domenica, maggio 07, 2023

Intimitá

La nostra morte è quanto di più intimo possediamo, la nostra morte e il nostro morire. Morire è, in certo modo, diventare intimi con la nostra morte, scoprire la sua forma, ovvero discernere quale tipo di morte ci sia destinata. Solo la nostra morte, la morte che ci è data, è morte per noi. La morte degli altri, dal nostro punto di vista non è morte, è separazione, forse abbandono, a volte persino tradimento. La morte degli altri è il loro uscire definitivo dalla spazio della nostra esperienza sensoriale, il loro confinamento nel ricordo o nel sogno o anche nel sogno del ricordo. Non possiamo morire la morte altrui. Possiamo morire solo della nostra morte. Forse possiamo considerare questa povera analogia: morire è il processo di maturazione del frutto che è la morte. Povera davvero, ma utile, in qualche misura all’immaginazione.

Poter morire, della nostra morte, diventare intimi con la morte è, credo una grazia, un dono. Un dono del quale non saremo mai abbastanza grati. Eppure è un dono che accantoniamo con estrema facilità. Lo dimentichiamo anche quando abbiamo sperimentato che la bellezza del mondo, tutta la radiante meraviglia della creazione si svela ai nostri occhi solo quando la viviamo nella coscienza piena del nostro incessante morire, quando la contempliamo con gli occhi di qualcuno, noi stessi , che va morendo. Credo che solo da questa prospettiva si possa comprendere l’indicibile speranza della resurrezione cristiana.

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