mercoledì, maggio 03, 2023

La prigione


È così vasto qui il paesaggio, spazia la vista senza incontrare ostacoli per un’estensione inabituale: la terra si svela in una sua   bianca nudità, senza la protezione di prati e boschi a preservare il suo pudore, è una terra che riverbera il bagliore di questo sole crudele, senza permettere riposo alcuno a chi la osserva e che si ritrova di colpo essere il centro di una distesa di campi solcati con geometrica precisione per estirpare con minuzia qualsiasi traccia di vegetazione. Le zolle hanno perso tutta l’umidità sono come frammenti di ossa, fossili di ere innumerevoli. Gli occhi non trovano quiete, non hanno dove celarsi, dove dimorare. Allora anche l’anima si spoglia, si fa bianca come la terra, di un bianco appena un po’ ingrigito, si adatta a decifrare il ritmo dei solchi, si lascia attraversa dalla luce diffusa, abbandona ogni speranza di quiete, di raccoglimento, diviene tersa e tesa fino alla dissoluzione. Solo il verde novello dei mandorli disposti in curvi filari regolari 

esprime un linguaggio che consola, ma è una consolazione sottile, che si mantiene solo grazie a uno sforzo costante a una concentrazione dolorosa. Non è una terra ostile è una terra pura, che non genera illusione, che forza l’anima a dissiparsi, a rinunciare al punto di vista, a farsi specchio di una realtà che la rispecchia, a farsi vortice in un vortice di luce implacabile.

Poi, a una svolta della strada, ecco apparire all’improvviso l’edificio oscuro della prigione, le siepi di filo spinato, gli alti cancelli, i viali rettilinei tra grandi cunette di cemento, le finestrelle oscure, accecate dalle grate metalliche e un improvviso dolore, un dolore sordo e vorace, oscura senza ombra alcuna la vista assetata di pace.


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