La campagna aspetta la pioggia, la aspettano i pini scuri che afferrando saldi le rocce pronte a franare sul versante rosso butterato come da una pioggia di meteoriti, sono ancora cosí verdi e orgogliosi, ma presto i loro superbi mantelli si copriranno di una polvere sottile, saranno allora, come giganteschi mendichi che si appoggiano gli uni agli altri per sopportare la sventura. L’orobanche sorge, quasi sgorga, dappertutto dalla terra dove non affonda radici e il suo stelo nero e carnoso coperto di petali gialli come scaglie non sembra dubitare del prossimo umido sollievo. Tutto fiorisce intorno a me è una fioritura gialla, gialla, quasi non vi sono altri colori, tutto fiorisce in piena innocenza, le piante si preparano ad accogliere in una festa di luce, la pioggia che non cade e che molto probabilmente non cadrà. Vivo, in questo abbagliante fermento di vita, la tristezza della consapevolezza, della speranza vana, dell’incertezza, nel vigore delle foglie novelle già mi prefiguro la loro sofferenza futura. Questa consapevolezza moltiplica il fulgore della fede che la vegetazione ha nella vita, il suo lieto, clamoroso abbandono alla necessita di sbocciare. I melograni si coprono di scaglie arancioni come elitre semi trasparenti, l’aranceto avvolge gli olivi in una nube invisibile di profumo appena resinoso. Non piove, non pioverà, soffro di questa certezza, soffro la sofferenza della consapevolezza, della mia sfiducia nella vita e ne vivo la bellezza con l’intensità del dolore.
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