venerdì, marzo 10, 2023

 Lettera di Dreiser a Ludovico

Caro Ludovico,

Mi farebbe piacere se avessi la pazienza di leggere queste poche righe che hanno la pretesa di spiegarti alcune cause e ragioni di questo mio cambiamento o involuzione ideologica. Io sono nato in una famiglia della classe lavoratrice, della classe operaia ( im miei genitori erano maestri ma i venivano tutti e due da famiglie che non erano povere, erano miserabile e devastate dall’alcolismo e dai problemi di salute mentale che ne derivano) in un mondo popolare (il quartiere operaio) sono andato a scuola con figli di operai, fino al liceo. Io fin da piccolo e poi da adolescente conoscevo la durezza della vita della classe operaia e tutte le ingiustizie sotto le quali doveva curvare le spalle: la disoccupazione lo sfinimento fisico, il cancro nell’industria chimica, dall’alcolismo che era quasi necessario per sopportare quelle condizioni di vita e più tardi la crisi industriale, i quartieri vuoti, le famiglie spezzate, l’eroina che massacrava i giovani. Io ero stupido e idealista a 16 anni e mi pareva ovvio essere comunista e anarchico e viveva la militanza come un dovere, credevo nell’Unione Sovietica, soprattutto perché faceva paura ai ricchi e ai borghesi che io conoscevo, che erano stupidi ed arroganti, (quelli che conoscevo). Mi entusiasmavano le manifestazioni del Primo di Maggio con ondate interminabili di lavoratori in tutta e le loro famiglie e le grandi gru del porto e le sirene delle fabbriche, i ritratti Marx, Engels, Lenin, Togliatti, Longo e Berlinguer (Berlinguer presi a odiarlo per via dell’eurocomunismo e dell’alternativa democratica: “La rivoluzione di Ottobre ha perso la sua spinta propulsiva”. Io veneravo l’Armata Rossa, piangevo per l’eroismo dei difensori di Stalingrado, amavo e amo la Russia in sé stessa ieri come oggi. Ma vi erano altre cose che amavo: la poesia, il surrealismo, Rimbaud (il comunardo), André Breton e la generazione del 27 in Spagna (ascoltavo i dischi di Arnoldo Foa che leggeva Lorca, la musica classica, l’opera, la religione cristiana e il mio cuore era spezzato dalla speranza di poter vivere i’amore per Cristo (che mia nonna mi aveva inculcato) e il Comunismo. Il profeta Amos era il mio referente: “avete venduto i miei poveri per un paio di sandali”. Non era un fatto ideologico, non ne facevo un`ideologia, non ero cattocomunista, proprio non riuscivo a non essere cristiano, era più forte di me. Una situazione infelice, di fatto mi iscrissi all’Universitá Cattolica dove fui il Leader del Partito Comunista. Ero stupido, si, proprio stupido. Lo ho già scritto nelle prime righe di questo testo.


Da adulto, sui trent’anni aderii, a Rifondazione Comunista, una delle forze politiche più sciocche, ipocrite e ridicole che siano mai sorte nel martoriato suolo del nostro povero paese e quasi mi distrussi in una militanza frenetica cieca e dolorosa, dolorosa perché mi rendevo conto della stupidità della situazione e non riuscivo a scappare via da quella banda di poveri disgraziati rancorosi. Il rancore più autolesionista era la prospettiva politica di RC. 

Più tardi passai a Lotta Comunista. Qui la militanza era ancora più esigente, ma erano brava gente, leali, seri e studiosi. Finii per distruggermi del tutto la salute, fino per ammalarmi, al ritorno da un viaggio militante dalla Cina, mi era massacrato a studiare cinese di notte e avevo dimenticato, in quegli anni che cosa fosse il sonno.

Cosí mi ritrovai immobile per quasi sei mesi, con dolori atroci in tutto il corpo ad ogni movimento e una invincibile stanchezza addosso che trasformava in uno sforzo inaccettabile il minimo gesto quotidiano. A questo punto lasciai la militanza.

Non sono mai stato di sinistra e neppure democratico. Io sono stato comunista, proprio comunista. Questo era il mio orizzonte politico, la sinistra era qualche cosa della borghesia come il pacifismo e l’ecologismo, il femminismo, Scalfari, Repubblica e il Manifesto, io mi volevo fedele alla Classe Operaia, con la maiuscola, che si sarebbe presto estinta, che stava estinguendosi per la deindustrializzazione mentre i vecchi operai morivano a centinaia di cancro e di asbestosi in un olocausto su cui nessuno mai, e meno ancora la gente di sinistra versará una lacrima.


Comunque sia lasciai la militanza. Al ritorno dalla Cina. E posi il timone su di una rotta religiosa: la rotta buddista. Durante venti lunghi anni ho passato ore e ore al giorno per settimane e anche mesi nella posizione del loto e osservando lo scorrere dei miei pensieri, senza smettere di sentirmi cristiano e di cercare una sintesi concreta ed esistenziale tra buddismo e cristianesimo, cioè mettendomi in un vicolo cieco. Mentre stavo seduto davanti al mio muro il buddismo zen cominciava insensibilmente a decadere scivolando verso le forme New Age, la Terapia Gestalt, la Mindfulness e altre sciocchezze e io mi radicalizzai ancora di più in una pratica assidua ed esigente, soprattutto per me che soffro di dolori incessanti  alle articolazioni e di stanchezza cronica che sembra una scusa ma è una malattia invalidante che devo ai miei anni di militanza. 


Attraversai vari gruppi minuscoli e seri e integri ma invecchiati senza speranza per non aver potuto integrare persono più giovani alla loro pratica. Nel frattempo erano apparsi anche i telefonini e con i giovani non c’era più niente da fare, L’illusione dello Zen in Europa era uno stagno con molti batraci, che andava seccandosi fino a diventare una pozza e poi una pozzanghera. E cosí dovetti sciogliere la posizione del loto e alzarmi e guardare il mondo in cui non vi erano più comunisti (tranne pochi pagliacci), non vi erano più operai, si era rotta la trasmissione dei cicli di lotta, la memoria dei sacrifici e delle speranze di una classe e di tante persone che avevano dato la vita giorno per giorno per una speranza che non si realizzò. Era la coscienza definitiva di una sconfitta di un disastro umano e sociale devastante. Io con la gente che si diceva di sinistra a partire dal 2010 non trovavo e non trovo nessun punto in comune. Le lotte che ho vissuto nella mia adolescenza erano per la giustizia sociale, per la liberazione dall’orrore del lavoro salariato ed erano giunte a un passo dalla possibilità concreta di costruire un mondo senza sfruttamento, senza lavoro salariato. Io non avevo interesse alle lotte dei gay, del femminismo, del LGTB insomma.

Il mio cuore era anticapitalista e continua ad esserlo per il rifiuto di ció che questo modo di produzione fa all’uomo e alla natura: li trasforma in merce che genera profitto da investire per generare altra merce fino a ridurre la vita intera a merce, quella biologica e quella spirituale. Questo movimenti e ideologie che si dicono in continuità con le lotte della sinistra (in senso molto lato) mi parvero subito, adesso con assoluta certezza spinte da un desiderio profondo e soffocante di trasformare se stessi in merce, la propria identità in merce, la propria intimità in merce, di non riconoscere nessun altro contenuto nel mondo che la merce. La merce è cosa morta e divora la vita, vi è un’ansia di morte e di estinzione in questi gruppi, in queste ideologie che mi ripugna profondamente. Vi è una volontà di rottura con il passato, con le grandi opere del passato, con tutto quel mondo della cultura che ho sempre amato, ingenuamente, come abbacinato dallo splendore della bellezza, la solidarietà con i morti, la continuità con la civiltà classica con lo splendore della Grecia, con l’indomabile volontà di giustizia della Bibbia. Tagliano le radici con il passato e fanno seccare il futuro: “cancel culture” “wokeness”, etc. Svuotano la persona umana di qualsiasi possibilità di orientamento e di radicamento che non sia quella proposta dal mercato, dal potere. Le loro creazioni sono brutte la loro estetica propria di fesceninni romani, di suburra (la volgarità senza limiti dei gay pride), la tristezza del sesso trasformato in ossessione, in merce, del desiderio separato dalla cultura, dalla bellezza. Infine l’odio vero e proprio per la gente semplice, per i lavoratori manuali, per i popoli non europei, per la mia Russia  da tanto venerata, per le buone cose della vita, come imparare a cucinare dalla nonna, piantare un orto, accendere un fuoco. 

Io non ho niente a che fare con questa gente, io mi sento parte degli sconfitti del comunismo, della classe lavoratrice schiacciata ora da un’oppressione brutale che giunge fino allo sterminio della guerra come nella prima guerra mondiale. L’orrore della carneficina in Ucraina, il ritorno della guerra di sterminio nel cuore dell’Europa alla quale nessuna organizzazione femminista o gay ha tentato di opporsi, anzi. L’8 marzo era una buona occasione per il femminismo di dimostrare di essere una causa di tutta la umanità, come lo fu il movimento operaio, bastava che le manifestazioni femministe fossero contro la guerra, non lo hanno fatto, a loro non importa assolutamente nulla delle centinaia di giovani e di giovanissimi che ogni giorno muoiono in quelle terre. Adesso per lo meno per me è chiaro che il femminismo è una delle ideologie del capitalismo, dell’imperialismo, senza compassione per la gioventù povera che è triturata in una carneficina tragica nel bel mezzo dell’Europa negli stessi luoghi dove si celebrarono altri stermini di massa della povera gente, dei giovani maschi patriarcali e privilegiati per poter morire di fame, di freddo di fuoco e di dissenteria nelle steppe.

La mia gente operaia ha potuto conseguire (attraverso le lotte) una società nella quale una famiglia di lavoratori, con il solo salario del padre poteva comprare una macchina, un appartamento, fare studiare i figli all’università e avere una sanità gratuita e una scuola dell’obbligo di qualità, tutto questo è stato spietatamente smantellato da personaggi di sinistra come Prodi, Amato, Monti, Gentiloni, Letta Renzi etc. E tutti i capi sindacali a partire da Trentin che hanno cancellato le garanzie salariali e di continuità del posto di lavoro. Per me questo è stato un tradimento gigantesco, una rabbia e una delusione che non posso e non so processare. Adesso un giovane lavoratore non può comprasi nemmeno una lambretta nuova, se ancora esistono. Il tradimento della sinistra è incomprensibile, imperdonabile.


Allora ho cominciato a riflettere e a leggere e studiare, a cercare di capire che cosa diavolo era successo perché un capo della sinistra come D’Alema potesse vantarsi in pubblico per aver reso possibile l’orrendo massacro di Belgrado, quell’inferno di fuoco, sulle fabbriche, le scuole, gli ospedali, come è stato possibile che gli intellettuali di sinistra abbiano celebrato l’agonia della Siria, l’inferno causato in Libia dall’imperialismo più feroce.


Beh, insomma ho pensato tanto e sono giunto alla provvisoria conclusione che questo è stato possibile perché i movimenti rivoluzionari, cioè sorti dalla rivoluzione francese, condividono tutti la sfiducia più assoluta nella capacità della ragione umana di conoscere la verità (cosa in cui credevano i Greci), di stabilire principi, di avere fiducia nella realtà fenomenica ed un solido rapporto con l’essere degli enti. La ragione rivoluzionaria è una ragione utilitaria, calcolatrice, astratta, che prescinde dalla realtà umana concreta e dalla realtà naturale. Cosí si può credere a una sciocchezza come l’esistenza di diritti umani (il solo diritto è la forza e la sola umanità è rinunciare a usarla per amore per se stessi e per gli altri e questa rinuncia è l’essenza pura del cristianesimo) tutti i diritti di tutta l’umanità muoiono ogni volta che un giovane muore su uno degli schifosi campi di battaglia aperti nel mondo e non ci sono diritti, la sola speranza è nella rinuncia alla forza e questa speranza non può essere naturale ma solo soprannaturale.


Anche il comunismo appartiene a questa forma di nichilismo utilitarista e questo spiega il cinismo che ha finito per distruggerlo cominciando da Gramsci.

Credo che l’unico anticapitalismo possibile è un anticapitalismo realisticamente conservatore o tradizionalista. Ovvero rallentare la trasformazione inmerce di tutta la vita umana e naturale ad opra della tecnologia, del nichilismo e dell’individualismo. Questo è possibile solo restaurando la forma della sacralità. È una posizione disperata e snob. Io per me non vedo altra alternativa.


Con affetto 

Dreiser

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