Juan José Saer
...perché a Parigi abbondano le vecchiette nobili, borghesi, piccolo-borghesi o proletarie, zitellone amareggiate o donne libere ostinandosi a non perdere la propria orgogliosa indipendenza, vedove di notai o di medici, di commercianti o di autisti del metro, ex bottegaie o professoresse di canto o disegno in pensione, scrittrici di romanzi nel pieno della loro attività, russe emigrate, californiane, vecchie ebree scampate alla deportazione e, persino, antiche "cocottes", obbligate a ritirarsi da un censore più severo che i buoni costumi, cioè il tempo: la luce del giorno le vede riapparire ogni mattina, impeccabili o quasi straccione, secondo la loro condizione, mentre studiano dubbiose gli scaffali multicolori dei supermercati, o, se il tempo è bello,, sulle panchine verde scuro della piazza e dei viali, sedute da sole e tese o in animata conversazione con qualche altro esemplare della propria specie, o i intente a distribuire briciole ai colombi con gesti che già sono stati immortalati dalle cartoline; alla mattina, in primavera, si possono scorgere, in déshabillé, protese verso il vuoto della finestra di un quinto o sesto piano mentre annaffiano con attenzione gerani fioriti. All'interno dei palazzi, le si vede scendere o salire le cale, lente e prudenti, con una borsa di provviste o un cagnetto nervoso, puerile e un po' ridicolo che portano in braccio e di cui parlano a volte con qualche vicino usando un gergo di analisi psicologico che nessuno psicologo oserebbe mai applicare a un essere umano. Quando sono troppo vecchie l'ospizio o la morte le diradano, senza che, tuttavia, il loro numero diminuisca, poiché nuove leve di vedove, divorziate, zitellone, dopo il lasso di tempo irreale e troppo lungo che si suole chiamare vita attiva, vengono a sostituirle, avendo ormai sepolto tutti i parenti e i conoscenti, incoscienti e rassegnate.
L'ostinazione a perdurare, ancor più misteriosa che il concorso di circostanze che mise in moto il mondo e poi anche loro - e noi con loro - le va depositando nei loro esigui appartamenti, pieni di carabattole, ricami, tovaglie ricamate prima della guerra e tappeti consumati, mobili di famiglia e bauli, cassetti pieni di medicine, di servizi di posate del secolo scorso di foto ingiallite sul marmo dei comodini. Alcune vivono ancora in famiglia, la maggioranza, però, già non ha più nessuno o preferisce vivere da sola; le statistiche - voglio che reti ben chiaro dal principio che questa narrazione è vera - hanno dimostrato che a qualunque, età, in generale le donne sopportano meglio la solitudine e sono più indipendenti degli uomini. Comunque, il fato è che sono numerose, e sebbene le statistiche hanno dimostrato che in generale i ricchi vivono più a lungo dei poveri, ve ne sono di tutte le classi sociali, e sebbene dai vestiti e dai luoghi dove vivono si possono intuire le loro origini e i mezzi di cui dispongono, tutte hanno i tratti comuni propri del loro sesso e della loro età: il passo lento, le mani rugose e piene di macchioline scure, la dignità leggermente artritica dei gesti, la malinconia evidente degli inconcepibili ultimi giorni, gli organi parsimoniosi e i riflessi indecisi e senili, per non parlare delle molteplici operazioni cesaree, estrazioni di denti e calcoli, asportazioni di seni, eliminazioni di citi e tumori, deformazioni reumatiche, disturbi neurologici, la cecità progressiva o la sordità totale, i seni che si sgonfiano e si seccano e la natiche che s disfano, infine, la leggendaria fenditura che espelle letteralmente non sol l'uomo ma il mondo, la ferita rosa che si secca, si fa spiraglio e si addormenta.
Tuttavia, se la notte le inghiotte, con lo spuntar del giorno, eccole, come dicevo, ricomparire, e quelle che non si sono lasciate corrodere dalla disperazione, dalla miseria, dalle illusioni perdute, la tristezza, fioriscono al mattino con i cappellini fuori moda, i cappottini seri, il maquillage discreto, trottando come i loro botoli o scendendo cinque o sei piani di scale per andare a comprare il mangime ai gatti o ai canarini, oppure la rivista dei programmi TV, o, perché no, talvolta al ristorante da usciranno nel primo pomeriggio per andare a visitare un conoscente all'ospedale o, molto più probabilmente, per andare al cimitero a rassettare la tomba di qualche parente, fatte quasi, da materia che furono, simbolo, idea, metafora o principio.
Certo è che sono un elemento topico di questa città, un dettaglio di colore locale, come il Louvre, L'Arco di Trionfo o i vasi di gerani alle finestre, della cui esistenza, bisogna riconoscerlo, contribuivano più di chiunque altro con gli innaffiatoi di plastica e le piccole anfore di acqua mattutina. Come premio, forse del loro lavoro volto a preservare e persino a moltiplicare uomo e mondo nella rete delle loro viscere tanto concupite, o per pura casualità, in virtù di un ordine aleatorio di tessuti, di sangue e di cartilagini, fu concesso a molte di loro di persistere un pochino di più degli altri, ai margini del tempo, come quelle "piare" del fiume ove l'acqua pare trattenersi e allisciarsi secondando una fora invisibile che frena la corrente orizzontale, ma trascina inesorabilmente e verticalmente fin sul fondo.
Benché in apparenza siano inoffensive, a volte possono risultare irritanti, oppure come se la coscienza della loro fragilità, che paradossalmente le induce a credersi invulnerabili, conferisce una certa sicurezza alle loro opinioni e convertirle in portavoce della loro epoca di modo che, in un certo senso le loro severe osservazioni sulla porta di una panetteria, le loro analisi sociologiche all'ora del te, i commenti meccanici fatti da sole ad alta voce, davanti ala televisione, rivelano di più sul presente che i discorsi dei cosiddetti politici, specialisti in scienze umane e giornalisti, la conversazione quotidiana di una anziana con il suo canarino, mentre pulisce la gabbietta, è, forse l'unico dibattito serio dei tempi moderni, e non quelli che hanno luogo nelle camere, nei tribunali o alla Sorbona.
Da: "La Pesquisa"
Trad. genseki
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