Questa e l prima parte della traduzione di quest'opera, per molti versi avvolta di mistero di Saint-Réal, cui si ispiró Simone Weil per la sua bella Tragedia: "Venise Sauvée".
L'epoca della nascente riflessione scientifica sulla politica, del farsi autonoma della politica rispetto ad altre pratiche e ad altri saperi è l'epoca dell'analisi delle congiure e dei complotti.La legge è sottesa ai femnomeni naturali, il complotto a quell politici. Dal gran secolo francese e da Botero e Gracián giú giú fino ai bassifondi di internet la spiegazione della politic in termini di complotto ha percorso un lungo cammino.
In Saint-Réal ha ancora la forma della meraviglia e dell'avventura.
Il protagonista di questi primi paragrafi è il Marchese di Bedmar. Egli è il congiurato ideale, che unisce la determnazione e la segretezza a una specie di onniscienza. Profondo umanista trae i suoi metodi di azione e i suoi convincimenti dalla frequentazione assidua dei classici. Nn è ineressato ai vantaggi che la sua azione puó portargli personalmente quanto piutosto alla forma che esa riveste, quasi come fosse un'opera d'arte. Bedmar é l'artista della congiura, il dandy del complotto.
La Repubblica di Venezia è il suo destino in quanto sistema di governo assolutamente razionale. Il governo di Venezia è ermeticamente chiuso in uno scrigno di procedure che vanificano il potere del complotto in quanto ne assumono i modi e la logica come forme proprie e quotidiane dell'azione di governo. Il senato di Venezia è la isituzionalizzazione del complotto come forma permanente di dominio e di controllo.
La sfida tra Venezia e Bedmar è inevitabile:
Quando i francesi ebbero posto fine al conflitto ch che opponeva la Repubblica di Venezia al papa Paolo V, in modo tale che l'onore dovuto al Santo Soglio restasse intetto e la gloria che i veneziano meritavano non venisse negata, solo gli spagnoli si ritrovavano in una condizione per la quale avrebbero potuto lamentarsi. Siccome si erano schierati direttamente con il papa e si erano offerti di sottomettere Venezia con le armi, furono irritati dall'aver questi intrapreso trattative quasi senza una loro partecipazione: quando peró ebbero avuto maggior contezza dei segreti dell'accordo, seppero che non avevano motivo di lamentarsi di lui e che il disprezzo d cui erano stati fati oggetto in quell'occasione proveniva dalla Repubblica. Era il Senato che aveva voluto in qualche modo escluderli dalla mediazione. Pretendeva che non potessero essere arbitri dopo aver dimostrato tanta parzialitá.
Per quanto il loro risentimento fosse grande per questa ingiuria essi non lo vollero manifestare fino a che visse Enrico IV: il debito che questo principe aveva con i veneziani era troppo conosciuto, cosí come l'attenzione con cui si era preso cur dei loro intresi nel conflitto con la corte pontificia. La sua morte lasciava mano libera agli spagnoli ch avevano soltanto bisogno di un pretesto.
Una banda di pirate, detto Uscocchi si era stabilita nelle terre adriatiche della casa d'Austria. Questi delinquenti avevano commesso un numero infinio di violenze contro i suditi della Repubblica, e godevano della protezione dell'Arciduca ferdinando di Graz, sovrano del paese e che in seguito sarebbe divenuto imperatore. Era un principe molto religioso, ma i suoi ministri dividevano il bottino con gli Uscocchi.
L'Imperatore Mattia, commosso dalle giuste lamentele della Repubblica, stipuló un accordo in Vienna nel mese di febbraio del 1612; tuttavia questo accordo fu cosí mal asservato da parte dell'arciduca, che si giunse a una guerra aperta, in cui egli non ottenne tutti i vantaggi che gli Spagnoli si aspettavano. I veneziano poterono facilmente rivalersi delle perdite che subirono in alcuni piccoli combattimenti: Siccome non avevano niente da temere da parte dei Turchi, potevano sopportare la guerra in migliori condizioni che l'arciduca. Questo principe era spinto alla pace dall'imperatore, perché il Turco minacciava l'Ungheria; e aveva bicogno di grandi somme per favorire la sua ascesa al trono di Boemia che si verificó in seguito molto presto. Gli spagnoli avrebbero voluto fornirgli i mezzi per continuare la guerra; ma Carlo Emanuele, duca di Savoia contro il quale erano in guerra alllo steso tempo, non permetteva loro di raccogliere le forze, e siccome questo duca riceveva molto denaro dalla Repubblica non ebbero modo, mai, di separarlo da essa.
Il consiglio di Spagna era molto indignato di verificare come i veneziani fossero in vantaggio ovunqu. Il genio dolc e pacifico di Filippo III e del suo favorito il duca di lerma, non sapeva trovare un mezzo per tirarsi fuori da una situazione tanto pericolosa; ma un ministro che esi avevano in Italia e che non era altrettanto moderato, prese su di se di risolvere il problema.
Si trattava di don Alfonso de la Cueva, marchee di Bedmar, ambasciatore ordinario a Venezia, uno dei geni piú poderosi e degli spiriti piú pericolosi che la Spagna avesse mai prodotto. Si vede, dagli scritti che ci ha lasciato, che possdeva tutto ció che secondo la storia antica e moderrna serve alla formazione di un uomo straordinario. Egli comparava le cose che vi si trovano narrate con quelle che accadevano al tempo suo, Osservava esattamente differenze e somiglianze delle quistioni e come quello che le differenzia modifica quella che le rende simili. Egli giudicava del successo di una impresa non appena en conosceva il piano e le basi. Se poi gli avvenimenti provavano che non aveva indovinato, egli risaliva alla fonte del suo errore e cercava di scoprire ció che l'aveva ingannato. In questo modo, aveva egli compreso quali fossero le vie sicure, i mezzi utili e le circostanze capitali che fanno presagire un buon successo dei grandi progetti e che fanno si che essi finiscano quasi sempre per riuscire. Questa continua pratica della lettura, della riflessione dell'osservazione delle cose del mondo, l'avevano innalzato a un punto tale di sagacitá che nel consiglio di Spagna le su congetture sull'avvenire erano prese come profezie.
A questa profonda conoscenza della natura delle grandi questioni, egli univa talenti singolari per la manipolazione, una facilitá di parlare e di scrivere in modo straordinariamente gradevole, un meraviglioso istinto per conoscere gli uomini, un aspetto sempre gaio e aperto, un umor libero e compiacente tanto piú impenetrabile quanto piú tutti quanti credevano poter penetrarlo; modi dolci, insinuanti e lusighieri, che attiravano il segreto dei cuori piú difficili ad aprirsi; tutto l'aspetto della piú completa libertá di spirito nelle convulsioni piú atroci. Gli ambasciatori di Spagna erano allora in condizione di governare e corti presso le quali erano inviati e il marchese di bedmar era stato scelto per Venezia nell'anno 1607 dal momento che questo era considerato il piú difficile egli incarichi all'estero, e in cui non ci si poteva avvaler di donne, di monaci e neppure di favoriiti. Il consiglio di Spagna era cosí contento di lui, che, nonostante sorgessero ncessitá altorve, per sei interi anni non si risolse a richiamarlo. Un si lungo soggiorno diedegli agio di studiare i principi di quel governo, di dipanarne i piú segreti ingranaggi, di scoprirne i punti forti e quelli deboli, i vantaggi e i difetti. Quando si rese conto che l'Ariduca sarebbe stato costreto alla pace e che questa sarebbe stato vergognosa per la casa d'Austria dal momnento che aveva torto, risolse di tentare qualche cosa per prevenire tale eventualitá.
Cnsider'che nello stato in cui Venezia si trovava non era impossibile impadronirsene con le conoscenze che aveva e con le forze sulle quali poteva fare affidamento.
Gli eserciti l'avevano privato delle armi e ancor peggio di uomini capaci di portarle.
Siccome la flotta non era mai stata tanto bella, il senato non si era mai considerato cosí temibile e mai aveva temuto meno. Tuttavia questa flotta invincibile quasi non poteva allontanarsi dalla costa istriana dove si combatteva quella guerra. L¡esercito di terra, anch'esso era lontano; e non vi era nulla a Venezia che potesse opporsi a un attacco della marina spagnola. Per rendere piú sicuro questo attacco il marchese di Bedmar volle impadrronirsi dei posti principali, come Piazza S. Marco e l'arsenale; e, siccome sarebbe stato difficile farlo se la cittá fosse stata perfettamente tranquilla, pensó bene di far incendiare contemporanemente tutti i luoghi che erano piú adatti e che fosse piú importante soccorerre.
Non volle scrivere subito in Spagna: sapeva che i principi non amano essere messi al corrente di questo tip di imprese che quando sono giunte ad un punto tale di esecuzione che solo manca un loro cenno di approvazione. Si accontentó di far notare al marchese di Useda, principale segretario di stato che la casa d'Austria era svergognata dall'insolenza dei veneziano nella guerra del Friuli e che tutti i negoziato che si svolgevano a Vienna e altrove erano pieni di ignominia e che egli credeva che fosse giunto il mmento in cui la natura e la politica obbligano un suddito fedele a ricorrere a mezzi straordinari per preservare il proprio principe e il proprio paese da una infamia altrimenti inevitabile; che questa preoccupazione lo concerneva particolarmente, a cusa del suo incarico, in cui aveva sempre davanti agli occhi le fonti del male cui si doveva porre rimedio, che e che egli avrebbe cercato di condurre a termine questo suo compito in un modo degno dello zelo che lo animava per l'onore del suo signore.
Il duca di Useda, che lo conosceva per quello che, comprese subito che questo discorso nascondeva qualche progetto pericoloso e importante in parti eguali: ma, come coloro che sono saggi non vogliono sapere niente di questo genere di cose se non obbligati, non comunicó il suo pensiero al Primo Ministro e rispose al marchese di Bedmar in termini generali, lodando il suo zelo e rimetendosi per il resto alla sua ben conosciuta prudenza. Il marchese che si attendeva una risposta del genere non fu sorpreso dalla sua freddezza; si dispose a metterei atto il suo piano per assicurarsi di essere approvato.
Mai vi fu nel mondo una monarchia assoluta come il dominio che il senato di Venezia esercitava nel governo della Repubblica. Infinita è la differenza tra i nobili e quelli che non lo sono. Solo la nobiltá puó comandare nei paesi che en dipendono.
Saint-Réal
traduzione genseki
In Saint-Réal ha ancora la forma della meraviglia e dell'avventura.
Il protagonista di questi primi paragrafi è il Marchese di Bedmar. Egli è il congiurato ideale, che unisce la determnazione e la segretezza a una specie di onniscienza. Profondo umanista trae i suoi metodi di azione e i suoi convincimenti dalla frequentazione assidua dei classici. Nn è ineressato ai vantaggi che la sua azione puó portargli personalmente quanto piutosto alla forma che esa riveste, quasi come fosse un'opera d'arte. Bedmar é l'artista della congiura, il dandy del complotto.
La Repubblica di Venezia è il suo destino in quanto sistema di governo assolutamente razionale. Il governo di Venezia è ermeticamente chiuso in uno scrigno di procedure che vanificano il potere del complotto in quanto ne assumono i modi e la logica come forme proprie e quotidiane dell'azione di governo. Il senato di Venezia è la isituzionalizzazione del complotto come forma permanente di dominio e di controllo.
La sfida tra Venezia e Bedmar è inevitabile:
Il marchese di Bedmar
Quando i francesi ebbero posto fine al conflitto ch che opponeva la Repubblica di Venezia al papa Paolo V, in modo tale che l'onore dovuto al Santo Soglio restasse intetto e la gloria che i veneziano meritavano non venisse negata, solo gli spagnoli si ritrovavano in una condizione per la quale avrebbero potuto lamentarsi. Siccome si erano schierati direttamente con il papa e si erano offerti di sottomettere Venezia con le armi, furono irritati dall'aver questi intrapreso trattative quasi senza una loro partecipazione: quando peró ebbero avuto maggior contezza dei segreti dell'accordo, seppero che non avevano motivo di lamentarsi di lui e che il disprezzo d cui erano stati fati oggetto in quell'occasione proveniva dalla Repubblica. Era il Senato che aveva voluto in qualche modo escluderli dalla mediazione. Pretendeva che non potessero essere arbitri dopo aver dimostrato tanta parzialitá.
Per quanto il loro risentimento fosse grande per questa ingiuria essi non lo vollero manifestare fino a che visse Enrico IV: il debito che questo principe aveva con i veneziani era troppo conosciuto, cosí come l'attenzione con cui si era preso cur dei loro intresi nel conflitto con la corte pontificia. La sua morte lasciava mano libera agli spagnoli ch avevano soltanto bisogno di un pretesto.
Una banda di pirate, detto Uscocchi si era stabilita nelle terre adriatiche della casa d'Austria. Questi delinquenti avevano commesso un numero infinio di violenze contro i suditi della Repubblica, e godevano della protezione dell'Arciduca ferdinando di Graz, sovrano del paese e che in seguito sarebbe divenuto imperatore. Era un principe molto religioso, ma i suoi ministri dividevano il bottino con gli Uscocchi.
L'Imperatore Mattia, commosso dalle giuste lamentele della Repubblica, stipuló un accordo in Vienna nel mese di febbraio del 1612; tuttavia questo accordo fu cosí mal asservato da parte dell'arciduca, che si giunse a una guerra aperta, in cui egli non ottenne tutti i vantaggi che gli Spagnoli si aspettavano. I veneziano poterono facilmente rivalersi delle perdite che subirono in alcuni piccoli combattimenti: Siccome non avevano niente da temere da parte dei Turchi, potevano sopportare la guerra in migliori condizioni che l'arciduca. Questo principe era spinto alla pace dall'imperatore, perché il Turco minacciava l'Ungheria; e aveva bicogno di grandi somme per favorire la sua ascesa al trono di Boemia che si verificó in seguito molto presto. Gli spagnoli avrebbero voluto fornirgli i mezzi per continuare la guerra; ma Carlo Emanuele, duca di Savoia contro il quale erano in guerra alllo steso tempo, non permetteva loro di raccogliere le forze, e siccome questo duca riceveva molto denaro dalla Repubblica non ebbero modo, mai, di separarlo da essa.
Il consiglio di Spagna era molto indignato di verificare come i veneziani fossero in vantaggio ovunqu. Il genio dolc e pacifico di Filippo III e del suo favorito il duca di lerma, non sapeva trovare un mezzo per tirarsi fuori da una situazione tanto pericolosa; ma un ministro che esi avevano in Italia e che non era altrettanto moderato, prese su di se di risolvere il problema.
Si trattava di don Alfonso de la Cueva, marchee di Bedmar, ambasciatore ordinario a Venezia, uno dei geni piú poderosi e degli spiriti piú pericolosi che la Spagna avesse mai prodotto. Si vede, dagli scritti che ci ha lasciato, che possdeva tutto ció che secondo la storia antica e moderrna serve alla formazione di un uomo straordinario. Egli comparava le cose che vi si trovano narrate con quelle che accadevano al tempo suo, Osservava esattamente differenze e somiglianze delle quistioni e come quello che le differenzia modifica quella che le rende simili. Egli giudicava del successo di una impresa non appena en conosceva il piano e le basi. Se poi gli avvenimenti provavano che non aveva indovinato, egli risaliva alla fonte del suo errore e cercava di scoprire ció che l'aveva ingannato. In questo modo, aveva egli compreso quali fossero le vie sicure, i mezzi utili e le circostanze capitali che fanno presagire un buon successo dei grandi progetti e che fanno si che essi finiscano quasi sempre per riuscire. Questa continua pratica della lettura, della riflessione dell'osservazione delle cose del mondo, l'avevano innalzato a un punto tale di sagacitá che nel consiglio di Spagna le su congetture sull'avvenire erano prese come profezie.
A questa profonda conoscenza della natura delle grandi questioni, egli univa talenti singolari per la manipolazione, una facilitá di parlare e di scrivere in modo straordinariamente gradevole, un meraviglioso istinto per conoscere gli uomini, un aspetto sempre gaio e aperto, un umor libero e compiacente tanto piú impenetrabile quanto piú tutti quanti credevano poter penetrarlo; modi dolci, insinuanti e lusighieri, che attiravano il segreto dei cuori piú difficili ad aprirsi; tutto l'aspetto della piú completa libertá di spirito nelle convulsioni piú atroci. Gli ambasciatori di Spagna erano allora in condizione di governare e corti presso le quali erano inviati e il marchese di bedmar era stato scelto per Venezia nell'anno 1607 dal momento che questo era considerato il piú difficile egli incarichi all'estero, e in cui non ci si poteva avvaler di donne, di monaci e neppure di favoriiti. Il consiglio di Spagna era cosí contento di lui, che, nonostante sorgessero ncessitá altorve, per sei interi anni non si risolse a richiamarlo. Un si lungo soggiorno diedegli agio di studiare i principi di quel governo, di dipanarne i piú segreti ingranaggi, di scoprirne i punti forti e quelli deboli, i vantaggi e i difetti. Quando si rese conto che l'Ariduca sarebbe stato costreto alla pace e che questa sarebbe stato vergognosa per la casa d'Austria dal momnento che aveva torto, risolse di tentare qualche cosa per prevenire tale eventualitá.
Cnsider'che nello stato in cui Venezia si trovava non era impossibile impadronirsene con le conoscenze che aveva e con le forze sulle quali poteva fare affidamento.
Gli eserciti l'avevano privato delle armi e ancor peggio di uomini capaci di portarle.
Siccome la flotta non era mai stata tanto bella, il senato non si era mai considerato cosí temibile e mai aveva temuto meno. Tuttavia questa flotta invincibile quasi non poteva allontanarsi dalla costa istriana dove si combatteva quella guerra. L¡esercito di terra, anch'esso era lontano; e non vi era nulla a Venezia che potesse opporsi a un attacco della marina spagnola. Per rendere piú sicuro questo attacco il marchese di Bedmar volle impadrronirsi dei posti principali, come Piazza S. Marco e l'arsenale; e, siccome sarebbe stato difficile farlo se la cittá fosse stata perfettamente tranquilla, pensó bene di far incendiare contemporanemente tutti i luoghi che erano piú adatti e che fosse piú importante soccorerre.
Non volle scrivere subito in Spagna: sapeva che i principi non amano essere messi al corrente di questo tip di imprese che quando sono giunte ad un punto tale di esecuzione che solo manca un loro cenno di approvazione. Si accontentó di far notare al marchese di Useda, principale segretario di stato che la casa d'Austria era svergognata dall'insolenza dei veneziano nella guerra del Friuli e che tutti i negoziato che si svolgevano a Vienna e altrove erano pieni di ignominia e che egli credeva che fosse giunto il mmento in cui la natura e la politica obbligano un suddito fedele a ricorrere a mezzi straordinari per preservare il proprio principe e il proprio paese da una infamia altrimenti inevitabile; che questa preoccupazione lo concerneva particolarmente, a cusa del suo incarico, in cui aveva sempre davanti agli occhi le fonti del male cui si doveva porre rimedio, che e che egli avrebbe cercato di condurre a termine questo suo compito in un modo degno dello zelo che lo animava per l'onore del suo signore.
Il duca di Useda, che lo conosceva per quello che, comprese subito che questo discorso nascondeva qualche progetto pericoloso e importante in parti eguali: ma, come coloro che sono saggi non vogliono sapere niente di questo genere di cose se non obbligati, non comunicó il suo pensiero al Primo Ministro e rispose al marchese di Bedmar in termini generali, lodando il suo zelo e rimetendosi per il resto alla sua ben conosciuta prudenza. Il marchese che si attendeva una risposta del genere non fu sorpreso dalla sua freddezza; si dispose a metterei atto il suo piano per assicurarsi di essere approvato.
Mai vi fu nel mondo una monarchia assoluta come il dominio che il senato di Venezia esercitava nel governo della Repubblica. Infinita è la differenza tra i nobili e quelli che non lo sono. Solo la nobiltá puó comandare nei paesi che en dipendono.
Saint-Réal
traduzione genseki
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