Le relazioni di Dreiser Cazzaniga con Cristo sono di difficile definizione, Basandoci sulle sue memorie possiamo con sicurezza affermare che il suo primo incontro con Cristo fu una delle cose piú terribili che egli ricorda delle sua infanzia. L'altra cosa terribile, forse anche piú terribile che emerge dal magma primordiale dei suoi ricordi di Urkind è il grembiulino bianco impregnato del sangue del piccolo Bino, quando nell'asilo umido e sporco delle monache gli rovinò in testa lo scaffale delle pignatte. Dreiser Cazzaniga ricordó per tutta la vita il sangue rosso sul grembiule bianco, e la cosa peggiore, quella che proprio non poteva cancellare era che il grembiule non era propriamente bianco. Avrebbe dovuto essere bianco, in realtá era sporco, un poco giallastro e non era di vera stoffa ma di una specie di tela cerata che coperta di muffa giallastra e di sangue stinto assumeva un aspetto mucoso. Cristo invece lo minacciava dalla cappella oscura che si trovava alla sua destra, dall'altro lato della navata, un pò più indietro del punto ove era solito sedersi con suo padre per assistere alla messa delle sei. Nascosto tra i gigli, nell'oscuritá, il grande corpo grigiastro e sanguinoso pendeva con lo sguardo spento appena dietro la sua spalla, Il piccolo Dreiser Cazzaniga non osava voltarsi per guardarlo, ma non poteva dimenticare che lui, invece lo fissava, con quel suo sguardo freddo, grondante dello stesso sangue di Bino, ma grigio, il suo, adesivo, minaccioso, doloroso, La minaccia obliqua che pendeva alle sue spalle era per il povero Dreiser Cazzaniga la minaccia alla sua stessa consistenza come soggetto, Quell'indicibile obliquo minacciava di disgregarlo per sempre se solo si fosse voltato, Allora non si voltava ma la tentazione era irresistibile, cercava rifugio nelle calde grotte primordiali del suo immaginario ancora biologico, respirava l'odore dell'incenso, della muffa, dell'olio stantio con cui il sacrestano, soleva lucidare il legno delle panche dell'aristocrazia in cui aveva l'abitudine di sedere il padre di Dreiser Cazzaniga da quando, l'aristocrazia del barrio non frequentava piú la messa che si era fatta un rito minacciosamente e imprevedibilmente rivoluzionario, con tutte quelle chitarre, l'incenso californiano, i papaveri al posto delle rose i gins che sottolineavo i culi delicati delle coriste che andavano sbocciando nel mese mariano. Il mese in cui sbocciavano anche i giovani seni. E questo era troppo per l'aristocrazia che apprezzava culi e seni nell'alcova ma pretedeva castigati veli alla soglia del sacro. Qualche aristocratico finiva per presentarsi, infine, alla messa e allora litigava con il padre di Dreiser Cazzaniga che considerava l'occupazione della sua panca come una personale presa della Bastiglia.
Per tutto il cammino verso casa, il Cristo grigio continuava a penzolare minaccioso sulla spalla di Dreiser Cazzaniga e accettava di scomparire soltanto dopo che egli, inginocchiato sul letto aveva recitato la sua preghiera all'angelo custode che era un personaggio molto piú rassicurante anche se assai poco corposo, non abbastanza denso per occupare un posto significativo nel foro immaginario della sua mente infantile. Cristo veniva di notte a mordergli gli alluci sotto forma di un gallo dorato. Credo che lo incontró anche come mal di denti. In ogni caso ogni contatto con Cristo era da lui vissuto come un pericolo, come una minaccia alla propria soliditá, anche il più insignificante pensiero poteva delatarlo e frantumarlo di fronte a questa sanguinosa presenza
Diventava di colpo così fragile, si occultava a sé stesso, si mentiva, si negava e si riaffermava dissimulatamente, Un vero incubo. Piú tardi i suoi contatti con questa penosa figura cominciarono a provvocargli vere e proprie erezioni, che lui non sapeva bene che cosa fossero ma che sperimentava come qualche cosa di profondamente disdicevole, di riprovevole. Un'altra minaccia per la sua trepida integritá.
Poi nell'adolescenza gli fu presentato questo altro Cristo biondo in gins e con i sandali. Dreiser Cazzaniga odiava i sandali, soprattutto quelli che lasciavano libero il ditone, Il Cristo biondo in gins e con i capelli lunghi poi rischiava di provvocare ancora erezioni, giacché per le coincidenze della moda Dreiser Cazzaniga era stato precocemente a reagire ormonalmente di fronte a corpi serrati in gins con scarpe di tela Suprema e calzettine di cotone bianche. Ricominció ad odiare la volgaritá puzzolente e polverosa, impudicamente ostentata in quei sandali osceni e questo compromise per sempre le sue possibilitá di essere seriamente cristiano. Le cose migliorarono un po' quando verso la fine dell'adolescenza, in una cittá siderurgica renana, dai cieli cromati e dalle vie astrattamente commerciali, poté leggere il Vangelo di Giovanni nella traduzione di Lutero, sì con il Verbo era tutta un'altra cosa, se lo sentiva in bocca come la saliva. Cristo lo aveva separato dal suo corpo, si era malignamente insinuato tra lui e il suo corpo e aveva rotto l'intimitá e il tepore, Il Verbo era il prezzo di quella separazione, la ricompensa a tutto il freddo patito là fuori. Il Verbo non aveva ditoni, non portava i sandali, fluiva nel corpo e lo nominava tutto intero. Poi conobbe Paolo di Tarso e la sua cecitá, Quella si che la comprendeva, la cecitá luminosa che annientava il Cristo grigio e minaccioso acquattato tra i gigli, la fede che non aveva bisogno di quel maledetto capellone slavato in gins. La fede senza le maledette chitarre di maggio. Molti anni tardó a incontrare sul suo cammino la Beata Vergine. La incontró poi come il balsamo delle sue articolazioni dolorose, come la dolcezza avvolta nel manto stesso del rosario. La incontrò come rugiada e conforto d'abbandono, e subito la tradí e la rinnegó e poi le chiese perdono e tornó a rinnegarla e la incontrerá forse solo poi alla sogli luminosa della sua estinzione come Prajna Paramita. Che i suoi peccati gli siano perdonati.
Per tutto il cammino verso casa, il Cristo grigio continuava a penzolare minaccioso sulla spalla di Dreiser Cazzaniga e accettava di scomparire soltanto dopo che egli, inginocchiato sul letto aveva recitato la sua preghiera all'angelo custode che era un personaggio molto piú rassicurante anche se assai poco corposo, non abbastanza denso per occupare un posto significativo nel foro immaginario della sua mente infantile. Cristo veniva di notte a mordergli gli alluci sotto forma di un gallo dorato. Credo che lo incontró anche come mal di denti. In ogni caso ogni contatto con Cristo era da lui vissuto come un pericolo, come una minaccia alla propria soliditá, anche il più insignificante pensiero poteva delatarlo e frantumarlo di fronte a questa sanguinosa presenza
Diventava di colpo così fragile, si occultava a sé stesso, si mentiva, si negava e si riaffermava dissimulatamente, Un vero incubo. Piú tardi i suoi contatti con questa penosa figura cominciarono a provvocargli vere e proprie erezioni, che lui non sapeva bene che cosa fossero ma che sperimentava come qualche cosa di profondamente disdicevole, di riprovevole. Un'altra minaccia per la sua trepida integritá.
Poi nell'adolescenza gli fu presentato questo altro Cristo biondo in gins e con i sandali. Dreiser Cazzaniga odiava i sandali, soprattutto quelli che lasciavano libero il ditone, Il Cristo biondo in gins e con i capelli lunghi poi rischiava di provvocare ancora erezioni, giacché per le coincidenze della moda Dreiser Cazzaniga era stato precocemente a reagire ormonalmente di fronte a corpi serrati in gins con scarpe di tela Suprema e calzettine di cotone bianche. Ricominció ad odiare la volgaritá puzzolente e polverosa, impudicamente ostentata in quei sandali osceni e questo compromise per sempre le sue possibilitá di essere seriamente cristiano. Le cose migliorarono un po' quando verso la fine dell'adolescenza, in una cittá siderurgica renana, dai cieli cromati e dalle vie astrattamente commerciali, poté leggere il Vangelo di Giovanni nella traduzione di Lutero, sì con il Verbo era tutta un'altra cosa, se lo sentiva in bocca come la saliva. Cristo lo aveva separato dal suo corpo, si era malignamente insinuato tra lui e il suo corpo e aveva rotto l'intimitá e il tepore, Il Verbo era il prezzo di quella separazione, la ricompensa a tutto il freddo patito là fuori. Il Verbo non aveva ditoni, non portava i sandali, fluiva nel corpo e lo nominava tutto intero. Poi conobbe Paolo di Tarso e la sua cecitá, Quella si che la comprendeva, la cecitá luminosa che annientava il Cristo grigio e minaccioso acquattato tra i gigli, la fede che non aveva bisogno di quel maledetto capellone slavato in gins. La fede senza le maledette chitarre di maggio. Molti anni tardó a incontrare sul suo cammino la Beata Vergine. La incontró poi come il balsamo delle sue articolazioni dolorose, come la dolcezza avvolta nel manto stesso del rosario. La incontrò come rugiada e conforto d'abbandono, e subito la tradí e la rinnegó e poi le chiese perdono e tornó a rinnegarla e la incontrerá forse solo poi alla sogli luminosa della sua estinzione come Prajna Paramita. Che i suoi peccati gli siano perdonati.
A cura di genseki
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