venerdì, ottobre 06, 2023

La fine di una civiltà








l primo segno, ma anche quello che passa maggiormente inosservato della decadenza di una civiltà è la coscienza che abbiamo di essa. Con la lucidità perfetta dell'uomo che conosce il suo male seguiamo il cammino di tale decadenza. La nostra coscienza si amplia nella stessa misura del movimento che la scompone e la libera. Vediamo, una dopo l'altra le funzioni della vita civilizzata: costumi, arte filosofia, politica, religione, società aggredite da un implacabile processo di decadenza.Il nostro spirito si dilata proporzionalmente al nulla che ci invade e che domina e popola con le proprie creazioni autonome, senza essere soggetta a nulla. Sperimentiamo in questo un godimento segreto: sappiamo che il male sta li, presente, metodico, dividendo in qualche modo il nostro essere in due parti, una delle quali si dissolve nell'altra, proiettando la sua coscienza verso più sottili meandri del disordine, li canalizza per mezzo dei suoi artifici. Oggi siamo capaci di organizzare la disorganizzazione in un una visione d'insieme sulla totalità simile a quella del l'architetto che ricompone gli elementi dispersi. Questo è tuttavia quello di siamo capaci, niente di più. La coscienza dell'unità di una civiltà cresce mano a mano che questa cade a pezzi, e l'azione che le rassomiglia si effettua soltanto al livello che nella nostra fatuità chiamiamo "lo spirito", coadiuvato da ciò che gli è più vicino: il linguaggio abbondante e sterile, la astuzia insidiosa, la forza che violenta, franca e disarmata. Se è vero che un organismo muore quando la sua coerenza interna sparisce, la civiltà moderna è giunta a questo stadio. Nietszche, però non scriverebbe di certo oggi: " sono venuto presso di voi, uomini attuali, sono giunto al paese della civiltà... e cosa mi è successo? mi sono messo a ridere nonostante la mia paura. I miei occhi non hanno mai visto nulla di tanto intricato !... il volto e le membra colorati in cinquanta modi diversi; è così, con grande mia confusione che vi vedevo uomini attuali. E con cinquanta specchi intorno a voi, cinquanta specchi che adulavano e imitavano l'insieme dei vostri colori!!... E se uno sapesse scrutare le viscere, chi crederebbe che avete viscere? Sembrate fatti di colori e di pezzettino di carta incollati l'uno all'altro". Orami la civiltà non è più l'unità di una diversità, non è più quello che era ai tempi di Nietszche: un diversità pura. Grazie a uno sforzo gigantesco di coscienza è giunta ad essere l'unità astratta e formale di una molteplicità senza coesione di esseri identici che si contemplano nell'unico specchio "della coscienza umana, considerata la divinità più elevata".
Siamo immersi in un continuum spazio temporale di pensieri, che si riducono sempre di più a un solo e comune denominatore spirituale, e viviamo in una discontinuità morbosa. Se prendiamo una a una le grandi correnti "dottrinali" che interferiscono sulla civiltà attuale e le consideriamo dal punto di vista del delta pantanoso in cui vanno a finire piuttosto che nelle loro o origini particolari, sperimentiamo l'impressione sconsolante della somiglianza nella povertà: Marxismo, capitalista e un certo cristianesimo convergono nella dominazione del mondo da parte dello spirito umano. questo mondo tuttavia non è altro che una terra astratta, grigia, uniforme; in vano si cercano in essa uomini di carne ed ossa. È una espressione algebrica, in cui non troviamo nessuno, in cui il prossimo sensibile e concreto è scomparso diluito nella coscienza dell'umanità. Per questi sistemi gli uomini ormai non sono collegati tra di loro da un certo qualcosa indefinibile, che gli obbliga, con urti e vicissitudini, ad articolarsi nella calda presenza di piccole comunità, in cui ciascuno comprende l'altro senza sforzo.
Tutto accade come se nei diversi organi di questo vasto corpo che è l'umanità, il cervello, i reni, il cuore, le viscere - ma chi mai potrebbe credere che avete ancora viscere? -, le diverse specie di cellule avessero perso le pareti protettrici e si fossero trasformate in atomi tutti uguali, senza legami, giustapposti solo sulla base della fredda presenza - spaziata da qualche soprassalto "mistico - dello "spirito" che li abbatte. La civiltà non trova davanti a sé che atomi umani che disintegra, e dai quali spera trarre qualche energia psichica sconosciuta che rinnoverà la faccia della terra sotto la direzione dello "spirito"; sia questo spirituale o materiale, politico o economico, agnostico, scientifico poco importa, è là che va dirigendo la povera umanità sanguinante, per il suo bene. Dopo ogni disastro, dopo ogni discesa di un grado dei valori umani concreti , questa civiltà proclama per bocca dei suoi più qualificati che uno "spirito", di giustizia, di carità, di accesso a tutti i beni terrestri diffusi da una tecnica grandiosa, superorganizzando la materia, lavora invincibilmente il mondo polverizzato.Quanto più la la vita autentica si disperde, tanto più la coscienza immagina una nuova vita in un mondo nuovo sincronizzato con la sua devitalizzazione. Ecco, allora il dramma della coscienza o dello spirito nei momenti di crisi profonda della civiltà: la relazione fondamentale dell'uomo con il mondo esiste ormai soltanto nel pensiero, nell'immaginazione, insomma, considerato che il pensiero propriamente detto è molto raro nella specie umana. Una volta abolite la compenetrazione e la reciproca simpatia dell'uomo e del mondo, questo non parla ormai più all'uomo silenziosamente attraverso ille voci che si infiltrano nel suo incosciente e lo informano dei suoi segreti; l'uomo non risponde più con il suo affetto silenzioso.

Marcel De Corte.
Essai sur la fin d'une civilisation (Bruxelles, Éd. Universitaires ; Paris Libraire de Médicis, 1949)

Trad Pietro