sabato, maggio 13, 2006

Grandizo Munis

Dalla Padella nella brace

Da molti decenni,ormai, ogni progresso e ogni sviluppo della società appare impossibile per via nazionale. Chi i promotori dell'indipendenza invochino Allah a quattro zampe, Geova battendola testa contro il muro del pianto, la versione cristiano oppure Marx e la rivoluzione atea, non cambia molto. Il risultato, in caso di vittoria e indipendentemente dalla buona fede di quanti servono da carne da cannone, è contrario all'emancipazione della grande massa dei poveri.

...

Bisogna gridarlo a pieni polmoni e senza tergiversazioni: i palestinesi non hanno diritto a costituirsi in nazione, a possedere un territorio e uno Stato. Il Diritto del Capitalismo,in un modo o nell'altro finirà per concedergliene uno con l'approvazione di Israele. Ma è proprio quedstoil Diritto che si deve abolire se si vuole parlare senza imbrogliare di rivoluzione.
La prova inconfutabile di quanto detto è Israele stesso, il popolo perseguitato per eccellenza, quello dell' "Olocausto" nazista, il popolo "senza distinzione di classe", immagine del povero ebreo errante perseguitato dall'inizio della dominazione religiosa del cristianesimo, appena costituito in entitànazionale, organizza uno stato semi-teocratico,super equipaggiato militarmente come le grandi potenze, dipendente da uno dei blocchi imperialisti e incapace, per esclusivismo nazionalista e ristrettezza mentale da "popolo eletto",di offrire ai propri coinquilini palestinesi una situazione economica e politica migliore di quella che esisteva prima della formazione dello stato di Israele. Questo sarebbe stato facile senza nemmeno rompere con la meschinità ebraico-capitalista. Il "Problema palestinese" avrebbe allora cessato di esistere in quanto tale. Sarebbe allora apparsa chiaramente la possibilità immediata - espressione della necessità sociale - di una lotta a-nazionale comune ai lavoratori israeliani e palestinesi contro i loro sfruttatori la cui umana personificazione attuale è quella di Begin e Arafat e che ideologicamente sono rappresentati dal giudaismo e dall'islamismo.
...
E' chiaro che neppure gli ebrei avevano il diritto di andare a vivere dove gli pareva e in modo particolare dove i loro antenati abitavano prima della diaspora; come i palestinesi giunti dopo nello stesso territorio. Creare una nazione è prima di tutto organizzare lo sfruttamento dentro frontiere determinate e crearsi le possibilità per sfruttare anche al di fuori di esse...
trad. genseki
testo del 14 settembre 1982
*

Georg Steiner

Nazionalismo

La unica cittadinanza dell'intellettuale e' un umanesimo critico. Questo non solo sa che il nazionalismo e' un tipo di follia, un'infezione virulenta che conduce i gruppi al reciproco massacro; sa pure che il nazionalismo significa una rinuncia al pensiero libero e chiaro e alla ricerca disinteressata della giustizia.

Georg Steiner
da "Passion no spent"
*

venerdì, maggio 05, 2006

José Carlos Mariàtegui




César Vallejo
Trad. genseki

Il primo libro di César Vallejo, “Gli Araldi Neri” è l’alba di una nuova poesia in Perù.

Vallejo è il poeta di una stirpe, di una razza. In Vallejo si trova, per la prima volta nella nostra letteratura, il sentimento indigeno sorgivamente espresso. … Vallejo, …, ottiene nella sua poesia un nuovo stile. Il sentimento indigeno ha nei suoi versi una propria modulazione. Il suo canto è integralmente suo. Al poeta non basta recare un nuovo messaggio. È necessario portare una tecnica e un linguaggio egualmente nuovi. La sua arte non tollera l’equivoco e l’artificiale dualismo dell’essenza e della forma. Il sentimento indigeno … in Vallejo è qualche cosa che affiora pienamente nel verso stesso cambiando la sua struttura. … Vallejo è un creatore assoluto.
Classificato all’interno della letteratura mondiale, questo libro, “Gli Araldi Neri”, appartiene, naturalmente per il suo titolo, al ciclo simbolista. Il simbolismo è però di ogni tempo. Il simbolismo, d’altra parte, si presta meglio di ogni altro stile all’interpretazione dello spirito indigeno. L’Indio, animista e bucolico, tende ad esprimersi in simboli e in immagini antropomorfe o contadine. Vallejo inoltre è solo in parte simbolista. Nella sua poesia – soprattutto della prima maniera – si trovano elementi di espressionismo, di dadaismo e di surrealismo. Il valore sostanziale di Vallejo è quello del creatore. La sua tecnica è in elaborazione continua. Nella sua arte il procedimento corrisponde a uno stato d’animo. Quando Vallejo, agli inizi, prende in prestito, per esempio, il suo metodo a Herrera e Reissig, lo adatta al suo lirismo personale.
Tuttavia fondamentale, caratteristico nella sua arte è il tono indio. In Vallejo c’è un americanismo genuino ed essenziale ; non un americanismo descrittivo o vocalista. Vallejo non fa ricorso al folklore. La parola quechua, il giro vernacolo non si inseriscono artificiosamente nel suo linguaggio; in lui sono prodotto spontaneo, cellula propria, elemento organico. Si potrebbe dire che Vallejo non sceglie i propri vocaboli. Il suo autoctonismo non è deliberato. Vallejo non si immerge nella tradizione, non si inoltra nella storia, per estrarre dal suo substrato oscuro emozioni perdute. La sua poesia e il suo linguaggio emanano dalla sua carne e dalla sua anima. Il suo messaggio è in lui. Il sentimento indigeno opera nella sua arte forse senza che egli lo sappia o lo desideri.
Uno dei tratti più chiari e netti dell’indigenismo di Vallejo mi pare la sua frequente attitudine nostalgica. … l’evocazione in Vallejo è sempre soggettiva. Non si deve confondere la sua nostalgia concepita con tanta purezza lirica con la nostalgia dei passatisti. Vallejo è nostalgico ma non puramente retrospettivo. Non rimpiange l’Impero come come il passatismo codino rimpiange il vicerè. La sua nostalgia è una protesta sentimentale o metafisica. Nostalgia d’esilio, nostalgia d’assenza.

Altre volte Vallejo presenta o predice la nostalgia che verrà.
Vallejo interpreta la stirpe in un istante in cui tutte le sue nostalgie, stimolate da un dolore di tre secoli si esacerbano. Tuttavia – e anche in questo si identifica un tratto dell’anima india -, i suoi ricordi sono pieni di questa nostalgia di mais tenero che Vallejo gusta malinconicamente…
Vallejo ha nella sua poesia il pessimismo dell’Indio. La sua esitazione, la sua domanda, la sua inquietudine, si risolvono tipicamente in un “a che scopo!” In questo pessimismo si trova sempre un fondo di umana pietà.. Non v’è nulla di satanico e neppure di morboso… . E’ il pessimismo di un’anima che soffre ed espia “il dolore degli uomini” come dice Pierre Hamp. Questo pessimismo non ha un’origine letterario. Non traduce una romantica disperazione di adolescente turbato dalla voce di Leopardi o Schopenhauer. Riassume l’esperienza filosofica, condensa l’atteggiamento spirituale di una stirpe, di un popolo. Non si cerchi una parentela con il nichilismo o lo scetticismo intellettualistico occidentale. Il pessimismo di Vallejo, come il pessimismo dell’Indio, non è un concetto ma un sentimento. Ha una vaga trama di fatalismo orientale che lo avvicina, piuttosto, al pessimismo mistico e cristiano degli slavi. Non si confonde mai, però, con questa neurastenia angosciosa che conduce al suicidio i personaggi di Andreiev e Arzibachev. Si potrebbe dire che così come non è un concetto non è nemmeno una nevrosi.
Questo pessimismo si presenta pieno di dolcezza e di carità. Il fatto è che non lo genera un egocentrismo, un narcisismo, disincantati e disperati, come in quasi tutti i casi del ciclo romantico. Vallejo sente tutto il dolore umano. Il suo dolore non è personale. La sua anima “è triste fino alla morte” della tristezza di tutti gli uomini. E della tristezza di Dio.

Altri versi di Vallejo negano questa intuizione della divinità. Nei “Dadi Eterni” si rivolge a Dio con amarezza e rancore. “Tu che sei stato sempre bene, non senti nulla della creazione”.

Questo gran lirico, questo grande soggettivista, si comporta come un interprete dell’universo, dell’umanità. Nulla nella sua poesia ricorda il lamento egolatrico e narcisista del romanticismo. Il romanticismo del secolo XIX fu essenzialmente individualista; il romanticismo del 900, invece, è, spontaneamente e logicamente, unanimista.
Quest’arte segnala la nascita di una nuova sensibilità. È un’arte nuova, un’arte ribelle che rompe con la tradizione cortigiana di una letteratura di buffoni e di lacché.
Vallejo, nella sua poesia è sempre un’anima avida di infinito, assetata di verità. In lui la creazione è, allo stesso tempo, ineffabilmente dolorosa ed esultante. Questo artista non aspira che ad esprimersi in modo puro e innocente. Per questo si spoglia di ogni ornamento retorico, si sveste di ogni vanità letteraria. Giunge alla più austera, alla più umile, alla più orgogliosa semplicità di forma. È un mistico della povertà affinché i suoi piedi conoscano la durezza e la crudeltà del suo cammino.

*

martedì, maggio 02, 2006

Vallejo



Vallejo
Da: "Poemi Umani"
trad. genseki

Ma prima che finisca
Ma prima che finisca
Tutta questa fortuna, perdila, accorciala,
Prendine la misura, se superasse il tuo cenno, superala
Guarda se ci sta, distesa nella tua estensione.
Ben la so dalla chiave,
Anche se spesso non so se la fortuna
Vada sola, appoggiata alla disgrazia,
O suonata, solo per darti gusto,
Nelle falangi tue.
Ben la so unica, sola,
In solitaria sapienza.
Nella tua orecchia bella è la cartilagine
E per questo ti medito e ti scrivo
Nel sogno ricordati di pensare che sei felice
Che profonda è fortuna al terminare,
Ma seco reca al giungere un aroma
Caotico di asta morta.
Fischiando alla morte
Cappello ad alta tesa,
Bersaglio ti defili a vincere la pugna delle scale,
soldato dello stelo , filosofo del seme, meccanico del sogno
(Animale mi senti?
Mi lascio comparare in quantità?
Taci e silente mi fissi
Attraverso le età della parola).
Schivando la fortuna, tornerà
A chiamarla la tua lingua, a congedarsi
Fortuna disgraziata nel durare.
Prima terminerà violentemente,
Dentata, dura stampa,
Allora sentirai come vo’ meditando
Come l’ombra tua è questa mia svestita
Allora fiuterai quanto ho sofferto.

*
Confida nella lente e non nell’occhio

Confida nella lente e non nell’occhio;
Nella scala, giammai nello scalino;
Nell’ala, non nell’uccello
E in te solo, in te solo, in te solo.
Nella malvagità confida, non nel malvagio
Nel bicchiere ma non nel liquore;
Nel cadavere, non nell’uomo
E in te solo, in te solo, in te solo.
Fidati dei molti non di uno;
Dell’alveo, giammai della corrente
Dei pantaloni, e non delle gambe
E in te solo, in te solo, in te solo.
Fidati della finestra, non della porta;
Della madre, ma non dei nove mesi;
Del destino, non del dado d’oro,
In te solo, in te solo, in te solo.

*

Due bambini anelanti

No. Non hanno spessore le sue caviglie; Non è il suo sprone
Dolcissimo, che colpisce le due guance.
Solo la vita è, vestaglia e giogo.
No. Plurale non ha la sua risata,
né per essere uscita da mollusco perpetuo, agglutinante,
Né per essere entrata in mare scalza,
Essa è quella che pensa e va, ed è finita.
È la vita; nient’altro che la vita.
Lo so, lo intuisco cartesiano, automa,
Moribondo, cordiale, infine splendido.
Nulla v’è
Sul crudele sopracciglio del teschio;
Nulla tra ciò che diede ed afferrò con guanto
La colomba, e con guanto,
L’eminente lombrico aristotelico;
Nulla davanti e nulla dietro il giogo
Nulla resta del mare nell’oceano
E nulla
Nell’orgoglio severo della cellula.
Solo la vita; tale; ed audacissima.
In estesa pienezza
Portata astratta, fausta, effettivamente,
glaciale ed impetuosa, della fiamma;
Freno del fondo, coda della forma.
Ma quello
Grazie al quale son nato, ventilandomi
E crebbi con affetto e dramma propri,
La mia fatica lo rifiuta,
Lo avvolgono i miei sensi e la mia anima.
Solo è la vita stabile e teatrale.
Su questa rotta,
L’anima mia estingue la serie dei suoi organi
E per questo indicibile cielo indemoniato,
Il mio apparato di sibili tecnici,
Passò la sera nel mattino triste
E palpito e mi sforzo e sento freddo.
*
Compagno, serve ancora po’ di calma
Compagno, serve ancora un po’ di calma
Un molto immenso, nordico, completo,
Feroce, d’una calma piccolina,
Al servizio minor d’ogni trionfo
All’audace servizio dello scacco.
Ubriaco fin troppo, e non havvi
Tanta follia nella ragione quanto
Questo tuo muscolare raziocinio, né
Fallo più razional che l’esperienza.

Ma, per parlar chiaro
A ben pensarci, sei fatto d’acciaio
Se sol tonto non fossi
A rifiutare
D’entusiasmarti tanto per la morte
E per la vita, sol con la tua tomba.
Occorre che tu sappia
Contenerti in volume senza correre né affliggerti,
La tua realtà molecolare intera
E più oltre, la festa degli evviva
E meno oltre, gli abbasso leggendari.
Tu sei fatto d’acciaio, come dicono,
A patto che non tremi, e che non fugga
A crepare, compare
Del mio calcolo, enfatico figlioccio
Dei miei Sali luminosi!
Vanne, nient’altro; decidi,
Considera la crisi, somma, avanti,
Tagliala, abbassala, guastala;
Il destino, le intime energie, i quattordici
Versetti del pane: quanti diplomi
E poteri, al bordo fededegno del tuo slancio!
Quanto dettaglio in sintesi, con te!
Quanta pressione identica ai tuoi piedi!
Quanto rigore e quanto patrocinio!
Idiota è
Questo modo di patire,
In luce modulata e virulenta,
Se solo con la calma fai segnali
Seri, caratteristici, fatali.
O uomo andiamo, fammi dunque vedere;
Dimmi quel che m’accade,
Che io anche se grido, resto sempre ai tuoi ordini.

*

Questo…

Questo
Avvenne tra due palpebre; tremai
Nella mia guaina, collerico, alcalino,
Immoto accanto al lubrico equinozio
Al piè del freddo incendio in cui m’estinguo,
Scivolata alcalina, vo dicendo,
Di qua dell’aglio, sciroppo sopra i sensi,
Più dentro, molto più di queste ruggini,
Quando va l’acqua al ritornar dell’onda.
Scivolata alcalina
Anche e soprattutto, nel montaggio ciclopico del cielo.
Che dardi e arpioni lancerò, se muoio
Nella mia guaina; sboccerò in foglie di banana sacra
I miei cinque ossicini subalterni,
E nello sguardo il medesimo sguardo
(dicono edificarsi nei sospiri
Tattili fisarmoniche di ossa,
Che morendo così quanti si estinguono,
Muoiono ahimé fuori dall’orologio,
Afferrando una scarpa solitaria)
Se tutto lo comprendo, il colonnello
E il resto, nel lacrimoso senso della voce
Da solo mi torturo, e tristemente estraggo,
Nella notte, le unghie;
E poi non ho più nulla e parlo solo
Correggo i miei semestri
E per gonfiar le vertebre mi tocco.

*

Al cavillar la vita, al cavillare

Al cavillar la vita, al cavillare
Pian piano nello sforzo del torrente,
Allevia, e un seggio offre all’esistenza,
Condanna a morte;
Cade tutto ravvolto in stracci bianchi,
Cade come pianeta
Bollito il chiodo nella pesantezza; cade!
(La mia sinistra, acredine ufficiale;
E tasca vecchia, in sé considerata, questa destra).
È tutto lieto, tranne la mia gioia
E tutto, lungo, meno il mio candore,
La mia incertezza!
Se giudico la forma, tuttavia vado avanti,
zoppicando all’antica,
Per le lacrime mi dimentico degli occhi (Interessantissimo)
Salgo fino ai miei piedi da una stella.
Tesso ; d’aver filato, vo tessendo.
Cerco ciò che mi segue nascosto tra arcivescovi,
Sotto l’anima mia e dietro il fumo del mio alito,
Tale era la delusione sensuale
Della vergine capra che ascendeva,
esalando fatidici petroli,
Ieri domenica in cui persi il mio sabato,
Tale la morte, con suo audace consorte.

*

Chitarra

Il piacer di soffrire e di odiare, mi tinge
La gola dei suoi plastici veleni,
Ma la setola che impianta ordini magici,
e taurina grandezza, tra la prima
E la sesta
E l’ottava mendace, tutte soffre.
Il piacer di soffrire… Chi? Per chi?
Chi, i denti? Per chi la società?
I carburi di rabbia dell’alveolo?
Come essere
E star senza dar collera al vicino?
Vali più del mio numero, uomo solo,
E valgon più che tutto il dizionario,
Con la sua prosa in verso,
Con il suo verso in prosa,
La tua funzione aquila,
Il tuo congegno tigre, dolce prossimo
Il piacer di soffrire
Di aspettare speranze sulla mensa
La domenica con tutte quelle lingue,
Il sabato d’ore della Cina o del Belgio,
La settimana con i suoi due sputi.
Il piacere di attendere in ciabatte,
Di attendere contratto dietro un verso,
Di attendere con forza a mala rabbia;
Il piacer di soffrire: inganno di femmina
Morta con una pietra alla cintura
E morta tra la corda e la chitarra,
Piangendo i giorni mentre canta i mesi.

*

Per il puro calore ho tanto freddo

Per il puro calore ho tanto freddo
Sorella Invidia!
Leccano i leoni la mia ombra
E il topo morto mi rosicchia il nome,
Madre, anima mia!
All’orlo dell’abisso vo,
Cognato Vizio!
Tintinna il bruco la sua voce,
E la voce tintinna il suo bruco,
Padre, corpo mio!
Mi sta innanzi il mio amore,
Nipotina colomba!
In ginocchio, il terrore
Di testa, la mia angoscia
Madre, anima mia!
Fin quando un giorno senza due
Tomba mia sposa,
Risuoni il mio ultimo ferro
Di vipera dormiente,
Padre, corpo mio!

*

Son restato a scaldare l’inchiostro in cui mi affogo

Son restato a scaldare l’inchiostro in cui mi affogo
Ad ascoltare la mia grotta alternativa,
Notti di tatto e giorni di astrazione.
Rabbrividì l’incognita in amigdala
E crepitai d’annua melanconia,
Notti di sole, dì di luna, tramonti di Parigi.
Ed ancora, oggi stesso, verso sera,
Digerisco sacratissime costanze,
Notti di madre, giorni di pronipote
Bicolore, lasciva, urgente, bella.
E ancora
Giungo fino al mio aereo da due posti,
Nel mattino domestico brumoso
Che emerse eternamente da un istante.
E ancora,
Anche ora
In fondo all’aquilone ove ho raggiunto
Il bacillo felice e dottorale,
Eco che caldo, udente, terro, sole e luno,
Incognito attraverso il cimitero,
Prendo a sinistra, fendo
L’erba con alcuni endecasillabi,
Anni di tomba, litri di infinito,
Inchiostro, penna, laterizi e perdoni.

*

La ruota dell’affamato

Dentro i miei propri denti vo fumando,
Dando voce, spingendo,
Calandomi le brache …
Vuota stomaco mio, vuota budella,
Dai denti miei mi tira la miseria
Con uno stecco infilzato ad un polsino.
Una pietra ove sedermi
Non c’è per me?
Nemmeno la pietra in cui inciampa la donna che ha partorito,
La madre dell’agnello, la causa, la radice,
Non ci sarà adesso per me?
Oppure l’altra
Che ha trafitto l’anima piegandosi!
Almeno una calcarea o cattiva (umile oceano)
O quella che non serve nemmeno per tirarla contro l’uomo,
Datela a me, quella li!
Almeno quella che troveranno sola e trafitta in un insulto,
Datela a me, quella li!
Almeno la contorta o coronata, ove risuona
Solamente una volta il passo di rette coscienze,
o, almeno, quest’altra, che gettata in degna curva,
Va a cader da se stessa,
Professando da autentica interiora,
Datemela adesso quella li!
Un pezzo di pane! Non v’è neppure quello ora per me!
Ormai essere devo ciò che sempre sarò,
Ma datemi
Una pietra per sedermi,
Datemi
Per favore, un pezzo di pane ove sedermi,
Datemelo,
In spagnolo
Qualcosa che io possa infine bere, mangiare, vivere, riposare,
Poi me ne andrò…
Trovo strana la forma, strappata
E sporca la camicia
E non ho proprio nulla, e questo è orrendo.

*
30/04/2006 22.21

*

sabato, aprile 22, 2006

Mushotoku




I funghi vanno cercati
Senza spirito di profitto
Cioè senza aspettarsi di trovarli
Così almeno si trovano le castagne
O – secondo – la stagioneI mirtilli
Poi si sente il crepitare secco
Dei rami spezzati dai passi
Lo scricchiolìo fragrante delle foglie
Si scorgono le scivolate
Dei caprioli sul fango del sentiero
Si salutano i faggi d’argento
Dai mille occhi
Quante ferite nelle cortecce!
Quante ferite nei nostri piedi!
E se appare la tromba di rame
Dell’Omphalotus olearius
Allora anche il cuore squilla
Di ocra e d’arancio
Le falloidi sembrano limoni
Le fistuline svergognate mostrano
La lingua rossa dalla bocca sdentata
Dei ceppi antichiLe lumache di ceralacca
Sigillano i dispacci delle foglie cadute
Senza spirito di profitto
Senza aspettarsi di trovare
Senza nemmeno cercare
L’ombrello di galassie
Del fungo padiglione profumato
Nella radura verdissima
Dell’esserci.

29/09/02 20.22

Bolls Corracha

*

Ciclista taoista

Pedalare è realizzare il Dao
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Cigola la catena
Mal oliata
Del vecchio velocifero montano
Spinge la gamba piena
S’alza la gamba vuota
E il cerchio della ruota
Poggia su un nuovo punto
Ma un punto non è nulla
Il cerchio è un’illusione
Ruota la ruota immobile
Ed il sole riflette
Un raggio in ogni raggio
Della solare ruota
Yin e yang
Yin e yang
Yin e yang
Cigola la catena mal oliata
Del vecchio velocifero montano
Un cerchio per il ginocchio
Un altro per la caviglia
Realizzano l’eterna
Identità del Dao.

29/09/02 20.33
Bolls Corracha

Peter Sloterdijk



Filosofia e tossicomania
I medici omeopati del XIX secolo pensavano che il praticante deve per prima cosa sperimentare su se stesso le medicine che prescrive poi alla sua clientela. Diciamo che un buon filosofo e’ una specie di tossicomane illuminato e che il suo sapere consiste precisamente in una polifonia dell’avvelenamento. Questo per me significa che il sapere filosofico non e’ soltando il risultato di una riflessione approfondita, e nemmeno un’espressione di se’ come soggetto, ma il risultato di una specie di suceso immunologico. La verita’ deve essere interpretata, secondo me, come un fenómeno immunitario che il discorso del filosofo contemporaneo genera alla fine di una serie di vaccinazioni o di autoavvelenamenti. Nelle reazioni del pensatore moderno emerge un nocciolo di verita’ che non e’ che la lotta del sistema che sopravvive in una serie di produzioni di anticorpi, logici come semantici, che fanno barriera all’invasione di virus ostili: questo modello e’ secondo me una buona risposta alla domanda: che cos’e’ una saggezza contemporanea? Il pensatore cotemporaneo e’ il multitossicomane, forte di una lunga serie di piccole morti e di reazioni immunitarie, che sfugge alla definizione classica e universitaria di logico discursivo. Io avvicinerei questo alla poesia contemporanea che libera la capacita’ di allucinare del suo autore.

mercoledì, aprile 19, 2006

Jebelanu Eugen (1909.1991)



Metamorfosi

Forse un albero fui sotto l’ombra del quale
Dormisti
E non ti conoscevo
Oscillarono allora le mie fronde,per caso,
A baciare i tuoi occhi.
O forse sono stato un foglio bianco
Che guardavi pensosa
E avro’ baciato il marmo
Della tua mano nuda
Che scriveva.
Avrei potuto essere un muro,
Un muro alla cui ombra
Stringevi un altro, no, non me...
E con grande dolore
Sarei crollato
Davanti ai tuoi occhi pallidi
Per lo spavento.

Trad. genseki

Bordiga e la Gnosi


In: “Considerazioni sull’attivita’ organica del partito quando la situazione e’ sfavorevole”, Bordiga stabilisce una differenza, che egli afferma trovarsi gia’ in Marx tra Partito Storico e Partito Formale.
Il Partito Storico si formalizza soltando episodicamente nelle fasi storiche brevi. Il Partito storico esprime la continuita’ del programma comunista. L’organizzazione del partito non e’ permanente. Il partito storico attravera lunghi periodi durante i quali la sua influenza sulla classe e’ nulla. Quindi, nei periodi contro-rivoluzionari, l’attivita’ dei comunisti si concentra quasi
esclusivamente nel lavoro teorico. Essi possono utilizzare soltando l’arma della critica. Questo presuppone forse un divorzio tra teoria e pratica? No. Senza teoria rivoluzionaria, non c’e’ rivoluzione. La teoria e’ indispensabile per l’azione, anche se tra l’una e l’altra puo’ esservi un intervallo di Molti decenni. Nulla e’ piu’ estraneo al determinismo marxista che l’attivismo volontarista o l’immediatismo. Nella misura in cui la teoria comunista e’ una teoria pratica, essa e’ un programma rivoluzionario comunista. Non si tratta soltando di capire il mondo, si tratta di trasformarlo. Il Partito comunista, prima di essere fattore della storia e’ un prodotto della storia. E’ il risultato di lunghi periodi di lotte proletarie sul terreno inmediato e su quello politico. In primo luogo nasce il partito storico, ossia il programma comunista, poi appare il partito formale, cioe’ l’organizzazione dei militante che si propongono di realizzare questo programma e questa teoria.

La relazione tra Partito Storico e Partito Formale e’ una relazione di una certa complessita’. Il Partito Storico non influenza la storia concreta di un determinato periodo ma contribuisce a influenzare quella successiva e dipende come prodotto da quella precedente.
La distinzione tra Partito Storico e Partito Formale non e’ una distinzione tra teoria e pratica politica. Questo perche’ la teoria del Partito Storico e’ una pratica che ha come sola ragione di esistere quella di trasformare la realta’, non semplicemente di descriverla.
Se consideriamo questa dicotomia astraendo dalla dimensione temporale il rapporto che esiste tra Partito Storico e Partito Formale e’ come il rapporto tra un programma informatico e la sua esecuzione. Il programma esiste anche quando non lo si esegue e segue esistendo mentre lo si esegue.
Tuttavia si potrebbe considerare la cosa anche da un altro punto di vista, che il Partito si manifesti a volte come storico a volte come formale. Questo ci rinvierebbe ad una simpatica tripartizione: Partito Storico, Partito Formale e Partito Trascendente o Trascendentale. Questa triade comincia ad assumere i tratti noti du una gnosi!
Si puo’ dire che il Partito Trascendentale si incarna a volte nel Partito Storico e a volte nel Partito Formale.
Il Partito Trascendentale sarebbe cio’ che rende possibile la coesistenza tra Partito Storico e quello Formale che altrimenti sarebbero o la stessa cosa oppure due cose completamente diverse.
Cosi’ l’elemento gnostico si accentua!
La continuita’ tra programma e esecuzione e’ assicurata dall’operatore, che decide quando eseguire e quando interrompere il Programma.
La continuita’ tra Partito Storico e Formale e’ assicurata dal Partito Trascendentale che sarebbe come un operatore non individuale, non umano, completamente immanente alla storia e biologico, che si serve del tempo come un surfista dell’onda e che percorre la freccia temporale nelle due direzioni.
La gnosi bordighiana si rivela in una dualita’ che cela una triade.Sarebbe stato piu’ semplice pensare che a volte i comunisti non possono fare politica pero’ possono approfondire la teoria.
Pero’ non sarebbe stata la stessa cosa, il brivido sotterraneo di un trascendentalismo materialista si sarebbe perduto nella banalita’ di una semplice costatazione.
Cosi, invece, il Partito assume fattezze di demiurgo, il militante di Alchimista, la storia di Opus Magnum.
La storia produce il Partito e a sua volta e’ da esso prodotta : il Partito Storico e quello formale stanno, infatti, nella storia nel senso che ne dipendono in diversi ruoli, il Partito Trascedentale sta al di sopra della storia.In Bordiga il materialismo si trasforma insensibilmente in mito materialista, in narrazione, e’ un racconto con ascesa, caduta riconoscimento finale del legame che unisce tutti gli attanti in un solo simbolo.
O almeno tende a questa trasformazione che vibra appena sotto le parole, che rende febbrili i nessi concettuali, che si sente ansimare nella struggimento di una nostalgia travestita da esempio e rispetto.
genseki

Onore a Hamas


Pubblico qui questa poesia, in onore di Hamas, della sua resistenza, della dignita’, della speranza, dei volti da cui traspare che l’oppressione vile dei violenti non ferisce il cuore di chi la subisce se chi la subisce non lo vende alla paura, al rancore, all’abiezione.
Onore ad Hamas!

Zayyad Tawfiq (Nazareth, 1922-1994)

Scritto sul tronco di un olivo

Poiche’ non filo lana
Ed ogni giorno sono esposto
Agli ordini di arresto
E la mia casa resta aperta
Alle visite poliziesche
Alle perquisizioni
Alle operazioni di pulizia
Perche’ mi risulta impossibile
Comprare carta
Incidero’ tutto quello che mi capita
Incidero’ tutti i miei segreti
In un olivo
Nel cortile della mia casa
Incidero’ la mia storia
La trama del mio dramma
I miei sospiri Nel mio giardino
E le tombe dei miei morti
Incidero’
Tutte le amarezze che bastera’ a cancellare un decimo delle dolcezze che verranno
Incidero’ il numero
Di ogni cavalleria spogliata
Della nostra terra Il sito del mio villaggio, i suoi confini
Le case dinamitate
Gli alberi sradicati
Ogni fiore calpestato
Quegli uomini che si sono divertiti
A scomporre il mio alito e i miei nervi
Gli uomini delle prigioni
I segni di tutte le manette
Strette ai miei polsi
Gli stivali dei miei carcerieri
Ogni giuramento gettato sul mio capo
E incidero’ Kafr Kassem
E non lo dimentichero’
E incidero’
Abbiamo raggiunto il vertice della tragedia
Lo abbiamo raggiunto
Incidero’ tutto quello che il sole mi dichiara
Quello che mi mormora la luna
Quello che mi narra la tortore
Nei pozzi I cui innamorati son partiti in esilio
Perche’ lo ricordi
Restero’ in piedi per incidere
Tutta la trama del mio dramma
Tutte le tappe della disfatta
Dall’infinitamente piccolo
All’infinitamente grande
Su di un tronco d’olivo
Nel cortile Della mia casa.

Trad. genseki

*

Giannina Dorme



Questa poesia e' tratta da l'Arte di essere nonno, una delle ultime opere di Victor Hugo. Un viaggio nel mondo della primissima infanzia, nei miti che non hanno ancora parola per nominarsi, che e' un viaggio del vechio poeta all'aorigine dell'immagine e della glossolala. Un viaggio che attraversa il sangue della Comune e l'orrore della politica, l'ingombro del prorio io universale e si riposa in un erotismo alla Fragonard, vissuto come pura luce di tenerezza.
genseki

La siesta


Nel bel mezzo del giorno dorme il suo sonnellino
Il bambino ha bisogno del sogno piu’ dell’uomo
E’ ben brutta la terra per chi viene dal cielo!
Il bimbo vuol vedere di nuovo Cherubino,
Con lui l’amico Puck e Titania e le fate,
E nel sonno il Signore gli scalda le manine.
Oh che grande sorpresa sarebbe di vedere
Giu’ nel suo sonno sacro, tutto pieno di raggi,
I paradisi aperti nell’ombra e quei passaggi
Di stelle che segnalano ai bimbi di star buoni,
Accecanti apparizioni !
Dunque, nell’ora che il sole ardente puo’ calmare,
E tutta la natura lo ascolta e si raccoglie,
A mezzogiorno, nel silenzio dei nidi, quando oblia
La foglia piu’ tremante di fremere un istante,
Giannina ha l’abitudine dolce di addormentarsi;
E sua madre un momento sospira e si riposa
Ci si stanca persino a servire una rosa
I bei piedini nudi dai passetti insicuri
Dormono, e la sua culla cinta d’un vago azzurro
Cosi’ come l’aureola circonda gli immortali
Sembra una nuvoletta fatta con i ricami;
E pare se si guarda la culla tanto fresca
Vedere un raggio rosa in fondo a un falbala’:
La miro, rido e sento che fugge la tristezza,
E’ un astro che possiede in piu’ la piccolezza;
La sua ombra amorosa ha l’aria di adorarla;
Trattiene il vento il soffio, non osa respirare
Poi nell’umile e casta alcova della madre,
Versando tutta l’alba che ha nella pupilla
Le palpebre spalanca e distende il braccino,
Agita un piede e l’altro. Cosi’ divinamente
Canticchia che le fronti s’affacciano dal cielo
Allora con la voce piu’ dolce la sua mamma,
Proteggendo con gli occhi la bambina raggiante
Cercando un nome dolce per chiamare il suo angelo
Dice alla sua chimera: - che orrore sei gia sveglia!
*
trad. gensekia pupilla

lunedì, aprile 17, 2006

Morire di un bacio




I filosofi hanno dichiarato che nei giovani il vigore del corpo é un ostacolo per la maggior parte delle qualitá morali, e, a maggor ragione per il pensiero puro che risulta dalla perfezione delle idee che conducono l’uomo ad appassionarsi di Dio. È imposibile che tal tipo di pensiero sorga finchè dura l’ebollizione degli umori corporali; però, man mano che van diminuendo le forze del corpo e si estingue l’ardore delle brame, l’intelligenza sorge, la sua luce aumenta, la sua comprensione guadagna lucidità e sperimenta un godimento piu’ intenso per quello che ha compreso, in modo tale che nell’uomo, oppresso dal peso degli anni e prossimo alla morte, tale comprensione acquisisce una nuova dimensione, conferisce un più intenso piacere e ispira una vera passione verso il proprio oggetto, finchè, finalmente, nella pienezza del medesimo, l’anima si separa dal corpo.
A questo stato hanno fatto allusione i Dottori a proposito del decesso di Mosè, Aronne e Maria, dicendo che tutti e tre morirono per opera di un bacio.
...
Con questa espressione vogliono insegnare che tutti e tre morirono per il godimento che fece loro sperimentare questa comprensione e per l’intensità dell’amore. I dottori hanno utilizzato hanno utilizzato in questo passaggio il conosciuto senso allegorico secondo il quale la comprensione che risulta dall’ardente amore dell’uomo per Dio si chiama bacio, in conformità con la scrittura: “mi baci con i baci della sua bocca" (Cantico). Questo tipo di morte che libera dalla morte vera, si dette solo in Mose Aronne e Maria; tutti gli altri profeti e uomini religiosi restarono al di sotto di questo grado. In tutti, peró, la comprensione dell’Intelligenza termina nel momento della separazione... dopo, l’Intelligenza perdura per sempre nel medesimo stato, perchè l’ostacolo che a volte la impediva è stato rimosso, allora sperimenta di continuo il godimento più intenso, completamente diverso dal piacere del corpo,...

Maimonide
Guida dei Perplessi
Capitolo 51

trad. genseki

*

lunedì, aprile 10, 2006

ION DUMITRU


Sophrosyne

(Lo scriba parla)

Seggo a tavola con i Signori della luce
E cospiriamo –
A carte scoperte:
Che diletto nel tessere
Come nel bosco di sontuosi giorni
Ed il frutto disfare, chiamato
Sophrosyne.

Esiste, si, fratellanza di croce
Tra la penna mia di scriba
E l’ali loro
Come codici vecchi
Portati sulle spalle sfogliati dal vento –
Forse per questo ho tanta voglia
Di legare fermamente nelle carte
Il limbo della santa parola
Sophrosyne.

Nel mio costato si rallegra
L’impugnatura della spada –
Nel mio corpo, sicuro, presente
Le tracce venture del mio sangue
E gli ossari di luce.
Lo accarezzo, lo castigo; i suoi occhi
Due furenti rubini,
Scintillano tranquilli quando mormoro
Sophrosyne.

A tavola seggo, coi Signori della luce
E cospiriamo
Per eleggere Principe Dracula
Del triplice trono
Heliand eterno
Oh! Quanto pane sara’ spezzato per noi
Quanto vino scorrera’
Per il perdono del peccato
Sofrosyne.

Polvere vespertina trafigge i cristalli –
I Signori della Luce si alzano sospirando
Al segnale dei cieli.
Muovendo senza forza
Le sue ali sfinite
Mi portano dalla tavolaVerso terre divine.
Piangi per loro
Nella chiocciola della tua cameretta
Mia perla:
Sofrosyne.

Sulla sua traccia, si edifica la terra
Di fronte alla pagina lattea
Resto a confabulare un po’ piu’ avanti
Con Sfinxul e Babele.

Trad. genseki

*

MAIMONIDE


Monaco o sentinella

Prerequisiti per il filosofo
Di genseki

Secondo Mose’ Maimonide nella sua opera luminosa: “La guida dei perplessi” le cause che impediscono di dedicarsi alla filosofia sono cinque: La prima e’ la difficolta’ e precisione della materia; La seconda e’ la comune debolezza mentale che deriva o da ostacoli determinati o da mancanza di esercitazione intellettuale Per questo i saggi sono pochi e la filosofia non e’ per tutti; La terza causa impediente e’ la lunghezza e’ la complessita’ degli studi preparatori. Poche persone sono disposte a sacrificare anche poco del proprio tempo per acquisire conoscenze anche se desidererebbero acquisirle in qualche modo con sincerita’. La filosofia e la metafisica sono il culmine di una conoscenza vasta e dettagliata che comprende la logica, la matematica e le scienze naturali. Coloro che non sono disposti a percorrere pazientemente questo cammino sono esclusi dalla ricerca filosofica; La quarta causa radica nelle disposizioni naturali. Per Maimonide e’ certo che le virtu’ morali sono la base di quelle razionali e che la perfetta razionalita’ solo appartiene all’uomo rispettoso della morale, ponderato e sereno. Alcuni individui tuttavia per ragioni temperamentali sono esclusi dalla perfezione etica e quindi dalla filosofia; Infine la quinta causa e’ la necessita’ di dedicarsi a soddisfare i bisogni corporali, la famiglia e l’affanno per il lusso e i bisogni superflui. Quindi anche un uomo che risponda ai quattro requisiti precedenti e che abbia raggiunto la perfezione morale se e’ assorbito da queste necessita’ non potra’ dedicarsi con successo alla speculazione, la sua percezione sara’ confusa e a tratti sara’ del tutto incapace di investigare.La filosofia quindi e’ riservata a una ristrettissima cerchia di individui selezionati e isolati e non puo’essere permesso l’accesso ad essa a tutte le altre categorie di persone.
Il filosofo per Maimonide e’ un uomo di intelligenza acuta, dotato di una cultura universale in tutti i campi delle conoscenze umane, rispettoso della morale, temperante e equanime, in grado di vivere senza lavorare duramente, privo di responsabilita’ sociali e famigliari e di ambizioni di onori e di ricchezza, isolato, quindi ed eletto.
Si tratta di una figura di sentinella, quindi, in qualche modo ai confini della sfera sociale. Non un monaco, poiche’ non e’ testimone di nulla e guida di pochi.
Certo Maimonide e’ ben lontano dal considerare la filosofia una disciplin.a puramente accademica o una semplice analisi del linguaggio.
La filosofia e’ una forma elevata di vita, la piu’ elevata tra tutte le forme possibili della vita umana.
*

venerdì, maggio 20, 2005

SANDOKAI


Del Maestro Sekito Kisen


I.
Lo spirito del Grande Saggio dell’India
Si è trasmesso in modo intimo e segreto
Da Occidente ad Oriente.

II.
Grande è la differenza tra i caratteri degli uomini;
Sulla Via non v’è Nord
Non v’è Sud.

III.
Limpida, pura la sorgente dello Spirito
Torbidi e fangosi scorrono i suoi rivi.

IV.
L’attaccamento ai fenomeni produce l’illusione
L’unione con l’essenza non è vero risveglio.

V.
Gli oggetti e i sensi tutti
Sono in reciproca dipendenza
E non lo sono.
Se c’è interazione c’è armonia,
o ciascuno resta sulla sua posizione.

VI.
L’essenza degli oggetti visibili varia
Da oggetto ad oggetto
Secondo qualità
Secondo forma.
La voce muta l’accento
Da gioia a sofferenza.
Profondo, oscuro
E’ questo mondo
Tessuto di elementi
In ogni direzione
Ove è luce son chiari gli oggetti,
Macchia e purezza distinte.

VII.
Come il bimbo torna alla madre
Tornano i quattro elementi
Alla natura che gli è propria.

VIII.
Scalda il fuoco, il vento varia
Umida è l’acqua, dura la terra:
Occhio e colore
Suono ed orecchio
Naso ed odore
Sapore e lingua
Ma ciò che esiste
Come le foglie
Trae l’alimento
Dalla radice.
I rami, il tronco
Son d’un’essenza
Nobile e volgo
Solo parole.

IX.
In ciò ch’è oscuro
Pure v’è luce
Ma non guardate
Quello ch’è oscuro
Sol come oscuro
In in ciò che luce
Pure è l’oscuro
Ma non guardate
Quello che luce
Sol come luce.

X
Tenebra e luce
Sono due opposti
L’una soltanto
non può sussistere
Se non v’è l’altra
Come il pié destro
Senza il sinistro
Non può avanzare.

XI.
Utile è in sé
Ogni esistente
A modo e in luogo.
Tutte le cose
Sono fenomeni:
Si corrispondono
Perfettamente.

XII.
Cozzano punte
Di frecce, lance.
Queste parole
Sono una fonte
Cercate il senso
Non vi adagiate
Nell’opinione.

XIII.
Se non comprendete la Via
Anche percorrendola
Non l’otterete.

XIV.
Prossimità, lontananza
Non hanno senso
Nella pratica
Un solo dubbio
E sorgono montagne
Mari profondi
Formano ostacolo.

XV.
O Voi, che cercate la Via
Vi prego
Non passino invano
I vostri dì
E le notti.

***
Trad. genseki

giovedì, maggio 19, 2005

Verità



"Le verità superficiali sono quelle la cui negazione è contradditoria, le verità profonde quelle la cui negazione è ancora una verità".
Niels Bohr

***

Como 29\10\2002

Los pajaros queman el viento.
Alejandra Pizarnik



Nel voloGli uccelli incendiano il vento
Un velo di cenere
Teso sul cuore
Bandiera d’Autunno dolente
Nel volo s’incendia
Il vento d’uccelli
In scaglie di piume
Pulsanti.

***

I
Sulla sponda di questo lago
Nell’acqua gonfia
Densa d’amore
Sulla sponda di questo lago
Giace il mio cuore
Affogato.

***

II
Così a lungo l’avevo sognato
Ma l’acqua tersa
Non s’era aperta
A rinascermi non m’aveva
Cullato
Tra steli giaceva
Il mio corpo
Ingannato.

***

III
Se in trasparenza
M’avesse cullato
Sarebbe stato come una pelle
Acqua o respiro
Colline nere
Umido fiato
Ora galleggia sul flutto
Marcio
Tra fiele e spruzzi
E più non sente
L’onda che mente
Cuore annegato.

***

IV
Dentro me stesso
Vorrei morire
Fino a trafiggermi
Con il mio niente
Senza pensiero
Come annegato
Nel flutto chiaro
Che tutto stinge.

***

V
Sarebbe un gorgogliare
Simile ad un singhiozzo
D’un vortice
D’acqua verde
Lungo bianche montagne
Che scorgi capovolte
Bloccate in negativo
Nell’abisso stagliate
Ove non sono alghe
Né pensieri
Né io, se non come
Un glu glu glu
Fresco brivido d’ora
Sulla pelle del lago.

***

VI
Un tempo ci furono i volti
Che avevano occhi e cenni
Ora nemmeno maschere
Non orbite vuote,
Ricordi piuttosto
Che prendono forma d’icone:
Frammenti che furono volti.

***

VII
Da quale collana
Di stelle caduta
La perla del lago
Nel ventre dei monti?
S’addensa il ricordo
In liquide anse
Ricurvo da scuri versanti