il sentiero delle stelle marine
Che si sono aperte le mani
E non parlano della bellezza dello splendore
Null'altro che riflessi di minuscoli cieli
E impecettibili strizzate d'occhio tutt'intorno
Onde spezzate
Predone marino
Ma è Madrid aperta ai quattro venti
Che calpesta le parole nella mia testa
“Alcachofas alcachofas”
Capitelli di grida irrigidite

Apriti cuor infinito
Per penetrare il sentiero delle stelle
Nella vita innumerevole come la sabbia
E la gioia dei mari
Che contenga il sole
Nel petto dove brilla l'uomo di domani
L'uomo d'oggi sul sentiero delle stelle di mare
Ha piantato il segno avanzato della vita
Come va vissuta
Il volo liberamente scelto dall'uccello fino alla morte
Fino alla fine delle pietre e delle etá
Gli occhi fissi sulla sola certezza del mondo
Da cui scorre la luce spazzola a fil di suolo

Tristan Tzara
Trad. genseki

mercoledì, settembre 15, 2010

Tristan Tzara

Le porte si sono aperte senza rumore sono ali
Di gravose lande dalle braccia distese
Steppe di ferro scavalcano i canali
Ove si sparsero le ossa delle carovane perdute
I corpi tesi delle strade pensili
Bruciano il gargarozzo delle folle fredde
Selvaggia luce dorme nel letto del fiume
La vitrea prora dell'aria fende
Occhi maturano nel carcere del mare
Dormono nei numeri
Ciottoli piatti tra i raggi nutrienti
Nessun dolore tenta onde di labbra
Noia naufragata sulla spiaggia dei selvaggi tessuti
Le clessidre dei corpi del sole
Fissano l'ora e l'aratro
Fumo
Linea
Boa
Nube di fiumi impetuosi riempie la bocca arida
L'uomo ni incontra l'uomo
Non incontra la barriera di pietra e i ghiacciai di uomini nudi
Nudi non hanno visitato questi luoghi sono ali
Le porte si sono aperte senza rumore
Nessuno tremerá – un grido tormenta la lana
L'esistenza stessa
Le pessime tracce delle tormbe
Perforatrici di tempeste sono ancora ali
Sotto scaglie radicali si crogiola un sole di millenari avvoltoi
Suonano lampi nella spossatezza delle acque.

Da: Ove bevono i lupi
1932

trad genseki

lunedì, febbraio 08, 2010

Nichita Stanescu

Lezione di volo

Per prima cosa stringi le spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie.
Dici a te stesso:
Ora prenderó il volo.
Poi dici:
Eccomi in volo, tutto qua?

Stringi le spalle
Come i fiumi che si radunano in uno solo
Chiudi gli occhi
Come fanno le nuvole intorno al campo.
Ti sollevi sulle punte dei piedi
Come la piramide emerge dalla sabbia.
Rinunci all'udito
L'udito di un secolo intero
Poi dici a te stesso:
Adesso prenderó il volo
Dalla nascita alla morte.
Poi dici ancora:
Volo -
Era proprio il momento giusto.
Raduni i tuoi fiumi
Come le tue spalle
Ti innalzi tra belati di capre
E dici: Nevermore
E subito dopo: froufrou, flûte!
Sbatti le ali di un altro,
E poi
Diventi questo qualcun altro
Che, lui, resterá per sempre
Quel qualcun altro.

Trad. genseki

sabato, febbraio 06, 2010

Ion Barbu

Ion Barbu

L'Ultimo Centauro

L'ultimo giorno si affrettó da loco a loco
Attonito... Al tramonto ratto si dispiegó
Sul crepuscolo verde, screpolando il travertino
Con il calice reale dei pensieri nella bestia cresciuti...

Fusero gli altopiani il raro blocco
Sera, al freddo bianco con la carne cosparsa
Uscí come chiocciola di vapore, mentre sradicato
Schiariva nella notte un cuore di fuoco.

Permanenente carnefice, l'ombra – lama, elsa -
Ricadde sulle braci con i suoi fili gravi
E la sfera lucente si dissolse in frammenti.

Già s'addorme la terra. Nessun centauro errante:
Solo il trotto mai spento della limpida mandria
È sogno di miniere di sorgenti dorate.

Trad. genseki

lunedì, dicembre 21, 2009

Due testi di Tristan Tzara

Fu allora che un fuocherello si fece largo tra gli uomini
O Spagna madre di tutti coloro che la terra non ha cessato di mordere da quando hanno avuto la crudeltà di vivere
Forza del sole alle putrelle di vecchi pani
Nessun sorriso che non si sia disfatto in sangue
Con gli occhi sbarrati hanno taciuto le campane
Bambole di terrore mettono i bimbi a letto
L'uomo si è spogliato del mistero delle parole
Le campagne mostrano gli artigli le case spente
Quelle ancora in piedi nei sudari si asciugano al sole
Sparite immagini pietose ai nudi denti
Risuonano gli stivali della mercede dei traditori

Avrei avuto per me la chiarezza
Sulle strade di Joigny dal sole collegato
Che sono io protetto da un'apparenza in marcia
Undici anni di morte sono passati su di me
E la brughiera non ha atteso il prezzo della sua foga
Non ha atteso la ricompensa della sua calma
Per manifestare alla vita un pomposo rinascimento
Mentre scorza ruvida di monte a raffichi
Correndo ho superato l'immrtalitá dell'illusione...

*

L'acqua scavava lunghe fanciulle

L'acqua scavava lunghe fanciulle all'ombra della sabbia. Ci incrostammo nella notte. Nessuna angoscia ha resistito alla virulenza occulta. Lontano dalle pietre, nel loro centro. Le spine non hanno conosciuto ragioni migliori per annientarsi. Un frutto, il rimorso, come una capsula di luce. E al centro la corono con la corona di spine. Luce immensa che getta sulla spiaggia frutti non sopiti, in brandelli, succosi precursori della morte. Ecco tutta la povertá della campagna. I fatti inassopiti.

L'assenza di sogno, né grave né triste. Per sempre rocciosa e venata di epoche lontane, di ricordi vinosi e di corse verso la morte. Immutabile melancolia di coperte d'acqua che un dormiente di carbone stira per coprirsi fino al collo. A braccetto se en andarono le onde dai luoghi del penseiro e non lasciarono al gusto salino che il feddoloso ricordo del sole.

Brutta, la faccia cambió luci con il faro. E gli animali mostruosi ritorvarono la loro placida postura nel cavo dell'oblio. Tutta la desolazione immensamente fosforescente di una mano tesa a un tornante di mare.

Mezzanote per giganti in “L'Antitesta” 1933

mercoledì, dicembre 09, 2009

Lucian Blaga

Canzone dell'origine

All'origine, alla sorgente
Solo in forma di nubi
Tornano l'acque.
All'origine, alla sorgente
Con nostalgia vanno i sentieri
Acque, sentieri, nubi, nostalgia
Quando domani torneró alla fonte
Acqua saró, o nube
O nostalgia?

Trad genseki

lunedì, novembre 23, 2009

Lucian Blaga

L'eone dogmatico

Posto di fronte al mistero metafisico, lo spirito credette in un certo momento che avrebbe avuto il diritto di formularlo anche senza comprenderlo. Questa sfida supera tutte quelle mai lanciate dal pensiero degli uomini. Normalmente l'intelletto formula solo ciò che si può ridurre a termini e relazioni logiche. Oppure anche fatti di intuizione, che, nel caso in cui non siano pensabili logicamente, risultano comunque organizzabili attraverso l'incorporazione del concreto alogico in nozioni. (L'alogico puó essere trattato in questo modo). Esso, tuttavia, non cerca di formulare prorio nulla se non è data nessuna di queste possibilitá. Per l'intelletto qualche cosa è “formulabile” nele senso ampio del termine, quando è “razionalizzabile”. Ogniqualvolta pensó di trovarsi di fronte a un oggetto non razionalizzabile, trascendente o empirico, la filosofia rinunció a qualunque formulazione. Solo la metafisica dogmatica osó proporre formule che stessero in disaccordo con le funzioni logiche dell'intelletto. La metafisica ebbe i suoi grandi momenti in India e in Grecia. Un tema seducente, come sappiamo, sul quale sono state scritte moltissime variazioni. A qualcuno è venuto in mente qualche volta di parlare, in questo contesto, cioè in un contesto puramente filosofico e “comme il faut”, anche del dogma di Filone, degli Gnostici o dei Cristiani? I Santi Padre, oltre il pensiero magico, nel quale caddero con una certa frequenza, e della produzione ingenua nella quale si compiacquero, mostrarono anche un senso singolarmente profondo per la metafisica che merita di essere messo in rilievo. Il dogma, e non parliamo di un dogma determinato ma del dogma come metodo di pensiero, è un procedimento metafisico per eccellenza, non è l'unico, certo, ma ha in sé il significato di un punto di arrivo, di una conclusione di tutti gli altri metodi, ne è come la corona. La mente greca, brillante per la sua curiositá, i doni plastici e metaisici si azzardó fino solo sul limite della scienza “Dell'aldilà”, ivi compreso Plotino, un gran maestro della riflessione metafisica, che comunque non restò completamente tagliato fuori dal dogma.
In un certo senso, tuttavia i Padri della Chiesa sono solo contingentemente metafisici. I loro costrutti sono moltompoco orientati cosmicamente, troppo unilaterali centrati in elementi singolari ibridamente mescolati con elementi non filosofici. Paradossalmente, risultano essere invece dotati della più profonda attitudine metafisica. Dal punto di vista filosofico, la metafisica di Plotino è indiscutibilmente piú monumentale, matura e libera da elementi che minaccino la purezza della filosofia di quanto non lo sia la metafisica patristica. La maniera di enunciare dei padri, la loro abilitá nel mettere in evidenza il mistero senza razionalizzarlo, la fredda rinuncia alla logica una volta che se ne siano esaurite tutte le sottigliezze, l'estrazione dei concetti dal loro ingranaggio logico per dotarli di poprietá differenti, sono aspetti della spiritualitá patristica in grado di impressionare ancora oggi. Non negheremo che i dogmi menzionati, cristiani o non cristiani, risultino per il loro contenuto, strani. E non perché siano “assurdi”, bensí perché sembrano caduchi. “L'assurdo”, nel significato speciale che assume nella sfera dogmatica, non è un motivo sufficiente per rifiutare una formula. Nei dogmi in discussione si concentra un materiale molto antico. Inoltre nei loro elementi costitutivi i combinano, secondo un criterio che urta contro la nostra mentalitá, sequenze di pensiero astratto con sequenze magiche e mitologiche, con molte delle quali non abbiamo ormai piú nessuna affinitá spirituale. Ai momenti mitici si attribuisce lo stesso valore che a quelli astratti. La supposta equivalenza tra logo e mythos compromette, secondo noi piú i dogmi in questione che non il metodo dogmatico in se stesso. Non avremmo nessun problema ad accettare dogmi che si situino esclusivamente sul piano mitico, e neppure dogmi elaborati esclusivamente sul piano concettuale. Tuttavia non con dogmi - giochi incoerenti – in cui i due piani si sostituiscono capricciosamente e si confondono ad ogni passo. ecco perché, tra molte altre ragioni, i dogmi analizzati e altri simili non possono in alcun modo i nostri dogmi. La domanda è se coloro che rifiutano i dogmi per il loro contenuto caduco comprendono a sufficienza l'ateggiamento spirituale che portó alla loro elaborazione. Pensiamo di no. Fino ad oggi non si è intrapresa una analisi minuziosa della struttura dei dogmi e dei loro procedimenti. Se si fosse intrapesa, almeno nella misura in cui lo si fa in questo saggio, si sarebbe notato che, a parte i dogmi che provocano rifiuto per il loro contenuto, c'è anche uno spirito dogmatico, un metodo dogmatico, che, una volta attualizzato potrebbe generare nuovi dogmi miracolosamente convergenti con le necessitá spirituali del nostro tempo: dogmi, cioè, forgiati con elementi mitici o concettuali estratti dalla coscienza dell'attualitá.
A noi i dogmi del passato possono appena servire come pretesti per stabilire un “tipo di conoscenza” o di “ideazione”, se si preferisce. È possibile qualche cosa del genere? Per centinaia di anni i filosofi pensarono così. Lo si verifica con la storia alla mano. Se fu possibile un tempo, si debe ammettere che l'atteggiamento spirituale che serví di sostrato in quell'occasione, potrá riapparire nel corso della storia, con la stessa forza e con le stesse conseguenze creatrici che durante l'eone patristico. Per la loro vocazione spirituale, i Padri della Chiesa possono essere considerati, per tanto, anche i rappresentanti simbolici di una possibile metafisica del futuro.

Lucia Blaga
Trad genseki

mercoledì, giugno 24, 2009

Nichita Stanescu

Le nonparole


Mi ha teso una foglia come una mano a dita

Gli ho teso una mano come una foglia a denti

Egli mi ha teso un ramo come braccio

E come un ramo io ho disteso un braccio

Su di me si é chinato con il tronco

Come melo pesante per i frutti

Anch'io ho piegato il mio novello tronco

Udivo la sua linfa che saliva

Come sangue,

Egli udiva il mio sangue salire

Lentamente come linfa.

Ho trapassato il suo corpo

Lui ha percorso il mio

Io – sono rimasto un albero solitario

Lui – un uomo solo


Nichita Stanescu

Trad genseki

lunedì, giugno 22, 2009

Nichita Stanescu

Nona Elegia
Quella dell'uovo

In uovo nero mi lascio scaldare
Nell'attesa del volo che mi infesta
Congiunte stanno una all'altra
Identitá con identitá.
Sentimento di ali sulle spalle,
La sensazione di un occhio
Va alla ricerca di un'orbita.
Oh, Tu! Immensa oscuritá
Nascita interrotta nel disgusto.
Su di me è discesa un'idea
Che materna mi cova.
Adesso, tutto ció che è
È calor rotondo e odo:
Esce da me una specie di becco
Simultaneamente e ovunque
Si rifiuta di essere obelisco
Intima colonna vertebrale ricurva
Rompo il mio guscio di pelle calcinata,
Che aderisce direttamente all'anima
Perché non faccia marcia indietro
Imparando a camminare.
Salta il guscio nero, olé!
Mi ritrovo piú grand e senza aver volato
Aderente a quel verso dove
Come l'abbraccio di una volta.
Indosso occhi dallo sguardo irreale
A destra, a sinistra, sopra e sotto,
Prtorendo stirpi di figli animali
Che sanno morire di una bella morte
Mi crescono iridate piume d'osso
Fino al negro cóncavo.
Saltano i gusci neri, tuti insieme,
Eccomi qua, ancora una volta, dolce,
Rinchiuso in un uovo piú grande
Covato da u'idea maggiore di molto
Mezo tuorlo, mezz'uccello
Nel gioco dei passi rubati
Grande uovo, sillaba stentorea
In crescita perpetua colta
Senza tetto
Stalattite
Sedotta.
Uova concentriche, nere, rotte
Una per una e in parte.
Pulcino rifiutato dal volo
Che penetra un uovo dopo l'altro
Fino ad Alcor dal cuore della terra
In un ritmico eco che si espande.
L'identitá vuole sfuggire all'identitá,
L'occhio dall'occhio, e sempre
In se stesso ricade pesante
Come neve nera.
Da un dentro a un altro maggior dentro
Nasci all'infinito, ala senza voli,
Solo dal sonno
Ci si puó risvegliare
Nessuno si sveglia dal guscio dell'esistenza, nessuno,
mai.

Trad. genseki

martedì, giugno 02, 2009

Nichita Stanescu

Cotinua la traduzione delle elegie del poeta romeno Nichita Stanescu (per leggere le altre elegie basta cliccare su "Omaggio alla Romania" in etichette).

Ottava elegia
Iperborea

Così ella poi mi disse osservando le cose fisse
Della mia costiuzione:
"Vorrei fuggire a Iperborea
E vivo partorirti
Come cerva sulla neve
Mentre corre e geme
Con lunghe grida appese alle stelle
Nella notte.

Noi, nel freddo e nel ghiaccio
Mi spoglieró
Mi tufferó in acqua. anima indifesa,
Che adotta quale suo limite gli esseri marini.

Come crescerá l'oceano, sicuro, quanto crescerá!
Crescerá tanto che ogni sua molecola
Sará come l'occhio di un cervo
No, di piú, come una balena.

Mi tufferó in quell'acqua bella gonfia
Urtandomi con paeaggi browniani
Muovendomi, come una spora disperata,
A zigzag tra i colpi
Delle grandi molecole fredde
Figlie di Ercole.

Senza poter annegare, senza
Poter camminare e nemmeno volare
Solo zigzag e poi ancora zigzag
Imparentandomi con la felce,
Per un destino di spora...

Deh! Fuggiamo a Iperborea
A partorirti vivo
Bramendo, correndo spezzettata dagli affilati angoli
Del cielo violaceo
Sul ghiaccio che si crepa in Iceberg
Perduti sotto il cielo viola.

trad. genseki

lunedì, aprile 27, 2009

Settima elegia

Opzione per il reale

Vivo nel nome delle foglie, possiedo nervature
Passo dal verde al giallo e
Mi lascio morire nell'autunno.
Nel nome della pietra vivo e permetto
Che mi si colpisca cubicamente sulle strade
percorse da automobili veloci.
Vivo nel nome delle mele, possiedo
Sei piccoli semi sputati tra i denti
Dalla fanciulla che ha perduto la ragione
Tra pigre danze di ebonite
Nel nome del mattone io vivo
Con polsini di calce, rigidi
Ad ogni mano, abbracciando
Un possibile tuorlo di esistenza
Sacro non lo saró mai. Molta
Troppa è la mia immaginazione
Di altre forme concrete
Per questo ho così poco tempo per pensare
Alla mia stessa vita.
Eccomi. Vivo in nome dei cavalli
Nitrisco, sotto gli alberi potati.
Vivo nel nome degli uccelli,
Ma soprattutto del volo.
Credo di avere le ali, però
Nessuno le vede. Tutto per il volo
Tutto
Non appoggiare ció che c'è giá
su ciò che ci sará.

Allungo una mano che per dita
Ha altre cinque mani, che
Per dita hanno cinque altre mani, che
Per dita
Hanno cinque mani.

Tutto per abbracciare
Minuziosamente, tutto,
Per palpare paesaggi non nati
Per graffiarli a sangue
Con una presenza.

Nichita Stanescu
trad. genseki

mercoledì, aprile 08, 2009

Nikita Stanescu

Dice No solo chi comprende il Si

Prima elegia

Dedicata a Ddedalo
Della famosa stirpe degli artigiani
Dei dedaliani


Comincia e finisce in se stesso
Nessun'aura lo annuncia, nessuna
Cometa lo segue.

Nulla spunta fuori da esso
Per questo non ha volto
Non ha forma
Simile a sfera
Un grande corpo
Avvolto da una pelle sottile.

Ha ancora meno pelle, tuttavia,
Di una sfera.
È la perfezione dell'interiore,
Non ha margine
Pur essendo ben delimitato.

Non lo segna la storia
Dei suoi movimenti
Come le orme dei ferri seguono
I cavalli.

Non ha presente
ma è difficile immaginare
In che modo non lo abbia

Completamente interno
Dentro il punto stesso
Piú concentrato ancora che in un punto.

Non urta nulla
Nulla lo ostacola
Non ha parti esteriori
Con cui urtare.

Avvolto in esso,
Qui, io dormo.

Tutto l'opposto d tutto
Non si oppone
Non nega
Dice No solo colui
Che comprende il Si
Chi tutto conosce
Nel No e nel Si ha le foglie strappate.

Eppure non dormo solo io qui
Con me dorme la serie di coloro
Il cui nome io porto,
La serie degli uomini mi abita
una spalla. La serie delle donne l'altra.

Ma non possono nemmeno penetrarvi. Soo
Piume invisibili

Agita le ali - qui -
Nella perfezione dell'interiore
Che in sé comincia e
In sé finisce.

Da nulla annunziato
Nessuna cometa lo segue.

*

Seconda Elegia

Getica

Nella cavitádi ogni tronco viveva un Dio

Se in qualche pietra si apriva una crepa
Ecco che subito vi collocavano un Dio.

Bastava che un ponte crollasse
Perché al suo posto mettessero un Dio

O che nella strade apparisse un fosso
Per collocarvi un Dio.

Non farti tagli alle mani o ai piedi
Per nessuna ragione,
Ci metterebbeo dentro un Dio
Come ovunque,
Un Dio da rispettare che protegga
Tutto quanto da noi si separa.


Lottatore, attento a non perdere un occhio
Porteranno un Dio e lo inseriranno nel'orbita
E le nostre anime rabbrividendo lo glorificheranno
E anche tu obbligherai la tua anima
A rendergli gloria.

Trad genseki

giovedì, gennaio 29, 2009

Conclusione per i combattenti


Panait Istrati


Panait Istrati nacque a Braila in Romania nel 1884. Dopo una vita di vagabondaggi e di miseria pubblica il romanzo Kyra Kyralina (in francese) il cui successo fa di lui uno scrittore popolare. Nel 1928 intraprende un viaggio attraverso l'URSS, al di fuori dei circuiti ufficiali.Negli scritti che raccontano questo viaggio, pubblicati nel 1929 Istrati denuncia lo sfruttamento implacabile dei lavoratoti nella URSS. Il suo destino è allora segnato. Il "Gorki balcanico" diventa dall'oggi al domani un "nazionalista antisemita" e un ·"cane rabbioso". Attraverso le lettere e gli articoli di quegli anni si puó seguire ancora la battaglia disperata di Istrato contro le calunnie e l'isolamento. Sfinito da questa lotta senza speranza Istrati muore in Romania, dove era ritornato, nell'anno 1935.
Di Istrati si è detto che non volle essere nè di sinistra nè di destra e restare equidistante tra fascismo e comunismo
.


Conclusione per i combattenti


Solo è combattente, ai miei occhi colui che subordina i propri interessi individuali agli interessi dell'umanitá migliore che verrá.
Io credo in questa umanitá. Oggi essa esiste come il sole esiste durante la notte. Piú di una volta il mio fango la ha sfiorata. Piú di una volta, nelle mie innumerevoli ore di desolazione, la sua mano mi ha sollevato da terra.
Tutto quello che ho fatto di bene e di bello, lo devo a lei. Non ho fatto solo cose buone e belle. Ho avuto la mia parte di fango, ce l'ho ancora e continuerò ad averla. Sono infelice, peró, quando essa mi sommerge e muoio di felicitá quando afferro un raggio di luce della bella umanitá.
Per questo ad essa voglio consacrare tutte le mie forze, aiutare tutti coloro che lottano per essa.
Io non credo piú in nessun "credo". Non voglio piú ascoltare quello che gli uomini dicono, ma guardare solo quello che fanno:
Mostratemi quello a cui potete rinunciare nella vostra vita e vi dirò qual è il valore che date alla vita altrui.
Noi sfuggiamo all'avvilimento soltanto se fondiamo la nostra esistenza on tutto ciò che vive. È solo così che diventiamo liberi: sentendo tutto ció che fa bene e ció che fa male intorno a noi.Conclusioni per combattenti
Una fiamma dopo mille altre si è spenta su un vasto paese ricco di speranze. Ora in quelle contrade resta solo il soffio freddo dell'egoismo che gela la vita.
Ma è sempre la terra da dove sgorgano le fiamme piú belle che riscaldano l'umanitá. Per questo essa è sacra e ricca di futuro.
Aiutiamola ad aprire il suo ventre generoso alla nostra anima assettata di bene e di bello.
Andiamo verso l'altra fiamma.


trad. genseki

mercoledì, gennaio 28, 2009

Lucian Blaga

Lucian Blaga, da bambino, fino all'etá di quattro anni, aveva rifiutato di pronunciare parole, cioè di entratre nel mondo delle parole attraverso le parole, questo rifiuto è diventato, piú tardi, per lui sinonimo di peccato originale.
Scrisse nella poesia "Biografia":

Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
La neve dell'essere occupa il posto delle parole.

*

Il vecchio monaco sussurra sulla soglia

Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Giovanotto che caplesti l'erba del mio eremitaggio
È ancora lontano il crepuscolo?

Vorrei morire all'alba
Con le serpi schiacciate
Dai bastoni dei pastori.
Como loro mi contorsi nella polvere
Come loro ho strisciato sotto il sole.

*

Ferma Signore lo scorrerere del tempo
Io so, so che senza la morte
Non ci sarebbe nemmeno l'amore.
Tuttavia, signore, vengo a pregarti.
Ferma l'orologio con il quale misuri
Il tempo
Delle nostre chimere.

Trad genseki