martedì, maggio 07, 2013
Libertà e legge naturale
La cultura contemporanea afferma una libertà assoluta, mediante la quale l'uomo deve realizzare sé stesso. Non esiste, quindi, una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone non solo alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni che considerano che nella nostra natura si trova iscritta una linea determinata di comportamento, il senso stesso del nostro essere. La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Al contrario se siamo solo prodotti dell'evoluzione, siamo liberi da autodefinirci. Esiste allora, come diceva Sartre, una libertà nel senso che "io non sono definito": nella mia situazione, devo inventare quello che è l'uomo. Nella visione cristiana, al contrario, l'esistenza dell'uomo - dell'uomo e della donna - è portatrice di un'idea di Creatore, un Creatore che ha un progetto per il mondo, che esprime idee incarnate nella realtà del mondo.
La relazione di fedeltà tra l'uomo e la donna rivela che sono fatti uno per l'altro, in una unità profonda di corpo e di spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L'elevazione di reazioni fisiche al livello di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana relativa alla sessualità.
Ratzinger
Intervista a Le Figaro magazine
Vita e pensiero
In realtà esiste una parentela molto grande tra vita e pensiero: nell'organismo vivente, tutta la materia vivente coopera alla vita; non si tratta soltanto delle strutture più appariscenti, più nette, che nel corpo dirigono la vita: il sangue, la linfa, i tessuti congiuntivi prendono parte alla vita; un individuo non è soltanto una collezione di organi uniti in sistemo; è fatto anche da ciò che non è organo, né struttura della materia vivente in quanto costituente un ambiente associato per gli organi; la materia vivente è lo sfondo degli organi; è quella che li collega gli uni con gli altri e fa di essi un organismo; è essa che mantiene gli equilibri fondamentali, termici, chimici, su cui gli organi provocano variazioni brusche ma limitate; gli organi partecipano al corpo. Questa materia vivente è lungi dall'essere pura indeterminazione e pura passività, Non è neppure pura aspirazione cieca: è veicolo di energia informata. ...
Senza sfondo del pensiero non ci sarebbe un essere pensante, ma una serie slegata di rappresentazioni discontinue. Questo sfondo è l'ambiente mentale associato alle forme. È il termine medio tra la vita e il pensiero cosciente, come l'ambiente associato all'oggetto tecnico è un termine medio tra il mondo naturale e le strutture fabbricate dell'oggetto tecnico. Possiamo creare esseri tecnici perché abbiamo in noi un gioco di relazioni e un rapporto materia forma che è molto analogo a quello che istituiamo nell'oggetto tecnico.
Gilbert Simondon
"Du mde d'exixtence des objets techniques"
Trad, genseki
domenica, aprile 28, 2013
Tradizione
Concludendo e
riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione
di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il
fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre
le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto
dell’eternità.
Ratzinger
sabato, aprile 27, 2013
Arte e appaenza
L'arte, si dice, è il regno dell'immaginazione libera. Le produzioni ne sono dunque arbitrarie e fortuite, È vero che l'arte consiste nell'apparenza; tuttavia tutto ciò che è deve anche apparire. La verità e l'essenza non ci sarebbero se non apparissero; e, se l'arte è un'illusione, il mondo esterno e quello interno (le cose particolari, i nostri interessi, le nostre inclinazioni individuali; insomma la vita di tutti i giorni), lo sono ancora di più. In relazione al pensiero, non vi è dubbio che l'arte sia apparenza. È inferiore al pensiero per l'espressione; tuttavia lascia intravedere il pensiero, l'idea; e non il mondo sensibile tale quale è, immediatamente nascosto al pensiero. L'arte, del resto, non si distingue che per il modo del suo apparire.
Hegel
Estetica
Libro I
Trad. genseki
venerdì, aprile 26, 2013
mercoledì, aprile 24, 2013
Omaggio ai "diritti dell'uomo"
"Les
droits de l'homme ne nous feront pas bénir le capitalisme. Et il faut
beaucoup d'innocence, ou de rouerie, à une philosophie de la
communication qui prétend restaurer la société des amis ou même des
sages en formant une opinion universelle comme "consensus" capable de
moraliser les nations, les Etats et le marché. Les droits de l'homme ne
disent rien sur les modes d'existence de l'homme pourvu de droits. Et la
honte d'être un homme, nous ne l'éprouvons pas seulement dans les
situations extrêmes décrites par Primo Levi, mais dans des conditions
insignifiantes, devant la bassesse et la vulgarité d'existence qui
hantent les démocraties, devant la propagation de ces modes d'existence
et de pensée-pour-le-marché, devant les valeurs, les idéaux et les
opinions de notre époque. L'ignominie des possibilités de vie qui nous
sont offertes apparaît du dedans. Nous ne nous sentons pas hors de notre
époque, au contraire nous cessons de passer avec elle des compromis
honteux. Ce sentiment de honte est un des plus puissant motif de la
philosophie.Nous ne sommes pas responsables des victimes, mais devant
les victimes. Et il n'y a pas d'autre moyen que de faire l'animal
(grogner, fouir, ricaner, se convulser) pour échapper à l'ignoble : la
pensée même est parfois plus proche d'un animal qui meurt que d'un homme
vivant, même démocrate."
Gilles Deleuze et Félix Guattari
Da: "Qu'est-ce que la philosophie"
I diritti dell'uomo non ci spingeranno a benedire il capitalismo. Ci vuole una buona dose di innocenza, o di cialtroneria, in una filosofia della comunicazione che pretende di rifondare una società di amici, o almeno di saggi attraverso la formazione di un'opinione universale come "consensus" capace di moralizzare le nazioni, gli stati, il mercato. I diritti dell'uomo non dicono nulla sui modi di esistenza dell'uomo dotato di diritti- La vergogna di essere uomo no la proviamo soltanto nelle situazioni estreme descritte da Primo Levi, ma nelle condizioni insignificanti, davanti alla bassezza e alla volgarità dell'esistenza che infestano le democrazie, davant alla propaganda di quei modi di esistere e di pensare secondo-il-mercato, davanti ai valori, gli ideali e le opinioni della nostra epoca; L'ignominia delle possibilità di vita che ci sono offerte appare dall'interno. Non ci sentiamo fuori dalla nostra epoca, al contrario non cessiamo di comprometterci vergognosamente con essa. Questo sentimento di vergogna è uno dei più potenti motivi per la filosofia. Non siamo responsabili delle vittime ma davanti alle vittime. E il solo modo di sfuggure all'ignobile è fare l'animale (grugnire, fiutare, ridacchiare, cadere in convulsioni): anche il pensiero, spesso è più simile a un animale che muore che a un uomo che vive, perfino un democratico
Trad. genseki
Fedeltá
La relazione di fedeltà tra l'uomo e la donna rivela che sono fatti uno per l'altro, in una unità profonda di corpo e di spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L'elevazione di reazioni fisiche al livello di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana relativa alla sessualità.
Intervista a Le Figaro magazine.
Trad. genseki
Gilbert Simondon
Il desiderio di potenza consacra la macchina come mezzo di supremazia, e fa di essa il filtro, a pozione moderna. L'uomo che vuole dominare i suoi simili suscita la macchina androide. Ecco che abdica davanti ad essa e delega ad esse la sua umanità. Cerca di costruire la macchina per pensare, mentre sogna di costruire la macchina da volere, a macchina da vivere per porsi dietro ad essa senza angoscia, libero da ogni rischio, esente da ogni sentimento di debolezza e trionfando attraverso la mediazione di ciò che ha inventato
*
Ciò che risiede nelle macchine, è realtà umana gesto umano fissato e cristalizzato in strutture che funzionano.
*
Per restituire alla cultura il carattere veramente generale ch'essa ha perduto, bisogna reintrodurre in essa la coscienza della natura delle macchine, delle loro relazioni reciproche e delle loro relazioni con l'uomo e dei valori implicati in tali relazioni.
*
Le funzioni di direzione sono false perché non esiste più tra la realtà governata e gli esseri che la governano un codice adeguato di relazioni: la realtà governata è composta di uomini e macchine...
*
L'unità dell'oggetto tecnico, la sua individualità, la sua specificità, sono i caratteri di consisenza e di convergenza della sua genesi. La genesi dell'oggetto tecnico fa parte del suo essere.
L'oggetto tecnico è ciò che non è anteriore al suo divenire, ma presente a ogni tappa di questo divenire; l'oggetto tecnico uno è unità di divenire.
L'essere tecnico evolve per convergenza e per adattamento a sè; si unifica interiormente secondo un principio di risonanza interna.
*
L'oggetto tecnico esiste come tipo specifico ottenuto al termine di una serie cnvergente. Questa serie va dall'astratto al concreto: tende verso uno stato che faccia dell'essere tecnico un sistema interamente coerente con sè stesso, interamente unificato.
*
L'unità dell'oggetto tecnico, la sua individualità, la sua specificità, sono i caratteri di consisenza e di convergenza della sua genesi. La genesi dell'oggetto tecnico fa parte del suo essere.
L'oggetto tecnico è ciò che non è anteriore al suo divenire, ma presente a ogni tappa di questo divenire; l'oggetto tecnico uno è unità di divenire.
L'essere tecnico evolve per convergenza e per adattamento a sè; si unifica interiormente secondo un principio di risonanza interna.
*
L'oggetto tecnico esiste come tipo specifico ottenuto al termine di una serie cnvergente. Questa serie va dall'astratto al concreto: tende verso uno stato che faccia dell'essere tecnico un sistema interamente coerente con sè stesso, interamente unificato.
Du mode d'existence des objets techniques
Trad. genseki
martedì, aprile 23, 2013
Fabrice Hadjadj
A proposito del matrimonio omosessuale
dalla rivista: Tempi
Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente
gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della
differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza
generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le
differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio
sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli
omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di
affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un
lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è
veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un
tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di
annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono
questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o
un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che
siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria,
nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai
doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della
Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma
non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per
la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per
l’arte.
dalla rivista: Tempi
Gilert Simondon
Il concetto di oggetto e il concetto di soggetto, proprio in virtú della loro origine, sono i limiti che il pensiero filosofico deve oltrepassare.
Trad genseki
lunedì, aprile 15, 2013
sabato, aprile 13, 2013
Mohyddin ibn Arabi
L'universo è un immenso libro; tutti i caratteri di questo libro sono archetipicamente scritti con lo stesso inchiostro, e trascritti dalla penna divina sulla tavola eterna. Tussi sono scritti simultaneamente e sono indivisibili; è per questo che ai fenomeni essenziali divini, nascosti nel "segreto dei segreti" fu dato il nome di "lettere trascendenti".
Queste lettere trascendenti - ovverossia, tutte le creature - dopo essere state condensate simbolicamente nell'onniscienza divina, sono, in grazia del soffio divino, discese nelle righe inferiori e hanno compiuto e formato l'Universo manifestato.
**
venerdì, aprile 12, 2013
Pasolini:
ad un certo punto l'uomo non sarà più in grado di capire sé stesso. Avrà una tale falsa idea di sé, che non sarà più in grado di capirsi.
ad un certo punto l'uomo non sarà più in grado di capire sé stesso. Avrà una tale falsa idea di sé, che non sarà più in grado di capirsi.
Da
quello che posso presupporre come uno che si interessa un po' di
psicologia vedo davanti a me un tipo di società in cui sarà
difficile fare un discorso religioso, cioè autentico, perché o
sarà incapace di avvertire un discorso religioso perché
occupato soltanto dalla soteriologia terrena perché semplicemente
non ci sarà più teismo ma neppure antiteismo. E' logico che la
società si configuri così... Oppure può darsi che le forme
religiose future, che stanno crescendo come dice Paolo VI, siano però
del tipo alienante che si diceva».
Dal blog: Nipoti di Maritain
Juan Ramón Jimenez
Attorno alla chioma
Dell'albero piú alto
Vanno volando i miei sogni
Sono colombe, incoronate
Di pura luce
Volano spargendo musica
Entrano, escono
Dall'abero solitario!
Mi avvolgono
Con reti d'oro.
*
Visione di costa
Il mare era il suo silenzio
Sua cecitá il cielo; profondo
Il suo lutto per non esserci nell'aurora;
L'ombra che proiettava
Era luminosa sulla sabbia dorata.
*
Trad. genseki
Dell'albero piú alto
Vanno volando i miei sogni
Sono colombe, incoronate
Di pura luce
Volano spargendo musica
Entrano, escono
Dall'abero solitario!
Mi avvolgono
Con reti d'oro.
*
Visione di costa
Il mare era il suo silenzio
Sua cecitá il cielo; profondo
Il suo lutto per non esserci nell'aurora;
L'ombra che proiettava
Era luminosa sulla sabbia dorata.
*
Trad. genseki
mercoledì, aprile 10, 2013
martedì, aprile 09, 2013
I Serafini
La visione di Isaia
Questo fu quello che avvenne al profeta Isaia,
Nello Spirito rapito vide sedere il Signore
Su di un altissimo trono di fulgido splendore
E il bordo della sua veste riempiva tutto il coro
Accanto a lui stavano due Serafini
Vide che ciascuno di loro aveva sei ali,
Con due si coprivano il volto
Con due proteggevano i piedi
Con due volavano liberi,
L'uno di fronte all'altro esclamavano:
Santo è il Signore Sabaoth
La sua gloria colma il mondo intero.
La loro voce faceva tremare la volta e la soglia
L'aula era piena di fumo e di nebbia.
Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki
Questo fu quello che avvenne al profeta Isaia,
Nello Spirito rapito vide sedere il Signore
Su di un altissimo trono di fulgido splendore
E il bordo della sua veste riempiva tutto il coro
Accanto a lui stavano due Serafini
Vide che ciascuno di loro aveva sei ali,
Con due si coprivano il volto
Con due proteggevano i piedi
Con due volavano liberi,
L'uno di fronte all'altro esclamavano:
Santo è il Signore Sabaoth
La sua gloria colma il mondo intero.
La loro voce faceva tremare la volta e la soglia
L'aula era piena di fumo e di nebbia.
Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki
lunedì, aprile 08, 2013
Tommaseo
Nazione che non ha poesia storica, né poeticamente storiche tradizioni viventi nella moltitudine, è nazione morta.
La nonna cucina serpenti
Maria, dove hai cenato?
Maria mia unica figlia?
Dalla cara nonna ho cenato
Che male! Mamma che male!
La nonna, che ti ha preparato?
Maria, mia unica figlia!
Mi ha cucinato dei pesci,
Che male! Mamma che male!
E dove mai li ha trovati?
Maria, mia unica figlia!
Nell'orto i pesci ha acchiappato,
Che male! Mamma, che male!
E dimmi con che li ha acchiappati,
Maria, mia unica figlia!
Con un tridente li ha presi.
Che male! Mamma, che male!
Che cosa ha fatto coi resti?
Maria, mia unica figlia!
Al suo cane nero li ha dati,
Che male! Mamma, che male!
Che cosa è stato del cane?
Maria, mia unica figlia?
In mille pezzi si è infranto.
Che male! Mamma, che male!
Dove ti metto il lettuccio?
Maria, mia unica figlia!
Preparalo nel camposanto.
Che male! Mmma che male!
Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki
Nervi
Durante sei mesi trascorsi a due leghe da Genova, sul mare piú bello del mondo , il piú protetto, a Nervi, non ebbi che una piccola tempesta capricciosa che durò poco ma che in cosí poco tempo, ebbe modo di dispiegare una furia singolare. Siccome dalla mia finestra la vedevo male, uscii passando per i vicoli tortuosi e gli alti palazzi, mi azzardai a discendere, non sulla spiaggia, che non c'è, ma su una cornice di nere rocce vulcaniche che seguono la riva, uno stretto sentiero che spesso non ha nemmeno tre piedi di larghezza e che salendo, scendendo, spesso a strapiombo sul mare, lo domina di trenta piedi, persino, a volte, da quaranta e sessanta. Non si vedeva molto lontano. I turbini continui stendevano una sorta di cortina. Quello che si scorgeva era limitato e spaventoso. L'asprezza, gli angoli vivi di questa costa sassosa, le punte, i picchi, le súbite, dure rientranze, imponevano alla tempesta salti, balzi, sforzi incredibili, torture infernali. Strideva di schiuma bianca, e sorrideva esecrabilmente agl scogli di lava che la spezzavano. Erano rumori insensati, assurdi, senza mai nessuna continuitá; tuoni discordi, , fischi tanto aspri come queli delle macchine a vapore che spingevano a tapparsi le orecchie. Stordito da uno spettacolo che inebetiva i sensi, cercavo di riprendermi, appoggiandomi saldamente a un muro che rientrava e che non avrebbe permesso a quella furiosa di afferrarmi e allora cominciai a comprendere meglio quello strepito. Dura e corta era la lama dei flutti e la lotta più intensa era quella che si svolgeva contro la costa tagliata tanto nettamente, contro quegli angoli crudeli che perforavano la tempesta, straziavano le onde. La cornice rocciosa che sovrastava le schiacciava nelle sue profondità rimbombanti. Anche l'occhio come le orecchie era ferito dal contrasto della neve abbagliante che sferzava le rocce laviche così nere.
Senivo, insomma, che era la terra, non il mare a produrre l'orrore. Il contrario di quanto avviene sull'oceano.Jules Michelet
mercoledì, aprile 03, 2013
Cintio Vitier
Qualcosa
manca alla sera,
I
pini non sono completi
E
io guardando le nubi
Provo
ciò che mai provai.
Ad
ogni istante domando
Di
quel tesoro perduto
L'ombra
del quale trascorre
Con
melanconico freddo.
La
brama mi sta spiando
Notturna,
sola, infinita;
Silente
va nostalgia
Bruciando
eterni vestigi.
Il
mio gesto mai non giunge
Alla
terra del destino;
La
vita resta incompiuta,
Restano
i sogni in sospeso.
**
Perché
tale è il volto del fallimento
Che
lo specchio riflette ciecamente
Prima
che giunga, dolce e demente,
L'ultimo
scintilla dell'occaso:
Fronte
dell'ossessione e del rifiuto
Occhi
che solo videro l'indomito
Naso
che chiude l'aria, bocca assente
Nel
suo sapore amaro; strana coppa
Sul
punto di mutarsi in puro osso
Perché
tale è lo scopo tal la cenere
La
cui dolce tempesta tutto strappa,
Volli
lasciare di lettere un ramo
Che
bruciasse di più dove la brezza
L'aridità
prosciuga, ride e passa.
*
L'aria
Si,
sono desto, ecco sto guardando
Freddamente
alcune cose
Che
smettono ormai d'esser segrete.
Stanno
qui, come gli alberi
Nell'aria
nuda. Si, sono desto.
Anche
la casa della mia infanzia è degli altri:
La
hanno dipinta con un colore troppo vivace,
Entrano
ed escono dalle stanze della mia anma,
Parlando
d'altro. La luce invade il cortile
Dei
miei nulla segreti. Con desiderio contemplo
Anche
questo volto che è nessuno
Che
giunge come un uccello ferito
Di
quelli che soffrono e sorridono.
O
popolo innumerevole! Sono sveglio
Guardando
la polvere bagnata di luce,
Le
tenebre dissolte in aria
Quando
la verità comincia a delinearsi:
L'albero,
l'allegria, il sacrificio.
E
so che ho ancora altri ricordi nel sangue
Oltre
quelli che posso ricordare, e più oblio
Di
quanto se ne possa dimenticare in questo mondo.
Ma
alla fine, che importa, se la metà
Di
quella vita mi lascia e cade,
Se
tanto sonno, infine, si è destato,
Se
non v'è luogo che non mi stia osservando
Né
istante ove il caso non mi frequenti.
Voglio
essere come te, O volto dei poveri!,
Misteri
del dolore e del sorriso, perché l'aria,
L'aria
semplice e vuota,
Ci
colmerà le voci di speranza
Cintio Vitier
Trad. gensek
lunedì, marzo 11, 2013
Daena
Alla
domanda dell'anima meravigliata che chiede: Tu chi sei? Alla
fanciulla che viene a incontrarlo all'entrata del ponte Chinvat e la
cui bellezza risplende più di qualunque bellezza mai vista in questo
mondo terrestre, ella risponde: “sono la tua Daena” che vuol
dire: “sono la la personificazione della fede che hai professato e
che ti ispira, quella per la quale hai risposto e che ti guidava, ti
confortava e ora ti giudica, perchàe sono in persona l'Immagine
proposta a te stesso fin dalla nascita del tuo essere, che tu
finalmente hai amato. (“Ero bella e tu mi hai fatto ancora più
bella”).
Henry
Corbin
venerdì, febbraio 15, 2013
Ronsard
Ecoute, bûcheron, arreste un peu le bras :
Ce ne sont pas des bois que tu jettes à bas ;
Ne vois−tu pas le sang, lequel dégoutte à force,
Des nymphes, qui vivaient dessous la dure écorce ?
Cela finit ainsi, vous le savez :
La matière demeure et la forme se perd !
Ce ne sont pas des bois que tu jettes à bas ;
Ne vois−tu pas le sang, lequel dégoutte à force,
Des nymphes, qui vivaient dessous la dure écorce ?
Cela finit ainsi, vous le savez :
La matière demeure et la forme se perd !
giovedì, febbraio 14, 2013
José Bergamìn
Come
chi ascolta la pioggia
Ti
prego: ascolta i miei versi:
con
l'attenione profonda
Con
cui si ascolta il silenzio.
Come
si ascoltano gli alberi,
Quando
li scuote il vento,
E
fa cadere le foglie,
le
ore morte del tempo.
Como
il crepitio sonoro
Delle
fiamme nel camino,
E
nel firmamento il tacito
Brillare
degli astri morti.
Trad. genseki
lunedì, gennaio 28, 2013
Bossuet
Elle
étudiait ses défauts; elle aimait qu'on lui en fit des leçons
sincères : marque assurée d'une âme forte, que ses fautes ne
dominent pas, et qui ne craint point de les envisager de près par
une secrète confiance des ressources qu'elle sent pour les
surmonter.
Orazione
per Henriette d'Angleterre
venerdì, gennaio 18, 2013
Solzenitsyn
La letteratura ufficiale, le riviste, i romanzi pubblicati, io li considero semplicemente inesistenti. Certo, anche da quel terreno possono nascere talenti (ce ne sono), ma sono condannati a morire perché quel terreno non è fertile, poiché lì ci si adatta a non dire la verità capitale, quella che balza agli occhi senza bisogno della letteratura.
martedì, gennaio 15, 2013
Fantasia
La lotta per la sopravvivenza non può
realmente essere separata dalla vita culturale o dalla fantasia, e la
soppressione della fantasia per mezzo della censura, la degradazione
o altri mezzi è una strategia per procurare la morte sociale delle
persone, la fantasia non è l'opposto della realtà; è ciò che la
realtà non permette che si realizzi, e, per conseguenza, è ciò che
definisce il limite della realtà, costituendo così il suo esterno
costitutivo. La promessa cruciale della fantasia, dove e quando
esiste, è sfidare i limiti contingenti di ciò che sarà o non sarà
designato come realtà. La fantasia è ciò che permette di
immaginare noi stessi e gli altri in modo differente; essa stabilisce
il possibile eccedendo il reale; la fantasia si dirige verso
l'altrove e quando vi giunge lo converte in familiare.
Judith Butler
giovedì, gennaio 10, 2013
Comprendere
Comprendi pienamente ciò che è il comprendere e non solo tu comprenderai le linee generali di tutto quello che c’è da comprendere, ma possederai anche una base fissa, una struttura invariante, che si apre su tutti gli sviluppi ulteriori del comprendere.
Bernard Lonergan
mercoledì, gennaio 09, 2013
Lonergan
The fundamental question is: Who am I?
It can be answered in many different ways, since we have a number of
different, emergent identities. However, our foundational identity is
that of a concrete, continget Knower, chooser, lover.
lunedì, gennaio 07, 2013
Pentimento
Il paese della pioggia è appena oltre
il rio
Entro nella pioggia come fosse un'altra
pelle
Come il pellegrino che implora il
perdono
Le foglie umide della vite canadese
Si incollano alle braccia alle spalle
Rane e serpi sono pensieri che
confortano
Il viaggio sarà lungo lunghissima ogni
giornata
Il paese del pentimento la contea del
rimorso
Si estende appena oltre la cortina
della pioggia
I draghi della nebbia sfregano le
squame
Sui fianchi del monte, sulla corteccia
dei faggi
Implorerò il perdono dei vivi e dei
morti
Dei nemici e degli amici
Gemendo intera tutta la mia abiezione
Nella speranza della luce immeritata
Del perdono della pace serena
Oltre la pioggia tra il verde fresco
dei prati
E l'oro fragrante e radioso dell'avena
Oserò pronunciare di nuovo il nome
Della Vergine bella e del suo Figlio.
Bolls Corracha
domenica, gennaio 06, 2013
La Montagna incantata
Due giornate di viaggio allontanano
l'uomo – e a maggior ragione il giovane le cui deboli radici non
sono ancora penetrate profondamente nell'esistenza – dal suo
universo quotidiano, da tutto ciò che egli considerava i suoi
doveri, interessi, preoccupazioni e speranza; lo allontanano
infinitamente di più di quanto avrebbe potuto immaginarsi nel
veicolo che lo conduceva alla stazione. Lo spazio che, girando e
fuggendo, si interpone tra lui e il suo punto di partenza sviluppa
forze che si credono riservate al tempo.
Thomas Mann
Trad genseki
martedì, dicembre 25, 2012
Madido di silenzio
Madido di silenzio
I chiodi d'argento del gelo
Nelle palme, nei talloni
Il sudore è l'ultima tunica
Prima della luce nuda.
genseki
I chiodi d'argento del gelo
Nelle palme, nei talloni
Il sudore è l'ultima tunica
Prima della luce nuda.
genseki
Non avere piú voce
Non avere piú voce
Come tace anche il cielo
Piú spento e alto
Il collo dell'avena
I brividi rosa degli ontani
Sul greto così gelido
Non avere piú voce
Come il ciottolo umile
Che levigó la pioggia
Prima che ogni cosa avesse un volto.
genseki
Come tace anche il cielo
Piú spento e alto
Il collo dell'avena
I brividi rosa degli ontani
Sul greto così gelido
Non avere piú voce
Come il ciottolo umile
Che levigó la pioggia
Prima che ogni cosa avesse un volto.
genseki
lunedì, dicembre 24, 2012
Natale 2012
A volte penso che la ricerca della sofferenza e il ricordo della sofferenza siano il solo modo di cui disponiamo per entrare in contatto con l'intera condizione umana. Soffrendo entriamo a far parte del mito cristiano.
Graham Greeene
domenica, dicembre 23, 2012
Genet
In realtá allontanandosi dal testo, gli spettatori dovrebbero restare con in bocca un intenso sapore di ceneri e il tanfo della corruzione.
Rembrandt
Fin dal principio si sentí attratto poderosamente dalla poetica della rovina, dalla poetica dell'imperfezione. Godeva tracciando i segni che lasciavano i morsi dell'esperienza mondana. i fori, le punture. gli occhi rossi, le rughe della pelle davano al volto umano una ricchezza multicolore. I segni del vaiolo, la scrofola, la pelle macchiata e le croste erano fatti che andavano ispezionati da vicino E con molta attenzione; irregolarità sulle quali far passare il suo sguardo tattile. Oltre le sacre scritture non si preoccupava di nessun libro che non fosse quello della decadenza con le sue veritá scritte nelle rughe incise sulla fronte degli uomini e delle donne anziani, nelle fenditure dei solai decrepiti, nei muri coperti di licheni degli edifici vecchi o nella pelle coperta di sarna di un leone malaticcio.
Shama
Rembrandt
sabato, dicembre 22, 2012
Il verde dei prati
Ogni canto era come un grido
Sfilacciato nel grigio degli alberi
Ma il verde dei prati era cosí intenso
Che una sola lacrima lo avrebbe infranto.
genseki
Sfilacciato nel grigio degli alberi
Ma il verde dei prati era cosí intenso
Che una sola lacrima lo avrebbe infranto.
genseki
Stornello
Eppure il mondo mi si offriva
Nell'atto stesso di abbandonarlo
Sgusciavo fuori dal pantano
Tra i gattici
Tra gli ulivi
Nudo cme un assassino
Che canta a squarciagola
Uno stornello
genseki
Nell'atto stesso di abbandonarlo
Sgusciavo fuori dal pantano
Tra i gattici
Tra gli ulivi
Nudo cme un assassino
Che canta a squarciagola
Uno stornello
genseki
L'amico poeta
Non ero l'amico poeta per te
Ero quello strano, quello che agitava le mani
Troppo grandi e screpolate
Goffo come un airone,
Che s'incendiava come un faggio
In gennaio
Poi tutto quel fuoco si estese
E del dolore
Non restó che cenere.
genseki
Ero quello strano, quello che agitava le mani
Troppo grandi e screpolate
Goffo come un airone,
Che s'incendiava come un faggio
In gennaio
Poi tutto quel fuoco si estese
E del dolore
Non restó che cenere.
genseki
venerdì, dicembre 21, 2012
Sulle cime
Sulle cime piú alte giá l'autunno
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.
genseki
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.
genseki
Piú niente
Dentro non c'era più niente
Eri vuoto, Forse qualche volo, minuzie,
Polvere di ricordi
Amori, sentieri, macchie d'umido,
Un cespuglio di nespole
Qualche giorno di un novembre
Infantile
Per un attimo apparve persino Enrico
Con la sua stampella.
A uno scoppio di vento
Che tese le sciarpe degli idoli tarlati
Lo sciame si levó in volo
Con strepito sordo
Un solo fiore spledeva sull'albero nudo
Come quel diadema di rugiada della leggenda
Le vespe scendevano ronzando
Sulla coppa di miele e il resto delle mele.
genseki
Eri vuoto, Forse qualche volo, minuzie,
Polvere di ricordi
Amori, sentieri, macchie d'umido,
Un cespuglio di nespole
Qualche giorno di un novembre
Infantile
Per un attimo apparve persino Enrico
Con la sua stampella.
A uno scoppio di vento
Che tese le sciarpe degli idoli tarlati
Lo sciame si levó in volo
Con strepito sordo
Un solo fiore spledeva sull'albero nudo
Come quel diadema di rugiada della leggenda
Le vespe scendevano ronzando
Sulla coppa di miele e il resto delle mele.
genseki
Campane
Erano pochi passi soltanto
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.
genseki
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.
genseki
Ti lasciavi
Ti lasciavi spalancare
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Un'altra dea
Era la dea dei muri a secco
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
Elicottero
Un elicottero sbucato d'improvviso
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
Jabès
Dio è il punto incandescente di fronte al punto scuro della pagina scritta: infatti il libro delle notti dell'uomo corrisponde al libro accecante di Dio.
Jabès
Che cosa resta?
Che cosa resta della parola
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Jabès
Il silenzio è la mandorla del rumore; per questo Dio, che è duro silenzio, non puó essere udito, solo postulato, come le ore del frutto dalle ore dell'albero.
Jabès
venerdì, dicembre 14, 2012
domenica, dicembre 09, 2012
Comunismo
La filosofia attraverso il nome comunismo pensa
«la
passione ugualitaria, l’Idea della giustizia, la volontà di rompere
coi compromessi relativi al servizio dei beni, la rinuncia all’egoismo,
l’intolleranza dell’oppressione, il desiderio della fine dello Stato.
L’assoluta preminenza della presentazione molteplice sulla
rappresentazione. L’ostinazione militante, obbligata da qualche evento
incalcolabile, a reggere per caso il discorso di una singolarità senza
predicato, di un’infinità senza determinazione né gerarchia immanente».
Alain Badiou
lunedì, novembre 26, 2012
Appena
Fu appena il fioco distenedersi
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Mosche di stagno
Mosche di stagno
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
lunedì, novembre 12, 2012
Dietro la cortina della pioggia
Dietro la cortina della pioggia
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Soledad
Bevo dalla fiasca dell'abbandono
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
sabato, novembre 10, 2012
Alberto Giacometti
Il
regrette les bordels disparus. Je crois qu'ils ont tenu-et leur souvenir
tient encore-trop de place dans sa vie, pour qu'on n'en
parle pas. Il me semble qu'il y entrait presque en
adorateur. Il y venait pour s'y voir à genoux en face d'une divinité
implacable et lointaine. Entre chaque putain nue et lui, il y avait
peut-être cette distance, que ne cesse d'établir chacune de
ses statues entre elles et nous. Chaque statue semble reculer-ou en
venir- dans une nuit à ce point lointaine et épaisse
qu'elle se fond avec la mort : ainsi chaque putain
devrait-elle rejoindre une nuit mystérieuse où elle était souveraine. Et
lui, abandonné sur un rivage d'où il la voit à la fois
rapetisser et grandir dans un même moment.
Je
hasarde encore ceci : n'est-ce pas au bordel que la femme pourrait
s'enorgueillir d'une blessure qui ne la
délivrera jamais plus de la solitude, et n'est-ce pas le
bordel qui la débarrassera de toute attribution utilitaire, lui faisant
ainsi gagner une sorte de pureté.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Genet
L'atelier d'Alberto GIacometti
Destra e Sinistra
Se accettiamo la fraseologia politica corrente
dovremo ammettere che l'arte appartiene tanto alla sinistra come alla
destra, ovvero è radicata in una tradizione e si riflette in un futuro
che solo con molte difficoltá avrá contribuito a instaurare.
Jean Genet
Jean Genet
La rugiada sulla pelle
La rugiada sugli zucchini
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
I ceci
I ceci li avevamo condivisi
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
mercoledì, novembre 07, 2012
Rimbalzavano le perle
Rimbalzavano le perle sul mogano
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Nudi miei cani
Nudi miei cani, piú nudo ancora
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
lunedì, novembre 05, 2012
Discorso sopra lo stato ...
In queste righe di Leopardi basta soltanto sostituire "conversazioni" con "web o rete" per avere una perfetta descrizione del perché è perfettamente impossisbile commentare su blog, facebook e riviste online senza essere massacrato di insulti e "railleries".
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
mercoledì, ottobre 31, 2012
Enantiodromia
La nada es menos que el frío
la nada o menos que nada
es como si Dios riera al ver
fracasar el poemma
Leopoldo Maria Panero
Macbeth
Il sonno mi tortura
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Il problema azzurro
Mi hai messo in un problema azzurro
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Pioggia
La pioggia mi aveva lasciato
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Leopoldo Maria Panero
Como la vida del verso es una partida
de ajedrez con el horror
y el poema es peor que la muerte.
Da: Teoria del miedo
martedì, ottobre 30, 2012
Il vento tra gli olivi
Il vento tra gli olivi
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
lunedì, ottobre 29, 2012
martedì, ottobre 23, 2012
De senectute
V'è in me un'immagine della vecchiaia che ha a che vedere, con i lupi, l'inverno, Parigi e la neve. Insomna con Villon.
La presa di coscienza, "l'Insight" della vecchiaia è in me associata da tanto tempo con la miniatura immaginaria di un inverno medioevale, con un interno povero, scomodo, sporco ma abbastanza scaldato da un allegro braciere da rendere piacevole il contrasto con la notte fredda e fiera che morde la città.
Invecchiare è questione di un istante. Tutto comincia e finisce in un istante e in quell'attimo la vita prende ad allontantarsi nel passato.
Il passato diventa allora qualche cosa che ha molto piú a che fare con la geografia che con la cronologia. Una delle possibilitá che offre la vecchiaia è quella di cartografare la vita.
Si tratta di osservare la vita come una mappa, o come chi scruta un vasto paesaggio di pianura e basse colline da una montagna, o da una mongolfiera.
Ecco la landa allontanarsi vertiginosamente verso il basso e ampiarsi l'orizzonte fino a che i particolari: quel fienile, il cortile di quella scuola, il lupo che fiuta la traccia, la fuga zigzagante della lepre sull'ultima neve di primavera, finiscono per confondersi in verde e luce.
Ma torniamo a Villon. La vecchiaia ha bisogno di un fuoco, un bracere, un camino, una stufa insomma.
Ne ha bisogno per difendersi dal suo proprio inverno, cioè, in ultima istanza, per difendersi da se stessa, perché la vecchiaia è inverno.
Essa è peró anche rifugio.La vecchiaia a essa stessa a se stessa rifugio.Il calore accumulato in tutta una vita vissuta in modo appena dignitoso è sufficiente a conseguire un tepore e una protezione ragionevolmente confortevoli quando la fuori sibila l'inverno dell'annientamento. L'equilibrio che rende preziosa la vecchiaia è solo questo.
La mia povera vita non mi ha permesso di accumulare grandi ricchezze spirituali, no ne sono stato capace, non ho saputo rendermene degno. Quel poco che ho savato da tante procelle di cui fui naufrago basta comunque a scaldarmi. In questo tepore mi acccoccolo con gusto.
La vecchiaia non si sporge sulla morte, non ha finestro che diano immediatamente sul cortile del cimitero.
La vecchiaia è vecchiaia, la morte è morte.
In una prospettiva politica la vecchiaia ci permette di non essere giovani senza destare sospetti polizieschi. Ci libera dalla gioventú coatta che è la sola condizione permessa ai sudditi del capitale. Da questo incubo, infine, ci è consentito svegliarci. Non è detto che ci si riesca. Il successo resta dubbio, la tentazione è, tuttavia, luminosa. Occorre che invecchiando si resti prigionieri della gioventú coatta, si è allora il "ritratton di Dorian Grey di se stessi". Il Capitale è il pittore. Anzi questo orrore è la condizione comune dei sudditi del Capitale. Io sono ben deciso a invecchiare come un vecchio. Ho impiegato tutta la gioventú per premararmi a questa sfida. Sono deciso a espiare il peccato di gioventú: essere stato per tutta la giovinezza imperdonabilmente giovane.
genseki
lunedì, ottobre 22, 2012
Deleuze
“poiché
la razza votata all'arte o alla filosofia non è quella che si pretende
pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade,
irrimediabilmente minore..."
Deleuze – Guattari.
venerdì, ottobre 19, 2012
Alberi
Questa è una poesia di Bolls Corracha caratteristica del periodo del suo lungo soggioro a Jeve e dell'amicizia povera e spoglia con Jules Lapache.
genseki
Questa poesia è dedicata agli alberi
Nella stagione in cui sono più tristi
La scrivo infatti il 31 Dicembre,
di notte prima che finisca l’anno
Privi di foglie lavati dalla pioggia
Avvolti nella nebbia
Intirizziti
Ora paiono antenne di metallo
Lance d’acciaio dai riflessi grigi
Che attendono tremando irrigiditi
Il bacio lieve, bianco della neve
Che li rivesta come morte spose
Del suo lino di gelo
Che simuli sui rami fantasmatici
La gioia spenta della fioritura.
Ché non c’è inverno
Privo di ricordi
Anche se non ululano più i lupi
Tra le file di tronchi fitte e scure
E non c’è morte senza che si disfi
L’ombra della speranza delle fronde.
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
Quando le chiome sono solo d’ombra
Anche gli abeti sono fiamme nere
Profonde come il vento della notte.
Ritorneranno i boccioli arancione
E gialli per l’ardore d’esser verdi ?
Ora che il sogno dolce delle foglie
E’ un tappeto di linee che cancella
la pioggia grigia col fango vischioso ?
Foglie peltate, rotonde, reniformi
Digitate lobate bipennate
Forme di cuori d’asce di coltelli
di corna e zampe vive verdi orme
tenere carte tarocchi della vita
Ritorneranno a incarnare la luce
nella forma più verde del suo gioco
Nelle chiome che fremono di suoni
Chiome piramidali o arrotondate
Ombrelliformi oppure colonnari
Chiome candele di resina e di linfa
Chiome di latte e sperma vegetale ?
Ora le chiome sono solo un sogno
Ora la vita è nuda e trasparente
Raggi di vento ed aghi di cristallo
La trafiggono come fosse assente
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
nella stagione in cui sono più tristi
Il 31 Dicembre: Capodanno.
Bolls Corracha
a cura di genseki
Jean Grosjean
Al bordo del sentiero
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
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