lunedì, settembre 12, 2011

Avanguardia e narrazione

Parte I


Negli anni cinquanta e sessanta i teorici del "Nouveau Roman" affermavano con veemenza che il romanzo era l'unica arte che, nel corso del XX secolo, non aveva portato a compimento la propria rivoluzione avanguardista, a differenza delle arti plastiche, della musica e della poesia che la stavano sviluppando da tre quarti di secolo. Se il cubismo, il dodecafonismo, il surrealismo e altre scuole degli anni dieci, venti e trenta avevano, al loro apparire, suscitato scandalo, anatemi e polemiche, ma n ormai erano state accolte nel limbo sereno in cui gli andirivieni del gusto finiscono per collocare i classici. Al contrario, tuttavia, nel 1973, Jean Ricardou, in un suo libro sul "Nouveau Roman" scriveva: "Siamo ormai alle edizioni complete, ai premi letterari, ai grandi quotidiani, all'Universitá, sicuramente il "Nouveau Roman" ha potuto imporre alcune caratteri della sua attivitá, ma l'accoglienza che ha ottenuto presso gli ambienti culturali sembra singolarmente concessa controvoglia". Oggi, trent'anni dopo, si può comprovare come questa resistenza sia ancora viva e che, nonostante una ricezione parialmente positiva nelle istanze culturale ufficiali come l'edizione della Pléiade di Nathalie Sarraute e il Premio Nobel a Claude Simon che puó essere interpretato come un riconoscimento a tutta la scuola, il rifiuto, in molti casi, continua ad essere cocciuto e violento.

Perché tanto furore? Varie possono esserne le cause, la piú evidente è che la complessitá di un'opera d'arte che la allontana dall'abitudine, non solo sconcerta, ma a volte, quando non si ha la preparazione per affrontarla, delude e offende. La ricezione tumultuosa delle novitá, a volte radicali, che sono una costante nella storia delle avanguardie, suole essere composta di razionalizzazione ma anche di risentimento. Nel caso del "Nouveau Roman" questo persistente ripudioincuriosisce posto che ha cessato da tempo di essere una novitá e ha il suo posto nella letteratura francese.

Un rifiuto cosí ottuso deve avere qualche causa che sarebbe interessante indagare e che non dipende dal carattere singolare del "Nouveau Roman" ma, piuttosto dalla funzione che la societá attribuisce al genere narrativo.

Si sa che la poesia lirica godette sempre di uno statuto piú libero della poesia epica perché la lirica atta esprimera la personalitá e l'intimitá del poeta poteva permettersi (dal punto di vista del pubblico, assolutamente non da quello dei poeti!) una maggiore irresponsabilitá dell'epica che spesso era utilizzata per eprimere il punto di vista di una intera societá. Quando, a partire dalla prima metá del secolo XIX la poesia si scriverá anche in prosa, l'uso che i poeti faranno di questo nuovo strumento finirá per dare un contributo decisivo alle avanguardie, proprio come, quando il genere epico adottó la prosa dando luogo al nuovo genere del romanzo, si produssero contemporaneamente, nei molti tentativi di ques'arte singolare, fenomeni contradditori e persino conflittuali.
La rappresentativitá sociale ereditata dall'epica sembra obbligare il romanzo a privilegiare la linearitá, l'azione, la trasparenza ( nel senso che Sartre da a questa parola come quello di un linguaggio non utilizzato nella sua opaca materialitá come nella poesia, bensí come un intermediario invisibile tra il lettore e il signficato). Anche se l'epica, a partire per lo meno da Don Chisciotte, ha cessato di essere preminente nell'evoluzione delle forme narrative ( e si potrebbe anche dire che il racconto in occidente evolve verso una retorica anti-epica), i procedimenti che veicolavano i suoi valori sociali e letterari continuano ad essere onnipresentied è evidente che l'esercizio di ogni narrativa valida ha consistito nell'opporsi ad essi. È questa opposizione che spiega la ricezione conflittuale di ogni opera narrativa dalla seconda metá del XIX secolo.

Juan José Saer

Trad genseki

venerdì, settembre 09, 2011

Drop Box

José Ortega y Gasset

La filosofia del pieno mezzogiorno di Ortega y Gasset impedisce alla nottola di levarsi in volo.


Preferisco concepire la filosofia come un fluido succedersi di luce e di ombra, nella radura, anche a mezzogiorno, la luce del sole filtra tremula tra le fronde si tinge di sfumature di verde e ocra, oppure è nebbia leggera del mattino che sfuma i contorni dei concetti e ci rimanda al loro discreto svelarsi come velati.


genseki




L'uomo vive abitualemente sommerso nella sua vita, come un naufrago nel suo mare, trascinato istante dopo istante dal torbido torrente del suo destino, vive, cioè. in uno stato di sonnambulismo interrotto soltanto da lampi intermittenti di luciditá nel corso dei quali scopre confusamente come è strano il fatto di vivere, allo stesso modo in cui il fumlmine, in un battito diciglia, rivela le anse profonde della nera nube dal cui seno scaturí. Aveva proprio ragione Calderón, e in un senso piú banale e terra terra di quanto pensasse: la vita è sogno come è sogno ogni realtá che non abbraccia se stessa, che non prende pieno possesso di sé,che resta dentro di sé e non riesce a fuoruscire da sé posizionandso sopra di sé. In questo sono eguali l'incolto el'uomodi scienza; anche il fisico èun sonnambulo e non solo nella vita quotidiana ma anche quando fa fisica sonnambulizza. La fisica è un sogno. Un sogno matematico.La sola possibilitá che l'uomo possiede per svegliarsi, per ricordare e vivere in pienaluciditá consiste precisamente nel filosafare.Insomma, la nostra vita o è sonnambulismo o filosofia. Lo dico chiaro come avvertenza preliminare: La filosofia non èun sogno - è insonnia - attenzione infinita,volontá di perpetuo mezzogiorno esasperata vocazione alla veglia e alla luciditá.

Ortega y Gasset
La ragione storica


Trad genseki