da Huysmans
traduzione e montaggio del testo di genseki
Come si può penetrare negli avvenimenti del Medioevo, quando nessuno è nemmeno capace di spiegare gli episodi più recenti, i sotterranei della Rivoluzione, della Comune, per esempio? Non resta dunque che fabbricare la propria visione, immaginarsi da sé le creature di un altro tempo, incarnarsi in esse, rivestire, se si può gli stracci delle loro apparenze, forgiarsi, infine, con dettagli abilmente scelti dei quadri d’insieme fallaci.
Gilles de Rais, formidabile satanista fu, nel XV° secolo, il più artista, il più squisito, il più crudele e il più scellerato degli uomini.
Il nome di Gilles resiste da quattro secoli soltanto grazie all’immensità dei vizi di cui è il simbolo. Tuttavia la difficoltà maggiore è quella di spiegare in che modo quest’uomo, che fu un capitano coraggioso e un buon cristiano, divenne improvisamente sacrilego e sadico, vile e crudele. Non c’è nessun esempio, che si sappia di un così repentino cambiamento di un’anima, per questo tutti i suoi biografie si stupiscono di una tale magia spirituale, di questa metamorfosi dell’anima operata con un colpo di bacchetta, come in teatro; i vizi di certo dovettero infiltrarsi in lui in modi di cui sono perdute le tracce attraverso peccati invisibili ignorati dalle cronache.
Gilles de Rais, la cui infanzia ci è ignota, nacque intorno al 1404 sui confini tra la Bretagna e l’Anjou, nel castello di Machecoul. Suo padre muore alla fine di ottobre del 1415; sua madre si risposa quasi subito con un Sire d’Estouville e lo abbandona insieme a suo fratello René; passa quindi sotto la tutela di suo nonno, Jean de Craon, Signore di Champtocé e di La Suze, “Uomo vecchio e anziano e di età molto avanzata” come riporrtano le cronache. Egli non è sorvegliato né diretto da questo vecchio bonario e distratto che si sbarazza di lui sposandolo con Catherine de Thouars, il 30 di Novembre del 1420.
La sua presenza alla corte del Delfino è attestata 5 anni dopo; i suoi contemporanei ce lo presentano come un uomo robusto e nervoso, d’una bellezza inebriante, di rara eleganza. Non abbiamo informazioni sul ruolo da lui svolto presso questa corte, ma si può supplire facilmente, immaginandosi l’arrivo di Gilles, il più ricco dei baroni francesi presso un re molto povero. In questo momento, infatti, Carlo VII° è ridotto allo stremo, non ha denaro, ed è privo di ogni prestigio e autorità è già molto se le città della Loira gli obbediscono; la situazione della Francia estenuata dai massacri, già devastata, qualche anno prima, dalla peste è spaventosa. Essa è scarificata fino a sanguinare, vuotata fino al midollo dall’Inghilterra che simile alla piovra leggendaria, il kraken, emerge dal mare e lancia oltre lo stretto, sulla Bretagna, la Normandia, una parte della Piccardia, l’Ile de France, tutto il Nord e il Centro fino a Orléans, i suoi tentacoli che non lasciano quando si sollevano che città inaridite, campagne morte. Gli appelli di Carlo che reclama sussidi, inventa esazioni, sollecita il pagamento delle tasse sono inutili. Le città sacheggiate, i campi abbandonati e ripopolati dai lupi, non possono soccorrere un Re di dubbia legittimità. Egli mendica vanamente qualche spicciolo. A Chinon, la sua piccola corte è una rete di intrighi che talvolta terminano con egli omicidi. Stanco d’essere braccato, vagamente al sicuro ddietro la Loira, Carlo e i suoi partigiani finiscono per consolarsi con orge esuberanti, dei disastri che continuano ad avvicinarsi; in questo regnare alla giornata, mentre i prestiti e le razzie rendono i banchetti opulenti e lunghe le sbronze, si finisce per dimenticarsi dell’allarme permanente e dei soprassalti e si soffaca il pensiero del domani annegandolo nel vino e palpando le puttane. Che cosa ci si poteva aspettare d’altra parte da un Re sonnolento e già sfiorito, di madre infame e padre folle. Foucquet, nel ritratto che si può vedere al Louvre lo dipinge, con un grugno da maiale, occhi da usuraio di campagna, labbra dolenti e lardose, colorito da castrato, sembra che Foucquet abbia voluto dipingere un prete cattivo raffreddato e dalla sbronza triste. Egli era l’uomo che aveva fatto assassinare Giovanni senza paura e cabbandonerà Giovanna D’Arco; e questo basta per giudicarlo. E’ chiaro che Gilles de Rais che aveva arruolato delle truppe a proprie spese fosse accolto a braccia aperte in questa corte. Certamente egli vi organizzò tornei, fu dai cortigiani e prestò ingenti somme al Re. Tuttavia, nonostante il suo successo non sembra ch’egli sia mai sprofondato come Carlo VII nell’egosmo ansioso e nel vizio; lo ritorviamo infatti, ben presto nell’Anjou e nel Maine che difende dagli Inglesi. Qua egli si dimostrò “Valente e ardito capitano”, come affermano le cronache, anche se schiacciato dalla superiorità numerica del nemico dovette fuggire.
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