sabato, febbraio 27, 2010

margueritte duras - le mani negative 1978 Part 1

Mani

Le mani

Le vostre mani amatele cosí saranno belle
Nessun ungüento sembri troppo caro per loro
Curatele e tagliate ogni unghia spezzata
Per loro usate sempre lo strumento adeguato.

Iddio fece le mani feconde in meraviglia;
Il loro bianco è quello serafico dei gigli
Nel giardino carnale sono due fiori simili
Hanno sangue di rosa sotto unghie sottili

Mistica primavera circola nelle vene
E sembrano sorridere il mughetto e la viola
Sulle linee del palmo s'addorme la verbena
Rivelano le mani segreti spirituali.

I piú grandi pittori amarono le mani
I pittori di mani sono grandi maestri.

Come due bianchi cigni che nuotano affiancati,
Due vele che sull'onda si fondono nel bianco,
Immergete le mani nei catini argentati
Asciugatele in lini impregnati di aromi.

Le mani sono l'uomo come l'ali l'uccello;
Le mani dei malvagi son terre inaridite
Quelle della vecchina che maneggiano il fuso
Hanno molta saggezza incisa nelle rughe.

Mani di contadini, mani di marinai
Appaiono dorate sotto la pelle bruna.
L'ala dei cormorani porta l'odore salso
Le mani della vergine il bacio della luna.

Le mani piú preziose fanno mestieri oscuri,
Quelle del carpentiere sono mani santissime.
Sono le vostre figlie son le vostre gemelle
Le dita i nipotini benedetti piccini
Attenti ai loro giochi ai piccoli contrasti
Alla loro condotta in tutti i suoi dettagli.

Le dita fanno reti e sorgono cittá;
Le dita han celebrato la lira anticamente
Lavorando si piegano ai compiti piú vili
A volte manovali ed altre musicisti

Liberati nel bosco dell'organo alla messa,
Le dita sono uccelli e sulle loro punte,
Che volano tra i rami come tante ghiandaie,
Ci sorride lo stormo dei segni della croce,

Il pollice è un gran duro piccolo e corpulento
Dotato della forza d'Ercole trionfante,
Quello piú gracilino, sensibile alla grazia,
È il dolce dito mignolo: è restato bambino.

Siate servi alle mani che son serve fedeli,
Fatele riposare in un letto di lino.

Sono le vostre mani che danno le carezze
Son sorelle dei gigli, sorelle delle ali,
Non meritano disprezzo e neppure abbandono
Lasciatele fiorire come degli asfodeli.

Elevate al signore le gioie profumate
La sera di preghiere dischiuse sulle labbra.
O mani, mani giunte per i poveri morti,
Perché Dio nelle mani ci rinfreschi la febbre.

Perché il mese dei frutti vi carichi di doni
Se resterete aperti su un nido di perdoni.
E infine, voi che siete nemici delle armi,
E tristi vi specchiate in un fiume di pianto
Vegliardi i cui capelli vanno bianchi alla luce,

Garzoni occhi divini ove l'amor si desta
Donna che vai mischiando i tuoi sogni con gli angeli

Il cuore gonfio a volte in fondo a strani vespri
Non sapendo di avere il voler nelle mani
Tutti voi dimandate: Signore, in veritá,
Dove trovar la cura ai nostri mali estremi?

Ê nelle vostre mani, sono loro, le mani.


Germain Nouveau
trad genseki

giovedì, febbraio 25, 2010

I sufi d'Andalusia

Abû Jafar al-'Uryanî II

Si racconta che mentre egli si trovava a Siviglia vennero a informarlo che la gente della fortezza di Kutamah aveva bisogno di pioggia. Sebbene la firtezza fosse sull'altra sponda di un braccio di mare e si dovesse viaggiare otto giorni per raggiungerla via terra, lui si mise in cammino con uno dei suoi discepoli chiamato Muhammad. Prima che partissero suggerirono loro di pregare per loro senza intraprendere il viaggio, egli rispose che Allâh gli aveva ordinato di andare di persona. Quando raggiunsero la fortezza non vi poterono entrare ma egli fece la preghiera di istiqâ e poco dopo Allâh inviò la pioggia. La pioggia cadde intorno a lui e al suo discepolo ma non una sola goccia li bagnó. Quando il discepolo espresse il suo stupore per il fatto che la misericordia divina non fosse caduta anche su dilui, il maestro esclamó: - certo che sarebbe caduta ma avrei dovuto pensarci prima.

Un giorno mentre stavo seduto presso il Maestro, si presentó un uomo con suo figlio. Salutó e ingiunse al figlio di fare altrettanto. Allora il nostro Maestro aveva giá perduto la vista. L'uomo disse: - O Sidi, ecco mio figlio che ha imparato a memoria il Corano.
Udendo queste parole l'aspetto del maestro cambió completamente per l'impressione di uno stato spirituale. Disse allora: - È l'Eterno che porta il transitorio, che il Corano ci porti e ci preservi, noi e tuo figlio!
Questo annedoto è un esempio dei suoi stati di presenza spirituale.

Ibn Arabi
Trad a cura di genseki

Non c'è né spirito né metodo

- L'errore ha il potere di velare il mio spirito e non ho ancora compreso come liberarmene.
- Restare nell'errore o liberarsene questo vuol dire semplicemente ancora un errore. In fondo l'errore non ha radici e esiste soltanto perché vi è discriminazione. Quando non avrete piú opinioni iintorno a ció che è ordinario o straordinario, allora l'errore scomparirá da sé. Che altro si dovrebbe poter fare? Quando non resta nemmeno un granello di polvere a cui afferrarsi, allora, come si dice, si aspira alla buddhitá sacrificando ad essa entrambe le braccia.
- Se non ci si puó afferrare a nulla che cosa mi raccomandate riguardo alle cose sensibili?
- Lo spirito si trasmette con lo spirito.
- Se lo spirito si trasmette perché dite che non vi è nemmeno lo spirito?
- Non avere niente da trasmettere. Questo si chiama trasmettere lo spirito, se si comprende che cosa è questo spirito allora non c'è spirito, non c'è metodo..
- Se non vi è nè spirito nè metodo, che cosa vuol dire trasmettere?
- Io vi parlo di trasmissione dello spirito e voi pensate che esista qualche cosa del genere. Per questo il Patriarca ha detto:

Quando riconobbi la natura del mio spirito
Fu qualche cosa davvero inimmaginabile
Una realizzazione che realizza l'irrealizzabile
Di cui no dir'se davvero avvenne.

Ma se io vi insegnassi qualche cosa del genere, non sapreste che farvene

Huangpo
Dialoghi
trad a cura di genseki

I sufi d'Andalusia

Abû Ja'far al-Urianî

Il primo che incontrai sulla Via di Allâh fu Abû Ja'far al-Urianî. Questo maestro venne a Siviglia quando io avevo appena cominciato ad acquisire le conoscenze di questa nobile Via. Fui il primo di coloro che si indirizzarono a lui. Entrato nella sua casa, lo trovai consacrato al dhikr. Mi presenai e lui seppe imediatamente qual era la mia necessitá spirituale.
Mi chisese: - Sei fermamente convinto a seguire la Via di Allâh?
Risposi: - Il servitore puó prendere la decisione, ma è Allâh che stabilisce.
Mi disse allora: - Chiudi la porta, rompi ogni legame, prendi come compagno Il Generoso, Egli ti parlerá senza veli.
Mi impegnai cosí fino ad ottenere l'apertura.
Bencjé fosse un campagnolo illeterato che non sapeva né contare né scrivere, bastaa ascoltare i suoi insegnamenti sul Tawhid per apprezzare il suo livello spirituale.
Dominava i pensieri con l'energia spirituale e poteva superae gli ostacoli dell'esistenza grazie alle sue parole. Lo si vedeva sempre invocare in stato di purezza rituale, rivolto verso la Qiblah, la maggior parte dei casi a digiuno. Un giorno fu fatto prigioniero dai cristiani. Siccome ancora prima di partire sapeva quelo che sarebbe successo avvertí tutta la carovana che sarebbero stati fatti prigionieri dai cristiani il giorno dopo. Il mattino dopo, come aveva previsto, il nemico tese un'imboscata e furono fatti prigionieri. I cristiani ebbero molti riguardi per il maestro e gli diedero un alloggio comodo e servi. Poco dopo poté essere liberato avendo pagato un riscatto di 500 dinari e si mise in viaggio verso il nostro paese. Al suo arrivo gli proponemmo di raccogliere la somma tra due o tre persone. Egli ci rispose che voleva raccoglierla da molte, se fosse statoorno del giudizio posibile voleva ottenere da ciascuno una piccola somma perché Allâh pesava ogni anima il Giorno del Giudizio e in ogni anima c'era qualche cosa degna di essere salvata dal Fuoco. Cosí Egli voleva prendere il bene di ciascuno per la comunitá di Muhammad.

Ibn Arabi
Trad genseki

mercoledì, febbraio 24, 2010

Il cardo

Quando mi donasti il tuo cardo
Il latte profumava ancora caldo
Sulle tue labbra azzure per il freddo
Il coro delle capre balbettava
I passi di una danza zodiacale
Dalle tue labbra gocciolava il latte
Sul circolo dell'erba bruciata
Dove i ceppi carbonizzati
Fiorirono in ironiche scintille
Il tuo cardo era solo un ricordo
Grigio argentato del nostro sole antico
Il dio barbuto che preservava i tuoi talloni
Lo portava tatuato sulle palpebre
Convulsa come le pieghe della tua veste
La tua mano fingeva d'essere un gioiello
Nessun artista barbaro avrebbe cesellato
L'asprezza con cui ti seppi cingere.

genseki

lunedì, febbraio 22, 2010

Il tuo occhio

Il tuo occhio si schiudeva come un tulipano
Alle carezze delicate del mio sguardo
Il tuo occhio era velluto all'alito del mio contemplarti
Il tuo occhio sorgeva all'orizzonte della mia vista
Rotolava sulla mia luce come una palla da biliardo sul velluto
Il tuo occhio penetrava il mio osservarti
Tatuare su di me la tua avversione
A qualunque sbocciare
Pioveva su di me il tuo occhio le sue gocce ardenti
Sui petali delle mie palpebre
Le tue erano ali allora sulla notte della pupilla
Sulle smeraldo spezzato dell'iride
Con le nocche cercavo il tuo occhio
Perché per sempre fosse anello del mio essere in te
Lancia che assicurava il tuo possesso
L'occhio impenetrabile altrove
In cui ti ritiravi per sparire sotto la pellicola della luce
Come il lago sparisce sotto le increspature dell'acqua verde
Quando la brezza lo accarezza
Le onde sotto il grido rabbioso dei loro tentacoli corallini
Gli steli sotto le scaglie quando sognano i rettili
Il tuo occhio era alba al mio sogno indefinito
Tramonto rovente per l'ebrezza dei miei antichi liquori
L'avrei intrecciato alle mie dita il tuo occhio
Per accarazare con il palmo della mano
La direzione delle tue luci
Il tuo occhio guizzante come un luccio
Nel torrente delle tue visioni
Nella cascata turbinosa che vela la grotte
Delle tue passioni ramificate
Il tuo occhio fu sentiero al mio perdermi
Groppa al mio saltare alla mia fuga
Il tuo occhio testimone delle mie lacrime
Tomba del mio giudizio balbuziente
Galeone del mio oro perduto
Per sempre nei fondali del tuo oceano.

genseki

Michel Leiris II

Mi appare,l'insieme dei miei scritti, piuttosto come il racconto di un sogno durato smisuratamente che una lunga conversazione quando lo considero da questa distanza ove quello che si è visto e quello che si è immaginato non sono più che una foschia così indistinta che si finisce per domandarsi se davvero è esistito ció che pareva esservi di più reale, (di più fisicamente sperimentato).


Dando valore essenzialmente allo sgorgare presente del canto, non provo piacere nel rileggere quello che ho pubblicato molto tempo fa o appena ieri e quelle pagine diverse - che miravano nella maggior parte a una conoscenza di sé che pretendo perseguire ma che si dimostra illusoria alla prova dei fatti, i frutti della mia investigazione restano sparsi in una moltitudine di brani piú o meno letterari che il tempo mi fa dimenticare e i cui risultati dovrebbero riassumersi in una frase o una figura che si possa afferrare in un sol colpo (una chimera e niente piú, giacché bisognerebbe che questo riratto assoluto, mi mostrasse ripreseo a tutti i livelli e in tutte le diferenti etá che ho attraversato) - ne lascio allora naufragare il contenuto nel calderone di una memoria inetta a restituirmi qualche cosa di più che poche briciole del mio passato. Quasi quasi direi che i miei anni non sono stati altro che la materia di una aritmetica follemente astratta (i decenni che si aggiungono ai decenni) e che tutti questi racconti, impressioni, riflessioni o pure costruzioni mentali che ho messo nero su bianco non pesano niente, o almeno non più di un sogno sognato da tanto tempo e che ha perso ogni significato ammesso che ne avesse quando mi abitava.

A cor et à cri
Gallimard p. 96-97
trad genseki

Michel Leiris

Anatomizzando le parole che amamo, senza preoccuparci di seguire le etimologie e il significato ammessi, noi scopriamo le loro virtú pú recondite, canalizzate dalle associazion di suoni, di forme e di idee.

Smulacre et glossaire

Osservazioni sugli angoli

Era da un angolo che la parola conferiva visuale
Prima di cristalizzarsi al suo senso e ad altri possibili
Era da un angolo visuale predefinito
Che finiva per porsi la parola con tutto il peso del suo significato
Ammettevano anche un angolo particolarmente ottuso
Un seno di mare cristallino come la foto di un depliant
Una sequenza del tuffo di un gabbiano
A decapitare un grasso sudicio picccione sul granito
Di una gotica piazza accanto al mare.
Nell'angolo, in quall'angolo dimenticato
Un paracqua arcobaleno a spicchi
Evocava la natura dispiegabile di tutti gli altri angoli
La meraviglia dei meccanismi a soffietto
Come quelli delle vecchie macchine fotografiche
I quadri di pessimo gusto di rachel che raffiguravano paracqua
E ombrelloni arcobaleno
Piegati con angoli differenti su una fredda spiaggia arancione
Poi tutto volava via
Come un biglietto del bus
Come il ricordo degli angoli retti della metropolitana di Pechino
Era stretto nell'angolo ora dalla tempesta dei significati
Dei suoi ricordi si dibatteva nel suo angolo
Nella poltona di legno angolosa
Con i gomiti con i gomiti a formare un angolo divergente
Spezzato a significare la sconfitta, la disfatta
La crocifissione
Si, spezzato, ficcato a forza in un angolo
Eppure sempre cosciente di essere cosciente
Dei tanti angoli della coscienza
Ciascuno con il suo angolo visuale o auricolare
E così ancora di nuovo ancora
E ancora di nuovo fino al rompersi o meglio al frantumarsi
In uno scroscio vero e proprio delle specchio con il suo enigma
Dell'erompere del salmone come puro scatto
Madido muscolo sforza traiettoria

Argento e nulla.

genseki

sabato, febbraio 20, 2010

Hisperica famina

Devo confessare il mio stupore nell'incontrarmi per la prima volta con il mondo del “Latino Hisperico”. Fino ad ora non en avevo mai sentito parlare, nonostante una certa passione per il latino medioevale.
Il latino hisperico è il latino scritto dai monaci irlandesi nei primi secoli di cristianzzazione dell'isola. il VI e il VII. Si tratta di un latino quasi totalmente indecifrabile e stupefacente. La difficoltá di comprensione e lo stupore sono dovuti soprattutto al suo lessico. La sintassi è infatti elementare, paratattica, quasi del tutto priva di subordinate, con il verbo tra il soggetto e il complemento. Il lessico invece è assolutamente stravagante. Le parole del latino classico sono impiegate nel latino hisperico come se avessero tutte lo stesso valore e la stessa funzione, come se fossero equvalenti. Una metafora è considerata equivalente a un sostantivo di uso comune, a un'immagine mitologica, o a un neologismo formato da parole greche per un uso tecnico filosofico o teologico. Gli oggetti e le azioni piú quotidiani sono designati di volta in volta con i termin piú peregrini. A questo si aggiunge una forte presenza di termini celtici o germanici brutalmente latinizzati, per esempio per mezzo dell'uso di una desinenza.
Una descrizione come questa, tuttavia, non rende lo stupore e la meraviglia che colgono il lettore di fronte ad un testo come questo:

Adelphus adelpha meter
Alle pilus hius tegater
Dedronte tonaliter,
Blebomen agialius
Nicate dodrantibus
Sic mundi vita huius,

Calexomen agialus
tu det bolen suum
nobisque auxilium
Didaxon, sapisure,

Toto biblion acute
Non debes reticere

Equinomicun epensum
Habemus apud deum
Si autumetimus audum

Fallax est vita mundi
Decidit ut flos feni

Chiuso nello splendore della sua impenetrabilitá nell'asprezza delle sue alliterazioni, nell'ingenuitá delle sue metafore.
È un testo il cui senso è quello di comunicare l'artificioso, faticoso, entusiasmante processo della sua elaborazione. Un testo che significa soltanto il suo farsi e il suo disfarsi.
Un testo progettato, infatti, per essere caduco. Il tempo finisce per chiuderlo ancora di piú in se stesso, per allontanarlo da ogni possibile interpretazione per trasformarlo da testo a gioiello, un gioiello cesellato nel significante grafico e in quello sonoro.
Un testo che peró si apre alla fine nella ingenua banalitá di un facile e leggero proverbio sapienzale, la cui banalitá non sorregge nessuna possibile malinconia.

Una possibile traduzione della prima strofa è la seguente:
Fratello, sorella, madre, padre figlio e figlia muoiono ugualmene
Vediamo la barca sbattuta dalle onde, cosí è la vita di questo mondo

venerdì, febbraio 19, 2010

Cappotto di finamore

Alla fine lei non si voltó nemmeno
Il suo profilo restó oscurato dal fiore della calla
Che emergeva appena dal vaso di cristallo
Come la bocca di un bambino che sta affogando
Anche le teste decapitate delle anatre
Una per ogni posacenere erano restate
Esattamente la dove lei le aveva lasciate
Si mosse per afferrare le chiavi le squame
Scivolarono appena sulla lama piantata nella crepa del tinello
Non avevo piú abbastanza saliva
Per fumare un'altra sigaretta
Indossava scarpe di scarabeo i suoi piedi erano cuoriformi
Il neon del palazzo dirimpetto disegnava sul suo cappotto di cammello
RISTORANTE CINESE KUNMING
Pensavo al suo seno come a una lattina di pesche scriroppate
Da lasciare per anni nella dispensa del ricordo.

genseki


Tournesol

Léger
Tournesol

Girasole

Di André Breton non ho mai amato Lautréamont. Che non è poca disamistade, Non ho mai amato nemmeno Sade e nemmeno quell'idea degna del peggior Tarantino che la cosa più ganza che ci sia sia uscire per strada con la pistola e sparare nel mucchio, nelle folla, alla rinfusa. Ci sono tante cose di André Breton che come il mio povero amico Dreiser Cazzaniga non ho mai amato. Eppure è stato uno dei miei venerati maestri, Grazie a lui ho coltivato l'arte dell'insuccesso con il solo successo che in essa è permesso: il fallimento. Lbertá colore d'uomo.
Sempre ho sognato di tradurre

Il girasole

Girasole

La viaggiatrice che aveva attraversato le Halles nel crepuscolo dell'estate
Camminava in punta di pedi
La disperazione trascinava per il cielo i gicheri bellissimi
La borsetta conteneva la fiala dei sali mio sogno
Sali che solo la madrina di Dio aveva fino ad allora respirato
Come bruma si dispiegavano i torpori
Nel Cane Fumatore
Dove erano appena entrati pro e contro
La ragazza la si poteva appena scorgere a sghimbescio
Essere pareva nunzia del salnitro
O della curva nera su bianco che diciamo pensiero
Poco a poco si accendevano i lampioni negli ippocastani
La Dama senza ombra si era inginocchiata sul Pont-au-Change
Rue Git-le-Coeur non erano piú gli stessi
Gli impegni notturni erano infine mantenuti
I piccioni viaggiatori i baci d scorta
Confluivano in seno all'incognita beltá
Come dardi sotto il crespo dei significati perfetti
Una fattoria prosperava in piena Parigi
Le sue finestre davano sulla via lattea
Nessuno piú vi abitava a causa di coloro che la frequentavano
Tutti lo sapevano che erano piú fedeli di coloro che la infestavano
Alcuni come questa donna sembra che nuotino
E nell'amore c'è posto per un po' della loro sostanza
Che li interiorizza
Nessun potere sensoriale si sta facendo beffe di me
Eppure il grillo che cantava nella chioma cinerina
Una sera accanto alla statua di Étienne Marcel
M ha strizzato l'occhio con complicitá
Ecco che passa m'ha detto André Breton

André Breton
da "Clair de terre"
Trad. genseki

giovedì, febbraio 18, 2010

Cuori di primavera

L'azzurro penetrava a stento
la gran coltre frondosa di tutte le primavere
Una primavera per ogni bacio
Un'ala per ogni primavera
Era tutto un tramestio di frulli e spinte
Gli aceri cercavano un varco verso il sole
Le graminacee come raggi
Saettavano tra le scure foglie dell'edera
verso la processione dei cuori
Con un panno giallo sfregavo i ricordi
Li collocavo in ordine di primavera
Tutte le primavere avevano almeno un cuore
Alcune ne avevano piú di uno
Alcuni cuori erano sfregiati dal peso del risentimento
Altri dall'oscuritá del loro stesso sangue
La processione dei cuori la illuminavano
Ceri di menta e buttafuochi di bronzo
Cuore per cuore primavera per primavera
Il suo cuore sanguinante lui lo reggeva in una mano
Avvolto in una coroncina fosforescente
Il cuore di sua madre era trafitto da un ramo appuntito di fusaria
Le gocce di sangue si confondevano
Con quegli stupidi fiorellini rossi
Anche il suo petto dava latte di sangue
Da tutti quei forellini di rubino
Si fissavano con occhi lampeggianti
Come lampade al neon tra le gemme dei carpini
Sotto quei raggi scorrevano le primavere
Passavano i cuori e i grandi mantelli
I fastelli di belladonna e le salamandre
E tutti i dolori che erano piú di sette
Da maggio a maggio
Fino a dopo autunno
Fino alla croce di ghiaccio di gennaio.

genseki

mercoledì, febbraio 17, 2010

Pianto

indossati i vestiti da tramonto
senza pupille declinavi il mio sguardo
senza innalzare le mani alle nuvole
spalancavo la vista a un altro volto
dall'interno del cavo dei tuoi occhi
conobbi infine i tratti tuoi perfetti
mi feci allora azzurro come l'acqua
che sulle guance ti scorre se non piangi

genseki

martedì, febbraio 16, 2010

Soglia

Alla soglia sta il punto di parola
Dove collassa l'istante successivo
Ogni istante necessita uno sguardo
dalla soglia si scorge la finestra
Il volo, o solo l'ala e poi la schiuma
Che si frange in processo senza fine
E ricade prima d'altri istanti
L'istante è istante solo se lo dici
La soglia stringe l'istante taciuto
Fuori è la cavitá del tuo soffrire
La soglia è specchio dell'oltrepassare.

genseki

Bruno Maderna: Aura (1972) Prima parte

lunedì, febbraio 15, 2010

Invano

Invano ascoltava gli ottoni
Avvolgere le gomene sonore
Ai tronchi delle palme, al bagolaro
Solitario nell'azzurro del parco
L'inquietudine del metallo
Distillava solo remota
L'eco d'altri ascolti
Futuri, forse sperati
Concavi sempre rotando
Certamente oscuri oltre i mondi

Alla rete sonora, alla griglia delle trombe
Al zampettare inetto dei clarinetti
Allo sbocciare dell'oboe come orchidea
Dal limo dell'improvvido laghetto
Si aggrappava cercando un appoggio
Uno specchio, possibilmente lo spiccare d'un volo
In piena consapevolezza d'istante in istante
Dell'ardente errore del delitto delle galassie
Degli acidi del latte e delle linfe

Raggi di flauti come schegge di fresco mattino
Scintillavano sullo spessore del prato
Il tamburo della terra scuoteva l'ombelico
Del guerriero sepolto dalla madreselva
Trascinato da un odore di polvere
Nel numinoso regno degli archi

Invano, certamente, il suono lo torniva
In presenza in consistenza
Appena a un capello
Dall'essere accolto

Invano - ancora

genseki

domenica, febbraio 14, 2010

Hijab


C'è sempre un angolo del velo che richiede espressamene di non essere sollevato, qualsiasi cosa ne pensino gli imbecilli questa è la condizione stessa dell'incantesimo.

André Breton
Flagrant Délit

La Dama Bunducchia e Dreiser Cazzaniga

II Parte

Le memorie di Dreiser Cazzaniga che ci sono state legate come un lascito che per noi è un onore e un rinnovato dolore non sono, come qualche lettore potrebbe pensare, una serie di ordinati quadernetti o pile di fogli numerati in appositi classificatori. No! Sono una serie di appunti, paragrafi, racconti, annotazione, cartoline postali, lettere, pacchetti di sigarette, biglietti del bus e altro materiale scrivibile ancora gettati alla rinfusa in una serie di vecchi scatoloni IKEA, quelli con le maniglie di corda da marinai per intederci (adesso non ricordo piú il loro nome svedese ma ricordo bene che corrisponevano ai robusti scaffali ISVAR). Sembra che Dreiser Cazzaniga avesse inscatolato tutto quanto restava della sua vita in forma cartacea per bruciarlo. Non lo fece e noi non sappiamo se mai volle farlo davvero. Quello che sappiamo è che è molto difficile organizzare questo materiale in forma coerente: i nomi delle persone si sovrappongono, i periodi si allungano o si accorciano, i luoghi degli eventi possono variare. La vita stessa non è univoca, le tracce che lascia dietro di sé una vita non costituiscono una successione univoca di eventi puntuali, classificabili magari anche come cause e effetti. La Dama Bunducchia dai piedi nodosi e dal sorriso tarlato è anche altre donne che appaiono e scompaiono sul palcoscenico degli amori di Dreiser Cazzaniga,
Dreiser Cazzaniga volle essere libero del suo passato e volle che fossero liberi tutti coloro che vi si trovarono intrappolati per una frazione di tempo piú o meno lunga, come i paesaggi sul cui sfondo trascorse, le case, le stanze e i letti che resero possibile l'intimitá e la densitá del suo tempo trascorso.
Lasció che il passato bruciasse se stesso in uno sfrigolio e in un sorriso si facesse scintilla e angelo
lui rimase sempre nel qui, proteso nell'istante, nell'emergenza dell'istante respirando, guardando, udendo per dimenticare.

Dorothy Day

Ancora su Catholic Worker

Dorothy Day, Peter Maurin e tutti gli altri perseguirono il sogno di istituire un vero ordine mendicante nella societá industriale, anzi nella societá capitalista e industriale per eccellenza, quella degli USA. Probabilmente fu, fino ad oggi, l'ultimo tentativo o uno degli ultimi tentativi di questo tipo. Io non sono a conoscenza di altri. Gl ordini mendicanti sono scomparsi progressivamente col progressivo scomparire del mondo contadino e dell'ordine sociale tradizionale. Le forme moderne di organizzazione ecclesiale sono piuttosto i “Movimenti” come “Sant'Egidio” o “i Kiko” in Spagna che mantengono molte volte un piccolo nucleo monastico, ma certamente non mendicante. Qualche cosa che sembra piuttosto uno spauracchio che un modello. Se sia possibile un ordine mendicante nel mondo dell'economia assoluta e del consumo è una questione forse oziosa. È concretamente possibile quello che nella storia si manifesta concretamente. Certo il tentativo del Catholic Worker fu un nobile fallimento. restó confinato nell'ambito dell'anticonformismo e nell'emarginazione culturale. Eppure è un fallimento da cui si irradia una luce che ancora ci illumina. Certo Dorothy day e i suoi un successo nemmeno tanto piccolo lo ebbero e fu quello di non essere iconizzai, di non diventare simboli buoni per qualsiasi uso come Madre Teresa o Che Guevara. Questo giá indica che il cammino da loro indicato era piú prossimo alla veritá, piú fecondo di quanto il fallimento lasci pensare e che per questo non cessa ancora di essere un modello.

Il fallimento è il dono che è dato a chi serve la veritá e che li permette di spogliarsi, di farsi trasparente, di accettare l'autunno della propria coscienza e di permanere in esso fino al glorioso inverno dello splendore.

Certo Dorothy Day volle testimoniare il cattolicesimo nel cuore della metropoli meno sacra della storia, volle radicarlo nella sua forma di Civitas Cristiana, nel centro della City inumana del morto valore di scambio e per farlo dovette farsi eretica.

Per rendere possibile l'ortodossia dovette rivestirsi dell'eresia, Farsi patara o bogomila per essere davvero radicalmente ortodossa.

genseki

venerdì, febbraio 12, 2010

Catholic Worker

Peter Maurin e Dorothy Day, il Catholic Worker, la bellezza di perseguire il fallimento con assoluta determinazione, con innocenza, con sfacciato coraggio. Il Catholic Worker era la deriva di un gruppo luminoso impegnato a rivivere il medioevo in piena Nuova York del XX secolo. Il medioevo con gli ordini mendicanti, con vagabondi, con i contadini e i movimenti pauperistici in una societá di operai e impiegati, ristorazione collettiva, conflitti razziali, democrazia pubblicitaria e marketing politico. Vissero ardendo il loro sogno acronico o discronico nella Terra di Mezzo delle loro case di accoglienza e fattorie pacifiste, non violente. La loro bellezza e la bellezza della loro vita sono una celebrazione della dignitá che sorge dalla vita quando è vissuta nella libertá. Anche o forse soprattutto nella libertá di sognare un mondo in cui sia possibile davvero vivere, Un mondo in cui la vita viva di ciascuno fecondi quella di tutti gli altri. Poi il tempo si è ripiegato su di loro, su di noi nell'etá oscura del conformismo e dell'inconsapevole disperazione.

genseki

Peter Maurin

Peter Maurin

Io studiavo alla Columbia, e anche qui giunse la notizia
Che un santo era morto nel quartiere dei mendicanti.
Peter Maurin il Santo agitatore
Predicava nei parchi:
“Licenziate i padroni” o
“Dare e non togliere
Rende l'uomo umano”
Con un solo vestito stropicciato e non della sua taglia. Senza un giaciglio
Nella casa che lui stesso fondó, neppure un angolo per i suoi libri.
Camminava senza far caso ai semafori.
...
E lei consagrata da allora a
“Opere di misericordia e di rivolta”. Una vita
Di quotidiana comunione e partecipazione
In ogni sciopero, manifestazione, marcia, protesta o boicottaggio,
Qui vengono a lavorare senza stipendio studenti, seminaristi
Professori, marinai, mendicanti, e a volte restano
Tutta la vita. Molti sono stati in prigione o ci stanno.
Hennacy digiunava davanti agli edifici del governo
Con un manifesto, distribuendo volantini e vendendo il giornale
E non pagava le tasse perché l'85% è per la guerra
Lavorava come bracciante nei campi per non pagarle.
Hugh magro, con i pantaloni corti sandali e poncho
Jack English, un brillante giornalista de Cleveland
Fu cuoco del Catholic Worker e poi si fece monaco.
Roger La Porte era bello e biondo aveva 22 anni: si sacrificó
Dandosi fuoco impregnato di benzina davanti alle nazioni Unite.
Un vecchio ex-marine, Smoky Joe, che lottó contro Sandino
In Nicaragua, morí qui convertito alla non violenza
Qui lavoró Merton prima della Trappa.
Il giornale si vende a 1 centesimo
Come lo vendette Dorothy Day per la prima volta
A Union Square il Primo Maggio del 1933
Il terzo anno della depressione
12 milioni di disoccupati
E Peter con il giornale cercava di fare una rivoluzione piuttosto che pubblicare opinioni
Le pentole fumano
Comnciano ad arrivare i poveri, i senza fissa dimora, quelli del Bowery
Fanno la coda. “Ecco gli altri USA” dice Dorothy
Gli uomini sradicati dalla macchina
E abbandonati dalla Santa Madre Stato.
Grida. Uno entra dando calci e spintoni
Due del catholic Worker lo portano fuori con calma.
“ Non chiamiamo mai la polizia perché crediamo nella non Violenza”
E mi dice: Quando fui a Cuba
Vidi che Sandino era un eroe
Ne godetti. Perché da giovane avevo raccolto denaro per lui.

Ernesto Cardenal
Trad genseki

giovedì, febbraio 11, 2010

Il Postino Cheval

Il Postino Cheval è il Lautréamont dell'architettura. Breton lo ha sacrificato per noi e ce lo ha servito nei modi dovuti per sempre nuovi festini.
Il palazzo ideale visto nella realtá è l'opera di un ortolano ossesionato dalla fertiltá. Un ortolano che coltiva la sua immaginazione come le melanzane.
genseki

Postino Cheval

Noi gli uccelli stregati da te per sempre su questo belvedere
E che ogni notte formiamo un solo ramo fiorito dalle tue spalle fino alle stanghe della tua carretta animata
Ci strappiamo con vivacitá di scintille dal tuo polso
Siamo noi i sospiri della statua di vetro che si solleva sul gomito quando l'uomo esce
E brillanti fenditure si aprono nel suo letto
Fenditure da cui si scorgono i cervi dalle corna coralline in una radura
E donne nude sul fondo di una miniera
Te ne ricordi ti alzavi allora e scendevi
Dal treno
Senza degnare di uno sguardo la locomotiva in preda alle immense radici barometriche
Che si lamenta nella foresta vergini delle caldaie ferite
Con i camini dal fumo di giacinto mossa dai serpenti azzurri

Ti precediamo allora noi le piante soggette a metamorfosi
Che ogni notte facciamo segni che l'uomo puó comprendere
Mentra la sua casa rovina e si meraviglia degli incastri singolari
Che il suo letto va provando con il corridoio e con la scalinata
La scalinata che si ramifica indefinitamente
E conduce alla porta di un frantoio che sbocca di colpo in una pubblica piazza
A schiena di cigno che apre un'ala come un rampa
Gira su se stesso come se dovesse mordersi ma no si accontenta d'aprire i suoi scalina ai nostri passi
Come cassetti
Come cassetti di carne dalla maniglia di capelli
Ora che migliaia di germani si pettinano le piume
Senza voltarti afferravi la cazzuola per modellare i seni
Ti sorridevamo cingevi la nostra vita
E assumevamo i modi i modi del tuo piacere
Immobile sotto le nostre pupille per sempre come la donna ama vedere l'uomo
Dopo l'amore,

André Breton
Clair de Terre
trad. genseki

mercoledì, febbraio 10, 2010

Il volo rosso

Il volo rosso dei colombi crepitava
Come un incendio di zolfanelli
Tra la nascente geometria degli olivi
Tutto continuava a colare: latte
Sangue e miele
Nella nebbia di zafferano.

Lo zoccolo appena oltre la vista
Spezzava l'asse dell'ora
Quando?
Palizzata di canne e palma
Scacchiera di ere adesso ritagliavano
L'immagine di un altro trapasso.

genseki


La Dama Bunducchia e Dreiser Cazzaniga

Prima parte

La dama Bunducchia era una signora di Gallura, proprietaria di varie centinaia di vacchette sarde e ossessiva bevitrice di Fernet. Non Branca. Fernet e basta. Una qualunque delle imitazioni che si trovano nel Liedl. La dama Bunducchia era bassa, nera, legnosa e con due immensi piedi nocchiuti come quelli di un santo eremita in un pala di altare tardogotica.
Aveva i capelli ricciuti come una africana, una risata improvvida e sorprendente e un guardaroba grigio. Un guardaroba i cui capi avevano ciascuno in un modo differente qualche cosa di topesco.
La dama Bunducchia beveva e viveva in un grandissimo appartamento di un edificio verdastro la cui facciata dava sui moli passeggeri del porto. I moli gitani, insomma. Beveva e forse sognava le sue vacchette sarde che dormivano nella macchia sotto i lentischi e i lecci. La dama Bunducchia aveva un amante ufficiale, un giovane muscoloso caribico, antico guerrigliero e disoccupato portuale.
Come accadde che la dama Bunducchia finisse tra le braccia di Dreiser Cazzaniga resta un mistero.
Allora Dreiser Cazzaniga soleva vestire di nero, sbandierava una lunghissima barba incolta che, come avrebbe capito solo molti anni dopo contribuva a mantenerlo in uno stato perenne di leggera tensione e nervosismo, Fu Cesare che gliela presentò, un gigantesco campiere rivoluzionario sempre vestito di fresco lino e panama ecuadoriano.
Cesare lo convinse che Bunducchia non era poi cosí brutta che il guerrigliero caribico non era poi così imprescindibile, che lui sì che avrebbe voluto goderne con una stretta feroce (di Bunducchia non del guerrigliero), che aveva programmato un fine settimana in Versilia, che aveva prenotato un albergo.
Dreiser Cazzaniga si ritrovó nel letto della dama Bunducchia che lo stringeva e si sfregava sulla sua pelle come una pietra pomice. Dreiser Cazzaniga non poté aprire gli occhi per tutto il tempo della relazione che allacció con la dama Bunducchia. Aveva vergogna del mondo, aveva paura della bocca sdentata della vecchia Bunducchia, aveva paura del suo proprio linguaggio che andava disfacendosi con il proggredire di quella scorticante relazione. La dama Bunducchia era insaziabile. Dreiser Cazzaniga poteva solo chiudere gli occhi prigioniero di quel suo incantesimo inacidito. Come si puó arrivare a questo? Si domandava Dreiser Cazzaniga in quell'estate di rovente agonia salina che trascorse nell'arida Gallura. Tutte le sue menzogne salivano alla superficie della coscienza si manifestavano nella loro abbietta natura, bruciavano e sparivano una ad una nel lungo processo di purificazione dalla vergogna che costituivano i prolungati e violenti abbracci della Dama Bunducchia. Correva per i monti aridi, la mattina si scorticava nella macchia si lasciava bruciare dai raggi spinosi del sole. Ritornava affranto la sera ai banchetti sontuosi che Bunducchia gli faceva preparare. Calava la sera. Chiudeva gli occhi. Non dormiva.

a cura di genseki

martedì, febbraio 09, 2010

La camera nuziale

La camera nuziale era un cesto di fiamme
Si aprivano ferite tra le ore ed il vento
Nell'aria si pettinavano i lamenti piú antichi
Precipitavano
Da Venerdí a silenzio per tutte le ruote
Del firmamento
La camera nuziale rinviava le immagini
Di fiamme e rotazioni
Di ruote vertiginosamente rotanti
Intorno all'asse del tempo
Fiamme tracimavano dall'una all'altra coppa
La camera nuziale era il nido del tempo
Il tempo una carola di fiammelle
Cercava una mano il suo velo
Ogni mano il suo scialle ricamato
Chi restava per lo sposo?
Olio, mandorle birra.

genseki

lunedì, febbraio 08, 2010

I sufi d'Andalusia

Ad-Durrat al fâkhirah

Non diceva mai "Io". Non l'ho mai udito pronunciare questa parola. Durante il periodo della mia ignoranza, cioé prima che entrassi nella Via soleva venire in visita da noi per incontrare uno dei miei zii.

Avevamo cercato per lui una moglie e avevamo cercato di fare le cose per bene. Accadde che io mi ammalai, e durante la malattia egli venne a farmi visita in modo che gli esposi il nostro progetto."Fratello mio", mi disse, "mi sono giá sposato e giovedi entrerò nella mia camera nuziale". Se ne andó. Qualche tempo dopo venne a trovarmi Umm az-Zahrá, una donna che era nella Via di Allâh e le spiegai l'assunto. Avendomi lasciato andó da lui e apprese che subito dopo aver lasciato la mia casa si era ammalato. Lei gli chiese del matrmonio e lui rispose: "O Fatima, mi sono giá sposato e tra cinque giorni entreró nella mia camera nuziale come ho detto a mio fratello Ibn 'Arabi. Lei gli chiese: "Con chi ti sposi? Perché hai tenuto segreto il tuo matrimonio?" Lui rispose: "Sorella mia saprai giovedí". Giovedí morí. Nella notte di venerdí entró nel paradiso. Secondo il volere di Dio come un novello sposo.

Ibn 'Arabi
I sufi d'Andalusia
trad. genseki

Luigi Nono: A Pierre. Dell'Azzurro silenzio, inquietum (1985)

Nichita Stanescu

Lezione di volo

Per prima cosa stringi le spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie.
Dici a te stesso:
Ora prenderó il volo.
Poi dici:
Eccomi in volo, tutto qua?

Stringi le spalle
Come i fiumi che si radunano in uno solo
Chiudi gli occhi
Come fanno le nuvole intorno al campo.
Ti sollevi sulle punte dei piedi
Come la piramide emerge dalla sabbia.
Rinunci all'udito
L'udito di un secolo intero
Poi dici a te stesso:
Adesso prenderó il volo
Dalla nascita alla morte.
Poi dici ancora:
Volo -
Era proprio il momento giusto.
Raduni i tuoi fiumi
Come le tue spalle
Ti innalzi tra belati di capre
E dici: Nevermore
E subito dopo: froufrou, flûte!
Sbatti le ali di un altro,
E poi
Diventi questo qualcun altro
Che, lui, resterá per sempre
Quel qualcun altro.

Trad. genseki

sabato, febbraio 06, 2010

Ion Barbu

Ion Barbu

L'Ultimo Centauro

L'ultimo giorno si affrettó da loco a loco
Attonito... Al tramonto ratto si dispiegó
Sul crepuscolo verde, screpolando il travertino
Con il calice reale dei pensieri nella bestia cresciuti...

Fusero gli altopiani il raro blocco
Sera, al freddo bianco con la carne cosparsa
Uscí come chiocciola di vapore, mentre sradicato
Schiariva nella notte un cuore di fuoco.

Permanenente carnefice, l'ombra – lama, elsa -
Ricadde sulle braci con i suoi fili gravi
E la sfera lucente si dissolse in frammenti.

Già s'addorme la terra. Nessun centauro errante:
Solo il trotto mai spento della limpida mandria
È sogno di miniere di sorgenti dorate.

Trad. genseki

venerdì, febbraio 05, 2010

Bilinguismo

Dobbiamo essere blingui anche in una lingua sola. dobbiamo avere una lingua minore all'interno della nostra lingua, dobbiamo fare della nostra lngua un uso minore. Il plurilinguismo non significa soltanto il possesso di piú sistemi ciascuno dei quali sarebbe omogeneo in se stesso; signfica innanzitutto la linea di fuga o di variazione che intacca ogni sistema impedendogli di essere omogeneo. Non parlare come un irlandese o un rumeno in una lingua diversa dalla propria, ma al contrario parlare nella propria lingua come uno straniero.

Glles Deleuze - Claire Parnet
Conversazioni

Sulla cresta

Sulla cresta di sabbia seduti osservavamo
L'avanzata del sale in grandi getti
In cristalli in frequenti crolli,
Proprio sulla soglia tra il mare e le ali
nel punto esatto in cui si apriva
Il taglio la fenditura erosa scorticata
Come la lingua che negava ogni parola
Deglutiva, peró, sillabe come sciroccoo
Iodio celeste silenzio tra scoppio e scoppio.

genseki

giovedì, febbraio 04, 2010

Ereditá

Se scavi appena piú a fondo
Li vedrai gli occhi del pesce
Spalancati tra tutte quelle radici
Piangere fiotti di lacrime nere
Li vedrai gli occhi del pesce
Sperduti come le mani nell'autunno
Uno qua uno là tra le radici
Tra quegli autunni d'ororame
Stesi a marcire sugli steli morti
I ciottoli erano un fiume, in autunno
Ricordi? I pesci si perdevano tra i capelli
I tuoi - ciocche di riccioli, glebe
Ove ora la pala insiste, affonda
Cerca la luna, giú ancora piú a fondo
Come se pozzo fosse ove giace il cielo
Nel ricordo perduto dell'antico fiume
galleggiano come vesciche gli occhi dei pesci
E le tue mani e le tue piaghe e le ciocche
d'ororame dei capelli. Era autunno.
Cava, adesso! Pú a fondo. Fino agli occhi.
La tue mani saranno per gli eredi.

genseki

mercoledì, febbraio 03, 2010

Asura

Seyyed Hossein Nasr

La testa di Husayn

O Husayn, amato da Dio tra molti,
Il tuo corpo è sepolo nelle sabbie del'Iraq
La tua testa sulle sponde ondulate del Nilo.
Due mondi ti rendono omaggio nei due mausolei
Due riflessi in un piano d'anima maestosa.
La tua testa fu tagliata in quel giorno di lutto,
La asura in cui il cosmo pianse il tuo decesso.
La tua testa divenne spazio di vita
Nella terra dei faraoni e dell'Islam.
Una cittá intera è cresciuta in
Intorno alla tua nobile testa tagliata
Che ancora orbita intorno all'asse della tua tomba
Che diffonde una baraka palpabile ai sensi.
I fedeli pregano nella tua moschea,
I sufi intonano i nomi di Dio
Le nascite e le morti
Ritmano le visite ai tuoi luoghi santi
O Hussayn,
Tu che fosti luce degli occhi
Di chi Dio amó sopra tutte le creature,
Mentre il tuo corpo è testimone dei lamenti dei pellegrini
E dell'agonia degli afflitti sul cammino della terra
La tua testa detta il ritmo della vita in questa vasta cittá
La tua testa cuore della medina della Vittoria
La tua qahira in cui vivono e hanno vissuto santi e poeti
Celebrando con le loro vite e le loro azioni quella Veritá
Per cui hai sparso il tuo sangue benedetto
Per la quale hai dato la vita.
La tua moschea al Cairo è chiara testimonianza
Del trionfo di ció che è vissuto nella Veritá,
Percé anche se l'errore passa per la realtá,
Finisce per evaporare con la nebbiolina dell'alba
Davanti al sole della Veritá Suprema che sorge
Per la quale sei morto,
Martire esemplare,
Quella Veritá verso la quale ci conducono
Le tue reliquie terrene attraverso la baraka che spargono,
Evocando il messaggio della tua vita
Che è il trionfo finale della Veritá,
Essa sola avrá l'ultima parola.

16 Aprile 1967
trad. genseki

Hussain Hai - Marsiya - Nusrat Fateh Ali Khan

Culla

Sui tuoi petali cadeva la cannella
I pollici impastavano fili di polline
Lo strofinaccio bisunto ricordava
Il tepore del latte della madre
Smunto il formaggio si faceva nido
Nel cavo della clavicola, la scapola
Sbocciava a volo d'ape,
O mia cera sensata, modellata
Appena sul ritornello del fiato
Tra le lenzuola attente di novembre
Azzurra come la luna sulla culla
Dove il sogno di tante altre carezze
Ti afferrava i piedini come fiori

genseki

martedì, febbraio 02, 2010

È cercandolo che ve ne separate

La rete degli insegnamenti dispensati dai tre veicoli veicoli contiene molte cure e rimedi opportuni. È nella pratica viva e concreta che si applicano e non ve ne sono due uguali. Se lo comprendete non vi potrete piú sbagliare. Per prima cosa dovete perdere ogni attaccamento ai testi sulla base dei quali venite costruendo le vostre teorie, perché questi testi contengono degl insegnamenti che si riferiscono a determinate circostanze concrete, e non esiste un metodo propriamente detto che possa essere insegnato dal Tathagatha. La nostra scuola non ha tesiCu relativamente a questo. Noi ci accontentiamo sapere che il riposo è la calma dello spirito e che allora non vi è piú bisogno di produrre pensieri che si concatenano.


Dialogo II


  • Si sente dire sempre che lo spirito è il Buddhha ma io ancora non ho compreso di quale spirito si tratti?

  • Quanti spiriti ci sono in voi?

  • Insomma è lo spirito ordinario o quello straodinario che è Buddha?

  • Ma dov'è che avete uno spirito ordinario e uno straordinario?

  • I tre veicoli hanno sempre insegnato che vi è uno spirito ordinario e uno straordinario, allora perché lei, dice che non vi é nulla di simile, maestro?

  • I tre veicoli dicono e lo dicono chiaramente che è falso distinguere tra spirito ordinario e spirito straordinario. Siccome non lo capite vi mettete subito a cercare l'esistenza di uno spirito o di un altro, cioè a fare proprio il contrario e prendete il vuoto per una cosa concreta. È un grave errore e questo errore vi allontana dallo spirito.

    Solo quando avrete cacciato i “vostri sentimenti ordinari sullo straordinario”, allora non vi sará Buddha se non nel vostro spirito. Il primo Patriarca è venuto da Occidente per mostrare direttamente all'uomo la buddhitá di tutto il suo essere. Ma voi non ve ne rendete conto, vi attaccate ai concetti di ordinario e di straordinario, galoppate in tutte le direzioni fuori di voi, e, naturalmente, finite per distogliervi sempre di piú dallo spirito. È per questo che si dice che lo spirito è Buddha. Se solo per un istante sorge un'altra emozione cadete in preda a un altro destino. Oggi, come da tempo senza inizio, non esiste nessun altro metodo spirituale.

  • Per quale ragione, Reverendo, lei dice che lo spirito è il Buddha?

  • Che ragioni andate mai cercando? Non appena en avete trovata una ecco che vi separate dallo spirito.

  • Lei dice che le cose stanno cosí da un tempo senza inizio, per quale ragione?

  • È cercandolo che ve ne separate. Se non cercate dove sta la distinzone?

  • Se non vi è distinzione perchè ricorrere al verbo essere?

  • Se non discriminate tra ordinario e straordinario dove sta il predicato? Se “essere” vale come “non-essere” lo spirito non è nemmeno spirito. Una volta dimenticato tutto ció che riguarda lo spirito dove cercarlo ancora?

Huang-po

Dialoghi

trad. a cura di genseki

Alcol

Dreiser Cazzaniga e l'alcol

L'adolescenza di Dreiser Cazzaniga fu una traversata nella piscina dell'alcolismo. Una traversata verde e arancione che pareva non dovesse mai approdare all'altra riva. Vedeva il mondo come attraverso una pellicola d'acqua saldamente compressa sugli occhi, deformato, ora verdastro ora arancione, e gli arti senza gravitá dai movimenti immemori lo facevano sentire ora foglia ora pietra. Erano notti di vomito sulfureo e di pruriti insopportabile di catarro e di freddo. La mattina era il risveglio del Martini, poi vi era la colletta alla stazione per ragranellare quattrini per altri Martini. Molti Martini ebbero su Dreiser Cazzaniga l'effetto di facilitare un apprendimento inspiegabilmente rapido e sicuro del latino poetico. Da ubriaco Dreiser Cazzaniga soleva leggere la Farsaglia di Lucano seduto di fronte al mare, incurante degli spruzzi salini, in una vecchia edizione a cura dell'accademico d'Italia Ettore Romagnoli, dalla copertina nera che prendeva in prestito nell'aristocratica e polverosa biblioteca del prestigioso seminario Humboldt in cui studiava come paria. Di Lucano lo affascinava l'oscuro terrore e la vergogna deforme che impregnavano i suoi versi e la sua complicitá subdola nell'omicidio della propria madre. Lo sognava come un giovane brufoloso dal collo lungo lungo e dallo sguardo sfuggente, le labbra piegate in un sorriso di scusa.
Poi, dopo le lezioni era la volta delle sei o sette birre karlshafen e poi un paio di litri di rosso denso dolcetto a pranzo e altri ancora a cena e poi ricominciare il giorno dopo a sognare il martini mentre il tram franava tra scintille di metallica frizione da Briggio il Decimo al mare su cui splendeva la stella del pastore in un cielo di miniatura borgognona. Dreiser Cazzaniga voleva davvero essere un poeta maledetto, immaginava bandiere rosse sulla bianca torre arabeggiante di Avellano in un vorticoso volo di gabbiani. Le ragazzine, compagne di quotidiana discesa dalla neve briggesca al mare gli facevano paure rivestiva i loro corpi che la sua immaginazione tendeva a denudare con un pudico velo di distorsione alcolica.

a cura di genseki

lunedì, febbraio 01, 2010

Battesimo

Nella radura dei mandorli
Celebrammo il nostro battesimo
Fummo battezzati nel latte
Come scorie appassite di mughetto
La lingua dell'erba era piú bianca
Del tuo fiato e della mia costanza
Nelle tuniche viola ci stringemmo
Tu mi dicevi tutte le tue dita
Io ti cantavo il mio fiato e le orme
Che sfilacciano i rami degli ontani
I voli silenziosi mi dicevi
Da nocche e da pupille e poi gli specchi:
Fammi d'ogni tua sillaba riflesso
Laggiù nel fondo delle tue pupille
Dove scorre rovente la visione
Che alle nostre labbra come nebbia
Ci lasciava ubriachi tra le mandorle
Ma la terra riempiva ora le bocche
L'odore della terra nelle palpebre
Il peso delle terra sui menischi
Terra respiravamo come un bacio
E fummo infine piú bianchi del latte.

genseki

Luigi Nono : Como una ola de fuerza y luz (1971/72) ... 4/4

Il silenzio

Luigi Nono

Il silenzio.

È molto difficile ascoltarlo.
È molto difficile ascoltare , in silenzo, gl altri. Altri pensieri, altri rumori, altre sonoritá, altre idee. Attraverso l'ascolto, cerchiamo abtualmente di ritrovarci negli altri. Vogliamo ritrovare i nostri propri meccanismi, il nostro proprio sistema, la nostra razionalitá, nell'altro.

In questo vi è una violenza totalmente conservatrice.

Invece di ascoltare il silenzio, di ascoltare gli altri, speriamo di ascoltare ancora una volta di piú noi stessi. Questa ripetizione è accademica, conservatrice, reazionaria. È un muro elevato contro il pensiero, contro quello che ancora non si puó spiegare. È il prodotto di una mentalitá sistematica basata sugli a priori interni de esterni, sociali o estetici. Amiamo il confort, la ripetizione, i miti: amiamo ascoltare sempre la stessa cosa, cone le sue pccole differenze che ci permettono di dimostrare la nostra intelligenza.

Ascoltare musica.
È qualche cosa di molto difficile.
Credo che oggi sia un fenomeno raro.

Ascoltiamo abitualmente in modo letteraro, ascoltiamo quello che si è scritto, ci ascoltiamo ...

L'errore rompe le regole. È una trasgressione. È opposizione alle istituzoni stabilite. È ciò che ci permette di intravedere altri spazi, altri cieli, altri sentimenti all'interno e all'esterno, senza dicotomie tra i due, contrariamente alla mentalitá banale e manichea sostenuta oggi.

Risvegliare l'udto, gli occhi, il pensero, il massimo d interiorizzazone esteriorizzata: questo oggi è essenziale.

Luigi Nono
Intrevista a “Contrechamps”

Trad. e selezione genseki