martedì, giugno 14, 2016

Ratzinger

In a 1969 German radio broadcast, Father Joseph Ratzinger said :
Let us, therefore, be cautious in our prognostications. What St. Augustine said is still true : man is an abyss ; what will rise out of these depths, no one can see in advance. And whoever believes that the Church is not only determined by the abyss that is man, but reaches down into the greater, infinite abyss that is God, will be the first to hesitate with his predictions, for this naïve desire to know for sure could only be the announcement of his own historical ineptitude.
If today we are scarcely able any longer to become aware of God, that is because we find it so easy to evade ourselves, to flee from the depths of our being by means of the narcotic of some pleasure or other. Thus our own interior depths remain closed to us.
From the crisis of today the Church of tomorrow will emerge — a Church that has lost much. She will become small and will have to start afresh more or less from the beginning. She will no longer be able to inhabit many of the edifices she built in prosperity. As the number of her adherents diminishes, so it will lose many of her social privileges.
It will be seen much more as a voluntary society, entered only by free decision. As a small society, it will make much bigger demands on the initiative of her individual members.
Undoubtedly it will discover new forms of ministry and will ordain to the priesthood approved Christians who pursue some profession. In many smaller congregations or in self-contained social groups, pastoral care will normally be provided in this fashion.
Along-side this, the full-time ministry of the priesthood will be indispensable as formerly.
But in all of the changes at which one might guess, the Church will find her essence afresh and with full conviction in that which was always at her center : faith in the triune God, in Jesus Christ, the Son of God made man, in the presence of the Spirit until the end of the world.
In faith and prayer she will again recognize the sacraments as the worship of God and not as a subject for liturgical scholarship.
The Church will be a more spiritual Church, not presuming upon a political mandate, flirting as little with the Left as with the Right.
It will be hard going for the Church, for the process of crystallization and clarification will cost her much valuable energy. It will make her poor and cause her to become the Church of the meek.
When the trial of this sifting is past, a great power will flow from a more spiritualized and simplified Church.
Men in a totally planned world will find themselves unspeakably lonely. If they have completely lost sight of God, they will feel the whole horror of their poverty. Then they will discover the little flock of believers as something wholly new. They will discover it as a hope that is meant for them, an answer for which they have always been searching in secret.
And so it seems certain to me that the Church is facing very hard times. The real crisis has scarcely begun. We will have to count on terrific upheavals.
But I am equally certain about what will remain at the end : not the Church of the political cult, which is dead already, but the Church of faith. It may well no longer be the dominant social power to the extent that she was until recently ; but it will enjoy a fresh blossoming and be seen as man’s home, where he will find life and hope beyond death.

mercoledì, giugno 01, 2016

Hans Urs Von Balthasar

Il cristiano che è interrogato e che interroga è più che mai isolato. Finora c’era sempre un punto di contatto per il dialogo religioso, sembrava almeno che ci fosse un fondo comune di certezza, e la discussione riguardava solo diffenze secondarie. La posizione di Paolo sull’areopago, dopo una passeggiata mattutina attraverso i templi ed i santuari di Atene, ci appare addirittura invidiabile. I suoi interlocutori sono ‘religiosissimi’, non solo vedono la divinità in azione dovunque nell’universo, ma non hanno alcuna difficoltà a credere conmaggior o minor sicurezza ogni specie di rivelazioni particolari e riconoscono ilculto, che lo stato decreta loro. Non si tratta più, per cosi dire, che di svelare il ‘Dio ignoto’ e di provare che la sua manifestazione nella morte e risurrezione di Cristo non ha paragone con gli altri.


Oggi si esige che tutti, anche tu che così a lungo, troppo a lungo, hai guardato in direzione di Dio, girino in senso radicalmente inverso: conversione al mondo. Non rientra infatti 1 questo nella tua stessa logica cristiana? I primi discepoli non sono mandati dal loro Maestro in tutto il mondo? Contraddici a te stesso se tu solo, mentre tutti guardano in avanti, guardi fisso all’indietro.

Il cristiano si guarda attorno in cerca di aiuto; ciò che una volta lo avvolgeva come un abito che forniva protezione e calore è scomparso ed egli si sente penosamente nudo. Si sente come un fossile di epoche tramontate.

Da: "Chi è il cristiano?"



lunedì, maggio 30, 2016

La Coscienza

Dal testo di Romano Guardini: La coscienza


Abbiamo dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni. Che i diversi interessi del mondo spirituale esigono di volta in volta un diverso modo diparlare e di ascoltare; richiedono uno spazio interiore diverso, nel quale possano svolgersi questo parlare e questo ascoltar

Il bene non diventa realtà, se non lo attuo.

Il bene non è una legge morta. È la vita infinita che vuol essere inserita in questa realtà. Nella sua pura essenza questa vita è per noi inesprimibile; appunto perché è infinita e nello stesso tempo semplicissima. Ma essa vuole assumere una figura terrena, umana. È ciò che avviene nell’azione morale. L’attività morale ha in sé qualche cosa di misterioso

Nell’attività morale si tratta di render reale, umanamente reale quello che ancora non lo è. Si tratta di dar forma terrena a qualche cosa di eterno e di infinito.


Ma poi, con le opere, dobbiamo trasfondere il bene nella realtà, altrimenti esso resta aspirazione infeconda. Bisogna che ne imprimiamo la forma nella materia nella realtà che ci circonda: nella situazione. Ciò vuol dire che dobbiamo afferrare ciò che è nuovo; quello che qui mi sta attorno: uomini, avvenimenti, cose, circostanze. Tutto ciò arriva, diviene, si articola, qui, adesso - e in questo momento bisogna che lo afferri. Devo vedere: che cosa importa per me tutto questo che mi circonda? A quali cose devo rivolgere il mio sguardo? Il mio giudizio? Che cos’è qui il bene? Vedere, giudicare, deliberare, fare tutto ciò;chiaramente, magnanimamente, ponderatamente, risolutamente; con atto energico e netto, che abbia sangue e colore, lo slancio del cuore e la sicurezza della mano -questo significa fare il bene. Agire moralmente significa quindi creare qualche cosa; non in pietra o in colore o in suono, ma nella materia reale della vita.

La vita morale è disertata su larga scala. Le forze creatrici si sono trasferite al servizio di un’arte raffinata, di un’attività politica sfrenata, di un’economia pura o di qualsiasi altra cosa. È tempo che riconosciamo di nuovo che l’attività morale è una creazione e vi convogliamo di nuovo le vive energie morali.


Così la coscienza è anche la porta, per la quale l’eterno entra nel tempo. È la culla della storia. Solo dalla coscienza sgorga «storia», la quale significa ben altro che non un processo naturale. Storia significa che, in seguito a libera opera umana, qualche cosa di eterno entra nel tempo.

Ogni situazione si presenta una unica volta. Per cui anche quello che deve avvenire in essa non è mai avvenuto e non tornerà più. Bisogna dunque che venga divinato e plasmato per la prima volta.

La coscienza è dunque l’organo per l’eterna esigenza del bene, che deve venir attuato: la coscienza è per l’uomo come una finestra aperta sull’eternità. Una finestra però che allo stesso tempo dà anche sul coro so del tempo e sugli avvenimenti quotidiani. La coscienza è l’organo, che trae l’interpretazione del comandamento del bene, eterno e sempre nuovo, dai fatti concreti; l’organo col quale sempre di nuovo si riconosce in qual modo il bene eterno ed infinito debba venir attuato nella specificazione del tempo. È un obbedire e al tempo
stesso un creare; un comprendere e un giudicare; un penetrare e un decidere.


Da questa prigionia in me stesso io mi libero soltanto se trovo un punto, che non sia il mio «io»; una «altezza al di sopra di me». Un qualche cosa di solido e operante che si affermi nel mio interno. Ed eccoci arrivati al nocciolo della nostra odierna considerazione, cioè alla realtà religiosa.
Quel «bene», del quale abbiamo parlato, che cos’è veramente?
Non una «legge», che penda affissa da qualche parte. Non una semplice idea.
Non un concetto campato in aria. No, esso è qualche cosa di vivo. Diciamolo senz’ambagi: è la pienezza di valore dello stesso Dio vivente. La santità del Dio vivente: ecco il bene.



Mi ricordo ancora il luogo, ove un bel mattino mi si affacciò questo concetto così semplice e pur così celato e sottile: Quando io dicessi: «l’amore»... e questo amore divenisse pieno e perfetto in forza, in purezza, in misura, in durata e profondità e quanto al suo oggetto; ed ora, assolutamente pieno e perfetto incominciasse ad esistere in sé, divenisse persona; diventasse l’amore stesso per essenza - che sarebbe questo amore? il Dio vivente! Questa intuizione mi rese raggiante di gioia!... Il valore, la fedeltà, l’onore, la bontà, la giustizia, la misericordia... in una parola: «il bene», nella sua infinitezza e nella sua pura semplicità - tutto ciò è la santità vivente di Dio e nient’altro.


La coscienza è l’organo per il bene; ed è l’organo per Iddio.


Inderogabile ed essenziale caratteristica della legge morale si è che mi «venga incontro»; che non sia dunque per me l’«io» stesso.

Là, dove il nostro essere confina, quasi a dire, col nulla, sta la mano di Dio e ci regge. Là egli ci parla. Non come una forza indeterminata o una semplice legge. Non come alcunché di impersonale, ma come un «io», al quale è possibile rispondere con un «tu». Dio parla dunque dentro di noi. Ma questo stesso Dio è il Creatore e il Signore del mondo.

Ovunque viva un uomo, ivi, in lui, è il centro del mondo.

L’uomo non ha soltanto un’essenza, comune a tutti i suoi simili; egli ha di più.
L’essenza dell’uomo porta in ogni singolo l’impronta terminale di unicità: è «nome». Tutte le altre cose si trovano già nel tipo della specie. L’uomo solo è a priori «singolo». Ma lo è, perché ha rapporto immediato con Dio. Tutte le cose del mondo sono intrecciate nel contesto dell’universo e negli ordinamenti della specie; e anzi, in misura totale. Anche l’uomo vi è inserito, ma solo con una parte del suo essere.


L’uomo dunque non ha soltanto un’essenza determinata, ma porta anche un nome. L’atto divino della creazione, dal quale ho ricevuto la mia realtà, fu un atto di denominazione.

Non sono soltanto individuo, ma anche persona. Non porto in me soltanto un’essenza generica, ma un’essenza che ha l’impronta dell’unicità: porto un nome. Questo nome l’ho da Dio. Sono nel mondo, ma non mi confondo con esso. Con ciò che ho di intimo vengo immediatamente da Dio e sto in rapporto diretto con Lui. Egli mi ha creato come questa determinata persona. Questo nome che mi ha imposto non è racchiuso nella natura generica «uomo». Non si sperde nell’articolazione dell’universo, e Dio solo lo sa. Perciò io posso conoscere il mio nome, conoscere cioè quello che ho di più mio, solo ricavandolo di là, dove è custodito, cioè da Dio. I vari strati del mio essere possono essere portati alla condizione di realtà cosciente con maggiore o minore facilità. Quanto più nobili e più profondi, tanto più difficilmente. L’ultimo diventa reale soltanto nell’incontro con Dio.

Così pregava Newman: «Ho bisogno che Tu m’istruisca, giorno per giorno, su ciò che è l’esigenza e la necessità di ogni giorno. Concedimi, o Signore, la chiarezza della coscienza, la quale sola può sentire e comprendere la Tua ispirazione. I miei orecchi sono sordi; non so percepire la Tua voce. I miei occhi sono offuscati; non so vedere i Tuoi segni. Tu solo puoi affinare il mio orecchio, acuire il mio sguardo e purificare e rinnovare il mio cuore. Insegnami a star seduto ai Tuoi piedi e a prestar ascolto alla Tua parola. Amen».

La forma più ovvia del raccoglimento sarebbe certo l’ordine. Ordine della vita e del lavoro quotidiani, degli oggetti in camera e in casa, delle occupazioni nel corso della giornata e dei giorni; della lettura, dei pensieri e così via.
L’ordine raccoglie.

Raccoglimento significa qui che sappiamo, una buona volta, non tanto fare, quanto vivere. Avere un’esistenza tranquilla. Un’esistenza piena, libera dall’ossessione del fare e del volere.
Noi tendiamo sempre ad una mèta, poi ad un’altra ulteriore, e cosi di seguito. Sempre verso qualche cosa che non esiste. Sbrighiamo una cosa e la gettiamo dietro le spalle. Viviamo gli avvenimenti, rapidamente e già essi non sono più.
Cosi viviamo sempre scivolando fra quello che non è più e quello che non è ancora.
Raccoglimento significa qui creare il presente, sostare e divenir presenti.



martedì, maggio 24, 2016

Wendell Berry

Dai miei anni di collegio e dalle mie letture venni a conscenza dei diversi nomi che alla fine di una serie di domande o in periodi di sconcerto sono attribuiti a Dio: la prima causa, il primo mobile, la forza vitale, la mente universale, il princpio primo, il motore immobile, la provvidenza, Io stesso ho usato questi nomi discutendo con altri o con me stesso o cercando di darmi una spiegazione.
Ora posso dire che tutti questi nomi non spiegano nulla. Non sono di maggior utilitá che evoluzione o selezione naturale o Big Bang. Quello che questi nomi fanno è avvolgerci con la lunghezza e la profonditá dei nostri stessi pensieri e aspirazioni., Penso che ho conosciuto la tentazione della semplice ragione, di credere solo in quanto si puó provare, fino a che non avanzai la supposizione che non si trattase dei nomi veri.

Ho immaginato che il vero nome possa essere Padre e ho immaginato che cosa implica: l'amore, la compassione, l'offesa, la ferita, la delusione, la rabbia,, le lacrime, il perdono, la sofferenza fino alla morte. Se il mio amore potrebbe spingere il mio pensiero oltre il limite del mondo e del tempo, potrei forse non comprendere come la divina onnipotenza possa essere scagliata in questo mondo dalla stessa forza del suo amore? Potrei forse non vedere come egli puó, volendo conoscere la sua creatura per compassione soltanto, prendere carne mortale, divenire uomo, camminare tra di noi, assumere la nostra natura e il nostro destino, la sofferenza, la debolezz e la nostra morte?

Potrei immaginare un padre che è un poco come la chioccia che distende le ali prima della tempesta o al crepuscolo prima della notte sui piú piccoli di Port Williams perché vengano a ripararsi, alcuni accorrono, altri no. Posso immaginare Port Williams cavalcare la sua onda nel tempo, sotto il cielo, le sue fiammlele che risplendono, escono fuori mentre le sue vite attraversano nascita, piacere, dolore, morte. Posso immaginare Dio che guarda giú, verso di loro, verso le loro vite che vivono nel suo spirito, che respirano per il suo respiro, che conoscono grazie alla Sua luce, ma vivono la loro vita, (inevitabilmente) ognuno secondo la sua volontá. Il Suo corpo dato per essere spezzato.

Wendell Berry

trad. genseki

giovedì, maggio 19, 2016

Elisa, vita mia

   ¿Quién me dijera, Elisa, vida mía,
      cuando en aqueste valle al fresco viento
      andábamos cogiendo tiernas flores,
      que había de ver, con largo apartamiento,
 5-  venir el triste y solitario día
      que diese amargo fin a mis amores?
              

Garcilaso de la Vega

mercoledì, maggio 18, 2016

Il giardino di Asolo

Era questo giardino vago molto e di maravigliosa bellezza; il quale, oltre ad un bellissimo pergolato di viti, che largo e ombroso per lo mezzo in croce il dipartiva, una medesima via dava a gl'intranti di qua e di là, e lungo le latora di lui ne la distendeva; la quale, assai spaziosa e lunga e tutta di viva selce soprastrata, si chiudeva dalla parte di verso il giardino, solo che dove facea porta nel pergolato, da una siepe di spesissimi e verdissimi ginevri, che al petto avrebbe potuto giugnere col suo sommo di chi vi si fosse accostar voluto, ugualmente in ogni parte di sé la vista pascendo, dilettevole a riguardare. Dall'altra onorati allori, lungo il muro vie più nel cielo montando, della più alta parte di loro mezzo arco sopra la via facevano, folti e in maniera gastigati, che niuna lor foglia fuori del loro ordine parea che ardisse di si mostrare; né altro del muro, per quanto essi capevano, vi si vedea, che dall'uno delle latora del giardino i marmi bianchissimi di due finestre, che quasi ne gli stremi di loro erano, larghe e aperte, e dalle quali, perciò che il muro v'era grossisimo, in ciascun lato sedendo si potea mandar la vista sopra il piano a cui elle da alto riguardano. Per questa dunque così bella via dall'una parte entrate nel giardino le vaghe donne co' loro giovani caminando tutte difese dal sole, e questa cosa e quell'altra mirando e considerando e di molte ragionando, pervennero in un pratello che 'l giardin terminava, di freschissima e minutissima erba pieno e d'alquante maniere di vaghi fiori dipinto per entro e segnato; nello stremo del quale facevano gli allori, senza legge e in maggior quantità cresciuti, due selvette pari e nere per l'ombre e piene d'una solitaria riverenza; e queste tra l'una e l'altra di loro più a drento davan luogo ad una bellissima fonte, nel sasso vivo della montagna, che da quella parte serrava il giardino, maestrevolmente cavata, nella quale una vena non molto grande di chiara e fresca acqua, che del monte usciva, cadendo e di lei, che guari alta non era dal terreno, in un canalin di marmo, che 'l pratello divideva, scendendo, soavemente si facea sentire e, nel canale  ricevuta, quasi tutta coperta dall'erbe, mormorando s'affrettava di correre nel giardino.

Pietro Bembo
Gli Asolani


kenneth Rexroth

Indigeni di camere ammobiliate
le nostre ore miglori le passammo
a spese dei contribuenti
nei parchi pubbllici di quattro cittá
Forese era peggio, il livello,
l'erba ben alimentata, il sollevarsi
ritmico della braccia infantili
una brillante palla rossa che seguiva
una linea di sorrisi
i vestiti dell bambine
come fiori di giacinto
nell'agosto incipiente, le fontane
scoiattoli addomesticati, piccioni
passeri e altre

infinite, memorabili cose.

trad. genseki

martedì, maggio 17, 2016

Blanchot

So - lo so - che colui al quale stavano giá puntando i fucili i tedeschi, che attendevano ormai solo l'ordine finale, sperimentó allora un sentimento di leggerezza straordinario, una specie di beatitudine (non di felicitá, comunque), una allegria ovrana? L'incontro della morte con la morte?
Non cercheró di analizzare in vece sua quasto sentimento di leggerezza. Chissá fu repentinamente invincibile, forsse un sentiment di compassione per l'umanitá sofferente, la fortuna di non essere immortale, di non essere eterno. Da allora fu legato alla morta da una amicizia surretizia.

Blanchot

L'istante della mia morte

Mani

Muovendo le nostre mani unite
oltre il lago, come in volo,
fino al bosco oscuro, sulle cime degli abeti,
appena distinguiamo gli steli delle graminacee
non è che un prato
e noi due distesi -
quando ritornano a posarsi,
intrecciate le nostre braccia
come rami di un vecchio melo -
accarrezzano le nostre ombre
sono le nostre mani
Le carezze di altri.


genseki

Blanchot

Sperimento vivendo un piacere illimitato e proveró morendo una soddisfazione infinita.

Blanchot
La follia della luce
trad genseki

lunedì, maggio 16, 2016

Kenneth Rexroth

Sei mesi eterni come un sogno
cosí impotente...
la tua sosta sulla scala del metro
ondeggi, sorridi e discendi
un istante tra risveglio e risveglio
hai sorriso per ondeggiare ancora
a due isolati da un bulevard nebbioso di Chicago?
Quante dinastie tramontarono nel frattempo?
Quanto tempo impiegó l'altra mano
A compiere il suo periplo?

trad genseki




















,









Kennet Rexroth


Piú tardi quando nell'acqua gaia
Esplose il loto rosso, e il verde perfetto
smaltó alberi ed erba, “io solo, competamente solo,
galleggiando” restai pensoso sull'acqua dello stagno.
Quando il sole basso penetró coi raggi cremisi
gli interstizi del loto splendente; cosciente
del giungere, nella profondita degli anni, di un tempo
in cui queste lagune questi alberi scuri
lo specchio scorrevole di questo crepuscolo su cui navigammo
saranno spazzati da un'onda gigante fuori dalla memoria
in una pomeriggio normale, ancora lontano -

immensa, in vertigine e orrore.

trad. genski

giovedì, maggio 12, 2016

A Resolution

Piove, nel caffé

La bellezza della figlia del re viene dall'interno (Salmo 45,14)


Piove ai vetri del caffé le gocce
Raccontano dell'abbandono, del pericolo
Ê un limbo questo dove ci scaldiamo
Alle frottole, alla musica scadente,
all'odore del riso che si tosta.
Usciremo prima o poi nella nebbiolina
Tra i richiami dei merli fitti fitti
Il piede del vesante fiorito di cardi
Si scuote al passo dei lupi
Cominciamo a salire, inzuppiamo
Le scarpe e le calze nell'erba bagnata
anche questo lo accettiamo nel suo nome
È poca cosa e presto sapremo
Su quale cima si erge il cippo
Su quale la croce
E vi riposeremo finalmente.

genseki


martedì, maggio 03, 2016


Inno alla Madre

ora sei benedetta tra le spighe
e marci sulle orme dei santi
eucalipti dorati ti danno ombra
germoglio di madreperla
la tua anima bambina
tu agnella impigliata tra le spine
Il tuo antico dolore instancabile
cesella ora le gioie che ti adornano
e i raggi della luna ti incoronano
verdi scintille i tuoi occhi come foglie
é Sion la tua dimora, tra le tende
dei beduini che salgono al santuario
crescono i virgulti sui tuoi passi sciolti
e l'olio profumato ti impregna i capelli.
Sei una carezza ora alla mia fronte
Perdonami per quello che MI HAI FATTO.



giovedì, marzo 17, 2016

Cori descrittivi di stati d'animo di Didone





Dileguandosi l'ombra,
In lontananza d'anni,
Quando non laceravano gli affanni,

L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.

Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:

Il cuore roso, sgombra!

Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.

Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
n sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.
III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
.
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e mi hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.

Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
VII.
Nella tenebra  muta
Cammini in campi vuoti dogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.
X.
Non odi del platano
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?

Il mio declino abbellirò stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
XIII.
Sceso dall'incantevole sua cuspide
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
Spargendosi nelle ore, nei minutì
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
Per patirne l'estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,

Opachi, senza raggi.
XV.
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
XIX.
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.

da Co

Benedizione del viaggiatore, San Patrizio

Possa la strada venirti incontro;
possa il vento soffiare
sempre alle tue spalle;
possa il sole splendere
sempre sul tuo viso
e la pioggia cadere
soffice sul tuo giardino
e fino a che non ci
incontreremo di nuovo
possa Dio tenerti
nel palmo della Sua mano 

Benedizione del viaggiatore, San Patrizio


mercoledì, marzo 09, 2016

Per Marcos

Per Marcos che é nato il 5 di Marzo.

Quando un giorno ti lascia
Pensa all'altro che spunta.

Ê sempre pieno di promesse il nascere
Sebbene sia straziante
E l'esperienza d'ogni giorno insegna
Che nel legarsi, sciogliersi o durare
Non sono i giorni se non vano fumo.

Ungaretti




mercoledì, gennaio 13, 2016

Die Wise

Die Wise teaches the skills of dying, skills that have to be learned in the course of living deeply and well. Not a seven step coping strategy, not an out-clause for trauma or sorrow, Die Wise is for everyone who, hell or high water, is not going to pull off eternity after all. Dying is not the end of wisdom and wisdom not exhausted by dying. Dying could be and must be the fullest expression and incarnation of what you’ve learned by living. It’s a moral obligation to die well. If you love somebody, if you care about the world that’s to come after you, if you want somebody to be spared the lunacy of what you’ve seen, you’ve got to die wise.

Orphan Wisdom

ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙΝ ΗΧΟΣ ΠΛΑΓΙΟΣ ΤΟΥ ΠΡΩΤΟΥ (το Πατριαρχικόν)

domenica, gennaio 03, 2016

Tolkien

The Gospel contains a fairy-story, or a story of a larger kind which embraces all the essence of fairy-stories. They contain many marvels—peculiarly artistic, beautiful, and moving: ‘mythical’ in their perfect, self-contained significance; and among the marvels is the greatest and most complete conceivable eucatastrophe. But this story has entered History and the primary world; the desire and aspiration of sub-creation has been raised to the fulfillment of Creation. The Birth of Christ is the eucatastrophe of Man’s history. The Resurrection is the eucatastrophe of the story of the Incarnation. . . . To reject it leads either to sadness or to wrath.

 Tolkien, “On Fairy-Stories,” 155-56

domenica, dicembre 27, 2015

+ B A R T O L O M E O
PER GRAZIA DI DIO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI
NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO
A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA
GRAZIA, MISERICORDIA E PACE DA CRISTO SALVATORE
NATO A BETLEMME


Fratelli e Figli amati nel Signore,


La dolcezza della Santa Notte di Natale avvolge ancora una volta il mondo. E nel mezzo delle pene e delle sofferenze dell’umanità, della crisi e delle crisi, delle passioni e delle inimicizie, delle insicurezze e delle delusioni prevale con lo stesso fascino di sempre, reale e attuale come mai, il mistero della incarnazione di Dio, che ci spinge a “imparare la giustizia, noi abitanti della terra” (Is. 26,9), poiché “per noi oggi è nato un Salvatore” (Lc. 2,11).

Purtroppo, tuttavia, nella nostra epoca molti uomini pensano come quell’uccisore di bambini, Erode, quell’ignobile e spietato,  e annientano il loro prossimo in svariati modi. La mente distorta dal proprio egocentrismo  del dominatore di tale mondo, che viene personificata nel volto omicida di Erode, ha visto paradossalmente un pericolo per la propria esistenza, la nascita di un bambino innocente. E come modo più opportuno per proteggere il proprio potere mondano dal pericolo che gli ispirava – dal suo punto di vista – la nascita del bambino, ha scelto di annientarlo.

Per salvarsi dalle intenzioni omicide, il Bambino Gesù, di cui ne hanno parlato gli Angeli, fu obbligato a fuggire in Egitto, costituendo così, diremmo secondo la terminologia della nostra epoca, “un rifugiato politico”, unitamente a Maria, Sua Madre, la Santissima Madre di Dio e a Giuseppe suo sposo.

Nella nostra epoca, considerata come un’epoca di progresso, molti bambini sono costretti a diventare profughi, seguendo i propri genitori, per salvare la propria vita, vita che i loro molteplici nemici guardano con sospetto. Tale fatto costituisce una ignominia per il genere umano.

Perciò anche durante la Nascita del Bambino Gesù, il nostro vero redentore e Salvatore, dal Santissimo Trono Ecumenico, Apostolico e Patriarcale proclamiamo, che tutte le società devono assicurare una crescita serena dei bambini e rispettare il loro diritto alla vita, alla educazione  e alla loro crescita sociale, che può essere loro assicurata dalla alimentazione e dalla istruzione nell’ambito della famiglia tradizionale, con base i principi dell’amore, della filantropia, della pace, della solidarietà, beni che il Signore incarnato ci offre .

Il Salvatore che è nato, chiama tutti ad accogliere questo messaggio di salvezza degli uomini. E’ vero che lungo la storia dell’uomo, i popoli hanno effettuato molte migrazioni ed insediamenti. Speravamo tuttavia che dopo le due guerre mondiali  e le dichiarazioni sulla pace di leader ecclesiastici e politici e di organismi, le società odierne avessero potuto assicurare la convivenza pacifica degli uomini nei propri paesi. I fatti purtroppo deludono la speranza, in quanto grandi masse di esseri umani, difronte alla minaccia del loro annientamento, sono obbligati a prendere la via della migrazione.

Tale situazione creatasi, con l’onda continuamente crescente dei profughi, accresce la nostra responsabilità, quanti abbiamo ancora la benedizione di vivere in pace e con qualche comodità, a non restare insensibili davanti al dramma giornaliero di miglia di nostri fratelli, ma ad esprimere loro la nostra tangibile solidarietà e amore, con la certezza che ogni beneficenza verso di loro, giunge al volto del Figlio di Dio che è nato ed ha preso carne, il Quale non è venuto al mondo come un re, o come un dominatore, o come un potente, o come un ricco, ma è stato generato come un bimbo ignudo ed inerme, in una piccola stalla, senza un focolare, così come vivono in questo momento migliaia di nostri fratelli, ed è stato obbligato nei primi anni della Sua vita terrena a espatriare in una terra lontana, per salvarsi dall’odio di Erode. Potremmo dire, che la terra ed il mare bevono il sangue innocente dei bambini dei profughi di oggi, mente la anima insicura di Erode “ha ricevuto il giudizio”.

Questo divino fanciullo nato e portato in Egitto, è il reale difensore dei profughi di oggi, dei perseguitati dagli Erode di oggi. Egli,  il Bambino Gesù, il nostro Dio, “si  è fatto debole con i deboli” (1 Cor. 9,22), simile a noi, ai privi di forza, agli umiliati, a coloro che sono in pericolo, ai profughi. L’assistenza ed il nostro aiuto verso i perseguitati ed i nostri fratelli deportati, indipendentemente dalla razza, stirpe e religione, saranno per il Signore che nasce, doni assai più preziosi dei doni dei magi, tesori più onorabili “dell’oro, dell’incenso e della mirra” (Mt. 2,11), ricchezza spirituale inalienabile e unica, che non si rovinerà per quanti secoli passeranno, ma ci attenderà nel regno dei Cieli.

Offriamo dunque ciascuno di noi, quanto possiamo al Signore, che vediamo nel volto dei nostri fratelli profughi. Offriamo al piccolo Cristo partorito oggi a Betlemme, questi venerabili doni dell’amore, del sacrificio, della filantropia, imitando la sua benevolenza, e prosterniamoci a Lui con gli Angeli, i magi ed i semplici pastori, gridando “gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra  agli uomini che egli ama” (Lc. 2,14), assieme a tutti i Santi.

La grazia e la copiosa misericordia del profugo Bambino Gesù, siano con tutti voi!

Natale 2015
Il Patriarca di Costantinopoli
Fervente intercessore presso Dio per tutti voi.

venerdì, dicembre 25, 2015

Valaquenta

"Per arroganza, dallo splendore decadde al disprezzo di tutte le cose salvo se stesso, spirito funesto ed impietoso. Trasformò l'intellezione in sottigliezza pervertendo alla propria volontà quanto poteva servirgli, fino a che divenne un bugiardo privo di qualsiasi vergogna. Cominciò con il desiderio della Luce, ma quando non riuscì a possederla esclusivamente per sé, calò, tra fuoco e ira, dentro un grande incendio, giù nell'Oscurità."



sabato, dicembre 12, 2015

Solzhenitsyn

… We turned our backs upon the Spirit and embrace all that is material with excessive and unwarranted zeal. This new way of thinking, which has imposed upon us its guidance, did not admit the existence of intrinsic evil in man nor did it see any higher task than the attainment of happiness on earth. It based modern Western civilization on the dangerous trend to worship man and his material needs… Merely freedom does not in the least solve all the problems of human life and it even adds a number of new ones.”

Solzhenitsyn

martedì, novembre 24, 2015

Mario Tronti

Ma l’idea di comunismo non poteva essere un’idea materialista: è l’interno dell’uomo, quello che il capitalismo uccide. Il capitalismo è esattamente questo: l’eliminazione dell’interiorità e quindi della libertà. Bisognerebbe rilanciare, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni la passione rivoluzionaria del contrasto con tutta intera l’organizzazione del mondo attuale e il rifiuto di tutto intero l’attuale modo di vita. Queste scaramucce quotidiane contro questo o quell’aspetto del quotidiano, decreti governativi, mutamenti istituzionali, sistema di partito, la stessa contestazione dell’ordine economico-finanziario, sia esso in crisi o in sviluppo, non funzionano come politica veramente altra se non li metti dentro una strategia di guerra globale allo stato di cose presente. Guerra civilizzata, come abbiamo imparato dalla grande storia del movimento operaio e come si è disimparato dalle mediocri esperienze delle varie sinistre contemporanee.

martedì, novembre 17, 2015

Thoughts in the Presence of Fear







I. The time will soon come when we will not be able to remember the horrors of September 11 without remembering also the unquestioning technological and economic optimism that ended on that day.
II. This optimism rested on the proposition that we were living in a “new world order” and a “new economy” that would “grow” on and on, bringing a prosperity of which every new increment would be “unprecedented”.
III. The dominant politicians, corporate officers, and investors who believed this proposition did not acknowledge that the prosperity was limited to a tiny percent of the world’s people, and to an ever smaller number of people even in the United States; that it was founded upon the oppressive labor of poor people all over the world; and that its ecological costs increasingly threatened all life, including the lives of the supposedly prosperous.
IV. The “developed” nations had given to the “free market” the status of a god, and were sacrificing to it their farmers, farmlands, and communities, their forests, wetlands, and prairies, their ecosystems and watersheds. They had accepted universal pollution and global warming as normal costs of doing business.
V. There was, as a consequence, a growing worldwide effort on behalf of economic decentralization, economic justice, and ecological responsibility. We must recognize that the events of September 11 make this effort more necessary than ever. We citizens of the industrial countries must continue the labor of self-criticism and self-correction. We must recognize our mistakes.
VI. The paramount doctrine of the economic and technological euphoria of recent decades has been that everything depends on innovation. It was understood as desirable, and even necessary, that we should go on and on from one technological innovation to the next, which would cause the economy to “grow” and make everything better and better. This of course implied at every point a hatred of the past, of all things inherited and free. All things superseded in our progress of innovations, whatever their value might have been, were discounted as of no value at all.
VII. We did not anticipate anything like what has now happened. We did not foresee that all our sequence of innovations might be at once overridden by a greater one: the invention of a new kind of war that would turn our previous innovations against us, discovering and exploiting the debits and the dangers that we had ignored. We never considered the possibility that we might be trapped in the webwork of communication and transport that was supposed to make us free.
VIII. Nor did we foresee that the weaponry and the war science that we marketed and taught to the world would become available, not just to recognized national governments, which possess so uncannily the power to legitimate large-scale violence, but also to “rogue nations”, dissident or fanatical groups and individuals – whose violence, though never worse than that of nations, is judged by the nations to be illegitimate.
IX. We had accepted uncritically the belief that technology is only good; that it cannot serve evil as well as good; that it cannot serve our enemies as well as ourselves; that it cannot be used to destroy what is good, including our homelands and our lives.
X. We had accepted too the corollary belief that an economy (either as a money economy or as a life-support system) that is global in extent, technologically complex, and centralized is invulnerable to terrorism, sabotage, or war, and that it is protectable by “national defense”
XI. We now have a clear, inescapable choice that we must make. We can continue to promote a global economic system of unlimited “free trade” among corporations, held together by long and highly vulnerable lines of communication and supply, but now recognizing that such a system will have to be protected by a hugely expensive police force that will be worldwide, whether maintained by one nation or several or all, and that such a police force will be effective precisely to the extent that it oversways the freedom and privacy of the citizens of every nation.
XII. Or we can promote a decentralized world economy which would have the aim of assuring to every nation and region a local self-sufficiency in life-supporting goods. This would not eliminate international trade, but it would tend toward a trade in surpluses after local needs had been met.
XIII. One of the gravest dangers to us now, second only to further terrorist attacks against our people, is that we will attempt to go on as before with the corporate program of global “free trade”, whatever the cost in freedom and civil rights, without self-questioning or self-criticism or public debate.
XIV. This is why the substitution of rhetoric for thought, always a temptation in a national crisis, must be resisted by officials and citizens alike. It is hard for ordinary citizens to know what is actually happening in Washington in a time of such great trouble; for all we know, serious and difficult thought may be taking place there. But the talk that we are hearing from politicians, bureaucrats, and commentators has so far tended to reduce the complex problems now facing us to issues of unity, security, normality, and retaliation.
XV. National self-righteousness, like personal self-righteousness, is a mistake. It is misleading. It is a sign of weakness. Any war that we may make now against terrorism will come as a new installment in a history of war in which we have fully participated. We are not innocent of making war against civilian populations. The modern doctrine of such warfare was set forth and enacted by General William Tecumseh Sherman, who held that a civilian population could be declared guilty and rightly subjected to military punishment. We have never repudiated that doctrine.
XVI. It is a mistake also – as events since September 11 have shown – to suppose that a government can promote and participate in a global economy and at the same time act exclusively in its own interest by abrogating its international treaties and standing apart from international cooperation on moral issues.
XVII. And surely, in our country, under our Constitution, it is a fundamental error to suppose that any crisis or emergency can justify any form of political oppression. Since September 11, far too many public voices have presumed to “speak for us” in saying that Americans will gladly accept a reduction of freedom in exchange for greater “security”. Some would, maybe. But some others would accept a reduction in security (and in global trade) far more willingly than they would accept any abridgement of our Constitutional rights.
XVIII. In a time such as this, when we have been seriously and most cruelly hurt by those who hate us, and when we must consider ourselves to be gravely threatened by those same people, it is hard to speak of the ways of peace and to remember that Christ enjoined us to love our enemies, but this is no less necessary for being difficult.
XIX. Even now we dare not forget that since the attack of Pearl Harbor – to which the present attack has been often and not usefully compared – we humans have suffered an almost uninterrupted sequence of wars, none of which has brought peace or made us more peaceable.
XX. The aim and result of war necessarily is not peace but victory, and any victory won by violence necessarily justifies the violence that won it and leads to further violence. If we are serious about innovation, must we not conclude that we need something new to replace our perpetual “war to end war?”
XXI. What leads to peace is not violence but peaceableness, which is not passivity, but an alert, informed, practiced, and active state of being. We should recognize that while we have extravagantly subsidized the means of war, we have almost totally neglected the ways of peaceableness. We have, for example, several national military academies, but not one peace academy. We have ignored the teachings and the examples of Christ, Gandhi, Martin Luther King, and other peaceable leaders. And here we have an inescapable duty to notice also that war is profitable, whereas the means of peaceableness, being cheap or free, make no money.
XXII. The key to peaceableness is continuous practice. It is wrong to suppose that we can exploit and impoverish the poorer countries, while arming them and instructing them in the newest means of war, and then reasonably expect them to be peaceable.
XXIII. We must not again allow public emotion or the public media to caricature our enemies. If our enemies are now to be some nations of Islam, then we should undertake to know those enemies. Our schools should begin to teach the histories, cultures, arts, and language of the Islamic nations. And our leaders should have the humility and the wisdom to ask the reasons some of those people have for hating us.
XXIV. Starting with the economies of food and farming, we should promote at home, and encourage abroad, the ideal of local self-sufficiency. We should recognize that this is the surest, the safest, and the cheapest way for the world to live. We should not countenance the loss or destruction of any local capacity to produce necessary goods
XXV. We should reconsider and renew and extend our efforts to protect the natural foundations of the human economy: soil, water, and air. We should protect every intact ecosystem and watershed that we have left, and begin restoration of those that have been damaged.
XXVI. The complexity of our present trouble suggests as never before that we need to change our present concept of education. Education is not properly an industry, and its proper use is not to serve industries, either by job-training or by industry-subsidized research. It’s proper use is to enable citizens to live lives that are economically, politically, socially, and culturally responsible. This cannot be done by gathering or “accessing” what we now call “information” – which is to say facts without context and therefore without priority. A proper education enables young people to put their lives in order, which means knowing what things are more important than other things; it means putting first things first.
XXVII. The first thing we must begin to teach our children (and learn ourselves) is that we cannot spend and consume endlessly. We have got to learn to save and conserve. We do need a “new economy”, but one that is founded on thrift and care, on saving and conserving, not on excess and waste. An economy based on waste is inherently and hopelessly violent, and war is its inevitable by-product. We need a peaceable economy.

Wendell Berry
 
Wendell Berry lives and works with his wife, Tanya Berry, on their farm in Port Royal, Kentucky. An essayist, novelist, and poet, he is the author of more than thirty books. Berry has received numerous awards, including the T. S. Eliot Award, the John Hay Award, the Lyndhurst Prize, and the Aiken-Taylor Award for Poetry from The Sewanee Review. His books include the classic The Unsettling of America, Andy Catlett: Early Travels, and The Selected Poems of Wendell Berry.

venerdì, novembre 13, 2015

Transumanesimo e risurrezione



Gli esseri umani non si sono mai rassegnati ad essere semplicemente quello che sono: segnati dal limite, dalla colpa, dal dolore, dalla morte, cercano nel culto, nel mito, nell’ascesi, nella mistica, nel fare memoria e nel progettare, delle vie verso un oltre rispetto a se stessi. Di tale oltre non sanno molto, ma senza di esso non saprebbero realmente vivere. Una forma contemporanea di tale impazienza nei confronti della condizione umana è legata ai recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale. Internet ne è il simbolo.
Già oggi, e in modi assolutamente imprevedibili per una persona anziana che ripensi alla propria giovinezza, l’uomo contemporaneo è “aumentato” rispetto a quel che era. E – in non pochi ambiti – ha fin d’ora superato se stesso. Ne è segno tangibile il rapporto con il tempo e con lo spazio, ridotti l’uno e l’altro a una immediatezza un tempo inimmaginabile, non soltanto per quanto riguarda le informazioni, ma pure per quanto riguarda le decisioni. In questo senso, siamo già nel “transumanesimo”: stiamo passando da una condizione umana a un’altra[1]. E sembra che non ci siano ragioni per le quali tutto questo dovrebbe fermarsi, dato che le realizzazioni e le prospettive future dell’intelligenza artificiale non presentano limiti. Sembrerebbe che tutto consista nel trasferire le prestazioni  di quest’ultima all’interno dell’uomo stesso, offrendo così ad esso, attraverso le risorse delle nano-scienze e delle nanotecnologie, una liberazione completa da quelle condizioni contingenti che lo mantengono ancora legato al proprio corpo (spazio), un corpo limitato nella sua longevità (tempo) e, in ultima istanza, sottomesso alla morte. L’intelligenza artificiale permette non solo di sviluppare il “transumano”, ma anche di immaginare il “post-umano” e di intravedere ciò che viene chiamato la “singolarità”, ovvero il momento in cui tutto sarà ribaltato in una intelligibilità pura ed efficace, verso la quale fin d’oggi conducono tutte le ricerche e le tecnologie più sofisticate. Si tratterebbe di qualcosa di equivalente all’epopteia del Simposio di Platone o all’advaïta dei pensatori indù, ma ottenuto attraverso lo sforzo degli esseri umani; al punto che coloro che – tra questi ultimi – sono progrediti maggiormente nella ricerca e nella prospettive future, collocano l’avvenimento di tale “punto omega” in futuro molto prossimo.
Non penso si debba sorridere davanti a tale utopia transumanista, che conferisce una forma contemporanea al desiderio essenziale – per quanto spesso non cosciente – dell’uomo: il desiderio che la propria verità stia oltre se stesso. A tale forma contemporanea si possono certo obiettare i considerevoli pericoli legati alla messa in opera, concreta e continua, delle formidabili risorse dell’intelligenza artificiale: pericoli non solo per l’uomo in generale, ma anche per il pianeta e per l’universo[2]. Mi limito soltanto a sottolineare quello che mi pare sia il “vizio” celato in questa utopia: il suo individualismo. Ci si chiede come l’uomo, autonomous individual, possa giungere al culmine delle trasformazioni di cui è tecnicamente capace, e, pur non ignorando i rischi di tale impresa, si tende a minimizzarli, non considerando come “l’individuo autonomo” non esista affatto, non sia mai esistito, e come l’essere umano in realtà sia, e sia sempre stato, con altri. I quali sono per lui essenziali.
In verità, la vita non è fatta per essere aumentata secondo le possibilità di una ingegneria tecnica sempre più capace, ma per essere ricevuta e donata. La massima evangelica “Chi perde la sua vita la troverà” costituisce il solo paradosso capace di indicare il cammino di un autentico “transumanesimo”. Se gli “altri” fanno parte di ciò che concorre a un vero progresso umano, occorre ascoltarli, accogliere il loro dono e le loro parole, e dunque trasformare il desiderio di “essere sempre più” nel desiderio di “essere con”, di “essere per”: desiderando che noi siamo, e non soltanto che io sia. Questo significa, concretamente, “morire a se stesso” per rinascere con altri. Gli eroi e i santi, uomini realmente “aumentati”, sono coloro che lo hanno compreso e la cui memoria è benedizione.
Vorrei qui citare un breve testo che François Cheng ha scritto recentemente, facendo risuonare l’ultima strofa del Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi: “La morte, nella sua essenza, non è affatto una fine assurda, una figura spaventosa che giunge dall’esterno. Dall’esterno può giungere ogni possibile tipo di aggressione, ma la morte in se stessa è la parte più intima di ciascuno, il frutto che ciascuno porta in sé, frutto contenente carne, succo e semi, attraverso il quale si potrà rinascere diversamente, accedendo a un diverso stato d’essere”[3]. Cheng sta qui pensando alla morte corporale evocata da san Francesco. Eppure non è forse ogni istante della nostra vita morte e risurrezione? La rinuncia, nata dal prendersi cura dell’altro e di “se stesso come un altro” (come diceva Paul Ricoeur) è un atto intimo continuamente sollecitato dalla vita, grazie al quale si accede a un differente stato d’essere. Se si acconsente ad essa, momento per momento, quella morte corporale che ci sarà a suo tempo data, sarà vissuta come il frutto maturo della vita, come primizia di risurrezione. La morte e la risurrezione di Gesù, di cui ho parlato in un post precedente in questo stesso blog, ne sono l’icona.
Questo non significa che dobbiamo rinunciare a ogni progetto transumanista. Significa però che occorre preservare tale progetto dagli aspetti fantascientifici che esso talvolta coltiva, e soprattutto mantenerlo all’interno di una visione della vita dominata non dalle aspirazioni incontrollate dell’individuo autonomo, ma dal tema della morte e della risurrezione in quanto legate a una cura dell’altro che ne costituisce la verità. In questo mondo e nell’altro.
(traduzione dal francese di Stefano Biancu)

Perché discutere?

« Discuter est un exercice narcissique où chacun fait le beau à son tour : très vite, on ne sait plus de qui on parle. Ce qui est très difficile, c’est de déterminer le problème auquel telle ou telle proposition répond. Or si l’on comprend le problème posé par quelqu’un, on n’a aucune envie de discuter avec lui : ou bien on pose le même problème, ou bien on en pose un autre et on a plutôt envie d’avancer de son côté
Comment discuter si l’on n’a pas un fonds commun de problèmes et pourquoi discuter si l’on en a un ? »

Félix Guattari


mercoledì, novembre 11, 2015

Deleuze

On n'écrit pas avec son moi, sa mémoire et ses maladies. Dans l'acte d'écrire, il y a la tentative de faire de la vie quelque chose de plus que personnel, de libérer la vie de ce qui l'emprisonne. L'artiste ou le philosophe ont souvent une petite santé fragile, un organisme faible, un équilibre mal assuré (...). Mais ce n'est pas la mort qui les brise, c'est plutôt l'excès de vie qu'ils ont vu, éprouvé, pensé.
Gilles Deleuze

No one is there

Across from behind my window screen
Demon is dancing down the scene
In a crucial parody
Demon is dancing down the scene
He is calling and throwing
His arms up in the air
And no one is there

All of them are missing as the game
Comes to a start
No one is there

Some are calling, some are sad
Some are calling him mad
No one is there

Across from behind your window screen
Demon is dancing down the scene
In a crucial parody
Demon is dancing down the scene
He is calling and throwing
His arms up in the air
No one is there

All of them are missing
 As the game comes to a start
No one is there

And no sound has them
Declared
To be missing
To be missing
To be missing

Nico - No one is there

lunedì, novembre 09, 2015

Bruce Springsteen - My Hometown

Tradizione e talento individuale




…the historical sense involves a perception, not only of the pastness of the past, but of its presence; the historical sense compels a man to write not merely with his own generation in his bones, but with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature of his country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order. This historical sense, which is a sense of the timeless as well as of the temporal and of the timeless and temporal together, is what makes a writer traditional.

T.S. Eliot

Scala claustralium

. Da tutto ciò possiamo dedurre che la lettura senza meditazione è arida, la meditazione senza lettura è soggetta a errore, l’orazione senza meditazione è tiepida, la meditazione senza orazione è infruttuosa. L’orazione fatta con fervore porta all’acquisto della contemplazione, mentre il dono della contemplazione senza orazione è raro o miracoloso. Il Signore infatti, la cui potenza è senza confini e la cui misericordia si estende al di sopra di tutte le sue opere, di tanto in tanto fa sorgere figli di Abramo dalle pietre (Mt 3,9), forzando quanti sono induriti e ribelli a sottomettersi nell’accettazione: prodigo di doni trascina il toro per le corna, come dice il proverbio, ogni volta che si intromette senza esser chiamato e che si effonde senza esser cercato. Questo, a quanto leggiamo, è accaduto talvolta ad alcuni, come a Paolo e a qualcun altro. Ma non dobbiamo per questo attender simili doni anche per noi tentando Dio; dobbiamo invece fare ciò che ci viene richiesto, leggere e meditare la legge divina, pregare Dio che venga in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) e veda ciò che in noi è incompiuto. È lui stesso che ci insegna a far questo quando dice: «Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Infatti quaggiù il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Mt 11,12).

Guido il certosino

domenica, ottobre 18, 2015

La solitude du philosphe

Si bien qu'en attaquant le philosophe on se donne la honte d'attaquer une enveloppe modeste, pauvre et chaste; ce qui décuple la rage impuissante; et le philosophe n'offre aucune prise, bien qu'il prenne tous les coups. Là prend tout son sens la solitude du philosophe. Car il ne peut s'intégrer dans aucun milieu, il n'est bon pour aucun.
Gilles Deleuze
Spinoza - Philosophie pratique
Les éditions de Minuit, Paris, 1981

martedì, ottobre 13, 2015

And all the Arts of Life, they chang’d into the Arts of Death in Albion.







And all the Arts of Life, they chang’d into the Arts of Death in Albion.
The hour-glass contemned, because its simple workmanship
Was like the workmanship of the plowman, and the water-wheel
That raises water into cisterns, broken and burn’d with fire,
Because its workmanship was like the workmanship of the shepherd ;
And in their stead intricate wheels invented, wheel without wheel,
To perplex youth in their outgoings, and to bind up labours in Albion
Of day and night the myriads of eternity, that they may grind
And polish brass and iron hour after hour, laborious task;
Kept ignorant of its use, that they might spend the days of wisdom
In sorrowful drudgery, to obtain a scanty pittance of bread ;
In ignorance to view a small portion and think that all,
And call it Demonstration, blind to all the simple rules of life.
 
W.B.

mercoledì, ottobre 07, 2015

Pazzi


«Viene un giorno in cui tutti gli uomini impazziranno e, vedendo uno che non è pazzo, lo assaliranno dicendogli: “Sei pazzo”, per il solo fatto che non è come loro»

Abba Antonio