Ama il tuo ritmo
Ama il tuo ritmo e ritma le tue azioni
Secondo la sua legge, come i versi,
Tu sei un universo di universi,
La tua anima fonte di canzoni.
La celeste unitá che presupponi
Fará sbocciare in te mondi diversi,
E l'eco dei tuoi numeri dispersi
Pitagorizza le tue costellazioni.
Ascolta la retorica divina
Dell'uccello dell'aria e la notturna
Irradiazione geometrica indovina;
Uccidi l'indifferenza taciturna
E unisci perla e perla cristallina
Dove la veritá rovescia l'urna.
trad. genseki
Da "Prosas profanas y otros poemas"
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venerdì, giugno 17, 2011
sabato, giugno 11, 2011
Metempsicosi
Fui quel soldato che dormí nel letto
Di Cleopatra divina. Che bianchezza!
Ed il suo sguardo astrale, onnipotente.
Questo fu tutto
O sguardo! O corpo bianco! O letto
In cui stava radiante di bianchezza!
Quale rosa marmorea onnipotente!
Questo fu tutto
Tra le mie braccia scricchioló il suo collo;
E io, liberto, feci obliare Antonio.
(Il letto, quello sguardo, la bianchezza!)
Questo fu tutto
Io, Rufo Gallo fui soldato e sangue
Ebbi di Gallia, la giovenca imperiale
Un minuto mi dié del suo capriccio.
Questo fu tutto
Perché nell'istante spasmodico tenaglie
Non furono le mie dita di bronzo
Al collo bianco della reina in foia?
Questo fu tutto
Fui portato in Egitto. Ferrea catena
Mi pesó sulla nuca. Fui pasto un giorno
Della muta dei cani. Rufo Gallo il mio nome.
Questo fu tutto
Rubén Darío
Da: El canto errante
trad genseki
Di Cleopatra divina. Che bianchezza!
Ed il suo sguardo astrale, onnipotente.
Questo fu tutto
O sguardo! O corpo bianco! O letto
In cui stava radiante di bianchezza!
Quale rosa marmorea onnipotente!
Questo fu tutto
Tra le mie braccia scricchioló il suo collo;
E io, liberto, feci obliare Antonio.
(Il letto, quello sguardo, la bianchezza!)
Questo fu tutto
Io, Rufo Gallo fui soldato e sangue
Ebbi di Gallia, la giovenca imperiale
Un minuto mi dié del suo capriccio.
Questo fu tutto
Perché nell'istante spasmodico tenaglie
Non furono le mie dita di bronzo
Al collo bianco della reina in foia?
Questo fu tutto
Fui portato in Egitto. Ferrea catena
Mi pesó sulla nuca. Fui pasto un giorno
Della muta dei cani. Rufo Gallo il mio nome.
Questo fu tutto
Rubén Darío
Da: El canto errante
trad genseki
mercoledì, marzo 30, 2011
Il Servo di Darío
Goyito il figlio di Gregorio Blandón
Allevato dai Darío
Si presentó al poeta - ed entró al suo servizio
Quando ritornó dal suo ultimo viaggio.
Oggi coperto da un lenzuolo
In mezzo alla strada
Sua nipote lo piange.
La sera leggeva Rubén Darío.
Sapeva persino a memoria "Le ragioni del lupo".
Poi non gli rimase che il ricordo.
Una catarrata
Lo introdusse lentamente
Nella nebbiosa contrada della cecitá.
- Don Rubén era un principe,diceva
Non appena la febbre gli concedeva una pausa si vestiva Limpido e impeccabile. E si sedeva
Nella sua poltrona di vimini con un libro in mano.
Lo ricordo vestito di lino di cotone e col panciotto.
Le scarpe brillavano
La cravatta azzura
I capelli che cominciavano a scarseggiare A farsi bianchi.
- Goyo: porta via la spazzatura! - mi diceva >Non sopportava la sporcizia.
Sembrava distratto
Ma non sfuggiva niente
Ai suoi occhi svegli e esigenti.
E Goyo ogni sera tornava
Ai suoi ricordi come a una Accademia
Puntuale, e i suoi gesti
Si facevano piú distinti.
Tutte le sere saliva
La scalinata di un palazzo.
Serviva Il principe.
Don Gregorio
Il paggio.
Ora sua nipote
Prega quelli che passano
Che la aiutino a comprare una bara.
- Aveva una voce dolce, ma
Quando entrava in collera
Tuonava. Don Rubén era allora
Chi lo avrebbe mai creduto! Volgare.
Donna Rosario diceva:
Un poeta
Cosí non puó parlare.
E don Gregorio il paggio
Assumeva un aria protettrice
Di fronte alla debolezza del Principe. -
Una volta litigó con Donna Chayo
Storie vecchie. Gelosie stagionate
A don Rubén brillavano gli occhi.
E lei
Gli ricordava
Che lui impegnó i suoi gioielli a Panamá.
Quel giorno
Don Rubén ebbe una ricaduta e molta febbre.
"Un numero infinito di cose
- Dice Borges -
Muore in ogni agonia".
Con questo veccio servitore forse si spengono
Le ultime orecchie
Che conservarono la voce di Darío.
Seppellendo Goyo nella fossa comune
Seppelliamo il popolo
E con il popolo La voce del suo poeta.
Pablo Antonio Cuadra
Trad genseki
Allevato dai Darío
Si presentó al poeta - ed entró al suo servizio
Quando ritornó dal suo ultimo viaggio.
Oggi coperto da un lenzuolo
In mezzo alla strada
Sua nipote lo piange.
La sera leggeva Rubén Darío.
Sapeva persino a memoria "Le ragioni del lupo".
Poi non gli rimase che il ricordo.
Una catarrata
Lo introdusse lentamente
Nella nebbiosa contrada della cecitá.
- Don Rubén era un principe,diceva
Non appena la febbre gli concedeva una pausa si vestiva Limpido e impeccabile. E si sedeva
Nella sua poltrona di vimini con un libro in mano.
Lo ricordo vestito di lino di cotone e col panciotto.
Le scarpe brillavano
La cravatta azzura
I capelli che cominciavano a scarseggiare A farsi bianchi.
- Goyo: porta via la spazzatura! - mi diceva >Non sopportava la sporcizia.
Sembrava distratto
Ma non sfuggiva niente
Ai suoi occhi svegli e esigenti.
E Goyo ogni sera tornava
Ai suoi ricordi come a una Accademia
Puntuale, e i suoi gesti
Si facevano piú distinti.
Tutte le sere saliva
La scalinata di un palazzo.
Serviva Il principe.
Don Gregorio
Il paggio.
Ora sua nipote
Prega quelli che passano
Che la aiutino a comprare una bara.
- Aveva una voce dolce, ma
Quando entrava in collera
Tuonava. Don Rubén era allora
Chi lo avrebbe mai creduto! Volgare.
Donna Rosario diceva:
Un poeta
Cosí non puó parlare.
E don Gregorio il paggio
Assumeva un aria protettrice
Di fronte alla debolezza del Principe. -
Una volta litigó con Donna Chayo
Storie vecchie. Gelosie stagionate
A don Rubén brillavano gli occhi.
E lei
Gli ricordava
Che lui impegnó i suoi gioielli a Panamá.
Quel giorno
Don Rubén ebbe una ricaduta e molta febbre.
"Un numero infinito di cose
- Dice Borges -
Muore in ogni agonia".
Con questo veccio servitore forse si spengono
Le ultime orecchie
Che conservarono la voce di Darío.
Seppellendo Goyo nella fossa comune
Seppelliamo il popolo
E con il popolo La voce del suo poeta.
Pablo Antonio Cuadra
Trad genseki
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