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mercoledì, novembre 11, 2009

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Quarta parte della traduzione dell'opera di Saint-Réal.
Per le altre tre parti cliccare qui

Don Pedro fece avanzare il Maresciallo di Campo Gambalotta verso Crema con alcune truppe, fece montare ventiquattro pezzi di artiglieria a Pavia perché, secondo quanto dichiarava dovevano accompagnare un corpo di ottomila uomini al comando di Don Sancho de Luna. Inoltre, il viceré di Napoli, che attraversava il Mediterraneo con la flotta spagnola e minacciava di attaccare il Duca di Savoia da Villafranca e bloccava tutti i rinforzi che potevano giungere alla Repubblica per il mare, considerava come un suo dovere entrare tutti i giorni nel golfo per tenere in iscacco la flotta veneziana.

I ministri veneziani avevano reclamato presso tutte le corti contro la violenza di questi metodi, il marchese di Bedmar cercó di giustificarli; credette che fosse molto importante rovesciare le fondamenta della venerazione che tutta l'Europa da tanti secoli nutriva per questa republica, che era considerato il piú antico e il piú libero di tutti gli stati. Tale libertá era stata appena messa a prova e innalzata ancora piú in alto in occasione del conflitto con il papa da molti scritti che sembravano ancora inconfutabili anche se la parte avversa non mancava di abili pubblicisti che avevano ben saputo rispondere. L'ambasciatore si era messo a leggere queste opere e in pochi capitoli aveva saputo confutare i numerosi volumi degli autori veneziani, senza degnarsi di citarne nemmeno uno, e siccome tra questi temi non v'è niuno che un uomo abile volendo non possa rendere un garbuglio, con il fine pretestuoso di stabilire il diritto dell'Impero su Venezia, mostró che l'indipendenza di questa repubblica era chimerica e chimerico era il suo impero marittimo. Siccome per i suoi fini era molto meglio ch'egli non fosse noto come l'autore di questo libello, lo fece pubbllicare in modo cosí abile che durante tutta la sua vita non si seppe che avesse qualcosa a che fare con esso. Sembra strano che nessuno lo sospettasse; ma si deve credere che i veneziani ancora non lo conoscessero bene, i suoi modi vivaci e impulsivi, con i quali si presentava, non permettevano loro di pensare che un uomo con un carattere cosí impetuoso potesse essere l'autore di una satire di stato di gran raffinatezza e sottigliezza. L'equità e la buona fede sembravano dominare questo testo; le dichiazioni contro i delitti dei veneziani che vi si trovavano, erano sempre nei termini di una apparente moderazione, che sola bastava a renderle plausibili. Quest'opera che ebbe per titolo: “Squittinio della libertá veneta” fece molto discutere. Non sapendo chi ne fosse l'autore il sospetto cadde naturalmente sulla corte romana, per via di altri scritti simili precedenti. Gli esperti del senato credettero che tutti ne sentissero la forza quanto loro stessi; se ne spaventarono di piú di una battaglia perduta, Frate Paolo ebbe l'ordine di esaminarla. Costui, che si era preso gioco di altri scrittori del partito avverso, dichiaró che in questo caso non conveniva rispondere, perché si sarebbe potuto farlo solo spiegando cose che era meglio lasciare sepolte nelle tenebre dell'antichitá e che se, tuttavia, il senato riteneva che la dignitá della repubblica soffrisse di questo oltraggio, egli si incaricava di mettere la corte di Roma in uno stato di tale ansia difensiva, che non avrebbe piú nemmeno pensato ad attaccare. Questo parere, che fu subito accettato nel fuoco del risentimento, permise a Fra' Paolo sarpi di pubblicare la sua amata “Storia del Concilio di Trento” che altrimenti non sarebbe stata pubblicata durante la sua vita. L'anno 1616 passó senza che nessuna delle due parti conseguisse un vantaggio considerevole. Il Duca di Savoia e i Veneziani, che non volevano far correre rischi di sorta alla gloria conquistata, diedero a Gritti, ambasciatore veneto a Madrid il mandato di riaprire i negoziati. Gli Spagnoli, indignati per la resistenza incontrata avanzarono proposte tanto irragionevoli, che la cosa non ebbe seguito. Gradisca restó bloccata, si continuó a battersi per tutto l'inverno, e gli eserciti si misero in campagna, giunta la primaver, a con un ardore tale che prometteva imprese ancora più grandi di quelli dell'anno anteriore. La tregua in Olanda aveva reso inutili quasi tutte le truppe di quello stato e ridotto gli avventurieri francesi e tedeschi a cercare impiego altrove. I conti di Nassau e di Lievenstein condussero ottomila olandesi e walloni al soldo della repubblica. Gli Spagnoli si lamentarono molto con il Papa del fatto che in questo modo i Veneziani esponevano l'Italia all'infezione dell'eresia veicolata da questi uomini d'arme; ma l'ambasciatore veneziano fece presto comprendere che non era tanto la devozione religiosa che faceva parlare gli Spagnoli quanto piuttosto il timore di vedere due grandi repubbliche unire le forze contro di loro. Il marchese di Bedmar avrebbe avuto dei bei problemi se il Papa avesse obbligato i Veneziani a licenziare quegli eretici. Siccome la maggior parte degli uomini d'arme quando servono un principe straniero non hanno in vista che il loro tornaconto, egli sperava di arruolare per i suoi fini queste truppe mercenarie, con un poco di denaro e la speranza del saccheggio di Venezia. Per negoziare questo affare mise gli occhi su di un vecchio gentiluomo francese, tal Nicolas de Renault, uomo di sapere e prudenza e che era rifugiato a Venezia per qualche oscuro motivo che non si riuscí mai a scoprire. Il marchese di Bedmar lo aveva frequentato a lungo presso l'ambasciata di Francia ove risiedeva.


César Vichard Abbé de Saint-Réal.

Trad. genseki

lunedì, giugno 01, 2009

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Questa è la terza parte della traduzione dello splenddo testo dell'abate di Saint-Rëal. (Per leggere le altre parti basta cliccare su Saint-Réal in etichette).

In ogni modo, a partire da allora, non ci fu piú nessuna deliberazione del senato ce restasse segreta per l'ambasciatore spagnolo; egli era informato di tutte le risoluzioni che vi si prendevano e i generali dell'Arciduca conoscevano quelle relative alla guerra molto prima che quelli della Repubblica avessero l'ordine di eseguirle. Con queste conoscenze, quello che ora serviva all'ambaciatore per avere successo ella sua impresa era un numero considerevole di soldati; siccome in Lombardia vi era una potente armata spagnola, egli non temeva che gli venissero a mancare gli uomini, posto che a Milano vi fosse un governatore capace di pensare come lui. Il marchese d'Inojosa che lo era allora aveva legami troppo stretti con il duca di Savoia per essere adatto, egli aveva appena firmato il trattato di Asti, in cui la Francia e Venezia erano stati mediatori tra lui e questo principe. L'ambasciatore, che sapeva che questi negoziati non erano visti di buon occhio in Ispagna e scrisse affinché fosse richiamato chiedendo, nello stesso tempo a Don Pedro di oledo, marchese d Villafranca, suo intimo amico, di brigare per il governatorato di Milano, Don Pedro ebbe l'rdine di partire immediatamente per andara e prendere il posto d'Inojosa, verso la fine del 1615. E, non appena giunto a Milano avverti venezia per il tramite del marchese di Lara. L'ambasciatore comunicó il suo progetto al Lara nel modo che giudicó il piú adeguato perché fosse accettato, e lo incaricó principalmente di sapere se il nuovo governatore sarebbe stato in grado di inviargle milecinquecento uomni dei migliori quando fosse giunto il momento. Don Pedro, affascinato dalla grandezza dell'impresa decise di assecondarla per quanto fosse nelle sue possibilitá, senza esporsi a certa rovina se fosse fallita. Invió una seconda vola il lara a Venezia per assicurare l'ambasciatore della sua compiacenza pregandolo di tener conto del fatto che non aveva senso inviare gli uomini che egli domandava senza avergli scelti attentamente; ché se fossero morti, egli sarebbe stato colpevole di avere esposto a un pericolo tanto grave i piú valorosi soldato del suo esercito. Egli gli avrebbe certo dato il maggior numero di uomini possibile e cosí ben scelti che avrebbe risposto di loro come di se stsso.
Nulla era più importante per i disegni dell'ambasciatore che di impedire qualsiasi possibilitá di accordo. Per questo spinse il marchese di lara e avanzare proposte di pace assolutamente irragionevoli da parte del governatore di Milano. Il senato rispose indignato, come previsto e ruppe ogni negoziato. Don Pedro da parte sua no ¡n tralasció nulla per rendere ancora piú acide le relazioni. Il duca di Mantova era poco propenso a concedere il perdono ai propri sudditi ribelli, come promesso in seguito al trattato di Asti; lo incoraggiarono a essere ostinat,o e a continuare le esecuzioni di questi che egli aveva già cominciato. Si avanzarono proposte al duca di Savoia per rendere esecutivo questo trattato, ben sapendo che egli le avrebbe rifiutate visto che ci si rifiutava di deporre le armi dopo che lo avesse fatto lui cn il preteto della guerra del Friuli in cui la Spagna non poteva dispensarsi dal prendere parte senza perdere l'onore. L'armata veneziano aveva passato l'Isonzo e assediava Gradisca, capitale degli stati dell'Arciduca. Il consiglio di Spagna che sulle prime parve indifferente, vedendo che si voleva spogliare quel principe minacció di prendere partito. In quel tempo finiva il disaccordo nella casa d'Austria tra il ramo spagnolo e quello tedesco, che durava dai tempi del figli e del fratello di carlo V per la successione dell'Impero. L'interesse degli spagnoli per questa guerra fu il primo segno di questa iconciliazione.

trad. genseki

martedì, aprile 28, 2009

Congiura egli spagnoli contro Venezia II

Siccome non ci sono petesti tnanto plausibili come la guerra per gravare il popolo, quella degli Uscocchi dava ai nobili che la conducevano un bella occasione per arrichirsi. Questa guerra costava troppo: non c'era solo il denaro che andava al Piemonte, si dovette anche mantenere una terza armata in Lombardia contro il governatore di Milano che minacciava sempre di fare qualche diversione a favore del'arciduca. La giustizia della causa della Repubblica rendeva i comandanti sempre piú arditi nell'inventare nuove vessazioni, e non rendeva affatto il popolo piú paziente nel sopportarle. Le cose giunsero a un punto che il marchese di Bedmar poté ragionevolmente pensare che il rivolgimento che egli meditava sarebbe stato tanto gradito al popolo quanto funesto ai grandi. E persino tra i grandi vi era chi non amava il governo. Erano i partigiani della corte romana. Gli uni, ed erano la maggioranza, ambiziosi e vendicativi, erano irritati del fatto che la Repubblica era stata governata contro il loro parere durante il conflitto con Roma. Erano disposti a tutto per deporre l'autoritá; e avrebbero contemplato con gioia le sventure dello stato come consegienze di una condotta che essi non avevno approvato. Altri, semplici e rozzi, volevano essere piú cattolici del papa, come questo avava ammorbidito e sue pretese nel compromesso, avevan immaginato che fosse stato obbligato a farlo per politica; e che se fosse restata qualche rstrizione mentale si poteva temere che la scomunica restasse nella testa di sua santitá. Tra questi vi erano alcuni senatori tanto poveri di beni come di spirito, che servirono molto in seguito ai piani del marchese di Bedmar, dopo che egli li ebbe persuasi, a forza di benefici che dopo questo fatti non si poteva piú essere veneziani a posto con la coscienza.
Per quanto fose strettamente proibito ai nobili di frequico di entare gli stranieri, aveva trovato il modo di stringere forti vincoli con i piú disagiato e con i piú scontenti. Se essi avevano qualche parente prossimo in convento, qualche cortigiana, o qualche ecclesiastico di fiducia, comprava la conoscenza di queste persone a qualsiasi prezzo e faceva loro regali che erano di grande valore pur essendo curiositá di paesi esotici. queste liberalitá fatte snza necessitá apparente fecero pensare a quelli che le ricevevano che potevano attirarsene altre pi'considerevoli. Con questo obiettivo, essi soddisfecero completamente la sua curiosit'su tutto quello di cui egli volle informarsi ed ebbero cura di informarsi su quelle cosedi cui non erano direttamente a conoscenza; siccome la sua riconoscenza superava le loro speranze, non ebbero riposo prima di aver introdotto i loro padroni inquesto affare.. Bisogna creder che la necessitá ne fu causa, e che questi nobili non poterono vedere senza invidia persone, del tutto dipendenti da loro, diventate piú riche di loro per dei regali che erano fatti per onorare proprio loro.
Saint-Réal
trad. genseki

mercoledì, marzo 11, 2009

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Questa e l prima parte della traduzione di quest'opera, per molti versi avvolta di mistero di Saint-Réal, cui si ispiró Simone Weil per la sua bella Tragedia: "Venise Sauvée".
L'epoca della nascente riflessione scientifica sulla politica, del farsi autonoma della politica rispetto ad altre pratiche e ad altri saperi è l'epoca dell'analisi delle congiure e dei complotti.
La legge è sottesa ai femnomeni naturali, il complotto a quell politici. Dal gran secolo francese e da Botero e Gracián giú giú fino ai bassifondi di internet la spiegazione della politic in termini di complotto ha percorso un lungo cammino.
In Saint-Réal ha ancora la forma della meraviglia e dell'avventura.

Il protagonista di questi primi paragrafi è il Marchese di Bedmar. Egli è il congiurato ideale, che unisce la determnazione e la segretezza a una specie di onniscienza. Profondo umanista trae i suoi metodi di azione e i suoi convincimenti dalla frequentazione assidua dei classici. Nn è ineressato ai vantaggi che la sua azione puó portargli personalmente quanto piutosto alla forma che esa riveste, quasi come fosse un'opera d'arte. Bedmar é l'artista della congiura, il dandy del complotto.
La Repubblica di Venezia è il suo destino in quanto sistema di governo assolutamente razionale. Il governo di Venezia è ermeticamente chiuso in uno scrigno di procedure che vanificano il potere del complotto in quanto ne assumono i modi e la logica come forme proprie e quotidiane dell'azione di governo. Il senato di Venezia è la isituzionalizzazione del complotto come forma permanente di dominio e di controllo.

La sfida tra Venezia e Bedmar è inevitabile:

Il marchese di Bedmar

Quando i francesi ebbero posto fine al conflitto ch che opponeva la Repubblica di Venezia al papa Paolo V, in modo tale che l'onore dovuto al Santo Soglio restasse intetto e la gloria che i veneziano meritavano non venisse negata, solo gli spagnoli si ritrovavano in una condizione per la quale avrebbero potuto lamentarsi. Siccome si erano schierati direttamente con il papa e si erano offerti di sottomettere Venezia con le armi, furono irritati dall'aver questi intrapreso trattative quasi senza una loro partecipazione: quando peró ebbero avuto maggior contezza dei segreti dell'accordo, seppero che non avevano motivo di lamentarsi di lui e che il disprezzo d cui erano stati fati oggetto in quell'occasione proveniva dalla Repubblica. Era il Senato che aveva voluto in qualche modo escluderli dalla mediazione. Pretendeva che non potessero essere arbitri dopo aver dimostrato tanta parzialitá.
Per quanto il loro risentimento fosse grande per questa ingiuria essi non lo vollero manifestare fino a che visse Enrico IV: il debito che questo principe aveva con i veneziani era troppo conosciuto, cosí come l'attenzione con cui si era preso cur dei loro intresi nel conflitto con la corte pontificia. La sua morte lasciava mano libera agli spagnoli ch avevano soltanto bisogno di un pretesto.
Una banda di pirate, detto Uscocchi si era stabilita nelle terre adriatiche della casa d'Austria. Questi delinquenti avevano commesso un numero infinio di violenze contro i suditi della Repubblica, e godevano della protezione dell'Arciduca ferdinando di Graz, sovrano del paese e che in seguito sarebbe divenuto imperatore. Era un principe molto religioso, ma i suoi ministri dividevano il bottino con gli Uscocchi.
L'Imperatore Mattia, commosso dalle giuste lamentele della Repubblica, stipuló un accordo in Vienna nel mese di febbraio del 1612; tuttavia questo accordo fu cosí mal asservato da parte dell'arciduca, che si giunse a una guerra aperta, in cui egli non ottenne tutti i vantaggi che gli Spagnoli si aspettavano. I veneziano poterono facilmente rivalersi delle perdite che subirono in alcuni piccoli combattimenti: Siccome non avevano niente da temere da parte dei Turchi, potevano sopportare la guerra in migliori condizioni che l'arciduca. Questo principe era spinto alla pace dall'imperatore, perché il Turco minacciava l'Ungheria; e aveva bicogno di grandi somme per favorire la sua ascesa al trono di Boemia che si verificó in seguito molto presto. Gli spagnoli avrebbero voluto fornirgli i mezzi per continuare la guerra; ma Carlo Emanuele, duca di Savoia contro il quale erano in guerra alllo steso tempo, non permetteva loro di raccogliere le forze, e siccome questo duca riceveva molto denaro dalla Repubblica non ebbero modo, mai, di separarlo da essa.
Il consiglio di Spagna era molto indignato di verificare come i veneziani fossero in vantaggio ovunqu. Il genio dolc e pacifico di Filippo III e del suo favorito il duca di lerma, non sapeva trovare un mezzo per tirarsi fuori da una situazione tanto pericolosa; ma un ministro che esi avevano in Italia e che non era altrettanto moderato, prese su di se di risolvere il problema.
Si trattava di don Alfonso de la Cueva, marchee di Bedmar, ambasciatore ordinario a Venezia, uno dei geni piú poderosi e degli spiriti piú pericolosi che la Spagna avesse mai prodotto. Si vede, dagli scritti che ci ha lasciato, che possdeva tutto ció che secondo la storia antica e moderrna serve alla formazione di un uomo straordinario. Egli comparava le cose che vi si trovano narrate con quelle che accadevano al tempo suo, Osservava esattamente differenze e somiglianze delle quistioni e come quello che le differenzia modifica quella che le rende simili. Egli giudicava del successo di una impresa non appena en conosceva il piano e le basi. Se poi gli avvenimenti provavano che non aveva indovinato, egli risaliva alla fonte del suo errore e cercava di scoprire ció che l'aveva ingannato. In questo modo, aveva egli compreso quali fossero le vie sicure, i mezzi utili e le circostanze capitali che fanno presagire un buon successo dei grandi progetti e che fanno si che essi finiscano quasi sempre per riuscire. Questa continua pratica della lettura, della riflessione dell'osservazione delle cose del mondo, l'avevano innalzato a un punto tale di sagacitá che nel consiglio di Spagna le su congetture sull'avvenire erano prese come profezie.
A questa profonda conoscenza della natura delle grandi questioni, egli univa talenti singolari per la manipolazione, una facilitá di parlare e di scrivere in modo straordinariamente gradevole, un meraviglioso istinto per conoscere gli uomini, un aspetto sempre gaio e aperto, un umor libero e compiacente tanto piú impenetrabile quanto piú tutti quanti credevano poter penetrarlo; modi dolci, insinuanti e lusighieri, che attiravano il segreto dei cuori piú difficili ad aprirsi; tutto l'aspetto della piú completa libertá di spirito nelle convulsioni piú atroci. Gli ambasciatori di Spagna erano allora in condizione di governare e corti presso le quali erano inviati e il marchese di bedmar era stato scelto per Venezia nell'anno 1607 dal momento che questo era considerato il piú difficile egli incarichi all'estero, e in cui non ci si poteva avvaler di donne, di monaci e neppure di favoriiti. Il consiglio di Spagna era cosí contento di lui, che, nonostante sorgessero ncessitá altorve, per sei interi anni non si risolse a richiamarlo. Un si lungo soggiorno diedegli agio di studiare i principi di quel governo, di dipanarne i piú segreti ingranaggi, di scoprirne i punti forti e quelli deboli, i vantaggi e i difetti. Quando si rese conto che l'Ariduca sarebbe stato costreto alla pace e che questa sarebbe stato vergognosa per la casa d'Austria dal momnento che aveva torto, risolse di tentare qualche cosa per prevenire tale eventualitá.
Cnsider'che nello stato in cui Venezia si trovava non era impossibile impadronirsene con le conoscenze che aveva e con le forze sulle quali poteva fare affidamento.
Gli eserciti l'avevano privato delle armi e ancor peggio di uomini capaci di portarle.
Siccome la flotta non era mai stata tanto bella, il senato non si era mai considerato cosí temibile e mai aveva temuto meno. Tuttavia questa flotta invincibile quasi non poteva allontanarsi dalla costa istriana dove si combatteva quella guerra. L¡esercito di terra, anch'esso era lontano; e non vi era nulla a Venezia che potesse opporsi a un attacco della marina spagnola. Per rendere piú sicuro questo attacco il marchese di Bedmar volle impadrronirsi dei posti principali, come Piazza S. Marco e l'arsenale; e, siccome sarebbe stato difficile farlo se la cittá fosse stata perfettamente tranquilla, pensó bene di far incendiare contemporanemente tutti i luoghi che erano piú adatti e che fosse piú importante soccorerre.
Non volle scrivere subito in Spagna: sapeva che i principi non amano essere messi al corrente di questo tip di imprese che quando sono giunte ad un punto tale di esecuzione che solo manca un loro cenno di approvazione. Si accontentó di far notare al marchese di Useda, principale segretario di stato che la casa d'Austria era svergognata dall'insolenza dei veneziano nella guerra del Friuli e che tutti i negoziato che si svolgevano a Vienna e altrove erano pieni di ignominia e che egli credeva che fosse giunto il mmento in cui la natura e la politica obbligano un suddito fedele a ricorrere a mezzi straordinari per preservare il proprio principe e il proprio paese da una infamia altrimenti inevitabile; che questa preoccupazione lo concerneva particolarmente, a cusa del suo incarico, in cui aveva sempre davanti agli occhi le fonti del male cui si doveva porre rimedio, che e che egli avrebbe cercato di condurre a termine questo suo compito in un modo degno dello zelo che lo animava per l'onore del suo signore.
Il duca di Useda, che lo conosceva per quello che, comprese subito che questo discorso nascondeva qualche progetto pericoloso e importante in parti eguali: ma, come coloro che sono saggi non vogliono sapere niente di questo genere di cose se non obbligati, non comunicó il suo pensiero al Primo Ministro e rispose al marchese di Bedmar in termini generali, lodando il suo zelo e rimetendosi per il resto alla sua ben conosciuta prudenza. Il marchese che si attendeva una risposta del genere non fu sorpreso dalla sua freddezza; si dispose a metterei atto il suo piano per assicurarsi di essere approvato.
Mai vi fu nel mondo una monarchia assoluta come il dominio che il senato di Venezia esercitava nel governo della Repubblica. Infinita è la differenza tra i nobili e quelli che non lo sono. Solo la nobiltá puó comandare nei paesi che en dipendono.

Saint-Réal
traduzione genseki