Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente
gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della
differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza
generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le
differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio
sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli
omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di
affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un
lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è
veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un
tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di
annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono
questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o
un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che
siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria,
nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai
doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della
Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma
non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per
la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per
l’arte.
dalla rivista: Tempi
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