mercoledì, ottobre 15, 2014
martedì, ottobre 14, 2014
Il castello di carte
ê piú bello che il
colore di questo guanto abbandonato nel mare
e nei solchi deserti non
trovo piú nulla
ma piú lontano gli
strumenti musicali si riuniscono
in un'alcova
in un carro quadrato
e l'amore comincia
con festoni ai quattro
angoli
e battaglie senza fine
addio meraviglia addio
non hai cuore
ma un pioppo mansueto
nella coperta della borsa
e non è senza dare
l'allarme che la mia voce giunge alla tua cittá
la barca in cui si
suicidano i fantasmi dopo una prolungata immersione nel cadmio delle
consacrazioni
La barca nuda si presenta
alla mia porta
e chiama con tutto il suo
cielo nero
“pallida, dice lei, piú
pallida della tua sposa”
e quei denti nel suono
dello sguardo mi triturano
quei denti di catena e di
incendio
incendio in cui le donne
formano la catena
per impedire che nasca il
nove di spade
e le donne in cittá sono
piú povere di quanto sperassi
piú povere della della
mia vendetta
e della mia furia
piú povere di un postino
che solo possiede l'abbandono
su di una casa di otto
piani
di un biglietto di andata
e ritorno per la forca
è allìncrocio del
cammino e della morta
dove si alza il pilone
segnaletico degli innamorati
dove giungono tutti i
mesi a raccogliere i rumori
dove si incontrano ma non
si vedono mai
lo spaventapasseri del
castello di carte
il manichino del silenzio
con armatura di stoppie
con la sua fiamma e la
sua bandoliera
lo spaventapasseri dei
secoli
all'uscita del soterraneo
non vi è labirinto che
importi
tutte le ali e tutte le
chiavi aprono le porte del castello di carte
Pierre Unik
trad. genseki
A fuoco alto
Sono passati mille anni e
non era che un giorno
Sonno prendilo per i
piedi buttalo nella spazzatura
nel fieno della sua
tenerezza raggomitolato pugnala la vita
che il cancarone sparso
nella stalla sporchi il sangue carte su tavola niente
nelle tasche niente nelle
mani niente niente piú niente
sono passati mille anni e
era una notte sola
un pesce spaccato per la
lunghezza tiepida e il sogno ci risucchia nelle sue viscere
aperte i claxons non
hanno piú forza i camion si sono parcheggiati
agli orologi nessuna
finta
mezzanotte passa il mondo
passa
e io passo tutto passsa
ammassiamoci coprifuoco nella folla densa lenta non vi è
ness'unaltra via d'uscita fa freddo fa caldo e il sogno è una carta
assorbente ancora un mucchio di ferraglia tra invincibili saluti
dell'aurora tra gli stracci infamanti delle infanzie squisite del
ricordo caldaie da bucato in testa materassi materassi sul tetto
delle auto vi ho visto in Spagna e il dolore mi fa ancora fremere con
tutta la ridicola potenza che l'uomo crede aver domato ne abbiamo
viste molte altre e la paglia e l'asse la quaglia e il fucile delle
poltrone Luigi XV a brandeburghi sul petto e delle casse gabbie
bagagli tutto forbito colocato infangato macchie di sangue sulle
lenzuola gli sguardi fustigati perduti nei ritornelli adulterini
delle tracce di passi nel fango che sappiamo delle case abbandonate
della morbida intimitá desbordante dalle viscere del pesce sventrato
dal confuso ammasso dei pensieri stonacati dei maniaci muffe delle
ripetizioni e degli stracci coltivati in giardini pensili di tutte le
miserabili grandezze e del latte oscuro della passione la vita
multiple degli umani naufragati che siamo mucchio di imbecilli
abbandonati a la noncuranza dei solstizi tenera tenera è la notte
agli scampati della paura
il sonno immobile
la pietra al collo
mille anni sono trascorsi
e era una sola notte
non sono re magi che
sento sotto la finestra non sono buone notizie che sento abbuffare lo
spazio non è la porcellana dei gorgheggi
tra i rami gioia aperta
ai bambini
che odo nella mia miseria
sono nudo di speranza
annodata all'albero
vertiginosa ramificazione di fronde aspetto la folgore e il lampo
mi offro all'ascia del
taglialegna dall'alto in basso e con un solo coplo che spezza la
vendetta della terra e si rianima la folgore nei pressi del mio
sfinimento
son passati mille anni e
solo era una notte e anche questa notte notte i re magi marciano a
scaldare la gioia dei camini cantando trasformare la sabbia in erba
dolce la pietra in sorgenti e le ortiche in cristallo nelle
conchiglie c'è sempre il riso lontano soggiorno delle caravelle di
briganti mille anni di riso in una sola conchiglia e mille conchiglie
chiuuse nel cuore della mia ben amata dove sei testa di spiedo
in quali onde di velluto
si è perso il sogno assurdo di nuovo le strade si sono alzate con il
sole lentamente lentamente gli occhi sbattuti la nebbia in testa nel
ventre quanti kilometri dalla Porta della Muta un mondo intero ci
separa
è giorno a Parigi non ci
sono piú venditori di vestiti Parigi è cieco e le discariche sono
vuote i mercati coperti di tegole di silenzio la Flora tapezzata da
rose del deserto notte nera non riconosco piú le strade del mio
quartiere avanza dunque testa d'impagliato
a Parigi non ci sono piú
patate fritte è scuro a mezzogiorno ecco l'artiglieria sbocca a in
senso contrario è spenta e grigia come la nostra avanzata andate
testa di porco
è il crepitare della mia
giovinezza che sibila tra le mitragliette leggere anch'essa spente
specchio senza risorse,
Parigi Parigi mia cittá
aperta ritorno indietro cittá aperta agli assassini vestiti a festa
cittá proibita venduta insozzata tumefatta nella luce insradicabile
della tua primitiva fierezza la Tour Saint-Jacques resta ove risuona
il riso di Desnos e il riso ricade in mille petali di polvere
sollevano sul selciato lo spavento degli usignoli sono e battelli
lavatoio che vanno a la deriva è l'Ile de la Citá dove si
imbrogliano le ali i canti sono costernati in pose eterne i gesti
familiari ritrovati a quest'ora si dice che non la rivedremo mai piú
Rigaud gare Montparnasse
Benvenuta stazione a te cosí vanno le cose all'immortalitá se
credere in una buona partenza non fa male a nessuno i nostri sono
partiti portandosi via il nostro cuore pezzo per pezzo e mattone dopo
mattone si spoglia la cittá dei pianti
Crevel Passy Concorde
strazi dementi fummo di questo mondo ove manate di mani nascevano
sullo slancio amico delle libertá tenaci la Senna tra Via du Beaune
e des Saints-Pères quante sbornie colarono nelle nostre vene e se en
andarono ad ingrossare i debiti dell'aurora o Closerie questa notte o
visto affondare tanti lillá nelle tombe aperte che la mia vista si
confonde
quanto altri lo hanno
conosciuto come Unik di Via Vaugirard l'Ile Saint-Louis Montmartre
Auteuil Porte Saint-Denis era la guerra di Spagna al tempo della
purezza e noi correvamo al centro incandescente di braci nessun
orrore al mondo ci avrebbe fermato tanto i nostri cuori martellavano
alla stessa cadenza la tragedia serena che ricopriva il sangue delle
strade
Madrid pietra sigillata
nel mio dolore antica cittá chiusa all'amore come il mio amore
tradito Parigi mia cittá aperta torno indietro i sentieri battuti
delle mie giovano estati ove sono le passeggiate e scoprendo Parigi
la Ferme di Belleville o il libro d'ore pagina a pagina al tornante
delle risa Paul ancora ti vedo tra il manifesto LU e quello di Bovril
la Porte de la Villette che amavi come un indovinello la cittá si
gargarizza di claxons d'autobus i rami dei metro fanno scaturire
geysers le donne sono regine vanno come chiatte ignare della loro
bellezza le loro teste sono altrove
en abbiamo contato i
carichi impalpabili tesori che passano a filo d'acqua passaggi o
passaggi pazienti impazienti passiamo sui nostri amori ci
porterebbero troppo lontano le fiamme si sono spente ai quattro
angoli del mondo e i miei amici sono morti proprio nel cuore di
Parigi
non sono mica nato ieri
e le rime intorno alla
vita il sole a bandoliera le dolci pozioni torttando alle mie tempie
l'aria di festa che attraversa il petto la gaiezza carnale che si
eleva
offerta in onore di
questa luce
…
Tristan Tzara
da “ A Haute Flamme”
trad genseki
lunedì, ottobre 13, 2014
A fuoco alto
Avevo centomila anni
ed eccomi gregge ed eccomi foglia
morta de eccomi fresco alberello che scuote la chioma davanti a colui
che io sono mentre passo in mezzso agli altri
il blu filava la lana o folle o mischie
e io seguivo docile la stella strana stella verso quali tardivi re
magi conduceva la speranza schiantata con la dura catena ai polsi
delle strade stella di sventura luce cardinale ero io o non lo ero
piú non sapevo che cosa dire tanto la tristezza conquistata alle
parole semplici sbarrava il cammino della ragione che sfuggiva
mai estate piú splendida
mai bellezza accecante ci trovó piú
stupidi di quanto fossimo allora sulla strada senza fine dicevano è
bel tempo non credevamo ai nostri occhi e nemmeno ci pensavamo ed era
inutile nei fiocchi di luce sprofondava la ragione in mulinelli
sfavillanti della memoria che avremmo dovuto fare dei giochi amorosi
nascosti nell'abbaglio muto della coorte
l'uccello agli anelli del suo canto
infilava interminabili promesse di fidanzamento e nell'añpiezza di
un popolo intero al centro delle meraviglie sonore e vive ero io
solo coperto di solitudine
mentre camminavamo andavamo affanti di
bellezza straziata nelle nostre mani ciascuno la sua solitudine fiore
solitario invisibile candore che nasconde il rimpianto e la paura
senza conoscere da sola la fatica dei nostri corpi invasi tratteneva
il pensiero su questa terra maledetta
al diavolo le sofferenze e che si
spiaccichi il cuore lunghe crepe al cuore dei muri impliciti sottile
speranza sul filo di quei giorni perché la morte unanime non ci ha
compresi nel gruppo designato alle maree della dimenticanza
inghiottiteci onde assurde nel letto dell'oblio dolce dolcezza
dell'oblio
Tristan Tzara
trad. genseki
martedì, ottobre 07, 2014
lunedì, ottobre 06, 2014
La gerarchia di esclusione
La gerarchia di esclusione è una
tassonomia sviluppata nella serie fantascientifica di Orson Sott Card
“La saga di Ender”, per classificare gli esseri viventi:
Utlannings:
Forestieri del proprio mondo, come
persone di un'altra nazione o di un'altra lingua o di un'altra cittá;
Främlings
Sono persone della stessa specie ma
provenienti da un altro mondo: pianeta, sistema solare o galassia;
Ramen
Sono esseri viventi di un'altra specie
con cui è possibile comunicare, convivere, raggiungere accordi;
Varelse
Sono esseri viventi con cui non è
possibile la comunicazione, che non hanno punti in comune con
l'umanitá, di essi non possiamo cogliere gli obiettivi e le
motivazioni che li inducono ad agire in un modo piuttosto che in un
altro.
L'inclusione in una o nell'altra categoria non dipende dalla natura dell'oggetto della classificazione ma da chi la produce. Cosí per esempio gli africani o gli aborigeni australiani sono stati classificati Varelse poi e a volte Utlannings.
genseki
Rosa Chacel
Rimprovero
Dimmi, la perla, il frutto della tua mano, quando maturerá
Un cuore come il tuo, puro e duro, insensibile all'arsura!
Ben fermo , al tuo dito, come un ramo bianco, non ti pesa mai il suo peso?
Come puó conservare tanto a lungo il segreto del tuo io improrogato?
...
Leprotta bianca, non ti trovó forse tua madre in una perla?
Anch'io, pensaci, dove saremmo senza l'autunno dorato e la sua vendemmia?
L'anello d'oro, peró, conserva il frutto della tua mano, la tua banbina è chiusa
Nel suo guscio bianco, puro e duro.
Diró al sole che non sprechi i suoi raggi.
Da: "Otros Poemas"
trad. genseki
*
A Teresa
Appena ti conosco, ma in cambio
Conosco bene quel laboratorio
Dove, molti anni prima che nascessi
Si condensava la tua pura idea.
Perché anima e corpo hanno soltanto
Una bocca insaziabile in comune, gli occhi,
Per questo ben conosco le materie mischiate
Nella dolce pozione frutto della tua formula
So che furono gigli e l'Angelo Caduto,
E fogli grigi, appesi a una bacheca
Ove Platon parlava seguendo il carboncino
Dal petto di un atleta o da una fonte sacra.
So che nell'aule e negli spessi tomi
Le parole spogliate ci mostrano le viscere
E anello dopo anello, la magica catena,
Con cui amore, logica e numero le uniscono.
E tutto in primavera, nell'autunno, in inverno
In estate, tra i pini ove piangon le tortore
Sui sentieri ombreggiati da pioppi e da betulle:
Tutto questo sommato genera un bene: Teresa
Da "Otros poemas"
Trad. genseki
*
La colpa
La colpa sorge all'occaso
Oscuritá la rischiara
Il tramonto le è aurora...
S'ode l'ombra che avanza da lontano
Quando sugli alberi il cielo è sereno
Come una pampa verde-azzurro, intatta
E il silenzio percorre i quieti labirinti di arrayanes
Giungerá il sonno: resta allerta l'insonnia
Prima che cada la cortina oscura,
Gridate almeno, uomini,
Come il pavone meccanico che gracchia il suo lamento
Straziato tra i rami dell'araucaria,
Gridate con multiple voci
Pigolate tra i rampicanti
Tra le edere e le rose
Nel glicine cercate rifugio
Con tordi e passeri
Perché avanza l'onda della notte
La sua assenza di luce,
L'ospite suo implacabile
Dai passi felpati, il pericolo ...
da: "Otros poemas"
trad. genseki
*
A Sara e al suo gioiello
Dimmi, la perla, il frutto della tua mano, quando maturerá
Un cuore come il tuo, puro e duro, insensibile all'arsura!
Ben fermo , al tuo dito, come un ramo bianco, non ti pesa mai il suo peso?
Come puó conservare tanto a lungo il segreto del tuo io improrogato?
...
Leprotta bianca, non ti trovó forse tua madre in una perla?
Anch'io, pensaci, dove saremmo senza l'autunno dorato e la sua vendemmia?
L'anello d'oro, peró, conserva il frutto della tua mano, la tua banbina è chiusa
Nel suo guscio bianco, puro e duro.
Diró al sole che non sprechi i suoi raggi.
Da: "Otros Poemas"
trad. genseki
*
A Teresa
Appena ti conosco, ma in cambio
Conosco bene quel laboratorio
Dove, molti anni prima che nascessi
Si condensava la tua pura idea.
Perché anima e corpo hanno soltanto
Una bocca insaziabile in comune, gli occhi,
Per questo ben conosco le materie mischiate
Nella dolce pozione frutto della tua formula
So che furono gigli e l'Angelo Caduto,
E fogli grigi, appesi a una bacheca
Ove Platon parlava seguendo il carboncino
Dal petto di un atleta o da una fonte sacra.
So che nell'aule e negli spessi tomi
Le parole spogliate ci mostrano le viscere
E anello dopo anello, la magica catena,
Con cui amore, logica e numero le uniscono.
E tutto in primavera, nell'autunno, in inverno
In estate, tra i pini ove piangon le tortore
Sui sentieri ombreggiati da pioppi e da betulle:
Tutto questo sommato genera un bene: Teresa
Da "Otros poemas"
Trad. genseki
*
La colpa
Sera allo Zoo de La Plata
La colpa sorge all'occaso
Oscuritá la rischiara
Il tramonto le è aurora...
S'ode l'ombra che avanza da lontano
Quando sugli alberi il cielo è sereno
Come una pampa verde-azzurro, intatta
E il silenzio percorre i quieti labirinti di arrayanes
Giungerá il sonno: resta allerta l'insonnia
Prima che cada la cortina oscura,
Gridate almeno, uomini,
Come il pavone meccanico che gracchia il suo lamento
Straziato tra i rami dell'araucaria,
Gridate con multiple voci
Pigolate tra i rampicanti
Tra le edere e le rose
Nel glicine cercate rifugio
Con tordi e passeri
Perché avanza l'onda della notte
La sua assenza di luce,
L'ospite suo implacabile
Dai passi felpati, il pericolo ...
da: "Otros poemas"
trad. genseki
*
giovedì, ottobre 02, 2014
Origini
Ho conosciuto la tua fonte, o fiume:
Era acqua frizzante come l'uncinetto
che rapido attraversa
L'indumento rigido della roccia. Sì,
per davvero,
Fiume, ho conosciuto la tua fonte.
Con il palmo della mia mano ho toccato
la tua frescura,
Il tuo indimenticabile splendore
l'erba novella era in attesa del tuo
bacio.
Con il palmo della mia mano ho toccato
la tua frescura
Rossa e nera era la forma eterna della
roocia
scolpita dal vento, da cima a fondo
In estate roventi, inverni a lungo
dimenticati.
Nera e rossa era la forma eterna della
roccia.
Proprio cosí, non l'avrei mai lasciata
la tua fonte
Mi ci sarei bagnata, piuttosto,
battezzata , e illuminata
nella sua primordiale luce santa,
No, no, non l'avrei mai lasciata la tua
fonte.
Nina Cassian
Trad genseki
mercoledì, ottobre 01, 2014
Variazioni digitali su Alcyone di G D'annunzio
Ho regolato il segno lucido
lasciando la schiuma delle sue labbra:
nomo i vecchi e la recente
So che li compongono con arte bella.
I musicisti hanno modi umani
diversi dal dorico al frigio:
Melodia divina infinita
Creo nell'esiguo vestigio.
Indurimento d'onda trascrive
l'esecuzione sulla sabbia bagnata;
attraverso il mito fuggitivo
accordi e pause avvincendo.
O mia sabbia melodiosa,
vostro non è un granello di silice
Vorrei donare la pomice Ascosa
fonte dell'ìlice d'ombra.
Brilli innumerevole e immensa
Crescendo alla mia scrittura;
e l'acqua che bevete l'addensi,
l'induri sale sterile.
Il rilievo così sottile,
dedotto con arte in modo frugale,
che gli uomini infranga puerili
d'archi davanti al
sopracciglio .
Di tanto in tanto impronta trisulca
le caratteristiche intercide;
peste umana, se vi opprimono,
impregnati di luce e sorrisi.
Figure di neumi son Elle
in questa concordia discorde.
Curva, O cetera io suono,
o un plettro il dito ti morde.
Spendo; e il grande Concento
taciturno dentro di me è soddisfatto,
dall'unghie del mio piede d'argento
alle vene nelle mie tempie.
Scerne l'orecchio con calma
i toni dell'onda che giunge,
Indago con chiara pupilla
più di ogni segno lene;
genseki
martedì, settembre 30, 2014
Léonidas
Sei tu la mia donna? La mia donna, fatta per raggiungere l'incontro con il presente? L'ipnosi della fenice desidera l'incontro con la tua giovinezza. La pietra delle ore la investe della sua edera.
Sei tu la mia donna ? L'anno del vento ove guerreggia una vecchi nube partorisce la rosa, la rosa della violenza.
La mia donna fatta per raggiungere l'incontro con il presente.
Si allontana la battaglia e lascia un cuore d'ape sulle nostre terre, l'ombra desta, il pane ingenuo.
La vigilia scivola con lentezza verso l'intimitá della festa.
La mia donna fatta per raggiungere l'intimitá del presente.
René Char
trad genseki
Sei tu la mia donna ? L'anno del vento ove guerreggia una vecchi nube partorisce la rosa, la rosa della violenza.
La mia donna fatta per raggiungere l'incontro con il presente.
Si allontana la battaglia e lascia un cuore d'ape sulle nostre terre, l'ombra desta, il pane ingenuo.
La vigilia scivola con lentezza verso l'intimitá della festa.
La mia donna fatta per raggiungere l'intimitá del presente.
René Char
trad genseki
lunedì, settembre 22, 2014
Un esercito di santi
L'unica cosa che potrá salvarci è un esercito di santi - e non necessariamente Giovanna d'Arco o Santi guerrieri. Da dove giungeranno? Nessuno in realtá puó dirlo, tranne cploro che ritengono, riguardo a ció, di credere (come Maritain) che i Santi verranno dai piú poveri tra i laici, dalla profonditá dei bassifondi, dai campi di concentramento e dalle prigioni, dai luoghi in cui la gente muore di fame, è bombardata, è percossa a morte. Perché in tutti questi luoghi Cristo soffre maggiormente. Maritain aggiunge, credo, che i Santi si troveranno in pochi ordini religiosi, quelli contemplativi.
E gli altri, cosa dovremmo fae? Prostrarsi e pregare, pregare piú volte Dio di renderci santi.Thomas Merton
26 Maggio 1940
Medaglione
Acque di folgore verde che suonano l'estasi del volto amato, acque intessute di vecchi delitti, acque amorfe, acque sacheggiate da una prossima consacrazione ... Anche a costo di subire gli ammonimenti della sua memoria eliminata, il fontaniere saluta a fior di labbra l'amore assoluto dell'autunno.
Identica saggezza, tu che componi il futuro senza cedere al peso che scoraggia, possa egli sentire nel suo corpo lo slancio elettrico del viaggio.
René Char
Trad. genseki
venerdì, settembre 19, 2014
A. R. Ammons
Estuario di Corsons
alla mia sinistra sulle dune e sulle canne
e gli arbusti di mirto la novitá era
l'autunno: migliaia di rondini
che si riunivano per partire:
un ordine matenuto
in costante mutazione: una moltitudine
opulenta in entropia: eppure separabile, avvertibile,
Come avvenimento singolare,
non come caos, preparativi per sfuggire all'inverno,
Ciit, ciit, chiit ali che fano a strisce gli arbusti verdi
becchi
tra i mirti
una percezione piena di vento, fuga, curve,
suono:
la possibilitá di una regola come somma di anomalie
Canzone d'amore
Come le colline al tramonto
Tu cadi lontano dalla luce:
Sprofondi; la verde
Luce si oscura
E sei quasi perduta:
Soltanto tanta luce quanta
Irradiano le stelle:
Rivela il tuo volto
La notte totale
Che è in me delira
Per la luce lungo le tue labbra
Classico
Sedetti in riva al ruscello in un
un vuoto
perfetto - salvo che per i salici -
e la montagna che
era da quelle parti
arruffata di arbusti e
rocce
disse
vedo che stai scarabocchiando di nuovo:
abituato alle montagne
e alle loro scoscese intrusioni,
dissi
si, ma alla
maniera di quest'acqua
evanescente e sgusciante:
questo peró
disse la montagna non
è scusa per dizione e portamento
se non stai attento
presto
raggiungerai modi nei quali
l'acqua permane ai suoi movimenti.
A.R. Ammons
Trad. genseki
alla mia sinistra sulle dune e sulle canne
e gli arbusti di mirto la novitá era
l'autunno: migliaia di rondini
che si riunivano per partire:
un ordine matenuto
in costante mutazione: una moltitudine
opulenta in entropia: eppure separabile, avvertibile,
Come avvenimento singolare,
non come caos, preparativi per sfuggire all'inverno,
Ciit, ciit, chiit ali che fano a strisce gli arbusti verdi
becchi
tra i mirti
una percezione piena di vento, fuga, curve,
suono:
la possibilitá di una regola come somma di anomalie
Canzone d'amore
Come le colline al tramonto
Tu cadi lontano dalla luce:
Sprofondi; la verde
Luce si oscura
E sei quasi perduta:
Soltanto tanta luce quanta
Irradiano le stelle:
Rivela il tuo volto
La notte totale
Che è in me delira
Per la luce lungo le tue labbra
Classico
Sedetti in riva al ruscello in un
un vuoto
perfetto - salvo che per i salici -
e la montagna che
era da quelle parti
arruffata di arbusti e
rocce
disse
vedo che stai scarabocchiando di nuovo:
abituato alle montagne
e alle loro scoscese intrusioni,
dissi
si, ma alla
maniera di quest'acqua
evanescente e sgusciante:
questo peró
disse la montagna non
è scusa per dizione e portamento
se non stai attento
presto
raggiungerai modi nei quali
l'acqua permane ai suoi movimenti.
A.R. Ammons
Trad. genseki
mercoledì, settembre 17, 2014
Festa delle simmate di S. Francesco
Francesco,
mediante le sacre Stimmate,
prese l’immagine del Crocifisso Dalla «Legenda minor» di san Bonaventura (Quaracchi, 1941, 202-204). Francesco, servo fedele e ministro di Cristo, due anni prima di rendere a Dio il suo spirito, si ritirò in un luogo alto e solitario, chiamato monte della Verna, per farvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Fin dal principio, sentì con molta più abbondanza del solito la dolcezza della contemplazione delle cose divine e, infiammato maggiormente di desideri celesti, si sentì favorito sempre più di ispirazioni dall’alto. Un mattino, verso la festa dell’Esaltazione della santa Croce; raccolto in preghiera sulla sommità del monte, mentre era trasportato in Dio da ardori serafici, vide la figura di un Serafino discendente dal cielo. Aveva sei ali risplendenti e fiammanti. Con volo velocissimo giunse e si fermò, sollevato da terra, vicino all’uomo di Dio. Apparve allora non solo alato ma anche crocifisso. A questa vista Francesco fu ripieno di stupore e nel suo animo c’erano, al tempo stesso, dolore e gaudio. Provava una letizia sovrabbondante vedendo Cristo in aspetto benigno, apparirgli in modo tanto ammirabile quanto affettuoso ma al mirarlo così confitto alla croce, la sua anima era ferita da una spada di compaziente dolore. Dopo un arcano e intimo colloquio, quando la visione disparve, lasciò nella sua anima un ardore serafico e, nello stesso tempo, lasciò nella sua carne i segni esterni della passione, come se fossero stati impressi dei sigilli sul corpo, reso tenero dalla forza fondente del fuoco. Subito incominciarono ad apparire nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi; nell’incàvo delle mani e nella parte superiore dei piedi apparivano le capocchie, e dall’altra parte le punte. Il lato destro del corpo, come se fosse stato trafitto da un colpo di lancia, era solcato da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sangue. Dopo che l’uomo nuovo Francesco apparve insignito, mediante insolito e stupendo miracolo, delle sacre stimmate, discese dal monte. Privilegio mai concesso nei secoli passati, egli portava con sé l’immagine del Crocifisso, non scolpita da artista umano in tavole di pietra o di legno, ma tracciata nella sua carne dal dito del Dio vivente. |
venerdì, settembre 12, 2014
René Char
Congedo al vento
Sfiorando appena l'erba con i calzari, cedetele il passo.
Con un po' di fortuna scorgerete sulle sue labbra la chimera dell'umiditá della notte.
Frequenza
Tutto il giorno, coadiuvando l'uomo, il ferro ha applicato il suo torso, al fango ardente della fucina.. Con il tempo i loro garretti gemelli hanno fatto scoppiare la sottile notte del metallo ben custodita nella profonditá della terra.
Sui fianchi della collina del villaggio bivaccano i campi coltivati a mimosa. Accade che, lungi dal loro sito, capiti l'incontro profumatissimo con una giovinetta le cui braccia sono state occupate per tutto il giorno nella cura di fragili rami.
Come una lampada che diffndesse un'aureola pofumata elle si alontana, volgendo le spalle al tramonto.
Rivolgerele la parola sarebbe sacrilego.Sfiorando appena l'erba con i calzari, cedetele il passo.
Con un po' di fortuna scorgerete sulle sue labbra la chimera dell'umiditá della notte.
Frequenza
Tutto il giorno, coadiuvando l'uomo, il ferro ha applicato il suo torso, al fango ardente della fucina.. Con il tempo i loro garretti gemelli hanno fatto scoppiare la sottile notte del metallo ben custodita nella profonditá della terra.
Senza fretta l'uomo lascia il lavoro. Immerge per l'ultima volta le braccia nel fianco oscuro del rio. Saprá finalmente afferrare ol solido bastone delle alghe.
Gioventú
Lungi dall'imboscata delle tegole e dall'elemosina dei calvari, vi partorivate, ostaggi degli uccelli, fontane. Il declivio dell'uomo sorto dalla nausea delle sue ceneri, dell'uomo in lotta con la propria provvidenza vendicativa, non basta a sciogliere il vostro incantesimo.
Elogio, ci siamo accettati.
"Se fossi stata muta come lo scalino di pietra fedele al sole e che ignora la propria ferita, rimarginatea con la terra, se fossi stata bambina come l'albero bianco che accoglie i timori delle api, se le colline fossero sopravissute fino all'estate, se il lampo mi avesse spalancato la sua grata, se le tue notti mi avessero perdonato ..."
Guarda, verziere di stelle, l'erica, la solitudine sono diverse da voi! Il canto termina l'esilio. La brezza degli agnelli porta con sé vita nuova.
Trad genseki
giovedì, settembre 11, 2014
Tristan Tzara
Il tempo fa cadere frammenti dietro di sé
Miete molecole finissime in praterie d'acqua
Domina le borse d'aria, attraversa la giungla
Taglia il bruco dell'onda e da ogni metá nasce piena
Di luce una farfalla
Nel vulcano si imbastisce seguendo il filo della nota di un violino
Arriccia il tagrlio errante del vetro nelle ore sottili della
Trasparenza
Proprio dove i nostri sogni rovesciano
I manicaretti canterini
Della luce
Il fiume que la montagna infila verso l'articolato oriente
Di perché e di pericoli
Carica di medagli e di olocausti
Lungo le gardenie
Si è corrugato intorno al tuo pugno sentiero abbottonato
Di termini al sole prossimo ai campi
Oltre i ruscelli l'arco aumenta il sorriso dello spazio
Fino al rictus del ghiacciaio
E la scialuppa del tessitore punteggiato di rami nella
Sbronza del millepiedi
Attraversa gli ostacoli calvi e gli occhi pelati delle
Frecce che vedevano
Tuttavia la saldatura al bordo del lago si disfa
Quando bocconi di nubi si stabiliscono sull'acqua i
Sentimenti decorati di canestri ricamati
Con penne stilografiche
O il tremito del fuoco che si muove nello spazio che
L'eco ha svuotato
Il vento fugge dalla porta girevole il vento esamina
Paesaggio e passeggeri
E la volontá di essere uno misura nel vuoto
Dello spruzzare la sua continua collocazio
I papaveri elettrici sotto il guscio della tartaruga
Proteggono grani di sabbia e di bellezza
Il crepuscolo innalza gli addi all'orizzonte
Bagnato dalla fredda chiaretá dello stetoscopio
Frustato dagli splendori navali del ritorno
In prigione
E la loro caduta di sito in sito prepara l'elettrificazione
Degli occhi
Adamo ed Eva si nascondono nei bei paraggi del frutto spaccato
Due giri fanno sbarcare sottilmente dal cielo
Gemelli d'altri tempi
Con il sapore dei metalli pesanti i cristalli delle
Stelle offrono il grmembo all'ingresso della
Grotta
Nella rocciosa pietrificazio in alto per Lei
Cadendo nel lasciar amdare dell'inverno che centellina
Le sue sabbia ....
Da: L'homme approximatif
Trad. genseki
Miete molecole finissime in praterie d'acqua
Domina le borse d'aria, attraversa la giungla
Taglia il bruco dell'onda e da ogni metá nasce piena
Di luce una farfalla
Nel vulcano si imbastisce seguendo il filo della nota di un violino
Arriccia il tagrlio errante del vetro nelle ore sottili della
Trasparenza
Proprio dove i nostri sogni rovesciano
I manicaretti canterini
Della luce
Il fiume que la montagna infila verso l'articolato oriente
Di perché e di pericoli
Carica di medagli e di olocausti
Lungo le gardenie
Si è corrugato intorno al tuo pugno sentiero abbottonato
Di termini al sole prossimo ai campi
Oltre i ruscelli l'arco aumenta il sorriso dello spazio
Fino al rictus del ghiacciaio
E la scialuppa del tessitore punteggiato di rami nella
Sbronza del millepiedi
Attraversa gli ostacoli calvi e gli occhi pelati delle
Frecce che vedevano
Tuttavia la saldatura al bordo del lago si disfa
Quando bocconi di nubi si stabiliscono sull'acqua i
Sentimenti decorati di canestri ricamati
Con penne stilografiche
O il tremito del fuoco che si muove nello spazio che
L'eco ha svuotato
Il vento fugge dalla porta girevole il vento esamina
Paesaggio e passeggeri
E la volontá di essere uno misura nel vuoto
Dello spruzzare la sua continua collocazio
I papaveri elettrici sotto il guscio della tartaruga
Proteggono grani di sabbia e di bellezza
Il crepuscolo innalza gli addi all'orizzonte
Bagnato dalla fredda chiaretá dello stetoscopio
Frustato dagli splendori navali del ritorno
In prigione
E la loro caduta di sito in sito prepara l'elettrificazione
Degli occhi
Adamo ed Eva si nascondono nei bei paraggi del frutto spaccato
Due giri fanno sbarcare sottilmente dal cielo
Gemelli d'altri tempi
Con il sapore dei metalli pesanti i cristalli delle
Stelle offrono il grmembo all'ingresso della
Grotta
Nella rocciosa pietrificazio in alto per Lei
Cadendo nel lasciar amdare dell'inverno che centellina
Le sue sabbia ....
Da: L'homme approximatif
Trad. genseki
Nina Cassian
Allegria
Godo quando confondo i mei capelli con voi, foglie autunnali,
Quando corro nel folle bosco, ridendo, scivolando, graffiandomi
Le guance contro le cortecce rugose,
Gioisco quando lancio il mio grido solitario e profondo
Nell'autunno che rosseggia,
Sotto le volte d'oro secco, tra i sussurri del vento,
Mi piace fuggire, cadere, ridere sulla terra decorata
Dal tuo sorriso giallo
Autunno!
*
Volavano
A partire da quel momento, comicia a fare tutto
Due volte.
Al posto del braccio
Gli spunta un'ala.
Lui aveva l'ala sinistra
Lei quella destra
Come un solo corpo tra due ali
Volavano
Volavano
Respiravano tra le due ali
Lei - con il polmone destro,
Lui - con quello sinistro
Attraverso un cielo saturo d'oro
Come una lunga navicella d'oro,
Come una chiave d'oro,
Volavano ...
Nell'oro ...
Volavano ...
Nell'oro ...
Trad. genseki
Godo quando confondo i mei capelli con voi, foglie autunnali,
Quando corro nel folle bosco, ridendo, scivolando, graffiandomi
Le guance contro le cortecce rugose,
Gioisco quando lancio il mio grido solitario e profondo
Nell'autunno che rosseggia,
Sotto le volte d'oro secco, tra i sussurri del vento,
Mi piace fuggire, cadere, ridere sulla terra decorata
Dal tuo sorriso giallo
Autunno!
*
Volavano
A partire da quel momento, comicia a fare tutto
Due volte.
Al posto del braccio
Gli spunta un'ala.
Lui aveva l'ala sinistra
Lei quella destra
Come un solo corpo tra due ali
Volavano
Volavano
Respiravano tra le due ali
Lei - con il polmone destro,
Lui - con quello sinistro
Attraverso un cielo saturo d'oro
Come una lunga navicella d'oro,
Come una chiave d'oro,
Volavano ...
Nell'oro ...
Volavano ...
Nell'oro ...
Trad. genseki
mercoledì, settembre 10, 2014
Nichita Stanescu
La proclamazione del nome
Dapprima ti stringi nelle spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie
Dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
Poi dici:
Ecco, sto volando, e questo effettivamente è il volo
Ti stringi nella spalle
Come gli affluenti di un grande fiume
Chiudi gli occchi, come le nuvole
Che accerchiano il campo
Ti sollevi sulla punta dei piedi
Come la piramide si eleva sulla sabbia
Rinunci completamente all'udito
All'udito di tutto un secolo
Poii dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
È proprio questo il momento giusto,
Raccogli i tuoi fiumi
Proprio come raccogli le spalle
Ti sollevi sui belati caprini
Dici: "Nevermore"
E subito dopo: - "frufru" - "accipicchia" -
Sbatti le ali di un altro
Che resterá per sempre
Un altro.
Trad genseki
Dapprima ti stringi nelle spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie
Dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
Poi dici:
Ecco, sto volando, e questo effettivamente è il volo
Ti stringi nella spalle
Come gli affluenti di un grande fiume
Chiudi gli occchi, come le nuvole
Che accerchiano il campo
Ti sollevi sulla punta dei piedi
Come la piramide si eleva sulla sabbia
Rinunci completamente all'udito
All'udito di tutto un secolo
Poii dici a te stesso:
Ecco, adesso mi alzo in volo
È proprio questo il momento giusto,
Raccogli i tuoi fiumi
Proprio come raccogli le spalle
Ti sollevi sui belati caprini
Dici: "Nevermore"
E subito dopo: - "frufru" - "accipicchia" -
Sbatti le ali di un altro
Che resterá per sempre
Un altro.
Trad genseki
Leopoldo Maria Panero
EL LAMENTO DE JOSÉ DE ARIMATEA
No soporto la voz humana,
mujer, tapa los gritos del
mercado y que no vuelva
a nosotros la memoria del
hijo que nació de tu vientre.
No hay más corona de
espinas que los recuerdos
que se clavan en la carne
y hacen aullar como
aullaban
en el Gólgota los dos ladrones.
Mujer,
no te arrodilles más ante
tu hijo muerto.
Bésame en los labios
como nunca hiciste
y olvida el nombre
maldito de
Jesucristo.
Así arderá tu cuerpo
y del Sabbath quedará
tan sólo una lágrima
y tu aullido.
martedì, settembre 09, 2014
Il Padre di Famiglia
C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel
mondo moderno: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori
avventurieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto.
Non corrono assolutamente alcun pericolo, al suo confronto. Tutto nel
mondo moderno, e soprattutto il disprezzo, è organizzato contro lo
stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?
Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale
audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una
famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato
contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i
fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi
economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro
il padre di famiglia; e di conseguenza contro la famiglia stessa,
contro la vita di famiglia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel
mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre
un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con
la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue
membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non
è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono
solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri.
Alii patitur. Al secondo, al ventesimo grado. Fa soffrire altri, ne è
responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la
malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri
navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è
obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui
non ha vantaggio su nessuno. Si muove continuamente con i suoi
ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che
accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i
guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in
pieno, di fronte, perché naviga su una larghezza immensa. Gli altri
scantonano. Sono corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa
rotta immensamente larga, lui solo non può assolutamente passare senza
che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coinvolto nel
mondo, e lui solo. Tutti gli altri possono infischiarsene. Lui solo
paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre
ostaggio. Che importa agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili
e guerre straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla
città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischiano mai altro che la
testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto
dappertutto nella città presente. Dalla famiglia, dalla sua razza,
dalla sua discendenza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella
citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il temporale accadere
della città. Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società,
mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente,
passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano
sempre. Sono carene leggere, sottili come lame di coltello. Lui è la
nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di
tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono
d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si
intersecano da tutti i punti dell’orizzonte per assalirlo. Lui scopre
alla sorte, alla fortuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una
larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un volume
incredibile. Non è coinvolto solo nella città presente.
È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il
passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli,
straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in
quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in
quale miserabile città, in quale decadenza, in quale decadenza di tutto
un popolo lasceranno, consegneranno, domani, stanno per lasciare,
entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri
si sentono così pienamente, così assolutamente responsabili, di cui
sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente.
Niente di quello che succede, niente di storico è per loro
indifferente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno
esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo.
Chi non ha mai avuto un bambino malato non sa cosa sia la malattia.
Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non
sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni
parte nelle sofferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono
tutti ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi,
impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano;
sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e
appesantiti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri,
prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi,
ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano,
sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia
sconcertante. E tutti li disprezzano e, quel che è peggio, hanno
ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli.
Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scantonano con
districamenti eroici, con districamenti d’audacia. Temporali,
scantonano verso la carriera e le dominazioni temporali. Spirituali,
scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici,
scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella
regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non
può mai scantonare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è
molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna
parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella
regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo.
Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella politica e
non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno
al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha
socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende
inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non
è altro che concorso e concorrenza. Gli altri corrono, intanto, gli
altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi,
sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di
loro, lo schermiscono; sordamente, involontariamente congiurano contro
di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno
questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si
riaccaniscono di preferenza. Preferenzialmente. E quello che chiamano
la carità.
Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita
più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la
meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi
abbindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più
smaccato, e anche naturalmente il più comune, l’errore più frequente,
quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è
silenziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e
quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di famiglia è
ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e
concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita
di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica
che se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più
grossolane apparenze. È diametralmente il contrario.
La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. Nessun
uomo al mondo è coinvolto nel mondo, nella storia e nel destino del
mondo quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia,
così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir
politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto
nella storia e nel destino del mondo. Cosa importa all’uomo politico, al
demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche
all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo
di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa
importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e
al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali
al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore,
al giornalista, al pubblicista, all’esattore, e all’usciere del
ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni
uomo pubblico delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la
destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo
popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la
testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno:
niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al
maximum; al meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno
l’apice; miserie. Gloria temporale, onore temporale; niente, meno di
niente. Avanzamento temporale, carriera temporale, apice temporale,
testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le
gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come
tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente
rara, l’operazione è tutta diversa, il comportamento e l’azione
pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così
dire topografica, geografica, demografica. Cosa importa loro, come
tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di
tutto un popolo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse
irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al
più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria,
ulteriore, l’onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo
di considerazione li lascia abbastanza freddi. Sono abbastanza poco
sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna
infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella
destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di
tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette
tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il
popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre
di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli,
assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto
commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri
commetteranno, sente oscuramente, molto profondamente, che è lui, in
effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È
uno dei casi più significativi che ci siano di responsabilità senza
colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di
colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche;
infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la
creazione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre
proprie responsabilità, personali, particolari, limitate, note,
individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più
vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo),
quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazione stessa, al
mistero, al segreto della creazione; una colpevolezza, allora,
infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente
criminali.
Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato
situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe
condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il
pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il
midollo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua
regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la
sua regola di secolo. Ed è un pover’uomo; innocente criminale;
innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da
scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni
parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico
mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni pericolose; confuso,
prigioniero, ostaggio, manette alle mani, ganasce ai piedi, capo,
responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena,
è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a
una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro,
di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamente più grave di quella
formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come
se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché
tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa
alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. È infinitamente
peggio di una cosa infinitamente concertata, che una cosa
universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata.
Così è infinitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si
sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.
Allora, ringalluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus.
Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo avverte, uno
degli avvertimenti, uno degli istinti più sicuri, uno degli istinti più
infallibili, un segreto orgoglio infallibile lo avverte che è lui il
nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il
padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla
clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto
segreto lo avverte che lui è infinitamente più vicino al pubblico
peccatore; e reciprocamente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente,
l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito,
infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del
meeting, della pubblica riunione è infinitamente più vicino all’uomo
della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per
l’altro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insieme
l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e
quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa,
interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più
che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe,
l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostaggio, lo slegato, il non
legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il
corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente
più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con
lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un
personaggio gradevole. Il padre di famiglia è un povero essere. Tirar
su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le
forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del
genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle
forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia.
Allora il sacerdote, ardito, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che
indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe,
l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avventuriero, che
vive di avventure.
Invece è l’uomo di famiglia che è un avventuriero, che vive non solo
alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale
avventura; l’avventura più terribile, la più costantemente tragica; la
cui vita stessa è un’avventura, il tessuto stesso della vita, la trama e
l’ordito, il pane quotidiano. Ecco l’avventuriero, il vero, il reale
avventuriero.
Charles Péguy
da Dialogo della storia e dell'anima carnale
Da Tempi.it
Frammento di Bools Corracha
Finimmo per vivere qui,
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...
Bools Corracha
A cura di genseki
E
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...
Bools Corracha
A cura di genseki
E
La poesia si disfó di me
La poesia si disfó di me
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Il Verbo
In principio era la Parola (Verbum), questo non si puó capire senza le parole, non si intende con parole umane. La parola è qualche cosa che non ha forma e, tuttavia, è la forma di tutte le cose che hanno una forma...
Agostino
*
È strano che nessuna delle tre cose: lo Spirito, il Sangue e l'Acqua, che testimoniano la Veritá sulla terra sia Parola (Verbo), e, tuttavia, tutte diano testimonianza della Parola che è Cristo: lo Spirito come Dio ispiratore, l'Acqua come il risultato efficiente della Parola, la Chiesa, e il Sangue, finalmente, nel momento in cui nel silenzio e nel grido inintellegibile si realizza ció che nella Parola è decisivo.
Hans Urs Von Balthasar
*
Trad genseki
Anton Reiser
L'aria era fredda e umida, cadeva un nevischio fradicio che inzuppava i vestiti, di colpo lo invase la sensazione di non poter sfuggire a se stesso. Bastó che questa idea si manifestasse e fu come se una montagnag li fosse franata addosso. Si sforzava di trovare una via di uscita verso l'alto, ma era come se il peso dell'esistenza lo schiacciasse. Doversi alzare al mattino e andare a letto alla sera in compagnia di se stesso, giorno dopo giorno! Doversi trascinare dietro quel suo io odioso passo dopo passo!
La sua coscienza di sé con la sensazione di essere rifiutato e disprezzato, gli risultava tanto sgradevole e opprimente come il suo corpo fradicio e infreddolito.
Moritz
Anton Reiser
Trad. genseki
lunedì, settembre 08, 2014
L'olivo di Tiro
Due grandi rocce chiamate Ambrosie
galleggiano sulle acque, su di esse:
Fiorisce
Il germoglio di un un olivo altrettanto
antico, da nessuno piantato e ad esse unito,
Ombelico della roccia che attraversa le
acque, Tra i suoi rami
Riposa un'aquila
E una coppa finemente cesellata.
L'albero arde
Sprigionando scintille meravigliose di
un fuoco spontaneo
E la fiamma circonda i germogli senza
consumarli.
Un serpente è il guardiano dell'albero
frondoso
Sí che ne stupiscono lo sguardo e
l'udito.
Il serpente, infatti, striscia
silenzioso verso l'aquila che si libra in alto,
Ma non la avvolge sinuoso nelle spire
minacciose,
Non inietta veleno mortale coi denti, e
neppure
L'aquila ghermisce il rettile avvolto
in molli spire,
Levandosi a volo e fendendo l'aria,
Né potrebbe lacerarlo con il becco
adunco.
Il fuoco non si propaga ai rami, al
fusto,
Non consuma il germoglio che permane
intatto,
Anzi la fiamma amichevole genera vapore
tra le fronde,
Senza consumare le spire scagliose del
serpente
Avvolte al fusto, la vampa del fuoco
non si trasmette
Alle ali intrecciate ai rami del
rapace,
Né la coppa immobile, sospesa in alto
precipita per il soffio dei venti
Nonno di Panopoli
Dionisiache
Canto 40 – 468, 491
Trad. genseki
lunedì, giugno 30, 2014
Luce
Chi partecipa dell'enjergia divina, si converte in luce; è unito alla luce, con la luce vede in piena coscienza tutto quello che resta celato a coloro che non possiedono tale grazia...; perché i puri di cuore vedono Dio che, in quanto luce, abita in loro, e si rivela a coloro che lo amano, ai prediletti.
Palamas
martedì, giugno 10, 2014
giovedì, giugno 05, 2014
Alasdair MacIntyre
“A crucial turning point…occurred when men and women of good will turned aside from shoring up the Roman imperium….
what they set themselves to achieve instead—often not recognizing fully
what they were doing—was the construction of new forms of community
within which the moral life could be sustained…..we ought also to
conclude that for some time now we have reached that turning point. What
matters at this stage is the construction of local forms of community
within which civility and the intellectual and moral life can be
sustained through the new dark ages which are already upon us. …This
time however the barbarians are not waiting beyond the frontiers; they
have already been governing us for quite some time. And it is our lack
of consciousness that constitutes our predicament. We are not waiting
for a Godot, but for another—doubtless very different—St. Benedict.”
A.C.
sabato, aprile 19, 2014
Sonetos de la Pasión
1. Pastor que con tus silbos amorosos me despertaste del profundo sueño, Tú que hiciste cayado de ese leño, en que tiendes los brazos poderosos, vuelve los ojos a mi fe piadosos, pues te confieso por mi amor y dueño, y la palabra de seguirte empeño, tus dulces silbos y tus pies hermosos. Oye, pastor, pues por amores mueres, no te espante el rigor de mis pecados, pues tan amigo de rendidos eres. Espera, pues, y escucha mis cuidados, pero ¿cómo te digo que me esperes, si estás para esperar los pies clavados? Lope de Vega 2. En la muerte de Cristo, contra la dureza del corazón del hombre Pues hoy derrama noche el sentimiento por todo el cerco de la lumbre pura, y amortecido el sol en sombra oscura, da lágrimas al fuego, y voz al viento; pues de la muerte el negro encerramiento descubre con temblor la sepultura, y el monte, que embaraza la llanura del mar cercano, se divide atento, de piedra es hombre duro, de diamante tu corazón, pues muerte tan severa no anega con tus ojos tu semblante. Mas no es de piedra, no; que si lo fuera, de lástima de ver a Dios amante, entre las otras piedras se rompiera. Francisco de Quevedo El Cristo crucificado de Velázquez 3. Soneto a Cristo crucificado No me mueve, mi Dios, para quererte el cielo que me tienes prometido, ni me mueve el infierno tan temido para dejar por eso de ofenderte. Tú me mueves, Señor, muéveme el verte clavado en una cruz y escarnecido, muéveme ver tu cuerpo tan herido, muévenme tus afrentas y tu muerte. Muéveme, en fin, tu amor, y en tal manera, que aunque no hubiera cielo, yo te amara, y aunque no hubiera infierno, te temiera. No me tienes que dar porque te quiera, pues aunque lo que espero no esperara, lo mismo que te quiero te quisiera. Anónimo 4. Sobre estas palabras que dijo Jesucristo en la Cruz: “Mulier, ecce filius tuus: ecce Mater tua” (Ioan, 19) Mujer llama a su Madre cuando expira, porque el nombre de madre regalado no la añada un puñal, viendo clavado a su Hijo, y de Dios, por quien suspira. Crucificado en sus tormentos, mira su Primo, a quien llamó siempre «el Amado», y el nombre de su Madre, que ha guardado, se le dice con voz que el Cielo admira. Eva, siendo mujer que no había sido madre, su muerte ocasionó en pecado, y en el árbol el leño a que está asido. Y porque la mujer ha restaurado lo que sólo mujer había perdido, mujer la llama, y Madre la ha prestado. Francisco de Quevedo 5. Fuerza de lágrimas Con ánimo de hablarle en confianza de su piedad entré en el templo un día, donde Cristo en la cruz resplandecía con el perdón que quien le mira alcanza. Y aunque la fe, el amor y la esperanza a la lengua pusieron osadía, acordéme que fue por culpa mía, y quisiera de mí tomar venganza. Ya me volvía sin decirle nada, y como vi la llaga del costado, paróse el alma en lágrimas bañada: Hablé, lloré y entré por aquel lado, porque no tiene Dios puerta cerrada al corazón contrito y humillado. Lope de Vega Detalle de los pies en el Cristo crucificado de Velázquez 6. A Cristo en la Cruz Pender de un leño, traspasado el pecho y de espinas clavadas ambas sienes; dar tus mortales penas en rehenes de nuestra gloria, bien fue heroico hecho. Pero más fue nacer en tanto estrecho donde, para mostrar en nuestros bienes a dónde bajas y de dónde vienes, no quiere un portadillo tener techo. No fue esta más hazaña, ¡oh gran Dios mío!, del tiempo, por haber la helada ofensa vencido en flaca edad, con pecho fuerte —que más fue sudar sangre que haber frío—, sino porque hay distancia más inmensa de Dios a hombre que de hombre a muerte. Luis de Góngora 7. ¡Cuántas veces, Señor, me habéis llamado, y cuántas con vergüenza he respondido, desnudo como Adán, aunque vestido de las hojas del árbol del pecado! Seguí mil veces vuestro pie sagrado, fácil de asir, en una cruz asido, y atrás volví otras tantas, atrevido, al mismo precio en que me habéis comprado. Besos de paz os di para ofenderos, pero si fugitivos de su dueño hierran cuando los hallan los esclavos, hoy que vuelvo con lágrimas a veros, clavadme vos a vos en vuestro leño, y tendréisme seguro con tres clavos. Lope de Vega Cristo después de la flagelación, de Murillo 8. Al buen ladrón, sobre las palabras: “Memento mei” et “Hodie mecum eris in Paradiso”, acordando lo que dice: “Non rapinam arbitratus” ¡Oh vista de ladrón bien desvelado, pues estando en castigo tan severo vio reino en el suplicio y el madero, y rey en cuerpo herido y justiciado! Pide que dél se acuerde el coronado de espinas, luego que Pastor Cordero entre en su reino, y deja el compañero por seguir al que robo no ha pensado. A su memoria se llegó, que infiere con Dios su valimiento, porque vía que por ella perdona a quien le hiere. Sólo que dél se acuerde le pedía cuando en su reino celestial se viere, y ofreciósele Cristo el mismo día. Francisco de Quevedo 9. Muere la vida, y vivo yo sin vida, ofendiendo la vida de mi muerte, sangre divina de las venas vierte, y mi diamante su dureza olvida. Está la majestad de Dios tendida en una dura cruz, y yo de suerte que soy de sus dolores el más fuerte, y de su cuerpo la mayor herida. ¡Oh duro corazón de mármol frío!, ¿tiene tu Dios abierto el lado izquierdo, y no te vuelves un copioso río? Morir por él será divino acuerdo, mas eres tú mi vida, Cristo mío, y como no la tengo, no la pierdo. Lope de Vega Agnus Dei de Zurbarán 10. Refiere cuán diferentes fueron las acciones de Cristo Nuestro Señor y de Adán Adán en Paraíso, Vos en huerto; él puesto en honra, Vos en agonía; él duerme, y vela mal su compañía; la vuestra duerme, Vos oráis despierto. Él cometió el primero desconcierto, Vos concertastes nuestro primer día; cáliz bebéis, que vuestro Padre envía; él come inobediencia, y vive muerto. El sudor de su rostro le sustenta; el del vuestro mantiene nuestra gloria: suya la culpa fue, vuestra la afrenta. Él dejó horror, y Vos dejáis memoria; aquél fue engaño ciego, y ésta venta. ¡Cuán diferente nos dejáis la historia! Francisco de Quevedo |
mercoledì, aprile 16, 2014
Simondon
L'homme qui veut dominer ses semblables suscite la machine androïde.
Il abdique alors devant elle et lui délègue son humanité. Il cherche à
construire la machine à penser, rêvant de pouvoir construire la machine à
vouloir, la machine à vivre ...
Gilbert Simondon
Du mode d'existence des objets techniques (1958)
mercoledì, aprile 09, 2014
Ossa
“Può
darsi Spirito se c’è un osso, e cioè un dato materiale in cui
incarnarsi, in cui possa farsi mondo”.
Isabella
Guanzini
giovedì, aprile 03, 2014
Persona e organismo
The crucial concept for any philosophical attempt to provide the basis for human understanding is the concept of the person. It is a well-known thesis of philosophy — expressed in countless idioms and in countless' tones of voice — that human beings may be described in two contrasting (and, for some, conflicting) ways: as organisms obedient to the laws of nature, and as persons, sometimes obedient, sometimes disobedient, to the moral law. Persons are moral agents; their actions have not only causes, but also reasons.
R. Scruton
Arsura
L'arsura della terra
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Forza clemente
Io so a che mi vincolano le mie insufficienze, vetrata se il fiore si separa dal sangue della giovine estate. Il cuore d'acqua nera del sole ha preso il posto del sole, ha preso il posto del mio cuore. Questa sera la grande ruota errante del desío, cosí pesante, forse è visibile solo per me. Finiró per naufragare altrove?
René Char
Trad.genseki
René Char
Trad.genseki
Rigogolo
Il rigogolo entró nella capitale dell'alba
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
mercoledì, aprile 02, 2014
giovedì, marzo 27, 2014
La poesia si liberava di me
La poesia si liberava di me
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di spade vive
Fremiti di metalli
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno
Fino a neve e neve e neve di menzogna
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento
gensei
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di spade vive
Fremiti di metalli
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno
Fino a neve e neve e neve di menzogna
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento
gensei
I baci
Non dimenticarti, primizia, il bel giorno dei baci
Dei baci alati che giunti alla tua bocca
Posero in un istante le loro piume ardenti
Sul tuo disegno puro che si arrende dischiuso.
Ti sfiorarone i denti. Ne percepisti il peso
Sulla tua bocca i palpiti delle piume celesti
Felici palpitavano le tue labbra rotonde
Chi non bacia gli alati che giunti si dileguano?
Dischiusa la tua bocca vidi denti bianchissimi,
Ecco i becchi sottili nella tua bocca affondano,
Ah! Beccate celesti, quando dolce sentisti
Che il tuo corpo lieve, leggero si levava.
Che sottile, che svelta, che graziosa, regnavi!
Uccelli e luce giungono, piume di baci puri
Oscurano il tuo volto cone le loro ali calde,
Ti sfiorano, svolazzano, mentre accecata splendi.
Non dimenticarlo: Felici, vedi vanno, ora, fuggendo,
Guarda. volano, ascendono ed il cielo li accoglie.
Alti, dorati ascendono, cosí caldi che ardono,
Brillano, cantano, gemono. Delirano nel cielo
Vicente Aleixandre
Trad genseki
martedì, marzo 25, 2014
Calendario
Ho collegato tra di loro le mie convinzioni e ingrandito la tua presenza. Hoconcesso una energia rinnovata a ai miei giorni appoggiandoli a questa forza spaziosa. Ho congedato la violenza che limitava il mio ascendente. Ho misurato umilmente il polso dell'equinozio. L'oracolo non mi rende piú suo vassallo.
Entro: sperimentando o no la grazia.
La minaccia si è levigata. La spiaggia che ogni inverno accumulava leggende regressive, sibille dalle braccia cariche di ortiche, si prepara per gli esseri da soccorrere. So bene che la coscienza che osa non ha da temere nulla dalla pialla.
René Char
da: "Fureur et mystère"
trad. genseki
Entro: sperimentando o no la grazia.
La minaccia si è levigata. La spiaggia che ogni inverno accumulava leggende regressive, sibille dalle braccia cariche di ortiche, si prepara per gli esseri da soccorrere. So bene che la coscienza che osa non ha da temere nulla dalla pialla.
René Char
da: "Fureur et mystère"
trad. genseki
Lacrime di ardesia
A queste pietre grige sostano
Le lacrime di primavera
Non ci sono altri fiori
Altri corpi volanti tra rami spezzati
Solo silenzi
In agguato
Come improvvise pozze d'acque verdi
Questo cielo non lo possiamo sentire
È il nostro corpo di lacrime d'ardesia.
genseki
Le lacrime di primavera
Non ci sono altri fiori
Altri corpi volanti tra rami spezzati
Solo silenzi
In agguato
Come improvvise pozze d'acque verdi
Questo cielo non lo possiamo sentire
È il nostro corpo di lacrime d'ardesia.
genseki
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