Questa che segue è la seconda parte del vasto poema "Jeve ovvero la radura" di Dreiser Cazzaniga che narra la vita e le gesta di Bools Corracha e dei suoi compagni. ( La prima parte si trova due entrate fa in questo stesso blog. Il primo di maggio)
genseki
D'estate il folto fogliame trasformava
la strada serpeggiante
In un tunnel umido e scivoloso in modo
che
Passata la terza curva, districato lo
sguardo dal grande acero
Che un tempo ombreggiava l'edicola
presso la quale
Le massaie si recavano a lavare i panni
L'aprirsi subitaneo dello spazio ala
vista
Produceva una sensazione d'abbaglio e
di speranza.
La vastissima radura pianeggiante dava
la sicurezza
Che danno i luoghi di esatti confini,
di limiti tracciati
Da leggi oggettive: fiumi e
scoscendimenti e spumeggiava
Di luce nella bella stagione e di
nebbia pungente nell'Autunno
Sovente in inverno il biancore nevoso
la rendeva
Simile a una pagina su cui semi e
tracce delineavano
Una scrittura tremula e profonda.
Bools Corracha giunse alla radura
dall'Africa
Un'Africa prenatale fu la sua in cui fu
feto
E nacque a stento e con gran pena alla
vista,
Allo sguardo, al situarsi, a distendere
il suo corpo
Al godere del bolo e dell'eiaculazione,
Della seta di pelli tiepide al tremolio
costante
Delle tende nel dormiveglia come un
cielo
Nuvoloso, gli scrosci di pioggia e i
fanghi rossi
Come il dolore, l'inquieta assoluta
intemperata solitudine
Non bastavano a farne un uomo
Tra le colonne smarrite e dementi degli
eucalipti
Mimava la gioventù di un altro: il
Poeta delle volpi
Dei lupi con l'indigestione di piume e
di tutti quegli altri ortaggi.
La sua fino a quel momento non aveva
saputo raggiungerla
Fu un relitto che qualche mare
superfluo
Gettò sulle rive della radura dove
avrebbe poi regnato
Jules Lapache l'uomo della tana dei
libri sudici
Il vagabondo dei sentieri dei funghi,
il pataro smemorato.
Nessuno aveva libri più sudici di
quelli di Jules Lapache
Nessuno ne avrebbe mai più avuto altri
altrettanto sudici
E poi sudici non erano i suoi libri ma
anche le riviste,
I ritagli unti di vecchi quotidiani
macchiati di caffè muffoso
E su tutto si stendeva la frusciante
sporcizia aracnoidea
Che strisciava pruriginosa dalla pareti
scrostate.
All'aria aperta, invece, Jules Lapache
era un vero Lautaro
Quale Ercilla cantò nella selva
araucana,
Schietta razza di caciatore guerriero
uso alla fame
E stremato dal tanto camminare.
Dreiser Cazzaniga
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