lunedì, aprile 24, 2023

Ibn Mardanis



Il Cristo gigantesco, bianco, apre le braccia sul castello di Ibn Mardanis e abbraccia la città e i suoi orti. Ai suo piedi si stendono come un tappeto gli agrumeti di un verde ancora fresco, fino alle montagne, ai pineti dal manto oscuro che presto si copriranno del triste saio della polvere. Il cielo è una cupola di un azzurro intenso tra cascate di luce che si rilette sulle miriadi di foglioline di aranci e limoni trasformandole in limpide scintille, in chiarissime fiammelle, qua e là ciuffi di palme come guerrieri dalla chioma barbara e ostile sorvegliano questa distesa fragrante di primavera.

La mia anima allora, per pochi istanti, si libera dalla mia stretta e gode di se stessa facendosi trasparente al mondo, puro riflesso della gloria della terra, si svincola dal punto di vista che permanendo in me la inchioda alla limitazione del mio essere io. Allora sono e non sono me stesso, giubilo sentendo che sguscio dalla mia interiorità,  come una mano da un guanto e che la ritrovo fuori di me, fuori del tempo, completamente altra e intima, ancora a me più intima del mio stesso cuore, del mio respiro faticoso ora per l’erta che salgo.

Mi sembra di udire i cavalli di Ibn Mardanis scalpitare fiutando il sangue della conquista.

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