Avevo centomila anni
ed eccomi gregge ed eccomi foglia
morta de eccomi fresco alberello che scuote la chioma davanti a colui
che io sono mentre passo in mezzso agli altri
il blu filava la lana o folle o mischie
e io seguivo docile la stella strana stella verso quali tardivi re
magi conduceva la speranza schiantata con la dura catena ai polsi
delle strade stella di sventura luce cardinale ero io o non lo ero
piú non sapevo che cosa dire tanto la tristezza conquistata alle
parole semplici sbarrava il cammino della ragione che sfuggiva
mai estate piú splendida
mai bellezza accecante ci trovó piú
stupidi di quanto fossimo allora sulla strada senza fine dicevano è
bel tempo non credevamo ai nostri occhi e nemmeno ci pensavamo ed era
inutile nei fiocchi di luce sprofondava la ragione in mulinelli
sfavillanti della memoria che avremmo dovuto fare dei giochi amorosi
nascosti nell'abbaglio muto della coorte
l'uccello agli anelli del suo canto
infilava interminabili promesse di fidanzamento e nell'añpiezza di
un popolo intero al centro delle meraviglie sonore e vive ero io
solo coperto di solitudine
mentre camminavamo andavamo affanti di
bellezza straziata nelle nostre mani ciascuno la sua solitudine fiore
solitario invisibile candore che nasconde il rimpianto e la paura
senza conoscere da sola la fatica dei nostri corpi invasi tratteneva
il pensiero su questa terra maledetta
al diavolo le sofferenze e che si
spiaccichi il cuore lunghe crepe al cuore dei muri impliciti sottile
speranza sul filo di quei giorni perché la morte unanime non ci ha
compresi nel gruppo designato alle maree della dimenticanza
inghiottiteci onde assurde nel letto dell'oblio dolce dolcezza
dell'oblio
Tristan Tzara
trad. genseki
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