martedì, febbraio 17, 2009
Michel de Montaigne
Alla fine
Alla fine
Fu allora che lo trovammo
Intrecciato alle radici del lentisco
Tra i ciuffi della bellota irsuta
Lo scheletro dell'aquila
Non scafo per fendere le nubi
Simile invece a un cesto intessuto
Di vimini bianchi sfiniti
Preparato per avvolgere
Il risultato di qualche Opera
Alchemica dimenticata.
O forse si, uno scafo
Ma remoto, da ogni idea di spuma
E di flutto
Con timide dita lo ripulimmo
Dalla terra secca
E dagli aghi di pino
Per un momento ci parve di sentire
Pietá per il dolore del volo.
*
Perché certamente il volo
È un'altra dimensione del pensiero
Come, per esempio,
L'esperienza di essere sorretti,
Sollevati, sostenuti costantemente
Dalla forza stessa del mondo.
Questa esperienza manca al nostro pensiero
Schiacciati come siamo al duro suolo
Dalla ferrea gravitá
Lanciamo il nostro spirito come fuoco d'artificio
Verso il cielo
Perchè fiorisca
-hanabi-
In veritá
genseki
venerdì, febbraio 13, 2009
Englaro
genseki
La nottola di Minerva
Comprendere ció che è, questo è il compito della filosofia; perché vciò che è, è la ragione. In quanto all'individuo, ognuno è figlio del suo empo, e la filosofia proprio il tempo afferrato nel suo concetto. È insensato credere che qualche filosofia possa precorrere il presente. Quando dice una parola sulla teoria che spiega come debe essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo ardi: perché pensare il mndo accade sempre dopo che la realtá ha compiuto il suo processo di formazione e si trova realizzzata. Quando la filosofia sbozza a chiaroscuro un aspetto della vita, questo, giá invecchiato, in penombra, non può essere ringiovanito. ma solo riconsciuto: la nottola di Minerva inizia il suo volo al cadere il crepuscolo.
Hegel
Filosofia del Diritto
Introduzione
trad. genseki
Al calar del sole si leva in volo la nottola di Minerva, quando l'allungarsi delle ombre vela la molteplicità delle forme. Vola col cuore gonfio di nostalgia, la nostalgia per il mondo screziato delle apparenze multiformi. Quello che il suo volo lascia dietro di sè nel penetrare l'ombra che scende è il manto di Gerione della luce e dell'ombre che non conosce, cui volta le spalle e che le punge il cuore di rimpianto.
Se vola lo deve a questo vuoto rimpianto. È questa nostalgia che la sostiene e la guida nella notte tra i profili grigi di tutte le cose.
Così la nottola della filosofia sta sospesa tra due mondi, pur movendosi dall'uno all'altro perché il grigio è possibile solo la ove vi fu colore.
giovedì, febbraio 05, 2009
Storia della calligrafia cinese - Ouyang Xun (557-641)
Fu un calligrafo importante della dinastia Sui ma le sue opere erano rigorosamente anonime. Solo intorno ai sessantanni quando fu chiamato a corte dall'imperatore calligrafo Taizong il suo nome fu registrato nei documenti ufficiali accanto alle opere corrispondenti.
Dei suoi lavori alcuni sono sopravissuti nella incisi in steli come “Hua Du Shi Bei” in memoria del monaco Yong Chan e “Cheng Gong Bei” che è la descrizione del paesaggio in cui sorgeva il palazzo Jin Cheng.
Calligrafó inoltre numerosi sutra tra cui spicca il “Sutra del Cuore”, il testo piú importante del buddismo chan: “La forma è vacuitá, la vacuitá è forma.
Le calligrafie dei sutra risalgono alla sua vecchiaia. Le produsse all'etá di quasi settant'anni. Sono andate tutte perdute per l'usura del tempo e per l'uso e solo possiamo contemplare alcune copie a inchiostro tratte dagli originali.
Notevole è anche la calligrafia di nove ballate del regno di Chu del poeta Qu Yuan. Si tratta di testi ricchi di colore e di figure retoriche, immaginazione e mistero.
La calligrafia di Ouyang Xun è stata il modello dello stile regolare e per secoli è stata oggetto di studio e di riproduzione per gli studenti.
Le due riproduzioni sono la prima e la seconda parte del "Sutra del Cuore"
mercoledì, febbraio 04, 2009
Gilles de Rais V
Questi maghi, che tutti i biografi sono concordi nel rappresentare, secondo me a torto, come volgari parassiti e delle canaglie, erano, in fin dei conti, la nobiltá spirituale del quindicesimo secolo. Non avendo trovato posto nella Chiesa, ove non avrebbero accettato niente di meno che la porpora o il soglio non restava loro altra possibilitá che rifugiarsi presso un gran signore come Gilles, forse il solo, in quel tempo che fosse abastanza istruito e intelligente per comprenderli. Riassumendo, un misticismo naturale da una parte e la frequentazione quotidiano con sapienti ossessionati dal satanismo. Una miseria crescente all'orizzonte che l'intervento diabolico avrebbe potuto scongiurare, una curiositá folle, forse, per le scienze oscure; tutto questo spiega che, poco a poco, mano a mano che il legami con il mondo degli alchimisti e degli stregoni si stringe, egli si getti nell'occulto e sia spinto ai crimini piú inverosimili.
D'altra parte, per quanto riguarda i bambini sgozzati, cosa che non accadde inmediatamente, perché Gilles violentó e uccise i bambini solo dopo che l'alchimia si dimostrò vana, egli non differisce sensibilmente dai baroni del tempo suo.
Certo egli li supera nel fasto del vizio e nell'opulenza dell'omicidio ecco tutto. ... I principi a quei tempi erano dei massacratori spaventosi. Vi è un Signore di Giac che avvelena la moglie , la getta sul cavallo e la trascina al galoppo per cinque leghe, fino alla morte. Vi è un altro ...che afferra il padre, lo trascina scalzo nella neve, poi lo getta tranquillamente, fino alla morte in una prigione sotterranea. E quanti altri ...
Non pare che durante le battaglie e le razzie il Maresciallo si sia macchiato di delitti seri, certo aveva un gusto singolare per la forca, amamva far impiccare tutti i francesi rinnegati sorpresi nei ranghi degli inglesi o nelle cittá poco fedeli al Re. Il gusto per questo supplizio non lo abbandona nel castello di Tiffauges.
Infine per concludere si deve aggiungere a tutte queste cause un orgoglio formidabile, un orgoglio che lo spinge a dire, durante il processo: “sono nato sotto una tale stella che mai nessuno potrá fare mai ciò che ho fatto io”.
Eccoci giunti, tuttavia, al momento in cui Gilles de Rais inizia la ricerca della Grande Opera. Non è difficile immaginarsi le conoscenze che possiede relativamente al modo di trasformare i metalli in oro. L'alchimia era già molto sviluppata un anno prima della sua nascita. Gli scritti di Alberto il Grande, Arnaud de Villeneuve, Ramón Llull erano nella mani degli ermetici. I manoscritti di Nicalas Flamel circolavano; non v'è dubbio che Gilles , andava matto per i libri rari, li abbia potuti acquistare; aggiungiamo che a quel tempo, l'editto di Carlo V vietava sotto pena di prigione e di morte i lavori alchemici e che la bolla “Sponde pariter quans non exhibent” che il Papa Giovanno XXII fulminó contro gli alchimisti era ancora in vigore. Queste opere erano quindi proibite e conseguentemente introvabili; è comunque certo che Gilles le ha lungamente studiate, ma tra studiarle e comprenderle il cammino è lungo.
Questi libri costituivano, in effetti il piú incredibile abracadabra, il grimorio più astruso. Tuto era allegoria, metafore bizzarre e oscure,emblemi incoerenti, parabole confuse, enigmi pieni di cifre!
...
martedì, febbraio 03, 2009
Una silenziosa coincidenza
Senza accedere direttamente al non spirito gli adepti potrebbero praticare per interi Kalpa senza giungere mai al termine della Via. Incatenati alle buone azioni proprie dei tre veicoli, non possono liberarsi. Per certificare questo spirito il tempo necessario puó variare. Vi è chi giunge al non-spirito dopo aver ascoltato l'insegnamento appena un istante, vi sono altri che lo realizzano solo al termine dei dieci aspetti della fede, delle dieci attivitá, delle dieci stazioni e delle dieci dediche, e vi è chi lo raggiunge approdando alla decima terra. Restate nel non spirito piú a lungo che potete. Allora non ci sará piú nulla da coltivare, nulla da attestare.
Davvero non vi è nulla che possa essere trovato, eppure la realtá non è il nulla. Colui che vi giunge in un istante e colui che vi giunge alla decima terra hanno esattamente lo stesso merito, non è che uno sia piú superficiale e l'altro piú profondo, il fatto è che se non si giunge al non-spirito non si fa altro che darsi da fare inutilmente per interi kalpa.
Fare il bene o fare il male significa attaccarsi a cose particolari. Produrre male essendone coscienti significa subire il samsara per niente, fare il bene essendone coscienti significa affaticarsi molto per poco vantaggio. Tutto questo non si potrá mai paragonarlo con la possibilitá di riconoscere il proprio metodo spirituale solo con l'ascoltarmi.
Questo metodo è lo spirito, al di fuori dello spirito, infatti, non vi è metodo.
Questo spirito è il metodo, al di fuori del metodo, infatti, non vi è spirito.
Anche se naturalmente questo spirito è non-spirito, il non-spirito non ha tuttavia un'esistenza propriamente detta. Condurre lo spirito verso il non-spirito significa continuare ad attribuire una esistenza al non-spirito.
Basta una silenziosa coincidenza perché il dialogo interiore si interrompa, per questo si è detto che:
Quando la strada è bloccata
Le attivitá mentali cessano.
Questo spirito è la nostra buddità pura e primordiale, la stessa che possiedono tutti gli uomini. Tutto ció che formicola e ha un'anima forma una sola sostanza con i Buddha e i Bodhisattva. È solo perché noi erriamo nell'atto di differenziare che noi finiamo per creare ogni sorta di azioni che generano reazioni.
Trad a cura di genseki
lunedì, febbraio 02, 2009
Le cinque dita della mano
e nella quale nessuno si è mai impiccato.
(La Parenté de Jean de Nivelle)
*
Il pollice è un grasso oste fiammingo, dall'umore beffardo e salace che fuma, sulla soglia all'insegna della doppia bara di marte.
L'indice è sua moglie, secca come lo stoccafisso, che fin dalla mattina schiaffeggia la sguattera di cui è gelosa e accarezza la bottiglia di cui è innamorata.
Il medio è il figlio, un compagnone tagliato giú a colpi d'accetta che sarebbe un soldato se non fosse birraio e sarebbe un cavallo se non fosse un uomo.
L'anulare è la figliola lesta lesta e tutta pepe che vende ricami alle signore e lesina sorrisi ai cavalieri.
Il mignolo è il beniamino della famiglia, marmocchio piagnone, che si dondola appeso alla gonna della madre come all'artiglio di una orchessa.
Le cinque dita della mano sono la più mirabolante violaccia a cinque petali che mai abbiano ricamatoaiuola della nobile cittá di Harlem.
venerdì, gennaio 30, 2009
Ramón Llull
La leggenda vuole che Ramón Llull maiorchino, amante della poesia trovadorica e dei suoi riti si innamorasse, sul cammino che menava alla chiesa , di una bellissima dama. Costei non disdegnosa della passione che il poeta le mostrava con il contegno e lo sguardo lo incoraggiò a seguirla per i viottoli della città e giunta alla sua casa lo fece introdurre nel giardino da una serva fedele e dal giardino all'intimitá delle sue stanze.
La dama si spoglió davanti al trovatore de egli poté vedere i seni il cui molle ondeggiare aveva cullato la sua tenera immaginazione: erano sfigurati da un tumore. Ramón corse fuori nella notte e si precipitó nella chiesa silente cercando la consolazione della bellezza autentica e permanente.
In realtá Ramón aveva moglie e figli quando decise di abbandonare la vita mondana per dedicarsi alla divulgazione del suo pensiero che egli definiva Ars ricevuto per illuminazione divina e volto alla conversione degli infedeli al cristianesimo.
Il libro dell'amico e dell'amato
Si tratta di una raccolta di aforismi religiosi contenuta nel Libro di Evast e Blaquerne che, sul modello dei mistici sufi condensa in tanti versetti quanti sono i giorni dell'anno il senso del cammino spirituale del Monaco Blaquerne.
2. Le strade per le quali l'Amico va cercando l'Amato sono lunghe, pericolose, piene di dubbi, di sospiri e pianti, ma illuminate dall'amore.
4. L'Amico piangeva dicendo: fra quanto tempo cesseranno le tenebre sul mondo e saranno cancellate le vie dell'inferno? E quando accadrá che l'acqua che scorre sempre verso il basso si muova in senso inverso? Quando gli innocenti saranno piú numerosi dei colpevoli? Quando sará glorificato l'Amico che muore per il suo Amato?
5.Dice l'Amico all'Amato: O Tu che riempi il sole di splendore riempi d'amore anche il mio cuore; risponde l'Amato: senza perfezione d'amore non ci sarebbero lacrime negli occhi tuoi e Tu non saresti giunto fin qui per contemplare l'Amato.
6. L'Amato volle mettere alla prova l'Amico per valutare il grado di perfezione del suo amore e gli domandò quale fosse la differenza tra la presenza e l'assenza dell'Amato. Rispose l'Amico: la stessa che passa tra ignoranza e conoscenza, tra oblio e ricordo.
7. Domandó l'Amato all'Amico: ti ricordi di qualche cosa che io ti ho donato e a causa della quale tu ora mi ami? Si, rispse l'Amico perché non faccio differenza tra i dolori e i piaceri che mi doni.
8. Dimmi Amico – disse l'Amato – potrai sopportare che raddoppi il tuo dolore.
Si, se raddoppierai anche il mio amore.
9. Disse l'Amato all'Amico: Ora sai che cosa è l'amore? Rispose l'Amico, se non sapessi che cosa è l'amore certo saprei cosa sono il tormento, la tristezza e il dolore.
giovedì, gennaio 29, 2009
Conclusione per i combattenti
Panait Istrati nacque a Braila in Romania nel 1884. Dopo una vita di vagabondaggi e di miseria pubblica il romanzo Kyra Kyralina (in francese) il cui successo fa di lui uno scrittore popolare. Nel 1928 intraprende un viaggio attraverso l'URSS, al di fuori dei circuiti ufficiali.Negli scritti che raccontano questo viaggio, pubblicati nel 1929 Istrati denuncia lo sfruttamento implacabile dei lavoratoti nella URSS. Il suo destino è allora segnato. Il "Gorki balcanico" diventa dall'oggi al domani un "nazionalista antisemita" e un ·"cane rabbioso". Attraverso le lettere e gli articoli di quegli anni si puó seguire ancora la battaglia disperata di Istrato contro le calunnie e l'isolamento. Sfinito da questa lotta senza speranza Istrati muore in Romania, dove era ritornato, nell'anno 1935.
Di Istrati si è detto che non volle essere nè di sinistra nè di destra e restare equidistante tra fascismo e comunismo.
Conclusione per i combattenti
Io credo in questa umanitá. Oggi essa esiste come il sole esiste durante la notte. Piú di una volta il mio fango la ha sfiorata. Piú di una volta, nelle mie innumerevoli ore di desolazione, la sua mano mi ha sollevato da terra.
Tutto quello che ho fatto di bene e di bello, lo devo a lei. Non ho fatto solo cose buone e belle. Ho avuto la mia parte di fango, ce l'ho ancora e continuerò ad averla. Sono infelice, peró, quando essa mi sommerge e muoio di felicitá quando afferro un raggio di luce della bella umanitá.
Per questo ad essa voglio consacrare tutte le mie forze, aiutare tutti coloro che lottano per essa.
Io non credo piú in nessun "credo". Non voglio piú ascoltare quello che gli uomini dicono, ma guardare solo quello che fanno:
Mostratemi quello a cui potete rinunciare nella vostra vita e vi dirò qual è il valore che date alla vita altrui.
Noi sfuggiamo all'avvilimento soltanto se fondiamo la nostra esistenza on tutto ciò che vive. È solo così che diventiamo liberi: sentendo tutto ció che fa bene e ció che fa male intorno a noi.Conclusioni per combattenti
Una fiamma dopo mille altre si è spenta su un vasto paese ricco di speranze. Ora in quelle contrade resta solo il soffio freddo dell'egoismo che gela la vita.
Ma è sempre la terra da dove sgorgano le fiamme piú belle che riscaldano l'umanitá. Per questo essa è sacra e ricca di futuro.
Aiutiamola ad aprire il suo ventre generoso alla nostra anima assettata di bene e di bello.
Andiamo verso l'altra fiamma.
trad. genseki
mercoledì, gennaio 28, 2009
Lucian Blaga
Scrisse nella poesia "Biografia":
Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
La neve dell'essere occupa il posto delle parole.
*
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Giovanotto che caplesti l'erba del mio eremitaggio
È ancora lontano il crepuscolo?
Vorrei morire all'alba
Con le serpi schiacciate
Dai bastoni dei pastori.
Como loro mi contorsi nella polvere
Come loro ho strisciato sotto il sole.
*
Ferma Signore lo scorrerere del tempo
Io so, so che senza la morte
Non ci sarebbe nemmeno l'amore.
Tuttavia, signore, vengo a pregarti.
Ferma l'orologio con il quale misuri
Il tempo
Delle nostre chimere.
Trad genseki
martedì, gennaio 27, 2009
Il giorno della memoria
Se l'insieme degli uomini volgesse il viso verso il mondo di lá, noi tutti andremmo verso di esso e nessuno rimarrebbe.
Rûmî
***
Martin Buber
Racconti dei Chassidim
***
Il patrimonio della memoria è un ostacolo all'unione con Dio mediante la Speranza.
Edith Stein
Scientia Crucis
***
I dadi eterni
Mio Dio, resto piangendo l'essere che vivo
Mi duole aver gustato del tuo pane
Ma questo povero fango pensieroso
Crosta non è in fermento al tuo costato:
Le tue Marie non partono!
Dio mio, se mai tu fossi stato un uomo
Sapresti oggi esser Dio,
Ma tu te ne sei stato sempre bene,
Non senti niente della tua creazione:
È l'uomo che ti soffre ed egli è Dio!
Oggi ci sono fiamme nei miei occhi
Di stregone dannato
Vieni Dio mio con tutte le tue torce
E giocaremo con il vecchio dado.
E forse a dar la sorte
O giocator di tutto l'universo,
Sorgeranno le occhiaie della Morte
Come due assi funebri di fango.
Dio mio, in questa notte sorda, oscura,
Piú giocar non potrai, perché la Terra
È un dado corroso, arrotondato
A forza di ruotare senza meta
E fermarsi non può che nel gran vuoto
Il vuoto dell'immensa sepoltura.
Vallejo
trad genseki
lunedì, gennaio 26, 2009
La preghiera dell'ateo
Unamuno capovolge la prova di Anselmo. Il fatto che Dio possa essere pensato come dotato di ogni perfezione lo condanna all'inesistenza. L'inesistenza peró come è declinata nella tradizione apofatica. Inesistenza in quanto assoluta trascendenza, incommensurabile con quell'altra inesistenza, tragica per Unamuno, dell'uomo.
Dio è inesistente per l'uomo perché l'esistenza divina lo trascende in modo assolutamente radicale.
Si intravede nel testo di Unamuno l'ereditá di Ibn Arabi.
La traduzione non è all'altezza del testo.
genseki
Odi la prece mia, Dio inesistente
E nel tuo nulla accogli il mio lamento
Tu che l'uomo meschino mai non privi
Della consolazione dell'inganno
Al nostro anelo concedi alimento.
Quanto più dalla mente ti allontani
Mi sovvengo dei placidi consigli
Con cui la tata addolciva notti tristi.
Che grande sei Dio mio! Sei tanto grande
Che non sei che un'idea; è troppo angusta
La realtá nostra che tanto si espande
Per contenerti. Ed io soffro al tuo fianco
Dio inestistente, perché se Tu esistessi
Esisterei allora anch'io davvero.
Unamuno
trad genseki
sabato, gennaio 24, 2009
César Vallejo come l'ho conosciuto II
- Molti bambini preferiscono sedersi piú in fondo perché non gli piace rispondere alle domande. Tu, peró sarai un bravo alunno, non è vero?
Io non sapevo niente dei piccoli trucchi dei bambini, cosí non capivo bene che cosa volesse dire e risposi ingenuamente:
- Si, la mia mamma si è raccomandata che studi molto...
Egli sorrise lasciando intravedere denti bianchissimi e poi mi accompagnó verso la porta. Chiamó uno dei ragazzetti che stavano ggiocando e gli disse:ç
- Questo è uno nuovo, accompagnalo a giocare...
Quindi se ne andó e vennero altri bambini, che tutti si misero ad osservarmi con curiositá, sorridendo: !Montanaro burino! Commentò uno notando le mie guance rosse dato che gli abitanti della costa per lo piú sono pallidi. Gli altri scoppiarono a ridere. Il bambino che doveva portarmi a giocare disse con calma:
- Sai giocare ad acchiappare?
Io gli dissi di no e egli sentenzió:
- Sei nuovo, chiaro che non sai giocare...
Mi lasciarono per continuare ad acchiapparsi, io ero molto confuso e il rumore della ricreazione mi intontiva.
Cercai con lo sguardo il maestro e alla fine lo trovai accanto alla porta, secco secco e scuro mentre parlava con un altro professore grasso e dai baffi diritti, un buon uomo che anch'io avrei finito per chiamare Champollion, come da alcune generazioni facevano tutti gli alunni. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e me ne andai a zonzo. Attraversando una porta entrai in un grande cortile dove vi erano studenti piú grandicelli. Nessuno mi guardava e nessuno mi diceva nulla. Era li che doveva trovarsi mio zio. C'erano molti cortili, molte aule, molti archi. Le pareti erano dipinte di rosso chiaro, quasi rosa come per temperare la severitá di un edificio che in altri tempi era stato un convento. Suonó la campana e io non sapevo più ritornare in classe. Ero perduto de entrai per sbaglio in un'altra. Proprio Vallejo venne a recuperami. Si era accorto della mia assenza e si era messo a cercarmi di aula in aula, mi prese per mano e mi portó con lui. Ricordo ancora la sensazione che mi produsse la sua mano grande, fredda e nodosa, stringendo la mia timida e scivolosa per la tensione. Volli liberarla ma egli la trattenne. Mentre camminavamo per gli ampi corridoi desertimi andava dicendo senza che io mi azzardassi a rispondere:
- perché ti sei messo a camminare? Sei restato solo?. Un bimbetto come te non deve allontanarsi dalla sua aula e dal suo cortile. Questa scuola è moltogrande... Sei triste?
Giungemmo alla nostra aula e mi condusse al mio banco. Si mise dietro la sua cattedra che stava alla stessa altezza dei nostri banchi e molto vicina ad essi di modo che ci parlava proprio a fianco. Fu allora che mi resi conto che il maestro no si tagliava i capelli come tutti gli altri uomini ma che portava una grande chioma liscia, abbondante e negrissima. Senza sapere a che attribuirlo chiesi a voce bassa al mio compagno di banco:
- perché porta i capelli così?
- È un poeta, mi sussurró.
La personallitá di Vallejo cominciava a sembrarmi in po' misteriosa e cominciai a farmi qualche domanda a cui non sapevo rispondere. Egli mi scosse dalle mie perplessitá dando due colpi sulla cattedra con il righello. Era il suo modo di richiamare l'attenzione. Annunció che stava per dettare la lezione di geografia e imbricando le dite in modo da simulare la forma della terra con le sue mani scure e magre disse:
- Bambini, la terra è rotonda come una arancia... proprio questa terra in cui viviamo e che ci sembra piatta è rotonda.
Ciro Alegria
trad genseki
venerdì, gennaio 23, 2009
Dedicato all'UAAR
La negazione dell'esistenza di Dio non è evidentemente esclusiva dell'ateismo come ci spiega Tomaso con limpida concisione:
Deus non est existens, sed supra existentia, tu dicitE in altro luogo:
Dionysius. Ergo non est intelligibilis, sed supra omnem
intellectum.
Deus non sic diciturr non existens quasi nullo modo sit
existens, sed quia supra omne existens, inquantum est suum esse. (Summa T. I,
12;1)
Quindi il polemico slogan dell'ateobus di Genova potrebbe esssere, senza problemi, sottoscritto, con ogni probabilitá dallo stessissimo Tomaso.
genseki
Colui che conosce
genseki
L'Assoluto
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.
genseki
giovedì, gennaio 22, 2009
Ibn Arabi
a cura di genseki
mercoledì, gennaio 21, 2009
Miguel de Unamuno
genseki
Se esistessero davvero soffrirebbero di esistere e non si accontenterebbero dell'esistenza.
*
Dalla "Vida de Don Quixote"
trad. genseki
martedì, gennaio 20, 2009
Paths of Glory La scena finale
Il filmato è una breve e terribile illustrazione di quanto espresso da Alain nel post precedente.
genseki
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
I brani seguenti non sono aforismi, anche se possono averne la tagliente secchezza, si tratta, invece, di brani tratti dall'opera “Mars ou la guerre jugée”, del filosofo francese Alain credo inedita in italiano.
In essa troviamo una delle analisi piú attente della guerra moderna (si riferisce alla Prima Guerra Mondiale) in tutto la sua efficace brutalitá.
Logica de efferatezza, economia e morale del sacrificio, psicologia e fisiologia si intersecano nell'edificio efferato dell'ideologia di guerra.
Alain partecipó alla Prima Guerra Mondiale all'etá di 46 anni come telefonista di artiglieria.
La guerre est toujours oubliée.
La guerra è sempre dimenticata
*
La guerre dépasse toujours les prévisions et le possible.
La guerra supera sempre le previsioni e il possibile
*
Il en faut jamais laisser entendre, ni en permettre de croire que la guerre soit compatible , en un sens quelconque, avec la justice et l'humanité.
Non bisogna mai far credere e neppure permettere che si creda che la guerra sia compatibile, in un senso qualsiasi, con la giustizia e con l'umanitá.
*
Aux premiers actes del la guerre, les fins trascendants périssent aussitôt, comme étrangers en cette mécanique ajustée pour se passer de tout, et même du courage.
Fin dalle prime mosse della guerra, i fini trascendenti periscono come estranei a questa meccanica concepita proprio per fare a meno di tutto e anche del coraggio.
*
La colère fille de la peur, n'attend pas l'ennemi pour combattre.
Ainsi la violence s'exerce d'abord contre elle-même, et toujours contre elle même...
(en guerre) l'ennemi n'est en vérité qu'un prétexte pour se nuire à soi-même.
Qui veut la guerre est en guerre avec soi.
La collera figlia della paura, non ha bisogno del nemico per combattere.
Così la violenza si esercita prima di tutto contro di sè, e sempre contro di sè...
(in guerra) il nemico è soltanto un pretesto per fare del mae a se stessi.
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
*
Le pouvoir par ses ruses fait de toute guerre sa guerre. Dans le combat, ce qu'il y a de fureur contre les maîtres lointains et contre les féroces spectateurs, qui peut le savoir? Le gladiateur croyai égorger César peut-être.
Il potere grazie alle sue astuzie fa di ogni guerra la sua guerra. Quanto sia il furore che nella guerra è diretto contro i padroni lontani e contro i feroci spettatori chi mai lo puó sapere? Il gladiatore credeva, forse, di sgozzare Cesare.
*
Contrairement à l'impression que produit la parade le grand corps des combattants est écervelé: un monstre où la tête en sent pas le corps et le tyrannise sans être instruite par lui.
Contrariamente all'impressione che produce la parata il grande corpo dei combattenti è un organo convulso e senza cervello: un mostro la cui testa non ha il sentimento del suo corpo e lo tirannizza senza ricevere stimoli da esso.
L'homme humilié méthodiquement si borne qu0il soit finit par sentir sa puissance d'oser, en accord enfin avec les opinions, les exemples et les ordres...” Quand vient le moment de dépasser en courage ce chef si habile à mépriser, le troufion le saisit de toute son âme. Il force ainsi l'estime qu'on lui refuse par une auadace qui paraîtra surhumaine parce que l'homme aura perdu tout souci de se conserver.
C'est ainsi, du sommet au bas de l'echelle, toujours le chef méprise pour meu bander l'énergie de revanche des subordonnés et on voit ainsi “le plus humble et le plus méprisé courir devant comme l'art militaire l'exige”
L'uomo metodicamente umiliato, per quanto limitato egli sia, finisce per sentire la sua capacitá di osare, in accordo, infine, con le opinioni, gli esempi, gli ordini...” Quando viene il momento i superare in coraggio questo capo così abile a disprezzare, il marmittone lo afferra con tutta l'anima. Forza allora la stima che gli si rifiuta con una audacia che sembrerá sovrumana perché l'uomo avrá ormai perduto ogni preoccupazione di conservazione.
É cosí che dalla sommitá al fondo della scala, il capo disprezza per meglio mettere in tensione l'energia di rivincita dei subordinato e si vede cos`”il piú umile e disprezzato correre davanti a tutto come lo esige l'arte militare.
Il film di Syanley Kubrik “Paths of Glory” sembra l'illustrazione cinematografica perfetta delle idee di Alain.
lunedì, gennaio 19, 2009
Lucian Blaga
L'avvoltoio che lassú si affanna
Sará estinto ormai da molti anni.
Vicino a Sibiu, nel verde manto
Solo le querce saranno rimaste
Forse un viandante mi ricorderá
O uno straniero nel tempo futuro?
No, nessuno racconterá di me.
Perchè si finirebbe per dire così:
Soleva passare di qua
Contemporaneo alle farfalle e a Dio.
trad. genseki
Kodo Sawaki e Daichi
Il vecchio albero morto nel cuore del monte
Sporge il suo tronco sul dirupo scosceso
Lucidato dai venti
Dalle piogge dilavato
Spogliato dal temporale.
Due mila inverni sono passati su di lui
E hanno lasciato solo l'essenza
Di quello che fu un albero.
Eppure anche se lo tagliassimo
A colpi d'ascia,
Questa essenza noi non sapremmo ritrovarla.
Splendido
Anche se non ha né fiori né foglie
Se non ha rami, scorza né linfa
Completamente secco
Pura essenza concentrata
Di secoli di espeienza.
L'oscuritá dell'ombra dei pini
Dipende dalla luce della luna.
*
Daichi
Il Drago celeste si rivela con un ruggito
Sulla casa del monte
Non c'è modo di passare
Non si puó varcare
La porta:
Tendi l'orecchio:
C'è solo il vento
Apri gli occhi:
Ecco la chiara luna.
Quanti però
Vengono fin quassú
Per affacciarsi da questo balcone.
Trad a cura di genseki
sabato, gennaio 17, 2009
Della Virtú
De la vertu
Il me semble que la vertu est chose, et plus noble, que les inclinations à la bonté, qui naissent en nous. Les âmes reglées d'elles mêsmes et bien nées, elles suivent mesme train et représentent en leur action mesme visage que les vertueueses. Mais la vertu somme je en sçais quoy de plus grand et de plus actif, que de se laisser par un douce complexion, doucement et paisiblement conduire à la suite de la raison. Celuy qui d'une douceur et facilité naturelle mespriseroit les offenses reçeues, feroit chose très belle et digne de louange: mais celuy qui picqué et outré jusques au vif d'une offence s'armeroit des armes de la raison contre ce furieux appetit de vengeance, et après un grand conflict, s'en rendroit enfin maistre, feroit sand doute beaucoup plus. Celuy-là feroit bien, et cestuy-ci vertueusement: l'une action se pourrait dire bonté, l'autre vertu. Car il semble que le nom de la vertu presuppose de la difficulté et du contraste, et qu'elle en peut s'exercer sans partie. C'est à l'aventure pourquoi nous nommons Dieu bon, fort, libéral et juste, mais nous en le nommons pas vertueux. Ses opérations sont toutes naïfves et sans effort
Montaigne
Les essais
Chapitre XII De la Cruauté
Parmi essere la virtú cosa piú nobile di quanto non siano le inclinazioni verso la bonta che sorgono in noi. Le anime ben organizzate in se medesime e bennate menano lo stesso treno di vita e mostrano nell'agir loro il volto istesso delle virtuose. Tuttavia la virtù aggrega un non so che di piú grande e di piú attivo che il mero lasciarsi condurre da una complessione dolce, pacificamente e mollemente, al seguito della ragione non sia.
Colui che con dolce facilitá naturale disprezzasse le offese ricevute farebbe, egli è certo, cosa bellissima e degna di essere commendata; ma colui che, ferito e oltraggiato da una qualche offesa nella sua carne viva si armasse con le armi della ragione contra la furiosa brama di vendetta, e dopo aspra pugna ne uscisse vincitore, certamente farebbe cosa ancora maggiore. Quegli farebbe bene, questi virtuosamente: quell'azione la si potrebe nomare bontà, l'altra virtú. Egli mi pare, infatti, che il nome di virtú presupponga difficoltá e contrasto, e che essa virtú non possa darsi senza urto. Per questo forse avviene che si chiami Dio buono, forte, liberale e giusto, ma non virtuoso. Le sue azioni sono senza calcolo e senza sforzo.
Trad genseki
venerdì, gennaio 16, 2009
Il Re Mesa
Lo spirito del Re Mesa continua a vivere in Medio Oriente, come se tre millenni non fossero passati, immenso fossile rapace dalle ali insanguinate, dall'odore di marcio e polvere da sparo
Iscrizione
(IX secolo avanti Cristo)
Son io colui che regna, Mesa, Figliol di Chemos
Ho abbattuto il bosco dei grandi pini scuri
Baal Meon ho edificato dalle mura di legno
dai muri di mattoni forte cittá africana
Ho detto: che ogni uomo scavi presso la casa
Una grande cisterna se no sia imprigionato
Per le piogge che cadono nei mesi dell'inverno,
Perché gli armenti possano pascolare sicuri,
Ho lasciato alle mandrie un gran campo murato:
Io ho fatto la porta e ho fatto la torretta
Astarte è la sovrana io guerreggio per Ella
Il Dio Chemos mio padre ha lottato al mio fianco
Quando da Gad cacciai Omri Re di Giudea
Ho costruito Aroer rocca delle piú forti
Le genti mi lodavano perché ero un Re buono;
Regnavo sull'armata immensa di Dibon
Che beve mentre canta all'ombra della morte
Mescendo sangue d'aquila con latte di cammella
Io, Giustiziere e Principe alla luce di Chemos,
E di Bal e di Dagon e di Astarte lunare
Ho scavato da Ur a Tiro gallerie
Chemos m'h detto: “Togli Nebo a Israele”
Io che sempre ho compiuto il volere del cielo
Ora chiudo i miei occhi in questo pozzo scuro
Sappiate che dovete venerar questa stele
Davanti a questa tomba bruciare i vostri aromi
Perché io ho trucidato gli abitanti di Nebo
Ne ho nutrito i corvi che volan tra le nubi,
Ho venduto al mercato le donne tutte nude,
Gravato col bottino quattrocento elefenti
E infine ho crocifisso tutti i bimbi e i lattanti,
Con la destra ha spazzato le razze miserabili.
Victor Hugo
La Légende des Siècles
trad. genseki
mercoledì, gennaio 14, 2009
Per Maresa II
Offerta di un bracciante ai venti
A voi stormo lieve
Che con le ali liete
I cieli trascorrete.
E con un fruscio breve
le verdi chiome ombrose
D'un fremito scuotete.
Offro un bel mazzolino
Di gigli e di violette
Di rose novellette,
Fresche rose vermiglie
Nuovamente dischiuse,
E un vago gelsomino.
Dolcemente spirate
Su queste terre arate
E su questo soggiorno.
Mentre io mi tormento
A vagliare il frumento
Nel calore del giorno.
J. Du Bellay
***
trad. genseki
Questo spirito è uno spirito senza spirito
È meglio onorare un solo adepto del non spirito che tutti i Buddha di tutti gli spazi. Perché? Perché il non spirito è l'assenza di ogni stato dello spirito particolare.La sostanza di ciò che è così ha un duplice aspetto: dentro è immobile come pietra o legno; fuori non incontra ostacolo come se si trattasse dello spazio vuoto. Quivi non si trova nè soggetto nè oggetto, non luogo nè direzione, non aspetto nè forma, non guadagno nè perdita. Coloro che hanno fretta non osano impegnarsi in questo cammino. Hanno paura di cadere nel vuoto senza la possbilitá di trovare ove agrapparsi. Poi, avendo scrutato l'abisso, si tirano indietro e, tutti allo stesso modo, partono alla ricerca di conoscenze e di opinioni. Ecco perché coloro che ricercano conoscenze e opinioni sono in numero maggiore delle piume ma coloro che su risvegliano alla Via, rari come le corna
Manjusri corrisponde al principio ultimo e Samantabhadra alla pratica. Il principio ultimo è il principio della vacuitá che nulla puó ostruire e la pratica, la pratica inesauribile che consiste nel separarsi dai caratteri particolari. Avalokitesvara rappresenta la grande compassione e Mahastamaprapta la grande conoscenza. Quanto a Vimalakirti, ovvero “Pura Fama”, “puro” designa l'essenza dello spirito e “Fama” i suoi attributi. Siccome essenza e attributi non sono distinti si parla di “Pura Fama”.
Insomma, ogni uomo possiede ció che esprimono i grandi Bodhisattva: semplicemente lo spirito uno al quale deve risvegliarsi. I diseepoli attuali non si risvegliano rivolgendosi al proprio spirito ma attaccandosi ai caratteri particolari. Si appropriano di oggetti esterni al loro spirito che è come se in fin dei conti dessero le spalle alla Via.
Il Buddha dice che le sabbie del Gange non si inorgogliscono per essere caplestate dai Buddha, dai Bodhisattva, da Indra o da Brahma e gli altri dei e non si sdegnano quando lo sono da bufali, capre, insetti, formiche. Queste sabbie non desiderano tesori preziosi né incensi raffinati e disprezzano gli escrementi e le altre forme di sporcizia. Allo stesso modo questo spirito è uno spirito senza spirito.
Oltre tutti i caratteri particolari, gli esseri viventi e i Buddha non sono piú differenti gli uni dagli altri e basta conoscere questo non spirito per raggiungere il risveglio.
martedì, gennaio 13, 2009
lunedì, gennaio 12, 2009
Tucidide a Gaza
DIALOGO DEGLI ATENIESI E DEI MELI
(Tucidide V 84 114)
Gli ateniesi propongono ai Meli di sottomettersi e di pagare un tributo al loro impero
Melo si trova davanti a un’alternativa:
accettare il dominio e salvarsi, o resistere, cosa che avrebbe causato l’assedio, la conquista e la distruzione della città.
84, 1 Nell’estate seguente Alcibiade giunse per mare ad Argo con venti navi e arrestò trecento Argivi sospetti di favoreggiamento per Sparta: gli Ateniesi li deportarono nelle isole vicine loro suddite. E gli Ateniesi fecero una spedizione contro l’isola di Melo con trenta navi loro, sei di Chio, due di Lesbo, e con 1200 opliti, 300 arcieri e 20 arcieri a cavallo venuti da Atene, 1500 opliti circa venuti dagli alleati e dagli isolani.
Tisia di Tisimaco, prima di colpire il territorio, inviarono ambasciatori per intavolare una discussione. Ma i Meli non li condussero davanti al popolo, bensì li invitarono a parlare su quegli affari, per i quali erano venuti, stando davanti ai magistrati e agli oligarchi.
85 E gli ambasciatori ateniesi così parlarono: «Dal momento che la discussione non ha luogo in presenza del popolo, evidentemente perché esso resti ingannato non potendo udire, in un discorso continuato, argomenti persuasivi e inconfutabili una volta per tutte (abbiamo capito, infatti, che questo è lo scopo per cui ci avete condotto in disparte di fronte agli oligarchi), voi che siete qui seduti cercate di agire in modo ancor più sicuro. Rispondete punto per punto, e neppure voi con un discorso continuato, ma replicando subito a quelle frasi che a vostro parere sono inesatte. E dapprima diteci se vi piace la proposta che vi facciamo».
86 E i consiglieri Meli risposero: «La ragionevolezza dell’informarci tranquillamente a vicenda non incontra il nostro biasimo, ma i preparativi di guerra, che sono già qui presenti e non tarderanno a mostrarsi, ci appaiono discordanti da tutto ciò. Vediamo che voi siete venuti qui a giudicare ciò che diremo, e che la conclusione della discussione, se, come è naturale, noi avremo la meglio in difesa del diritto e perciò non cederemo, ci porterà la guerra, mentre ci porterà la schiavitù se ci faremo persuadere».
ATENIESI 87 «Se siete venuti qui con noi per far calcoli sui vostri sospetti per il futuro, o per qualche altro scopo che non sia quello di prendere per la città, sulla base delle circostanze presenti e di ciò che sta sotto i vostri occhi, una deliberazione che la salvi, smetteremo di parlare; se invece siete venuti proprio per questo, parliamone».
MELI 88 «È naturale e comprensibile per persone che si trovano in questa situazione volgersi a
considerare tante cose, sia con parole che con supposizioni. Pure, la presente riunione è stata indetta per discutere della nostra salvezza, e la discussione si svolga, se vi piace, nel modo in cui ci invitate a discutere».
MELI 90 «A nostro parere, almeno, è utile (è necessario infatti usare questo termine, dal momento che avete proposto di parlare dell’utile invece che del giusto) - è utile che noi non distruggiamo questo bene comune ma che sia salvaguardato il diritto che spetta a colui che di volta in volta si trova in mezzo ai pericoli, e che sia avvantaggiato colui che riesce a persuadere un altro anche senza raggiungere i limiti dell’esattezza più rigorosa. E questo fatto non è meno utile nei vostri riguardi, in quanto in caso di insuccesso sarete d’esempio agli altri a prezzo di una severissima punizione».
ATENIESI 91, 1 «Ma noi non temiamo la fine del nostro impero se anche dovesse finire, perché non sono terribili per i vinti quelli che come i Lacedemoni comandano ad altri (e del resto la presente contesa non riguarda noi e i Lacedemoni), bensì i soggetti, qualora di propria iniziativa assalgano chi comanda e lo sottomettano.
nostro impero e che per salvare la nostra città ora vi facciamo questi discorsi, tutto ciò ve lo mostreremo, intenzionati a comandare a voi senza spendere fatica e a salvarvi con vantaggio di entrambi».
MELI 92 «E come può derivare dell’utile a noi dall’essere vostri schiavi, come a voi dal
comandarci? ».
MELI 94 «E non potreste accettare che noi, restando in pace, fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti? ».
ATENIESI 95 «No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza mentre l’odio lo è della nostra potenza».
MELI 96 «È così che vedono la giustizia i vostri sudditi, sì da porre sullo stesso piano quei popoli
che non hanno niente a che fare con voi e quelli che, vostri coloni per la maggior parte e vostri ribelli in un certo numero, sono stati da voi assoggettati? ».
ATENIESI 97 Sì, perché credono che né gli uni né gli altri manchino di giustificazioni per se stessi, e credono che alcuni di loro possano salvarsi grazie alla loro potenza, mentre noi non li assaliamo per paura. Sicché, oltre a farci comandare a un maggior numero di persone, voi con la vostra sottomissione ci fornireste un motivo di sicurezza, tanto più se, isolani e per giunta più deboli di altri, voi foste sconfitti da un popolo dominatore del mare».
MELI 98 «E nell’altro caso non credete di trarne sicurezza? Giacché, come voi ci avete distolto dal discorrere della giustizia e ci avete consigliato di obbedire a ciò che è utile per voi, così noi, mostrandovi il nostro vantaggio, dobbiamo cercare di persuadervi che il nostro utile può coincidere col vostro. E in realtà tutti coloro che ora sono neutrali, come non ve li renderete nemici allorché, guardando a quanto avviene a noi, penseranno che un giorno voi assalirete anche loro? In tal caso, che altro farete se non accrescere il numero dei vostri nemici e persuadere i riluttanti ad esserlo, anche se ora non ne hanno alcuna intenzione?».
ATENIESI 99 «No, perché noi non consideriamo pericolosi coloro che, abitatori di qualche parte della terraferma, grazie alla loro intatta libertà si guarderanno bene dallo stare sulla difensiva nei nostri riguardi; al contrario, noi temiamo quelli che, da qualche parte, sono isolani e non soggetti al nostro impero, come voi, insieme con coloro che ormai sono esasperati dalla costrizione del nostro dominio. Perhé costoro, abbandonandosi a calcoli errati, potrebbero numerosissime volte esporre se stessi e noi a un manifesto pericolo».
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MELI 100 «Certo, se voi affrontate tali pericoli perché il vostro impero non abbia mai fine, e se i
vostri sudditi li affrontano per liberarsene, per noi che siamo ancora liberi sarebbe grande viltà e debolezza non affrontare ogni rischio prima di essere schiavi».
ATENIESI 101 «No, se la vostra deliberazione sarà ispirata a saggezza: ché per voi la lotta ora non è su un piano di parità, per decidere della vostra valentia, e cioè perché non siate tacciati di un’onta; ora piuttosto si decide la salvezza, cioè di non opporsi a chi è molto più forte».
MELI 102 Ma noi conosciamo le vicende della guerra, che talvolta danno una sor te comune alle
due parti avverse più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla disparità delle forze; e per noi il cedere immediatamente ci priva di ogni speranza, mentre con l’agire c’è ancora qualche speranza di restare ritti in piedi».
ATENIESI 103, 1 «Ma la speranza, che incoraggia al pericolo, se anche danneggia quelli che vi si
affidano in una situazione di abbondanza, pure non li rovina. Ma quelli che tentano la sorte con tutte le loro sostanze (ché la speranza è per sua natura prodiga), la conoscono subito appena scivolano: essa però non lascia indietro qualche occasione perché uno possa poi stare attento, una volta che l'ha conosciuta.
MELI 104 «Certo anche noi, siatene sicuri, pensiamo che è difficile lottare contro le vostre forze e
contro la sorte, se essa non sarà favorevole. Pure, noi confidiamo di non essere da meno per quanto riguarda la sorte che ci manderà la divinità, giacché noi, pii, ci opponiamo a persone ingiuste, e abbiamo fiducia chl l’inferiorità delle nostre forze sarà compensata dall’alleanza coi Lacedemoni, i quali saranno costretti ad aiutarci se non altro per dovere di consanguineità e per sentimento dell’onore. E insomma, la nostra audaci non ci sembra del tutto infondata».
ATENIESI 105 1 «Ma per quanto riguarda la devozione dei sentimenti verso la divinità, neppure noi crediamo di essere da meno, perché noi non pretendiamo né portiamo ad effetto alcuna cosa che devii dalle umane credenze nei confronti della divinità o dai desideri degli uomini nei confronti di se stessi.
MELI 106 «Ma noi abbiamo fiducia che per via dell’utile che ne deriva i Lacedemoni non vorranno, col tradire i Meli loro coloni, diventare infidi a quei Greci che sono favorevoli a loro e utili a quelli che sono loro nemici».
ATENIESI 107 «Non credete che l’utilità si accompagni alla sicurezza, mentre il giusto e l’onesto si compiono con pericolo (cosa che, solitamente, i Lacedemoni non osano fare)? ».
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MELI 108 «Ma noi crediamo che loro tanto più affronteranno il pericolo per noi e lo
considereranno meno grave di quello affrontato per altri, in quanto noi siamo situati vicino alle azioni militari del Peloponneso e siamo più fidati di altri per via della consanguineità che si rivela nel nostro modo di pensare».
ATENIESI 109 «Ma la sicurezza, ai soccorritori, non è data dal benvolere di chi li ha chiamati in aiuto, ma solo dalla propria eventuale superiorità nell’agire, e a questo i Lacedemoni badano più degli altri (per sfiducia nel proprio apparato militare assalgono i vicini ricorrendo perfino all’aiuto di molti alleati), sicché non è probabile che compiano la traversata per arrivare fino a un'isola mentre noi siamo signori del mare».
MELI 110, 1 «Essi però potrebbero anche delegare altri a farlo, e vasto è il mare di Creta, in cui la cattura di qualcuno da parte di chi ne ha il controllo è più difficile di quanto non lo sia la salvezza di chivuole passare inosservato.
ATENIESI 111, 1 «Ma una di queste eventualità non si potrà realizzare se non dopo che voi avrete sperimentato la vostra sorte e imparerete che gli Ateniesi non si sono mai ritirati da un assedio per timore di altri.
sottomessi a un tributo) e, quando vi si concede la scelta tra la guerra e la sicurezza, a non intestardirvi nella soluzione peggiore. Coloro che non cedono a chi è pari di forze, si comportano al meglio di fronte ai più forti e sono moderati verso i più deboli, costoro ottengono i più grandi successi. 5 Riflettete dunque, anche dopo la nostra partenza, e ricordatevi più volte che state per prendere una decisione che riguarda la vostra patria, la quale è una sola e la cui salvezza dipende da un’unica decisione, a seconda che essa sia quella giusta o meno».
112, 1 Gli Ateniesi abbandonarono la discussione: i Meli, trattisi in disparte, poiché le loro vedute erano pressappoco simili alle risposte date nel dibattito, così risposero:
113 Così dunque risposero i Meli; gli Ateniesi, sciogliendo ormai il convegno, dissero: «Certo, a giudicare da vostre decisioni, voi, soli tra tutti quelli che conosciamo, considerate più sicuro il futuro del presente e, per il fatto che lo desiderate, contemplate l’incerto come se si stesse già realizzando e, gettandovi nelle braccia dei Lacedemoni e delle speranze e della sorte, quanto più siete pieni di fiducia, tanto più conoscerete gravi sciagure».
114, 1 E gli ambasciatori ateniesi tornarono al loro esercito: gli strateghi ateniesi, poiché i Meli non cedevano, si dettero subito alle operazioni belliche e, essendosi diviso il lavoro città per città, assediarono tutto all'intorno i Meli.
(…)
coloni.
Simone Weil a Gaza
Basta leggere i quotidiani di tutti i paesi sviluppati o ascoltare le notizie. I palestinesi non hanno diritto alla pietá.
Due pensieri alleviano un po' la sventura. Che essa finirá quasi subito, oppure che non finirá mai. Ma non si puó pensare che essa è, semplicemente. Questo è insostenibile.
In queste parole forse si puó intravedere il senso della resistenza disperata degli abitanti di Gaza e dei militanti di Hamas
***
La sofferenza non è nulla al di fuori del rapporto tra il paasato e il futuro, ma per l'uomo cosa c'è di più reale di questo rapporto? La realtá stessa.
***
Nessuno compiangeva uno schiavo (un palestinese di Gaza); dunque egli poteva diffondere a sé il male che soffriva, solo con la cattiveria (lancio di missili Kassam), poiché gli era impossibile far soffrire gli altri per pietá.
Al di sotto di un certo livello questo desiderio di diffondere il male al di fuori di se sparisce e la sventura rende docili.
Questo grado estremo di sventura sembrerebbe essere l'obiettivo che Israele intende disumanamente raggiungere e che fino ad oggi non ha potuto conseguire.
***
Le perti in verde sono di genseki, le azzurre di Simone Weil dai Quaderni vol II pagg. 47-49 a cura di G. Gaeta.
sabato, gennaio 10, 2009
Stephan Hermlin
Riportano i quotidiani che per l'influsso
Degli esperimenti con le bombe all'idrogeno
Gli uccelli migratori hanno variato
Le loro rotte per i mari del sud.
Per mari e per savane gli spinse
Il bisogno di vita, sui venti
Come sordi e ciechi, da tempi immemorabili
Alla ricerca di cibo e di un nido.
Non gli trattenne tuono né tifone
Neppure le reti dei cacciatori;
quando gli chiamava
Il grido stridulo a lanciarsi verso una stessa meta
Su uno stesso cammino
Sempre per il medesimo tragitto.
Essi che non temevano pioggia e tempesta
Videro un giorno in pieno mezzogiorno
Il volto atroce di una luce altissima
Questo gli spinse a cercare altre rotte
Verso nuove terre piú accoglienti
Che questo cambio scuota i vostri cuori.
Trad genseki
venerdì, gennaio 09, 2009
L'albero di Gaza
un albero pieni di frutti
sono i frutti del sonno
non dormito
da tante palpebre sbarrate
palpebre spietate
son frutti senza ombra
frutti maturati alla linfa
di cenere
gabbiani senza occhi
vi pongono il loro nido
si nutrono del siero
dei sogni disossati
non un'ala si muove
nè foglia stormisce
aspettano una pioggia
che non venga dal cielo
ma cada dalla terra
dalle ossa dei morti
dalla carne disfatta
alle radici dei cardi
cada verso le nuvole
e sollevi dal fango
le palpebre sbarrate
e le ditta annerite.